4 Due universi artistici lontani

Il mutamento culturale del secolo scorso ha caratterizzato fortemente la percezione del mondo della tecnica da parte degli artisti influendo certamente sulle loro opere e sul loro  pensiero. L’uso di un programma di video montaggio o qualsiasi altro mezzo tecnologico non muta il lavoro dell’artista che resta comunque estetico, divenendo tale in virtù di una relazione estetica[1]. Nella continua diatriba riguardante le possibilità tecnologiche, le attitudini più disfattiste vedono nelle realizzazioni artistiche mediante tecnologia un basso indice di utilizzabilità soggettiva, ovvero un condizionamento che mina la libertà poietica dell’artista. Ma il ruolo dell’artista non è venuto meno e le nuove tecnologie hanno probabilmente solo accentuato la componente non oggettuale dell’opera d’arte. Anche il concetto di “stile”, inteso come momento fondamentale di ogni singola personalità artistica non è venuto meno, ma si fa estremamente più complicato estrinsecarlo in quanto il contenuto dell’opera dipende ora, oltre che da fondamenti filosofici, da fondamenti semiotici.

Storicamente la forma video coincide con due fenomeni correlati: la smaterializzazione dei processi artistici e la nuova attenzione alle problematiche sociali. La qualificazione in termini estetici di questo fenomeno va comunque ricondotta alla maturazione in senso “ambientale” dell’opera d’arte, accostabile all’idea duchampiana d’arte come processo dinamico, ciò implica una radicale modificazione del concetto artistico di ambiente che, in quanto ricondotto alla struttura complessiva della società, diventa anche “spazio sociale” della prassi artistica. Di conseguenza l’esperienza artistica diviene fisica, ma non oggettuale. Sono numerosi i creativi che si sono cimentati col video creando, nella fisicità delle loro installazioni, il proprio spazio artistico. L’estrema quantità di queste sperimentazioni e la programmatica ricerca dello shock visivo porta però spesso a rappresentazioni di dubbio gusto che di artistico mantengono solo l’intento. Pochi, invece, sono gli artisti che si sono cimentati con le potenzialità percettive proprie del medium elettronico e, tra questi, nessun artista come Bill Viola ha colto così profondamente le  straordinarie possibilità creative del mezzo elettronico come dispositivo per farci vedere con occhio interiore oltre l’apparenza del visibile. Bill Viola è l’artista che più di ogni altro induce nello spettatore, emotivamente coinvolto, una riflessione sulla precarietà e labilità della realtà “oggettiva” di cui sa essere parte, facendo leva sull’immediatezza della percezione prima che l’intelletto proceda a una rassicurante elaborazione logica. Prima che il fruitore si distenda davanti all’immagine simulacro a cui è abituato.

Viola appartiene alla cosiddetta seconda generazione di video artisti, realizza vari film sperimentali manifestando subito un grande interesse per le potenzialità offerte dall’elaborazione elettronica delle immagini. Si avvicina ad artisti video, tra cui Nam June Paik, Peter Campus e Bruce Nauman, con i quali presenta le sue opere nella sua prima mostra collettiva. Dopo le iniziali esperienze degli anni Settanta negli Stati Uniti lavora a Firenze dal 1974 al 75 come direttore tecnico e responsabile della produzione con Art/Tapes/22, studio dedicato alla produzione di video d’artista. Viola comincia a dare corpo ad un proprio linguaggio assolutamente originale che unisce elementi visuali della nostra cultura occidentale ad elementi visuali di tradizione orientale. Quello praticato da Bill Viola è un modo di raccontare intriso di suggestioni che costituisce un esempio personalissimo e insieme paradigmatico delle potenzialità del medium elettronico. Competenze tecnologiche e contenutismo appartengono a questo artista che fa della rappresentazione del vissuto il suo contesto di riflessione sul rapporto dialettico tra naturale e spirituale. Esplora la realtà calandosi anche nell’evento abituale: il sonno di Threshold[2] (1992), la festa di compleanno di Passage (1987). Esemplare in questo senso è uno dei suoi video più famosi, The Passing (1991), in cui Viola evoca momenti di vita quotidiana nella scorrevole intermittenza di passaggi e attese, tra lucidità e sogno, conscio e inconscio, corpo e natura. Viola rappresenta il passaggio fra vita e morte grazie alla metaforica alternanza di immagini diurne e notturne. L’artista documenta la nascita del figlio e la morte della madre, eventi accaduti a poca distanza l’uno dall’altro. Utilizza la videocamera come un diario che gli permette di riporre le immagini di due esperienze che segnano profondamente la vita di un uomo. Il video, girato in bianco e nero, ottiene immagini volutamente sgranate o sovresposte a seconda del grado di luminosità della scena. Il suo discorso visivo e sonoro si svolge in un’atmosfera sognante fatta di ombre e di luci. Il risultato è fortemente onirico: le forme dai contorni indefiniti e vibranti, efficaci metafore del senso di sospensione, vengono associate all’idea di “passaggio”.

