5 Lettere 121 – 150

121.

11 marzo 1929

Carissima Giulia,

ho ricevuto la tua lettera del 21 febbraio, alla quale non potrei rispondere in altro modo che facendoti una carezza. Però… dopo averti accarezzato, vorrei aggiungere qualche cosa. Ciò che mi scrivi, io già lo sapevo, perché lo immaginavo. Capisci? Il tuo «Giappone» io sapevo che esisteva alle tali e tali longitudini e latitudini, ecc. Ciò che mi sfugge, è come il «Giappone» si sviluppi, attraverso quali concrete forme di vita la sua esistenza si svolga. So troppo poco della tua vita e della vita dei bambini, e la mia fantasia, senza alimento, gioca nel vuoto. Forse è un’ossessione determinata dalla vita del carcere, ma, insomma, la sento e non voglio nascondertela. Dalla fotografia mi sembra che tu sia stata male; tu stessa hai accennato che devi fare delle cure e che l’astenerti da certi medicinali ti nuoce. Ma piú di queste cose fuggevoli e vaghe io non so, e ciò qualche volta mi ossessiona veramente. – Mi sono sempre dimenticato di scriverti che qualche mese fa è morto il maestro Domenico Alaleona, il tuo professore al conservatorio. È morto proprio male, nel peggiore momento della sua vita. Da un giornale letterario ho appreso questi particolari. Dopo la soppressione del «Mondo», di cui l’Alaleona era redattore, ordinario, egli passò, fresco, fresco, al «Lavoro d’Italia», recentemente soppresso anch’esso, e con altri ex redattori del «Mondo» divenne un pezzo grosso del Sindacato degli artisti e scrittori fascisti; prima che morisse scoppiò uno scandaletto, poiché venne pubblicato che il «Lavoro d’Italia» aveva pagato 150.000 lire un romanzaccio d’appendice, scritto in cooperativa da 10 di questi scrittori, in maggioranza democratici fino al novembre 1926 e divenuti fascisti dopo le leggi eccezionali. I vecchi fascisti fecero un’offensiva in piena regola contro questi ultimi venuti e il governo sciolse l’organizzazione degli artisti, licenziando l’Alaleona dal posticino che si era procurato. Una sua opera breve, in un atto, mi pare, aveva fatto mezzo fiasco poco prima. – Cara, spero che ti deciderai a darmi maggiori particolari sulla tua salute. Come è stato il freddo da voi e come l’avete sopportato? Io adesso sto abbastanza bene e dormo qualche mezz’ora di piú. Poi mi sono ingolfato in traduzioni dal tedesco e questo lavoro mi calma i nervi e mi fa stare piú tranquillo. Leggo meno, ma lavoro di piú. Pare che ci sia qualche altra tua lettera in viaggio per me, a quanto accenna Tatiana: se mi darai particolari, ti scriverò piú a lungo la prossima volta. Ti abbraccio forte forte

Antonio


122.

25 marzo 1929

Carissima Tania,

ti invio una lista dei libri che dovrebbero essere a Roma, se la memoria non mi tradisce per qualche d’uno. Naturalmente ciò non vuol dire che essi debbano essermi spediti immediatamente. Tutt’altro. Per adesso ho molto da leggere. Ma si tratta di libri, che avevo comprato coll’intenzione di fare determinate ricerche, che rientrano perciò in un quadro culturale, e che mi serviranno in avvenire. Ecco la lista di quelli che ricordo (talvolta il titolo è solo approssimativo): 1° L’Europa politica nel secolo XIX. È un grosso volume in 8°, stampato a Brescia a cura di quella Camera di Commercio nel 1926. È una raccolta di conferenze. Questo libro sarei lieto di averlo subito. 2° Benedetto Croce – Elementi di Politica – 3° B. Croce – Breviario di Estetica – 4° B. Croce – Hegel (di questo non sono sicuro se ci sia: forse l’avevo dato in lettura a qualcuno) – 5° Gaetano Salvemini – Mazzini (di Salvemini ci deve essere qualche altro libro) – 6° Roberto Michels – Il Partito Politico. Le tendenze oligarchiche della democrazia moderna – Ediz. ital. del 1924 della Utet di Torino. C’è anche l’edizione francese di prima della guerra – 7° Raffaele Ciasca – Origini del Programma dell’Unità Nazionale. (Questi libri mandarli per i primi). – 8° Un volume francese sulle finanze italiane negli anni dopo il 1890. Non ricordo né il titolo né l’autore – 9° Janroy. Della signorina Janroy ho già ricevuto un volume sulla storia della lingua italiana: ma ne avevo anche un secondo volume sullo stesso argomento – 10° Maurice Pernot – L’expérience italienne – 11° Maurice Pernot: La politique du Vatican – Ed. Colin. – 12° Werner Sombart – Il capitalismo moderno – Ed. Vallecchi – 13° Diambrini-Palazzi – La filosofia di Antonio Labriola – 14° Di Antonio Labriola ci deve essere l’edizione postuma delle sue lezioni all’Università di Roma, forse intitolata «Da un secolo all’altro» – e un volume su Socrate curato da B. Croce. – 15° Marx – Storia delle dottrine Economiche: 1° Dall’origine della teoria del valore ad Adamo Smith – 2° Davide Ricardo – 3° Da Ricardo all’economia volgare – 8 volumetti – Ed. Costes. – 16° Un numero unico della «Rassegna Italiana» dedicato ai primi 25 anni di regno di Vittorio Emanuele III – 17° don Ernesto Vercesi – Storia del movimento cattolico in Italia – Ed. «La Voce» – 18° Maurice Muret – Titolo francese press’a poco: La decadenza delle razze bianche – 19° De Rossi – Il Partito Popolare dalla fondazione al 1920 – 20° Congresso dell’Unione Nazionale – 21° Jacques Maritain – Difesa di Carlo Maurras – 22° Libri sull’attività dell’ambasciatore Georges Louis – Devono essere tre o quattro volumetti – 23° Paolo Cambon – La diplomazia – 24° Mathiez – I due primi volumetti della Rivoluzione Francese nei Manuali Colin – 25° Rapporto sull’attività della Commissione dei 18 per lo Stato Corporativo – Ediz. dello Stato per il Parlamento – 26° Rodolfo Mondolfo – Il materialismo storico di F. Engels – Ed. Formiggini – 27° Levy – Introduzione alla scienza delle finanze (in francese). Questi ricordo che c’erano. I primi 7 vorrei averli al piú presto. Gli altri molto dopo. Ho ricevuto finalmente «La rassegna settimanale». La libreria mi ha mandato ancora qualche libro. Come ti ho già scritto parecchie volte, è bene che libri non mi siano piú mandati, se prima io stesso non li richiedo. Per molte ragioni, 1° Perché ho già da leggere per un pezzo; 2° e piú importante. Perché solo se li domando io, i libri rientrano nel piano intellettuale che io stesso voglio costruire. Ho deciso di occuparmi prevalentemente e di prendere note su questi tre argomenti: – 1° La storia italiana nel secolo XIX, con speciale riguardo della formazione e dello sviluppo dei gruppi intellettuali; – 2° La teoria della storia e della storiografia; 3° L’americanismo e il fordismo. Di Ford ho i due volumi usciti in francese: «La mia vita», «Oggi e domani» e qualche volume: «Sigfried» e «Lucien Romier». Vorrei avere, se sono stati tradotti in francese, alcuni romanzi di Sinclair Lewis, specialmente Elmer Gantry. Sulla teoria della storia vorrei avere un volume francese uscito recentemente: Boukharine – Théorie du matérialisme historique, Editions Sociales – Rue Valette 3, Paris (Ve) e le Oeuvres philosophiques di Marx, pubblicate dall’ed. Alfred Costes – Paris: Tome Ie: Contribution à la critique de la Philosophie du droit de Hegel – Tome II: Critique de la critique critique, contro Bruno Bauer e consorti. – I libri piú importanti di Benedetto Croce in proposito li ho già. Ho visto che è uscito recentemente un vol. di Enrico Ruta: Politica e Ideologia, ma non ho visto citato l’editore: forse è Laterza di Bari. Sul primo argomento ho già qualcosa. Mi ricordo che a Roma devo avere sul risorgimento anche un volume di Piero Gobetti: La rivoluzione liberale, e un volume di Giuseppe Prezzolini: La Cultura Italiana. – Cosí ho finito. –