Rappresentativo dell’originale ricerca di Bill Viola è il video I Don’t Know What It Is I Am Like (1986), nel quale lo spettatore è condotto in un viaggio verso le profonde radici dell’Essere. Il tema centrale è quello dell’identità, indagata attraverso il confronto con le forme archetipiche dell’immaginario collettivo. Riti iniziatici di tribù primitive, luoghi ed animali che simboleggiano l’inconscio si alternano alla figura dell’artista nel suo studio intento a guardare, attraverso un monitor, le stesse immagini che precedentemente si sono susseguite nel video. In continua dialettica fra realtà e immagine simulacro Viola cerca, attraverso l’immagine elettronica, di recuperare la sua identità primordiale, magica ed animale insieme. Più attinente alla recente ricerca poetica di Bill Viola è The Crossing[3] (1996): una videoinstallazione composta da un doppio schermo sul quale vengono proiettate contemporaneamente immagini diverse. Sul primo un uomo è avvolto da fiamme che salgono dai suoi piedi; nell’altro un potente getto d’acqua cade sulla testa del protagonista inghiottendolo, fino a farlo scomparire. L’opera è incentrata sull’Uomo, qui sopraffatto da due elementi contrapposti: fuoco ed acqua, mettendo in risalto gli aspetti meno rassicuranti della relazione uomo/natura. Il fuoco, emblema del furor divino, è connesso alla distruzione rigeneratrice; l’acqua, come nel rito battesimale, rappresenta purificazione, ma anche fluidità e mutamento. Entrambi gli elementi si rapportano qui al medesimo concetto: il cambiamento, quello indotto dal divino, come flusso ciclico di morte e vita, distruzione e rinascita.

Queste sono le tematiche che ricorrono nei video e nelle videoinstallazioni di Bill Viola che, liberate da ogni cornice, si espandono in contesti spaziali. Viola guarda la realtà e la trasfigura, accantona la diegesi per recuperare ciò che ritiene importante: le emozioni. Nelle sue opere costruisce ogni volta un tessuto autobiografico che si muove tra l’universale e il contingente, tra mondo tecnologico e visione personale, tra arte e natura. Una dialettica portata ad una dimensione inconfutabile in The Greeting, quinto e ultimo brano di Buried Secrets, la sequenza di installazioni presentate nel padiglione dedicato agli Stati Uniti alla Biennale di Venezia del 1995. L’opera, ispirata alla Visitazione di Jacopo Pontormo, crea un ponte immaginario con un’arte ormai lontana, lontana soprattutto nei temi e nei significati.