Ho ricevuto una cartolina della signora Malvina Sanna, Corso Indipendenza 23, la quale mi domanda dei consigli per suo marito a proposito dei libri di filosofia. Scrivile che io non posso risponderle direttamente, che sto abbastanza bene, ecc. ecc., che saluto molto cordialmente suo marito, ecc. Trascrivile poi questo pezzo: «Il miglior manuale di Psicologia è quello di William James, tradotto in italiano e pubblicato dalla Libraria Milanese: deve costare molto, perché prima della guerra costava 24 lire. Non esiste un trattato di Logica, all’infuori dei soliti manuali scolastici per i Licei. Mi pare che Sanna parta troppo da criteri scolastici e si illuda di trovare in libri di questo genere piú di quello che essi realmente possono dare. La psicologia, per esempio, si è quasi completamente staccata dalla filosofia, per diventare una scienza naturale, come la biologia e la fisiologia: anzi per studiare a fondo la psicologia moderna, bisogna avere molte conoscenze specialmente di fisiologia. Cosí la logica formale, astratta non trova oggi molti cultori, eccetto che nei seminari dove si studia a fondo Aristotele e S. Tomaso. La dialettica, d’altronde, cioè la forma del pensiero storicamente concreto, non è stata ancora manualizzata. Secondo me, Sanna dovrebbe far cosí, per migliorare la sua cultura filosofica: 1° studiare un buon manuale di Storia della Filosofia, per esempio, il Sommario di Storia della Filosofia di Guido De Ruggero (Bari, Laterza, L. 18) e leggere alcuni dei classici della filosofia, sia pure in estratti, come quelli pubblicati dallo stesso editore Laterza di Bari nella Piccola Biblioteca Filosofica dove sono apparsi volumetti di passi scelti di Aristotele, Bacone, Cartesio, Hegel, Kant, ecc., commentati. Per mettersi al corrente con la dialettica dovrebbe leggere, seppure molto faticoso, qualche grosso volume di Hegel. L’Enciclopedia tradotta mirabilmente dal Croce, costa oggi molto, però: circa cento lire. Un buon libro su Hegel è anche quello del Croce, purché si ricordi, che in esso Hegel e la filosofia hegeliana fanno un passo avanti e due indietro: viene superata la metafisica, ma si ritorna indietro nella questione dei rapporti tra il pensiero e la realtà naturale e storica. In ogni caso questa mi pare la via da seguire: niente manuali nuovi (il Fiorentino basta), e invece lettura e critica personale dei grandi filosofi moderni». Mi pare che basti cosí.

La collezione di dizionari è quella «Toussaint-Langescheidt». Il tedesco ital. e it. ted. io lo avevo a Roma. Vorrei quello inglese-italiano o inglese-francese, non il viceversa, per ora. Quello russo-italiano, che voleva Giulia, nel 25 era ancora in preparazione: forse oggi è già uscito. Carissima, ti abbraccio affettuosamente.

Antonio

Vorrei avere i discorsi del Capo del Governo del 1927 e 1928, che vengono pubblicati dalla Casa ed. «Alpes» di Milano, e appena esce l’Annuario Statistico Italiano 1929, pubbl. dall’Istituto Centrale di Statistica dello Stato.


123.

22 aprile 1929

Carissima Tania,

ho ricevuto le tue cartoline del 13 e del 19 aprile. Aspetterò con pazienza le notizie di casa. Credo che anche tu ti sia accorta, in quei pochi momenti che ci siamo visti, quanto io sia divenuto paziente. Lo ero anche prima, ma solo in virtú di un grande sforzo su me stesso: era una certa qualità diplomatica, necessaria per entrare in rapporto con gli imbecilli e con la gente noiosa, della quale purtroppo non si può fare a meno. Ora, invece, non mi costa nessuna fatica: è diventata un’abitudine, è l’espressione necessaria della routine carceraria, ed è anche un elemento di autodifesa istintiva. Qualche volta però questa «pazienza» diventa una specie di apatia e di indifferenza, che non riesco a superare: credo che ti sia accorta anche di questo e che un po’ ti abbia addolorato. Non è una novità neanche questo, sai? Tua madre se n’era accorta fin dal 1925 e Giulia me lo riferí. La verità è che fin da quegli anni io, per dirla con una immagine di Kipling, ero come una capra che ha perduto un occhio e gira in circolo, sempre sulla stessa ampiezza di raggio. Ma veniamo a qualcosa di piú allegro.

La rosa ha preso una terribile insolazione: tutte le foglie e le parti piú tenere sono bruciate e carbonizzate; ha un aspetto desolato e triste, ma caccia fuori nuovamente le gemme. Non è morta, almeno finora. La catastrofe solare era inevitabile, perché potei coprirla solo con della carta, che il vento portava via; sarebbe stato necessario avere un bel mazzo di paglia, che è cattiva conduttrice del calore e nello stesso tempo ripara dai raggi diretti. In ogni modo la prognosi è favorevole, a eccezione di complicazioni straordinarie. I semi hanno tardato molto a sortire in pianticelle: tutta una serie si intestardisce a fare la vita podpolie. Certo erano semi vecchi e in parte tarlati. Quelli usciti alla luce del mondo, si sviluppano lentamente, e sono irriconoscibili. Io penso che il giardiniere, quando ti ha detto che una parte dei semi erano bellissimi, voleva dire che erano utili da mangiare; infatti alcune pianticelle rassomigliano stranamente al prezzemolo e alle cipolline piú che a fiori. A me ogni giorno viene la tentazione di tirarle un po’ per aiutarle a crescere, ma rimango incerto tra le due concezioni del mondo e dell’educazione: se essere roussoiano e lasciar fare la natura che non sbaglia mai ed è fondamentalmente buona o se essere volontarista e sforzare la natura introducendo nell’evoluzione la mano esperta dell’uomo e il principio d’autorità. Finora l’incertezza non è finita e nel capo mi tenzonano le due ideologie. Le sei piantine di cicoria si sono subito sentite a casa loro e non hanno avuto paura del sole: già cacciano fuori il fusto che darà i semi per le messi future. Le dalie e il bambú dormono sotterra e non hanno ancora dato segno di vita. Le dalie specialmente credo siano veramente spacciate. – Poiché siamo su questo argomento, voglio pregarti di mandarmi ancora quattro qualità di semi: 1° di carote, ma della qualità detta pastinaca, che è un piacevole ricordo della mia prima fanciullezza: a Sassari ne vengono di quelle che pesano mezzo chilo e prima della guerra costavano un soldo, facendo una certa concorrenza alla liquerizia; – 2° di piselli; – 3° di spinacci; – 4° di sedani. Su un quarto di metro quadrato voglio mettere quattro o cinque semi per qualità e vedere come vengono. Li puoi trovare da Ingegnoli, che ha negozio in piazza del Duomo e in via Buenos Ayres; cosí ti farai dare anche il catalogo, dove è indicato il mese più propizio per la semina.

Ho ricevuto un altro biglietto dalla signora Malvina Sanna (Corso Indipendenza 23). Trasmettile queste linee:

«Comprendo le difficoltà finanziarie per procurarsi i libri da me indicati precedentemente. Anch’io l’avevo fatto notare; ma il mio incarico era quello di rispondere a domande precise. Rispondo oggi a una domanda che, anche se non rivoltami, era implicita, e perché capisco che risponde a un bisogno generale di chi è carcerato: “come fare a non perdere il tempo in carcere e a studiare qualcosa in qualche modo?” – Mi pare che prima di tutto sia necessario spogliarsi dell’abito mentale “scolastico”, e non porsi in testa di fare dei corsi regolari e approfonditi: ciò è impossibile anche per chi si trova nelle migliori condizioni. Tra gli studi piú proficui è certo quello delle lingue moderne: basta una grammatica, che si può trovare anche nelle bancarelle dei libri usati per pochissimi soldi, e qualche libro (anch’esso magari usato) della lingua scelta per lo studio. Non si può imparare la pronunzia parlata è vero, ma si saprà leggere e questo è già un risultato ragguardevole. – Inoltre: molti carcerati sottovalutano la biblioteca del carcere. Certo le biblioteche carcerarie, in generale, sono sconnesse: i libri sono stati raccolti a caso, per donazione di patronati che ricevono fondi di magazzino dagli editori, o per libri lasciati da liberati. Abbondano di libri di devozione e di romanzi di terz’ordine. Tuttavia io credo che un carcerato politico deve cavar sangue anche da una rapa. Tutto consiste nel dare un fine alle proprie letture e nel saper prendere appunti (se si ha il permesso di scrivere). Faccio due esempi: – a Milano io ho letto una certa quantità di libri di tutti i generi, specialmente romanzi popolari, finché il direttore non mi ha concesso di andare io stesso in biblioteca a scegliere tra i libri non ancora passati in lettura o fra quelli che per un particolare sapore politico o morale, non erano dati in lettura a tutti. Ebbene, ho trovato che anche Sue, Montépin, Ponson du Terrail ecc. erano abbastanza se letti da questo punto di vista: “perché questa letteratura è sempre la piú letta e la piú stampata? quali bisogni soddisfa? a quali aspirazioni risponde? quali sentimenti e punti di vista sono rappresentati in questi libracci, per piacere tanto?” Eugenio Sue perché è diverso da Montépin? e Victor Hugo non appartiene anche lui a questa serie di scrittori per gli argomenti che tratta? E Scampolo o l’Aigrette o la Volata di Dario Nicodemi non sono forse la filiazione diretta di questo basso romanticismo del 48? ecc. ecc. ecc. Il secondo esempio è questo: – uno storico tedesco, Gruithausen, ha pubblicato recentemente un grosso volume in cui studia i legami tra il cattolicismo francese e la borghesia nei due secoli prima dell’89. Egli ha studiato tutta la letteratura di devozione di questi due secoli: raccolte di prediche, catechismi delle diverse diocesi ecc. ecc. e ha messo insieme un magnifico volume. – Mi pare che sia sufficiente per provare che si può trar sangue anche dalle rape perché in questo caso rape non esistono. Ogni libro, specialmente se di storia, può essere utile da leggere. In ogni libercolo si può trovar qualcosa che può servire… specialmente quando si è nella nostra condizione e il tempo non può essere valutato col metro normale».