È soprattutto grazie a questa ritrovata dialettica che si rivela allora per l’arte l’opportunità di ritrovare il suo significato e la sua natura anche all’interno del medium tecnologico, ma l’artista dovrà coglierne le possibilità di amplificazione percettiva e sinestetica per trascinare il fruitore nei nuovi significati dell’opera. La dialettica tra corpo e spirito, tra natura e idea presente nelle opere di Viola è il tentativo di superare l’evidente difficoltà a intendere l’uomo nella sua unità. Spirito e natura sono scissi in quanto in buona parte dell’arte contemporanea viene rappresentato o l’uno o l’altro aspetto dell’Uomo. Una dicotomia tipica di tutta l’arte del Novecento. Superando tale dicotomia l’opera di Viola non tende certamente alla tecnologia, ma all’Uomo e quindi ad un’umanizzazione della tecnica. L’opera d’arte non è qui autoreferenziale, il medium rimane medium ed è negata l’affermazione di Mcluhan secondo cui “il medium è il messaggio”. Una conclusione apocalittica, quest’ultima, per tutti i puristi credenti in un’arte che debba veicolare significati e contenuti e non autocelebrare il livello tecnico raggiunto. Probabilmente anche l’aborrita arte multimediale può anelare alla serenità del connubio tra spirito e natura, a quella grandezza e profondità dell’Uomo, inteso nella sua pienezza e unità, che la cultura umanista ben conosceva.

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Una giostra di colori raggianti, di gesti conturbanti, sguardi intensi e un’architettura surreale sullo sfondo fanno della Visitazione[4] del Pontormo uno dei dipinti più suggestivi della storia dell’arte. Dalla sua pittura luminosa, con la sua distintiva gamma coloristica, giocata in questo caso sull’accostamento di toni leggeri: verde salvia, rosa, arancio, Jacopo Carrucci trae l’aspetto visionario della scena rappresentata. Dal 1740 l’opera si trova nella chiesa parrocchiale di Carmignano nell’altare Pinadori. I commenti relativi alla Visitazione nella letteratura sul Pontormo risultano brevi, ma in molti di questi viene citato come riferimento l’incisione del Dürer detta Le quattro streghe[5]. La ricchezza di significati caratterizza queste due opere, come anche la presenza del simbolo (Sinnbild) che andrà valutato in antitesi al simulacro (Trugbild)[6].

La Visitazione è un avvenimento centrale della vita di Maria. L’evangelista Luca descrive l’incontro delle due donne in attesa: “Ed ecco che, appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, le balzò in seno il bambino. Elisabetta fu ricolma di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno[7]. Nell’opera del Pontormo Maria è accolta da Elisabetta, con loro altre due figure femminili con le quali formano un gruppo di quattro caratterizzato da quieta magnificenza. Maria ed Elisabetta sono rivolte l’una verso l’altra, le altre due donne, leggermente dietro guardano innanzi a loro. Quasi trasparente il volto di Maria mentre Elisabetta è rappresentata come donna saggia e benevola. Le due figure dietro Maria ed Elisabetta sono indecifrabili in quanto manca qualsiasi ragione di carattere iconografico che giustifichi la loro presenza. Potrebbero essere il duplicato artistico delle protagoniste ritratte di profilo e rappresenterebbero, in secondo piano come un eco interno, una variante dell’avvenimento in primo piano. Sembra che le quattro figure femminili con i loro atteggiamenti corrispondenti siano ordinate intorno ad un immaginario asse simmetrico. Le loro posizioni alternate rispondono ad un principio artistico che nella letteratura del tempo veniva espresso con il termine varietas, criterio fondamentale per determinare la riuscita di un’opera. Grande è la spiritualità che aleggia nella rappresentazione, l’abbraccio tra Maria ed Elisabetta nega l’iconografia tradizionale che vuole quest’ultima in ginocchio. Il confronto con altri esempi di Visitazione lascia intravedere fino a che punto Pontormo si sia allontanato dalla tradizione e perciò, secondo interpretazioni più azzardate, l’interpretazione dell’opera come visitazione apparirebbe fallace. In effetti, il tema delle quattro donne è una rarità: le quattro figure nude presenti nel Le quattro streghe del Dürer, di diverse età, sono rapportabili sia al tema delle tre grazie sia al tema della transitorietà del bello. Come nell’opera del Pontormo è anche qui presente il tema della gravidanza: fianchi e seni accentuati, ventri pronunciati. Un’altra traccia relativa alla fecondità e alla gravidanza si trova nell’oggetto pendente dal soffitto, munito di lettere nonché del numero 1497, che è identificabile col frutto della mandragola. La simbologia della mandragola ha radici antiche: secondo tale simbologia, se mangiata, la mandragola incentiverebbe la disposizione alla fecondità. La tematica della fecondità riconosce al foglio del Dürer un livello di significato diverso; senza dover comunque accantonare l’interpretazione, più a portata di mano, della vicinanza al tema delle tre grazie. Senza dubbio, da un punto di vista formale, l’opera del Pontormo si riallaccia alla calcografia del Dürer, ma a questa trattazione concerne maggiormente l’aspetto contenutistico che contraddistingue le due opere su un piano plurivalente in quanto queste vertono su due nuclei essenziali e misteriosi dell’esistenza umana: la fecondità e la gravidanza, e la donna intesa come icona. Entrambe le opere celano questi significati senza rivelarli in modo appariscente.