Cara Tatiana, ho scritto anche troppo e ti costringerò a fare un esercizio di calligrafia. – A proposito: ricordati di disporre perché non mi siano più mandati dei libri, finché io non avvertirò. Caso mai, se vengono fuori libri che ritieni mi possano essere utili, falli mettere da parte per spedirli quando io li domanderò. Carissima, spero davvero che il viaggio non ti abbia stancato troppo. Ti abbraccio affettuosamente.

Antonio


124.

6 maggio 1929

Carissima Tania,

ho ricevuto le tue due lettere e le due lettere di Giulia; non ho invece ricevuto la «lunghissima» annunziata imminente il 30 aprile. Tra quindici giorni scriverò tutta la lettera per Giulia e per Delio; cosí non potrò ribattere i rimproveri che, immagino, mi scriverai. D’altronde non devi mai prendere in senso assoluto ciò che ti scrivo: certo io sono molto cambiato, ma può darsi che si tratti solo di un fenomeno provvisorio, legato alla vita eccezionale del carcere. Penso che abbiano contribuito molto a ciò, i fatti che mi sono successi nel carcere di Milano e che ho riferito al Tribunale Speciale in contradditorio col vice-questore De Sanctis. La diffidenza si è mutata in un abito di apatia e di indifferentismo, che forse è una forma istintiva di autodifesa.

A proposito dei 500 franchi che devi ancora pagare, io credo che vi converrebbe liberarvi completamente dell’aggravio, liquidando l’ipoteca con la terra stessa, cioè vendendola e intascando il residuo, se ce n’è. Tutta questa storia, quando l’ho saputa, mi ha fatto alquanto ridere e mi ha provato la mancanza di senso pratico in tutti voi: credo che ci sia qualcuno che vi ha sfruttato, godendosi la terra e raccogliendone i frutti. Non sarei maravigliato se, al momento in cui avrete pagato l’ultimo centesimo dell’ipoteca, faceste la scoperta che la terra non vi appartiene piú, in virtú di qualche articolo del Codice civile svizzero, riguardante l’incuria dei proprietari e il possesso continuato da parte di terzi, senza che il proprietario abbia fatto nel frattempo atti di podestà. Che ci possano un giorno vivere i bambini, mi pare un’idea affettuosa suggerita dai ricordi del passato. Quanto ai disegni di Vittorio, non fidartene, per carità! Io ne ho conosciuto qualcuno, e ho dovuto sudare quattro camicie perché a Vittorio non succedesse qualche brutto scherzo. Io penso, in conclusione, che tu devi scrivere a tuo padre tutta la verità: la cifra di ciò che hai speso, facendogli ricordare o sapere che nello stesso tempo egli spendeva la stessa somma, e quanto rimane ancora da pagare. In realtà tu non sai nulla di nulla di ciò che il vostro fiduciario o amico ha fatto per conto vostro, e scommetto che tra tutti non avete neanche piú il titolo di proprietà. – A proposito di quanto ho scritto su Vittorio, non devi pensare che io non lo stimi e non gli voglia bene: egli è appunto originale e ricchissimo di fantasia, e i suoi progetti se ne risentono moltissimo; non so dove è nato, ma mi piacerebbe sapere se è nato in Provenza.

Attendo con ansia le babouches beduine; mi pare che devano andare bene perché le ho viste ad Ustica durante un ricevimento presso i beduini che erano là confinati. A proposito, sai che uno di questi beduini, un certo Haussiet, veniva quasi ogni giorno a trovarmi per vedere la fotografia di Delio; egli aveva lasciato un bambino a Bengasi e si maravigliava che una fotografia potesse essere cosí espressiva, dolente che la sua religione proibisse di riprodurre la figura umana. Gli dissi che Kemal adesso permetteva di fotografarsi e allora disse che la moglie era troppo stupida per sapere cos’era la fotografia e che l’avrebbe ripudiata. Gli dissi che Kemal proibiva la poligamia e allora si afflisse, perché nonostante tutto, per lui Kemal era come il papa del maomettanesimo. – Cara Tania, ti abbraccio teneramente, e attendo la tua lunga lettera.

Antonio


125.

20 maggio 1929

Cara Giulia,

chi ti ha detto che io possa scrivere di piú? Purtroppo non è vero. Posso scrivere solo due volte al mese e solo per Pasqua e Natale dispongo di una lettera straordinaria. Ti ricordi ciò che ti diceva Bianco, nel 23, quando partii? Bianco aveva ragione dal punto di vista della sua esperienza; avevo sempre avuto una invincibile avversione all’epistolografia. Da quando sono in carcere ho scritto almeno il doppio di lettere che nel periodo antecedente: devo aver scritto almeno 200 lettere, un vero orrore! – Cosí non è esatto che io non sia calmo. Sono invece piú che calmo, sono apatico e passivo. E non me ne maraviglio e neanche faccio uno sforzo qualsiasi per uscire dal marasma. D’altronde, forse questo è una forza e non uno stato di marasma. Ci sono stati dei lunghi periodi in cui mi sentivo molto isolato, tagliato fuori da ogni vita che non fosse la mia propria; soffrivo terribilmente; un ritardo di corrispondenza, l’assenza di risposte congrue a ciò che avevo domandato, mi provocavano stati di irritazione che mi stancavano molto. Poi il tempo è passato e si è sempre piú allontanata la prospettiva del periodo anteriore; tutto ciò che di accidentale, di transitorio esisteva nella zona dei sentimenti e della volontà è andato via via scomparendo e sono rimasti solo i motivi essenziali e permanenti della vita. È naturale che ciò avvenisse, ti pare? Per qualche tempo non si può evitare che il passato e le immagini del passato siano dominanti, ma, in fondo, questo guardare sempre al passato finisce con l’essere incomodo e inutile. Io credo di aver superato la crisi che si produce in tutti, nei primi anni di carcere, e che spesso determina una netta rottura col passato, in senso radicale. A dire il vero, questa crisi l’ho sentita e vista negli altri, piú che in me stesso, mi ha fatto sorridere e questo era già un superamento. Io non avrei mai creduto che tanta gente avesse una cosí grande paura della morte; ebbene è proprio in questa paura che consiste la causa di tutti i fenomeni psicologici carcerari. In Italia dicono che uno diventa vecchio quando incomincia a pensare alla morte; mi pare una osservazione molto assennata. In carcere questa svolta psicologica si verifica appena il carcerato sente di essere preso nella morsa e di non poterle piú sfuggire: avviene un cambiamento rapido e radicale, tanto piú forte quanto piú fino a quel punto si era presa poco sul serio la propria vita di idee e di convinzioni. Io ne ho visto abbrutirsi in modo incredibile. E mi ha servito, come ai ragazzi spartani serviva il vedere la depravazione degli iloti. – Cosí adesso sono assolutamente calmo e non mi fa stare in ansia neanche la mancanza di notizie prolungata, sebbene sappia che ciò potrebbe essere evitato con un po’ di buona volontà… anche da parte tua. Poi Tania provvede a darmi tutte le notizie che riceve lei. Mi ha trasmesso, per esempio, le caratteristiche dei bambini fissate da tuo padre, che mi hanno interessato molto, per molti giorni. E altre notizie, commentate da lei con molta grazia. Bada che non voglio farti dei rimproveri! Ho riletto in questi giorni le tue lettere da un anno in qua e ciò mi ha fatto sentire nuovamente la tua tenerezza. Sai che quando ti scrivo, qualche volta mi pare di essere troppo secco e arcigno, in confronto a te che cosí naturalmente mi scrivi. Mi pare di essere come quando qualche volta ti ho fatto piangere, specialmente la prima volta, ti ricordi?, quando fui proprio cattivo per partito preso. Vorrei sapere cosa ti ha scritto Tania del suo viaggio a Turi. Perché mi pare che Tania concepisca la mia vita in modo troppo idillico e arcadico, tanto che mi tormenta non poco. Non riesce a persuadersi che io debbo stare entro certi limiti e che non deve mandarmi nulla che io non abbia domandato, perché non ho a mia disposizione un magazzino particolare. Adesso mi annunzia alcune cose, assolutamente inutili e che non potrò mai utilizzare, invece di attenersi strettamente a ciò che io le ho raccomandato.

Ti mando due fotografie: la grande riproduce i due figli di mia sorella Teresina: Franco e Maria, l’altra mia madre con in braccio la stessa bambina un po’ piú grandicella. Mio padre sostiene che la bambina rassomiglia a Giuliano; io non sono in grado di giudicare. Certo il maschietto non rassomiglia a nessuno della mia famiglia: è il ritratto del padre, che è un sardo autentico, mentre noi siamo solo metà sardi: la bambina invece ha piú l’aria di famiglia. Qual’è il tuo giudizio? – Ho finito di leggere in questi giorni una storia della Russia del prof. Platonof, dell’ex Università di Pietroburgo, un grosso volume di circa 1000 pagine. Mi pare una vera truffa editoriale. Chi era questo prof. Platonof? Mi pare che la storiografia del passato fosse molto bassa, se questo prof. Platonof ne era uno dei corifei, come vedo scritto dal prof. Lo Gatto nei suoi lavori sulla cultura russa. Sull’origine delle città e del commercio russo al tempo dei Normanni ho letto una ventina di pagine dello storico belga Pirenne, che valgono tutta la zuppa di cavoli del Platonof. Il volume arriva solo fino al 1905 con due pagine supplementari fino all’abdicazione del granduca Michele e con in nota la data della morte di Nicola II, ma ha il titolo di Storia dalle origini fino al 1918: una doppia truffa, come vedi. – Cara Giulia, scrivimi sui commenti di Delio all’epistola che gli scrivo; ti abbraccio teneramente

Antonio


126.

20 maggio 1929

Caro Delio,

ho saputo che vai a scuola, che sei alto ben 1 metro e 8 centimetri e che pesi 18 chili. Cosí penso che tu sei già molto grande e che tra poco tempo mi scriverai delle lettere. In attesa di ciò, puoi già oggi fare scrivere alla mamma, sotto la tua dettatura, delle lettere, come facevi scrivere a me, a Roma, i pimpò per la nonna. Cosí mi dirai se a scuola ti piacciono gli altri bambini e cosa impari e come ti piace giocare. So che costruisci aeroplani e treni e partecipi attivamente all’industrializzazione del paese, ma poi questi aeroplani volano davvero e questi treni corrono? Se ci fossi io, almeno metterei la sigaretta nella ciminiera, in modo che si vedesse un po’ di fumo!

Poi mi devi scrivere qualche cosa di Giuliano. Che te ne pare? Ti aiuta nei tuoi lavori? È anch’egli un costruttore, oppure è ancora troppo piccolo, per meritarsi questa qualifica? Insomma io voglio sapere un mucchio di cose e poiché tu sei cosí grande, e, mi hanno detto, anche un po’ chiaccherino, cosí sono sicuro che mi scriverai, con la mano della mamma, per adesso, una lettera lunga lunga, con tutte queste notizie e altre ancora. E io ti darò notizie di una rosa che ho piantato e di una lucertola* che voglio educare. Bacia Giuliano per conto mio e anche la mamma e tutti quanti di casa e la mamma bacerà te a sua volta per conto mio.

Toi papa

*Ho pensato che tu forse non conosci le lucertole: si tratta di una specie di coccodrilli che rimangono sempre piccini.


127.

3 giugno 1929

Carissima Tania,

ho qui davanti due tue lettere e cinque cartoline (l’ultima del 23 maggio) alle quali dovrei rispondere in ordine, diligentemente. Ma non lo farò. Hai ricevuto la lettera spedita da casa e l’altra per Giulia? La prima deve esserti arrivata con molto ritardo, come mi scrive mia madre.

Il cambiamento di stagione, col caldo notevole che già si fa sentire, mi ha depresso e mi sto instupidendo. Sento addosso una stanchezza enorme e una certa debolezza generale, nonostante che continui a prendere i ricostituenti; ma credo che non durerà a lungo. Non è una cosa nuova e perciò non mi preoccupa. Mi annoia perché mi fa perdere il gusto del leggere e mi ottunde la memoria e la sensibilità generale.

Sabato ho ricevuto il tuo pacco, che in via eccezionale mi è stato consegnato. Ti ringrazio. Ma io credevo che dentro ci fosse la lana per le calze, ecc., invece sono rimasto deluso e preoccupato. Davvero. E ti raccomando di non lasciarti prendere la mano dalla fantasia e dall’astratta concezione dell’«utile», del «necessario», ma di tenerti alla concretezza del «carcerario», cioè di quello che io ti ho richiesto. Dalle tue cartoline appare a questo proposito la trama di un romanzo con propositi, pentimenti, dilemmi laceranti, velleità, desideri, ecc. Non sarebbe meglio essere piú sobri e risoluti? Ti pare? È vero che il tuo modo di fare mi diverte, ma questo non è una giustificazione (per te almeno). Mi diverte perché mi convince che tu sei la meno pratica delle persone, nonostante tutte le pretese che hai spesso sfoggiato verso di me. Io sono stato invece sempre l’uomo piú pratico di questo mondo: tante cose non le facevo solo perché me ne infischiavo allegramente, cioè apparivo non pratico perché lo ero troppo, fino all’esagerazione. E non ero compreso! Una cosa veramente tragica.

Adesso credo sia possibile fare un bilancio floreale consuntivo, abbastanza esatto. Tutti i semi sono falliti eccettuato uno, che non so cosa sia, ma che probabilmente è un fiore e non un’erbaccia. La cicoria è tutta in fiore e darà molta semenza per le prossime stagioni. La canna ha già cacciato fuori una foglia larga come la mano e ne sta preparando un’altra: pare che attecchisca bene. Le dalie sono ancora in incubazione e non se ne sa niente; pertanto si può presumere che un giorno o l’altro vogliano nascere, perché io ignoro la loro stagione. La rosa sta incominciando a buttare, dopo che sembrava ridotta in desolati stecchi. Ma riuscirà a vincere i prossimi caldi estivi? Mi pare troppo meschina e mal ridotta per essere da tanto. È vero che la rosa non è, in fondo, che un pruno selvatico, e quindi molto vitale… Vedremo. Ti avrei voluto mandare un fiore di cicoria, ma poi ho pensato che esso è buono, tutt’al piú, per incominciare uno stornello. Nella cartolina del 14 maggio trovo che vorresti un nuovo elenco dei libri che ti avevo domandato quando eri qui. Mi pare di avere ricevuto tutto. Se manca qualcosa, non importa: se è importante me ne ricorderò. Non mandarmi nessuna traduzione che non sia della Slavia anche se si presenta sotto veste autorevole. – Della «Slavia» ho ricevuto tutto il pubblicato, eccettuati i primi volumi esauriti, e gli ultimissimi [eccetto] Anna Karenina che non ho ancora ricevuto. Ho visto che hanno ristampato Il villaggio di Stepancikovo di Dostoievski, che puoi farmi mandare. Vorrei avere anche questi altri libri: – Henri de Man, Il superamento del Marxismo, Bari, Laterza (uscito in questi giorni); Ferdinando d’Amato, Gentile e Francesco Flora, Croce – due volumetti stampati a Milano dalle «Edizioni Athena», collezione «Pensatori d’oggi», e la Storia delle religioni di Adolfo Omodeo, un volumetto stampato dall’edit. Principato di Messina in una collezione scolastica. – Per i libri di Roma occorre aspettare ancora, perché non ho posto: però domani farò la domandina (è un termine carcerario) per essere autorizzato a spedire a casa una cassetta di libri.

Cara Tanía, fammi sapere qualcosa di te. Come stai, adesso? Ti sei rimessa bene? Ti abbraccio

Antonio


128.