Ancora oggi queste quattro donne affascinano per l’armonia della composizione e per la leggerezza delle vesti. Ad un osservatore del ventunesimo secolo l’opera del Pontormo appare inauditamente moderna procurandogli il più alto godimento artistico. Il Pontormo ha esercitato, infatti, un fascino particolare su molti artisti del secolo appena trascorso. La lista degli ammiratori che hanno preso spunto dal linguaggio del Pontormo va da Amedeo Modigliani a Pier Paolo Pasolini fino ai più contemporanei Georg Baselitz e, ovviamente, Bill Viola.

Come nella Visitazione anche in The Greeting[8] di Viola predominano figure fluenti e luminose presentate scorciate dal basso. Attraverso la trasposizione di questa pala d’altare di carattere sacro in un mezzo di comunicazione video, Viola, evidenzia come il movimento rappresenti un momento fondamentale della composizione del Pontormo. La maniera di raffigurare estremamente ricercata, quasi artificiosa, l’eccessivo potenziamento artistico della rappresentazione figurativa, conferiscono alla pala non solo un carattere spirituale, com’era probabilmente nelle intenzioni del Pontormo, ma permette anche una sua descrizione mediante categorie postmoderne quali la finzione, la simultaneità e l’immaterialità. A queste si aggiungono altre caratteristiche formali quali la serialità dell’ordinamento dei personaggi e le corrispondenze tra le figure. Le superfici di colore, inoltre, conferiscono al fruitore un’impressione di notevole libertà grazie alla loro originale policromia e alla perfetta corrispondenza, al limite del virtuosismo, dei toni cromatici. Infine un’architettura surreale, quasi una quinta per un film. È a questa modernità che si rifà Viola evocando l’opera, accantonando il tema biblico, i suoi significati, i suoi simboli.

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The Greeting ha debuttato alla quarantaseiesima Biennale di Venezia come parte di un insieme di cinque installazioni intitolate Buried Secrets. L’opera contribuisce certamente ad assegnare all’artista, invitato a rappresentare il padiglione statunitense, il prestigioso riconoscimento del primo premio: leone d’oro per la scultura nel 1995.

Si tratta di una videoinstallazione ispirata alla summenzionata Visitazione del Pontormo di cui si è tentato di comprenderne la ricchezza dei significati e i molteplici livelli di interpretazione fornitici dal rapporto con Le quattro streghe del Dürer. In The greeting ovvero il saluto, Viola mette in scena due donne, una più giovane e l’altra più anziana, intente a conversare. Dopo alcuni minuti trascorsi in tale situazione, una terza donna sopraggiunge in scena e interrompe il dialogo, rivolgendo un saluto, con gesto inequivocabile, alla donna più anziana. L’espressività e le posture evidenziano che la donna più giovane conosce meglio che l’altra la donna più anziana. A quest’ultima la giovane bisbiglia qualcosa all’orecchio isolando ulteriormente la terza[9].