Carissima Giulia,

ti saluto, insieme con Delio e Giuliano. E poiché spesso ci sono tanti ritardi prima che le mie lettere ti giungano sarà necessario che già da oggi mandi gli auguri per i prossimi cinque anni di Delio. In ogni modo, l’incarico degli auguri te lo do: tanti, tanti. Ricordi? Già cinque anni. E adesso Delio è già grande. Chissà che impressione ti fa vederlo crescere. Io lo ricordo nell’aprile ’25, quando aveva la coqueluche, e mi sembrava cosí infelice! Quando lo rividi nel ’26 mi sembrò un altro, assolutamente diverso. Adesso, stando ai limiti legali della mia condanna, lo dovrei rivedere quando avrà 23 anni e, con la fretta dei giovani, quando avrà già moglie e figli. Sarà ancora piú diverso dall’aprile ’25. Scherzo. Ma penso che avrà figli, perché, se la città vuol difendersi dall’invasione della campagna e non perdere la sua egemonia storica, le nuove generazioni dovranno mutare i loro punti di vista sulla prolificità, specialmente da voi. Se la città cresce per immigrazione e non per la sua stessa forza genetica, potrà compiere la sua funzione dirigente o non sarà sommersa, con tutte le sue esperienze accumulate, dalla conigliera contadina? Penso che la generazione di Delio dovrà porsi questo problema e che su questa base dovrà nascere una nuova etica sessuale piú elevata dell’attuale.

Ti abbraccio teneramente

Antonio


129.

17 giugno 1929

Carissimo Carlo,

ho ricevuto la tua assicurata del 4 con le 150 lire. Credo che ti debba essere alquanto stizzito con me per la precedente lettera, poiché non mi hai ancora risposto. Ci ho ripensato su e pare anche a me di avere esagerato molto. Ciò dipende dal fatto che la vita improduttiva del carcere, che ti costringe a diventare parassita di qualcuno, rende anche suscettibili e irritabili in sommo grado. Avrei dovuto pensare che era la mamma che scriveva e che pertanto a molte espressioni, che potevano sembrare pungenti, bisognava passar sopra, per la certa mancanza di intenzione. Perciò, ti prego, di queste faccende scrivimi solo tu, non incaricare la mamma, e scrivimi con la massima franchezza. La mamma la conosci anche tu: se deve scrivermi che tu non hai soldi e perciò non mi hai mandato nulla (e io non avevo nessun bisogno, perché era provvisto, oltre la scorta di 700 lire, di altre 400 lire) incomincia con lo scrivere che in tutta la Sardegna la miseria è grande, che le imposte sono aumentate, che il raccolto fallirà, che il podestà impone di rifare la facciata alle case e i marciapiedi alle strade. Insomma mi pareva che scrivesse una lettera che dovesse essere letta dall’agente delle imposte. La colpa è mia, perché avrei dovuto ricordare come pensa la mamma, ma tuttavia mi è sembrato che un tal modo di scrivere significasse che io sono diventato come un estraneo, come uno al quale si deve una rendita e poiché non la si può pagare, si incomincia a girare intorno, ricordando che la chioccia ha schiacciato i pulcini, che la cavalla del rettore di Zuri ha partorito un polledrino con le corna, ciò che vuol dire che il finimondo si avvicina e bisogna pensare alla salvezza della propria anima piuttosto che ai soldi, ecc. Insomma mi sono sentito colpito da questo senso di distacco e di estraneità. Ora sorrido e penso al tempo in cui ogni giorno litigavo con la mamma che voleva convincermi che un po’ d’orzo nel caffè rinfresca: «ma io non voglio rinfrescarmi, voglio bere del caffè!». È sempre lo stesso modo di vedere. – Immagino poi come si sarà stizzita perché la direzione ha respinto il pacco. Mi è dispiaciuto solo per questo, perché è capitato proprio in questa occasione. Ho avuto però il pacco di Tatiana, che era arrivato prima, e un po’ di cioccolato l’ho mangiato lo stesso. Puoi ringraziare Teresina: ho mangiato il cioccolato di Tatiana come fosse stato il suo e spero che l’affetto sia stato lo stesso.

Avevo preparato una cassetta di libri da spedire per ferrovia, ma il tronco Turi-Bari non accetta colli oltre Bari; perciò dovrò fare tanti pacchi postali. Ti mando la lista per il controllo:

1° Ben. Croce – Teoria e Storia della Storiografia.

2° G. Mortara – Prospettive Economiche 1927.

3°ididid1928.

4° Rabelais – Gargantua e Pantagruele – 5 vol.

5° Col. Lawrence – La révolte dans le désert.

6° Broccardi, Gentile ecc. – G. Mameli e i suoi tempi.

7° C. Marchesi – Il letto di Procuste.

8° Zeromsky – Tutto e Nulla.

9° S. Aleramo – Amo, dunque sono.

10° I. Bunin – Il villaggio.

11° Delemain – Pourquoi les oiseaux chantent.

12° Dostoievsky – La voce sotterranea.

13° G. Conrad – un romanzo.

14° Lettere di Mad. d’Épinay all’ab. Galiani.

15° L. Tolstoi – Resurrezione – 2 vol.

16° R. Kipling, Les plus belles histoires du monde.

17° L. Tolstoi – La tempesta di neve.

18° Pirandello – L’esclusa.

19° Maupassant – Novelle – 4 vol.

20° Cecof – Novelle – due volumetti.

21° Giannini – Storia della Polonia.

22° Panait Istrati – Domnitza de Snagu.

23° Pedrazzi – La Sardegna.

24° G. Piastra, Figure e figuri della Superba.

25° Mac Carthy – Villon.

26° A. Londres – De Paris à Buenos Ayres.

27° Dorgélès, Partir...

28° Meeserel – Die Sonne.

29° Almanacco Letterario 1927.

30° Al. id 1929.

31° Panait Istrati – Mes départs.

Questi primi 31 numeri devi conservarli per conto mio senza darli a nessuno o imprestarli. Non devono uscire di casa: io devo poterci contare in qualsiasi momento.

32° L. Einaudi – Corso di Scienza delle finanze.

Ne puoi fare ciò che vuoi, perché ne ho un secondo esemplare.

33° Petrocchi – Dizionario della lingua italiana.

34° Orlandi – Il giov. filologo.

Questi due li regalo a Mea, con l’augurio che impari bene l’ortografia.

I pacchi ti arriveranno, penso, solo il mese venturo. Ti prego di scrivermi e di darmi notizie sul consiglio di famiglia e sull’assetto nuovo amministrativo della Sardegna. Abbraccia affettuosamente tutti di casa, specialmente la mamma. – Cordialmente

Antonio


130.

11° luglio 1929

Carissima Tania,

ho ricevuto le famose sopracalze beduine, col resto: vanno benissimo, sembrano proprio inventate apposta per il mio bisogno. Per il resto non posso scriverti un giudizio di utilità, perché ancora non mi serve e ho lasciato tutto in magazzino. In questo ultimo mese mi è passato il malessere che avevo precedentemente, ma mi è rimasta addosso una grande svogliatezza: gli altri carcerati mi dicono che questo è il sintomo piú vistoso del carcere, che nei piú resistenti incomincia ad operare nel terzo anno, determinando appunto questa atonia psichica. Al terzo anno, la massa di stimoli latenti che ognuno porta con sé dalla libertà e dalla vita attiva, comincia ad estinguersi e rimane quel barlume di volontà che si esaurisce nelle fantasticherie dei piani grandiosi mai realizzati: il carcerato si sdraia supino nella branda e passa il tempo a sputare contro il soffitto, sognando cose irrealizzabili. Questo io non lo farò certamente, perché non sputo quasi mai e anche perché il soffitto è troppo alto!

A proposito: sai, la rosa si è completamente ravvivata (scrivo «a proposito» perché l’osservazione della rosa ha forse in questo tempo sostituito gli sputi contro il soffitto!). Dal 3 giugno al 15, di colpo, ha cominciato a metter occhi e poi foglie, finché si è completamente rifatta verde: adesso ha dei rametti lunghi già 15 centimetri. Ha provato anche a dare un bocciolino piccolo piccolo che però a un certo punto è illanguidito ed ora sta ingiallendo. In ogni modo la pianta è attecchita e l’anno venturo darà certamente i fiori. Non è neanche escluso che qualche rosellina timida timida la conduca a compimento quest’anno stesso. Ciò mi fa piacere, perché da un anno in qua i fenomeni cosmici mi interessano (forse il letto, come dicono al mio paese, è posto secondo la direzione buona dei fluidi terrestri e quando riposo le cellule dell’organismo roteano all’unisono con tutto l’universo). Ho aspettato con grande ansia il solstizio d’estate e ora che la terra si inchina (veramente si raddrizza dopo l’inchino) verso il sole, sono piú contento (la questione è legata col lume che portano la sera ed ecco trovato il fluido terrestre!); il ciclo delle stagioni, legato ai solstizii e agli equinozii, lo sento come carne della mia carne; la rosa è viva e fiorirà certamente, perché il caldo prepara il gelo e sotto la neve palpitano già le prime violette, ecc. ecc.; insomma il tempo mi appare come una cosa corpulenta, da quando lo spazio non esiste piú per me. Cara Tania, finisco di divagare e ti abbraccio.

Antonio


131.