È importante ribadire che Viola non era interessato ad una reinterpretazione del tema della Visitazione ma desiderava usare l’opera come guida per fare qualcosa di nuovo. L’artista americano, infatti, cattura solo l’estetica della pittura del Pontormo eludendone i contenuti. Viola si sofferma sui colori degli indumenti delle donne e sull’ambientazione trasportandola in una visione contemporanea fatta di grigi fabbricati. Filmato in piano sequenza, senza interruzione di ripresa da una macchina fissa, il video è presentato all’osservatore come un moto lento che intensifica ogni movimento. Lavorando sul tempo, dilatandolo all’inverosimile, Viola ci fa riesaminare la Visitazione facendoci entrare nella durata. Viola dilata i circa quarantacinque secondi reali fino a portarli a dieci minuti di proiezione. Ottiene ciò riprendendo le figure ad alta velocità e proiettando l’evento in modo da aumentare di circa quindici volte la lunghezza originaria. Il risultato è che ogni piccola variazione, il più fugace degli sguardi, l’arrivo improvviso di una breve folata di vento, vengono indagati ed esaminati fin nei minimi particolari moltiplicando enormemente le possibilità percettive e interpretative del fruitore. “Se di solito ci si rende conto, sia pure approssimativamente, dell’andatura della gente, certamente non si sa nulla del suo comportamento nel frammento di secondo in cui affretta il passo[10]. Le emozioni delle figure sono così indagate dallo spettatore che è libero di attribuire qualsivoglia punto di vista all’opera: “[…] le prestazioni che il film propone sono analizzabili in modo molto più esatto e da punti di vista molto più numerosi di quelle che si rappresentano in un dipinto […]. Rispetto alla pittura, la maggiore analizzabilità della prestazione rappresentata nel film è determinata dalla resa incomparabilmente più precisa della situazione[11].

L’estrema lentezza dei movimenti richiama probabilmente la fissità della grande tradizione pittorica alla quale Viola si ispira avvicinandosi così alla tavola del Pontormo ma, nel contempo, la rappresentazione video fornisce al fruitore una serie di fotogrammi che precedono e succedono all’acme emotivo che il Pontormo sintetizza nell’amorevole scambio di sguardi fra la Vergine e Santa Elisabetta. La grande umanità e religiosità del tema sta  proprio nell’amore terreno di due donne consapevoli del proprio destino. Viola inserisce in un continuum questo tema, che trova nella produzione pittorica passata grandi interpretazioni, seziona ogni movimento e dissolve il mistero di quei gesti, di quegli sguardi in una sorta di moviola che scava nella complessità umana. La sua descrizione è intenzionalmente ambigua, le azioni delle donne non sono mai spiegate e lasciano libero l’osservatore di attribuire un significato preciso a questo saluto. L’opera mostra una coreografia sottile, ma di grande impatto.