[1° luglio 1929]

Cara Giulia,

puoi dire a Delio che la notizia che mi ha mandato mi ha interessato moltissimo, perché importante e oltremodo seria. Tuttavia io spero che qualcuno, con un po’ di gomma, abbia riparato il malestro fatto da Giuliano e che pertanto il cappello non sia già diventato carta straccia. Ti ricordi come a Roma Delio credesse che io potevo accomodare tutte le cose rotte? Certo adesso se ne è dimenticato. E lui, ha la tendenza ad aggiustare? Questa, secondo me, sarebbe un indizio… di costruttività, di carattere positivo, piú che il gioco del meccano. Tu sbagli se credi che io da piccolo avessi tendenze… letterarie e filosofiche, come hai scritto. Ero invece un intrepido pioniere e non uscivo di casa senza avere in tasca dei chicchi di grano e dei fiammiferi avvolti in pezzettini di tela cerata, per il caso che potessi essere sbattuto in un’isola deserta e abbandonato ai miei soli mezzi. Ero poi un costruttore ardito di barche e di carretti e conoscevo a menadito tutta la nomenclatura marinaresca: il mio piú grande successo fu quando un tolaio del paese mi domandò il modello in carta di una superba goletta a due ponti, per riprodurla in latta. Ero anzi ossessionato da queste cose, perché a 7 anni avevo letto Robinson e l’Isola Misteriosa. Credo anzi che una vita infantile come quella di 30 anni fa oggi sia impossibile: oggi, i bambini, quando nascono, hanno già 80 anni, come il Lao-Tsé cinese. La radio e l’aeroplano hanno distrutto per sempre il Robinsonismo, che è stato il modo di fantasticare di tante generazioni. L’invenzione stessa del Meccano indica come il bambino si intellettualizzi rapidamente; il suo eroe non può essere Robinson, ma il poliziotto o il ladro scienziato, almeno nell’Occidente. Quindi il tuo giudizio può essere precisamente capovolto e solo allora sarà esatto. Ti pare?

Mi hai scritto il peso di Giuliano, ma non la statura. Tatiana mi comunicò che Delio, quando pesava 18 chili, era alto i metro e 8 cent. Queste notizie mi interessano molto, perché mi danno delle impressioni concrete: ma tu me ne mandi troppo poche. Spero che Tatiana, continuando ad essere molto piú brava di te, mi manderà, quando sarà da voi, tante tante notizie di tutte le specie, dei bambini e anche di te. Sai che ti porterà una macchina fotografica? Io mi sono ricordato di avertene promessa una nel 26 e mi sono raccomandato a Tatiana. Per la tua mamma, non essendoci adesso le castagne (nel 25 tua mamma rimase male perché non le avevo portato le castagne) dirò a Tatiana di fare una collezione di sigarette dei diversi paesi da portarle a nome mio; le gradirà? Son sicuro di sí. Cara, ti abbraccio coi bambini.

Antonio


132.

14 luglio 1929

Carissima Tatiana,

ho ricevuto dalla Libreria una lettera, con una distinta delle spese dell’anno, dagli abbonamenti delle riviste ad oggi, penso, e l’annunzio, secondo gli usi commerciali, che a mese data, cioè il 30 luglio (la lettera è del 30 giugno) sarà spiccata tratta a mio nome. Si tratta di un errore, spiacevole, ma intanto io non so se farò a tempo ad avvertire con una lettera straordinaria che domanderò alla direzione quando verrà il turno. Non so neanche se tu sei ancora a Milano e se, in caso affermativo, sei a letto per l’enterocolite. In ogni caso, non levarti mica per questo. Rivolgiti a qualcuno e fa fare la commissione. Meglio di tutti sarebbe Piero, se è a Milano, perché molto conosciuto alla Libreria. Anzi è proprio Piero che quando ero ad Ustica mi indicò la Libreria e ancora me la raccomandò a Milano quando gli fu concesso il colloquio dal giudice istruttore. Fa avvertire che errori di questo genere non devono piú avvenire. – Ho pensato a Piero anche per queste altre ragioni: vorrei che lo vedessi in ogni modo per domandargli se da suo zio, che è il primo Presidente della Cassazione, può sapere se è stato ricevuto e che fine ha fatto il ricorso di revisione del nostro processo, che Terracini, per conto di tutti, aveva inoltrato alla Cassazione proprio un anno fa. La legge speciale dà la facoltà di ricorso per revisione, ma non indica l’istanza; in mancanza di indicazione noi lo abbiamo rivolto alla Cassazione come suprema istanza giudiziaria. Il ricorso era basato su questi fatti: 1) che una parte dei coimputati (Grieco, Molinelli, ecc.), ritenuti membri del Comitato Centrale, cioè massimi responsabili come io, Terracini, Roveda, Scoccimarro, sono stati condannati solo alla detenzione, con un massimo di 17 anni per Grieco contumace. 2) che gli imputati Masieri ecc. di Firenze sono stati assolti dal reato di insurrezione e condannati quindi solo alla detenzione, mentre noi siamo stati condannati come mandanti del reato per cui il Masieri è stato assolto. Tutto ciò dallo stesso Tribunale in momenti diversi. Su questi dati Piero può far ricordare i fatti a suo zio e avere una risposta precisa. Potrebbe domandargli anche le prospettive probabili sul mantenimento o meno del Tribunale Speciale. – Forse lo stesso Piero potrebbe procurare gli atti parlamentari (senato e camera) con il resoconto stenografico delle discussioni sul concordato (ho visto che suo zio ha pronunziato un discorso al Senato)? Vorrei leggerli per completare la mia erudizione in proposito. Se Piero non ha tempo, potresti tu scrivere un bigliettino al senatore Bastianelli? Alla segreteria del Senato può trovare anche gli atti della Camera. – Sai che i tuoi progetti di viaggi in Calabria, in Sardegna ecc. mi hanno riempito di un immenso stupore? Sei meravigliosa, veramente! Ciò credo dipenda dal fatto che hai una terribile paura di salire in treno e ti consoli coi progetti fiabeschi. – Ti scrivo senza essere sicuro della tua salute. Spero ricevere presto tue notizie. Ti abbraccio affettuosamente

Antonio

Il rosaio ha piú di quaranta boccioli e li sostiene molto bene. Diventerà molto bello anche se la specie è comune.


133.

30 luglio 1929

Carissima Tatiana,

ho ricevuto ieri la lettera di Giulia. Spero che anche le fotografie non si siano perdute e che potrai mandarmele presto. Dovrei rispondere a tante tue quistioni mentre avrei voglia solo di chiacchierare con te del piú e del meno; mi ha molto divertito il tuo sfogo irruento e appassionato contro le affittacamere. Tuttavia cercherò di rispondere a qualche quistione. – 1° Credo che tu non debba incoraggiare, ma scoraggiare il desiderio di Vittorio di venire in Italia. Il posto di assistente di farmacia è pochissimo rimunerato e d’altronde c’è molta disoccupazione in questo ramo; ho conosciuto dei liberi docenti di chimica che andavano a far cartine per 600 lire al mese. Con la nuova legge sulle farmacie la situazione deve essere ancora peggiorata. – Ad un’altra occupazione stabile all’estero (cioè lontano dalla famiglia e dal proprio ambiente, dove è sempre possibile trovare qualche risorsa in caso di crisi) si oppone il carattere di Vittorio che, secondo me, è troppo fanciullesco e fantastico. In pochi anni io l’ho conosciuto come funzionario del Ministero degli Esteri (traduzioni), come sensale d’affari, come giornalista, come attore drammatico in tournée a Samarcanda e dintorni. Ha istinti troppo vagabondi. È un carattere che conosco perché l’ho studiato in alcuni miei fratelli, specialmente in mio fratello maggiore: l’Italia è l’ultimo paese da consigliare a simili tipi, a meno che non vivano di rendita, perché l’esuberanza di popolazione e la disoccupazione cronica in interi rami d’attività (ma specialmente nelle attività medie tecnico-intellettuali), determinata dal fatto che l’Italia ha quadri sufficienti per un paese di grande sviluppo industriale, mentre è solo mediocremente sviluppato – portano l’autorità statale a fissare ognuno rigidamente al suo posto. Quella certa popolarità che il sistema corporativo gode tra gli strati medi intellettuali è appunto dovuto alla precarietà dei posti e alla anelasticità della situazione: ognuno vorrebbe essere garantito per legge contro la concorrenza sfrenata. Chi perde il posto può rimanere disoccupato mesi e mesi, senza scorte. Ti cito un esempio. Una ditta elettrotecnica bandí un concorso per 25 ingegneri, da assumersi per tre anni in prova con 300 lire al mese; si presentarono in piú di 200. Vittorio si troverebbe in un ambiente premuto da 20 atmosfere e non tarderebbe a pentirsi. Ancora una ragione: si può fare una graduatoria della conoscenza dell’italiano nella tua famiglia: il primo posto spetta a Eugenia che scrive molto bene con uno stile italiano moderno, il secondo a Giulia che ha uno stile quasi classico, costruisce il periodo alla perfezione, ma commette degli errori che si fanno notare; il terzo a te, che in questo ultimo tempo hai migliorato molto, ma si capisce che la tua lingua non è l’italiano (è il francese, secondo me, neanche il russo); Vittorio, sebbene abbia studiato in Italia, ha dimenticato molto. Nel 22 mi scrisse alcuni articoli che non potevano neanche essere corretti; era tutto da rifare, come ortografia, morfologia e sintassi. La quistione è importante e perciò mi sono dilungato, senza nascondere nulla del mio pensiero. – Cara Tania, non posso piú chiacchierare. La scatoletta l’avevo presa subito con me; ma dimenticai di scrivertene. È graziosa, ma è una tabacchiera; diciamo una graziosa tabacchiera. Non mi sono deciso a metterci il sale, perché temo che se vado nel cortile con tale saliera, tutti gli altri mi domanderanno da annusare. Il rosaio ha già piú di 20 roselline sbocciate, che mi piacciono assai. Per ora non ho bisogno di nulla; forse puoi portarmi qualche pezzo di sapone e un po’ di ovomaltina. – Non credere che io sia brontolone o di cattivo umore ecc. Talvolta scrivo in certo modo un po’ per canzonatura, ma ti voglio molto bene. Ti abbraccio

Antonio


134.

30 luglio 1929

Cara Julca,

ho ricevuto la tua lettera del 7. Le fotografie non mi sono ancora giunte; spero ci sarà anche la tua. Naturalmente voglio vedere anche te, almeno una volta all’anno, per avere una impressione un po’ piú viva: altrimenti cosa potrò pensare? Che sei molto cambiata fisicamente, che sei indebolita, che hai tanti capelli bianchi, ecc. ecc. Eppoi bisogna che ti faccia in anticipo gli auguri per la tua festa: forse la prossima lettera giungerebbe ancora in tempo, ma non ne sono sicuro. Se mi arriva la tua fotografia, vuol dire che ripeterò gli auguri. Si capisce, vorrei vederti in gruppo coi bambini, come nella fotografia dell’anno scorso, perché nel gruppo c’è già qualcosa di movimentato, di drammatico, si colgono dei rapporti, che possono essere prolungati, immaginati in altri quadretti, in episodi di vita concreta, quando non c’è l’obiettivo del fotografo spianato. – D’altronde io credo di conoscerti abbastanza, per immaginare altri quadretti, ma non posso immaginare abbastanza le azioni e reazioni dei bambini nei rapporti con te, e intendo le azioni e reazioni vive volta a volta, e non già i sentimenti e le disposizioni generali: le fotografie mi dicono poco e i miei ricordi di bambino non mi aiutano, perché li penso troppo particolari e immagino che sia tutto diverso ora, in un mondo sentimentale nuovo e con due generazioni di differenza (si potrebbe dire anche piú, perché tra un bambino allevato in un villaggio sardo e un bambino allevato in una grande città moderna, già per questo solo fatto, c’è la differenza di due generazioni almeno). Sai qualche volta vorrei scriverti su te, sulla tua forza, che è superiore cento volte a ciò che tu pensi, ma ho sempre esitato, perché mi pare di essere… un negriero che palpa una bestia da lavoro. L’ho proprio scritto, cosí come ho pensato tante volte. D’altronde se l’ho pensato, tanto vale anche scriverlo. Non dovrei pensarlo; ma sarà perché ancora in me sopravvivono, allo stato di sentimenti repressi, molte concezioni passate, superate criticamente, ma non ancora cancellate del tutto. Certo molte volte mi ossessiona il pensiero che a te sono toccati i pesi piú duri della nostra unione, piú duri obbiettivamente, sia pure, ma questa è una distinzione e allora non posso pensare alla tua forza, che ho ammirato tante volte, anche senza dirtelo, ma sono invece portato a pensare alle tue debolezze, alle tue possibili stanchezze, con un grande struggimento di tenerezza, che potrebbe esprimersi in una carezza, ma difficilmente in parole. Eppoi, sono ancora molto invidioso, perché anch’io non posso godere la prima freschezza delle impressioni sulla vita dei bambini, e aiutarti a guidarli e a educarli. Io ricordo molte piccole cose della vita romana di Delio e anche dei principii dai quali tu e Genia partivate nel trattare con lui e ci ripenso e cerco di svolgerli e di adattarli a nuove situazioni. Sempre arrivo alla conclusione che in voi ha lasciato grande impressione Ginevra e l’ambiente saturato di Rousseau e del dott. Fulpius, che doveva essere tipicamente svizzero, ginevrino e roussoiano. Ma mi sono allontanato troppo (forse ti scriverò un’altra volta su questo argomento, se ti interessa) e magari ti ho stuzzicato con Rousseau che un’altra volta (ricordi?) ti fece tanto arrabbiare.

Cara, ti abbraccio.

Antonio


135.

26 agosto 1929

Cara Tatiana,

ho ricevuto la fotografia dei bambini e sono stato molto contento, come puoi immaginare. Sono stato anche molto soddisfatto perché mi sono persuaso coi miei occhi che essi hanno un corpo e delle gambe: da tre anni non vedevo che solo delle teste e mi era cominciato a nascere il dubbio che essi fossero diventati dei cherubini senza le alette agli orecchi. Insomma ho avuto una impressione di vita piú viva. Naturalmente non condivido del tutto i tuoi apprezzamenti entusiastici. Io credo piú realisticamente che la loro attitudine sia determinata dalla loro posizione dinanzi alla macchina fotografica; Delio è nella posizione di chi deve fare una corvée noiosa ma necessaria e che si prende sul serio; Giuliano spalanca gli occhi dinanzi a quel coso misterioso, senza essere persuaso che non ci sia qualche sorpresa un po’ incerta: potrebbe saltar fuori un gatto arrabbiato o magari un bellissimo pavone. Perché altrimenti gli avrebbero detto di guardare in quella direzione e di non muoversi? Hai ragione di dire che rassomiglia in modo straordinario a tua madre e non solo negli occhi ma in tutto il rilievo superiore della faccia e della testa.

Sai? Ti scrivo malvolentieri perché non sono sicuro che la lettera ti arrivi prima della tua partenza. E poi sono nuovamente un po’ sconquassato. Ha piovuto molto e la temperatura si è raffreddata: ciò mi fa star male. Mi vengono i dolori alle reni e le nevralgie e lo stomaco rifiuta il cibo. Ma è una cosa normale per me e perciò non mi preoccupa troppo. Però mangio un chilo d’uva al giorno, quando la vendono, quindi non posso morir di fame: l’uva la mangio volentieri ed è di ottima qualità. – Avevo già letto un articolo dell’editore Formiggini a proposito delle cattive traduzioni e delle proposte fatte per ovviare questa epidemia. Uno scrittore avendo addirittura proposto di rendere responsabili penalmente gli editori per gli spropositi stampati da loro, il Formiggini rispondeva minacciando di chiudere bottega perché anche il piú scrupoloso editore non può evitare di stampar strafalcioni e con molto spirito vedeva già una guardia di P. S. presentarsi a lui e dirgli: «Si levasse e venisse con mia in Questura. Dovesse rispondere di oltraggio alla lingua italiana!» (i siciliani parlano un po’ cosí e molte guardie sono siciliane). La quistione è complessa e non sarà risolta. I traduttori sono pagati male e traducono peggio. Nel 1921 mi sono rivolto alla rappresentanza italiana della Società degli autori francesi per avere il permesso di pubblicare in appendice un romanzo. Per 1000 lire ottenni il permesso e la traduzione fatta da un tale che era avvocato. L’ufficio si presentava cosí bene e l’avvocato-traduttore sembrava essere un uomo del mestiere e cosí mandai la copia in tipografia perché si stampasse il materiale di 10 appendici da tener sempre pronte. Però la notte prima dell’inizio della pubblicazione volli, per scrupolo, controllare e mi feci portare le bozze di stampa. Dopo poche righe feci un salto: trovai che su una montagna c’era un gran bastimento. Non si trattava del monte Ararat e quindi dell’arca di Noè, ma di una montagna svizzera e di un grande albergo. La traduzione era tutta cosí: «Morceau de roi» era tradotto «pezzettino di re», «goujat!» «pesciolino!» e cosí via, in modo ancor piú umoristico. Alla mia protesta, l’ufficio abbuonò 300 lire per rifare la traduzione e indennizzare la composizione perduta, ma il bello fu che quando l’avvocato-traduttore ebbe in mano le 700 lire residue che doveva consegnare al principale, se ne scappò a Vienna con una ragazza. Finora almeno le traduzioni dei classici erano almeno fatte con cura e scrupolo, se non sempre con eleganza. Adesso anche in questo campo avvengono cose strabilianti. Per una collezione quasi nazionale (lo Stato ha dato un sussidio di 100.000 lire) di classici greci e latini, la traduzione della «Germania» di Tacito è stata affidata a… Marinetti, che d’altronde è laureato in lettere alla Sorbona. Ho letto in una rivista un registro delle pacchianerie scritte da Marinetti, la cui traduzione è stata molto lodata dai.., giornalisti. «Exigere plagas» (esaminare le ferite) è tradotto: «esigere le piaghe» e mi pare che basti: uno studente del liceo si accorgerebbe che è una bestialità insensata.