Viola sembra fare quindi un’operazione che si riallaccia alla teoria della Pura visibilità: dimentico dei significati si sofferma unicamente sui colori e sulle forme regalandoci la percezione e la rievocazione formale della Visitazione ma non i contenuti. La teoria della Pura visibilità, affermatasi nel secondo Ottocento, pone l’accento sull’atto del vedere come momento conoscitivo. L’opera d’arte è considerata fatto primariamente formale, in gran parte indipendente dal suo contenuto narrativo o espressivo. Ma non è il caso di Viola il quale va al di là dell’immediato visibile. È proprio la lentezza dell’azione che, espandendo la temporalità dell’immagine, rivela sottilmente il prima e il dopo dell’acme emotivo dipinto dal Pontormo. Viola cattura così lo sguardo del fruitore che può ora contemplare e ipotizzare su ogni minima variazione. Anche la percezione supera il mero visibile grazie a Viola che, come il chirurgo benjaminiano, scava nel flusso immaginale invitando il fruitore ad un sondaggio profondo delle sfumature emotive del linguaggio del corpo. In The Greeting questo concetto è portato all’estremo: l’artista/chirurgo scava con profondità nel tessuto immaginale per mezzo dell’estenuante rallentamento temporale e provoca un senso di inquieta partecipazione emotiva. L’incarnazione della durata e del moto, l’esclusività degli sguardi che creano uno spazio privilegiato immanente al video, trovano il proprio perché nel dipinto pontormiano: qui Maria ed Elisabetta scambiano i loro sguardi misteriosi abbracciandosi e chiudendosi in uno spazio esclusivo. La circolarità conferisce a tutta l’opera un moto dando ad un osservatore contemporaneo l’idea di un fotogramma arrestato. L’esasperata dilatazione del tempo in The Greeting è l’elemento che più ci riaccosta alle formulazioni teoriche benjaminiane: “Col primo piano si dilata lo spazio, con la ripresa al rallentatore si dilata il movimento. E come l’ingrandimento non costituisce semplicemente chiarificazione di ciò che si vede comunque, benché distintamente, poiché esso porta in luce formazioni strutturali della materia completamente nuove, così il rallentatore non fa apparire soltanto motivi del movimento già noti: in questi motivi noti ne scopri di completamente ignoti, che non fanno affatto l’effetto di un rallentamento di movimenti più rapidi, bensì quello di movimenti propriamente scivolanti, plananti, sovrannaturali. Si capisce così come la natura che parla alla cinepresa sia diversa da quella che parla all’occhio[12]. Viola mette in scena questo concetto da un punto di vista artistico e vi si accosta da un punto di vista teorico in quanto per lui : “Il video è assai più sensibile di ciò che l’obiettivo vede e il microfono ode”.

In The Greeting la staticità dell’illusione pittorica si trasforma in un luogo reale e fisico, pienamente esperibile recuperando quella peculiare dimensione di “spazio umano” che ci riconduce direttamente al carattere dinamico e sociale dell’operazione artistica contemporanea.

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La tecnologia video ha rivoluzionato i processi di creazione e fruizione dell’opera d’arte. Gli approcci teorici sono numerosi ma un muro di incomunicabilità divide l’attuale critica d’arte. Chi loda la produzione video è accusato di mistificare, attraverso l’esagerata valutazione della firma, taluni artisti promossi mediante strategie che appartengono al mercato dell’informazione e non a quello dell’arte. Mentre i detrattori sono pronti ad omologare e relegare il tutto in un ambito estraneo all’arte, opponendo pedantemente categorie appartenenti all’arte dell’Umanesimo delle quali difficilmente ci si riapproprierà. Fra questi due estremi si collocano realizzazioni video di indubbia qualità che, non risolvendo certo la diatriba e, come in The Greeting, non chiudendo nessun cerchio con l’arte del passato, rappresentano le potenzialità poietiche dell’elemento tecnologico.

L’attenzione dedicata costantemente, negli ultimi anni, alle arti elettroniche da parte di istituzioni di grande prestigio come la Biennale di Venezia, Documenta di Kassel o il Guggenheim di Bilbao farebbe pensare ad una certa attenzione per la videoarte. Le opere video hanno trovato posto in musei, gallerie, talvolta in centri di produzione e distribuzione, in rassegne e festival che nascevano un po’ ovunque con la stessa facilità con cui sparivano. L’arte del video con tutte le sue sfaccettature, probabilmente, non ha suscitato una vera domanda nel mercato dell’arte e soprattutto non ha mai incontrato i favori del grande pubblico. Una tendenza inversamente proporzionale in quanto al moltiplicarsi del numero degli autori e delle opere è corrisposto un progressivo allontanamento del pubblico. Probabilmente perché quest’ultimo, applicando lo stesso meccanismo percettivo-cognitivo sia nell’assistere ad un video d’artista, sia nel guardare un film o una pubblicità, si aspetta di trovare nel video d’artista gli elementi base del linguaggio audiovisivo tradizionale. Soprattutto perché, come suddetto, alla grande quantità di video prodotti non corrisponde sempre un alto standard qualitativo: spesso dal punto di vista del fruitore il video d’artista presenta carenze significative dal punto di vista del linguaggio, assumendo l’aspetto di un lavoro dilettantesco, ingenuo nelle forme della rappresentazione e della narrazione, narcisista e autoreferenziale. Inoltre la dichiarata propensione dell’opera video per l’astrazione, la defigurazione, lo straniamento, mal si concilia con l’abitudine dello spettatore a un linguaggio audiovisivo ordinario di impianto fortemente diegesico. Oltre a ciò, identificare le nuove tecnologie con il dinamismo, la frantumazione: elementi tipici dei frenetici montaggi dei videoclip, è una costante ormai radicatasi.

Le opere video di Bill Viola e le sue installazioni si allontano da ogni consuetudine. I suoi paesaggi mentali vanno attraversati con calma: camminando lentamente in un nuovo spazio mentale. Le sue opere diventano in tal senso l’emersione della coscienza individuale, caratterizzata da un’evanescenza naturale, da un’inconsistenza, che corrisponde all’inafferrabilità del senso della vita. Vita sempre dialetticamente riferita allo spirito, capace di provocare nel fruitore un’esperienza fisica e spaziale. Questa sensazione avviluppante e totalizzante distingue ogni sua installazione: l’impatto acustico, l’enfasi sulle immagini di grande formato, il percorso che lo spettatore deve spesso compiere all’interno di ciascuna installazione, le diverse superfici su cui vengono proiettate le immagini, tutto è attentamente studiato al fine di condurre il visitatore attraverso un viaggio multisensoriale[13]. L’attitudine al coinvolgimento dello spettatore nell’immagine video è una costante delle videoinstallazioni che inseriscono la componente temporale del video nella ristrutturazione plastica e percorribile dello spazio. Si giunge ad un’esperienza visionaria che, come le varie forme di estasi, meditazione e contemplazione, è una chiara manifestazione di stato alterato di coscienza indotto da un accrescimento delle possibilità sensoriali. La componente audio, accostata alle immagini, aumenta sensibilmente le capacità di coinvolgimento emotivo dell’opera video. L’elemento sonoro, paragonabile al segno radiofonico, di cui già Arnheim aveva rilevato la capacità di coinvolgere un’aperta, ma non dispersa, complicità fantastica[14], non è mai disgiunto dall’immagine. Come le capacità sensoriali coesistono simultaneamente nell’uomo, così il dispositivo elettronico ci fa immergere in uno spazio denso e percettivamente vibrante in cui più sensi sono coinvolti. Contrariamente alle opere tradizionali l’opera d’arte multimediale è contemporaneamente evento ed esperienza e ciò è possibile, come si è visto, anche grazie all’intensificazione percettiva prodotta dal mezzo audiovisivo.

L’avvento di uno statuto dell’immaginario, fatto di  ipertrofie sia spaziali che temporali completamente differente da quello che poteva emergere dall’esperienza dell’autore o da quella del fruitore di opere d’arte tradizionali, influisce ora oltre che sulla critica anche sull’estetica. Oggi, il nuovo oggetto dell’estetica non sarà più l’arte o il piacere, ma l’operazione culturale per cui il reale si trasforma in simulacro.


  1. Attitudine attenzionale da parte del fruitore che ridesta le proprietà aspettuali dell’opera.
  2. Fig. 3.
  3. Fig. 4.
  4. Fig. 5.
  5. Fig. 6.
  6. Cfr. Realtà virtuale.
  7. Luca, 1,41-42.
  8. Fig. 7.
  9. Fig. 7.
  10. Walter Benjamin, op. cit., p. 41.
  11. Ivi, p. 40.
  12. Ivi, p. 41.
  13.   Fig. 8.
  14. Rudolf Arnheim, La radio. L'arte dell'ascolto, Roma, Editori Riuniti, 1987.