Cara Tatiana, chissà se potrai avere la lettera prima della tua partenza. A Roma vorrei che prendessi dei miei libri due o tre volumi: – la raccolta di conferenze sull’Europa politica nel secolo XIX stampato dalla Camera di Commercio di Brescia e il volume di Michels sul Partito politico e le tendenze oligarchiche della democrazia moderna che possiedo nella traduzione francese di prima della guerra e nella nuova edizione italiana del 1924 molto aumentata e arricchita.

Ti avevo molto tempo fa pregato di procurarmi un volumetto di Vincenzo Morello (Rastignac) sul X canto dell’Inferno di Dante, stampato dall’editore Mondadori qualche anno fa (27 o 28): puoi ricordartene adesso? Su questo canto di Dante ho fatto una piccola scoperta che credo interessante e che verrebbe a correggere in parte una tesi troppo assoluta di B. Croce sulla Divina Commedia. Non ti espongo l’argomento perché occuperebbe troppo spazio. Credo che la conferenza del Morello sia l’ultima cronologicamente sul X canto e perciò può essere per me utile, per vedere se qualcun altro ha già fatto le mie osservazioni; ci credo poco, perché nel X canto tutti sono affascinati dalla figura di Farinata e si fermano solo ad esaminare e a sublimare questa e il Morello, che non è uno studioso, ma un retore, si sarà indubbiamente tenuto alla tradizione, ma tuttavia vorrei leggerla. Poi scriverò la mia «nota dantesca» e magari te la invierò in omaggio, scritta in bellissima calligrafia. Dico per ridere, perché per scrivere una nota di questo genere, dovrei rivedere una certa quantità di materiale (per esempio, la riproduzione delle pitture pompeiane) che si trova solo nelle grandi biblioteche. Dovrei cioè raccogliere gli elementi storici che provano come, per tradizione, dall’arte classica al medioevo, i pittori rifiutassero di riprodurre il dolore nelle sue forme piú elementari e profonde (dolore materno): nelle pitture pompeiane, Medea che sgozza i figli avuti da Giasone è rappresentata con la faccia coperta da un velo, perché il pittore ritiene sovrumano e inumano dare un’espressione al suo viso. – Però scriverò degli appunti e magari farò la stesura preparatoria di una futura nota. Vedi quanti pasticci ti ho scritto? Tutto perché non sono sicuro che la lettera ti arrivi a tempo e non rimanga invece giacente per qualche settimana sul tuo tavolino ad aspettare il tuo ritorno. Altrimenti avrei scritto, come al solito, anche la parte per Giulia; vuol dire che la prossima volta scriverò tutte quattro le pagine per lei. – Ancora: – vedi se puoi procurarti il Catalogo generale del materiale scolastico e sussidi didattici della Casa Editrice G. B. Paravia, che ha una succursale anche a Milano e a Roma. E ancora: – ti ricorderai questa volta delle fave americane? Credo che bisogni andare in una grande farmacia che abbia possibilmente anche un laboratorio, per trovarle. (Tutto nell’ipotesi che la lettera ti raggiunga!). – Carissima, ti abbraccio affettuosamente.

Antonio


136.

4 novembre 1929

Cara Tatiana,

finalmente è ritornato il turno della tua lettera, dopo due mesi. Mi sono riletto le cartoline da te inviatemi nel frattempo, ma non sono riuscito a ridestare i sentimenti «frenetici» che sentivo di volta in volta che esse arrivavano. Sto diventando un vero fakiro; tra breve sarò capace di inghiottire le spade e di passeggiare a piedi nudi sulle lame Gillett. Tu forse farai la faccia stranita a questo esordio un po’ melodrammatico, e a me dispiace molto di doverti rimproverare ma bisogna che lo faccia, necessariamente, per non essere costretto un’altra volta a darti qualche dispiacere molto grosso, come sarebbe, per esempio, quello di interrompere ogni corrispondenza e ogni altra forma di rapporti. – Io ti ho avvertito più volte di non prendere nessuna iniziativa che riguardasse la mia posizione in particolare, e nessuna iniziativa che mi riguardi, in generale, senza un mio preventivo consenso. Non so perché tu ti sei sempre ostinata a non voler prendere sul serio questa mia raccomandazione, a non darle alcun valore. Devi aver creduto che si trattasse di non so quale specie di ubbia o di puntiglio infantile. Ma in verità, se ci avessi riflettuto un po’, a quali conclusioni saresti dovuta giungere? Mi pare semplice. Basta pensare a quest’ordine di cose: – Che cosa sai tu, di preciso, di concreto, sulla mia vita quotidiana? Nulla o quasi nulla. Come fai a sapere quali conseguenze potranno avere per me, concretamente, le tue iniziative, anche quelle che tu ritieni le piú banali e di nessuna importanza? Tu non puoi sapere nulla, assolutamente nulla. Tutto il concatenarsi di cause ed effetti, nella vita carceraria, è fondamentalmente diverso da quello della vita comune, perché nell’azione e reazione dei sentimenti e delle opere manca l’elemento fondamentale della libertà, sia pure relativa, della vita comune. Non è giusto che in tali condizioni, sia io solo, a poter decidere se una cosa va fatta o no, io solo, perché io solo sono in carcere, sono privato della libertà, sono quello su cui possono ricadere le conseguenze di ogni iniziativa, peggiorando le mie condizioni di vita quotidiana? Anche ammettendo che si trattasse di un puro puntiglio (e io ti assicuro che non è il caso), ebbene, anche se si trattasse di una fanciullaggine, dovrebbe essere rispettata, perché i nervi diventano cosí sensibili in questa condizione che averne un certo riguardo non è poi una esagerazione. – Il fatto che mi ha irritato fino alla frenesia (proprio fino alla frenesia) è la pratica che hai fatto con l’avv. Niccolai a proposito del Consiglio di revisione. Perché non domandarmi prima qualcosa? Sappi intanto che tutta la briga che ti sei data sarà completamente inutile, perché io personalmente non inoltrerò nessun ricorso e se l’avvocato mi scriverà, probabilmente non gli risponderò neppure. Il ricorso è stato fatto, legalmente, ai termini di legge, poiché la legge lo consentiva, nel giugno 1928. L’avv. Niccolai è stato incaricato di patrocinarlo e si è impegnato a farlo. Quello che è stato fatto è sufficiente, data l’importanza della quistione, che si riduce, in realtà, al puro esercizio di un diritto formale, senza altra conseguenza prevedibile che non sia già contenuta nell’esercizio stesso di questo diritto formale, cioè di una pura protesta. Ogni tua ingerenza non fa che gettare un’ombra di equivoco su questa mia e degli altri, ma specialmente mia, posizione cristallina. Perché non vuoi capire che tu sei incapace, radicalmente incapace, di tener conto del mio onore e della mia dignità in queste quistioni, perché non puoi capirne nulla di nulla? Bada che non voglio offenderti, in nessun modo, e non voglio neanche mettere in dubbio la tua sensibilità in tali quistioni, quando si presentano nella forma comune dei rapporti normali tra uomo e uomo: voglio solo constatare la obbiettiva impossibilità per te, estranea, a rivivere l’atmosfera di ferro e di fuoco attraverso la quale sono passato io negli anni scorsi. Ma voglio tuttavia persuaderti che si tratta di una cosa enormemente importante per me, sulla quale non voglio che si eserciti nessuna ingerenza e a causa di cui sono deciso a risoluzioni recise, come quella di rompere ogni rapporto. Ti prego di considerare molto seriamente ciò che ti scrivo, perché ho riflettuto molto e sono stato qualche notte senza dormire, assillato come ero dalle tue cartoline alle quali non potevo ancora rispondere. Tu mi avevi già dato un dispiacere molto forte, quando mi accennasti a quella certa proposta da te fatta a Giulia parecchio tempo fa; ho fatto molto male allora a non darti un’impressione piú recisa di disapprovazione. Mi lasciavo intenerire dalle tue premure per me e mi dispiaceva di addolorarti. Ma ora mi sono fakirizzato anche da questo punto di vista e ho paura addirittura di facchinizzarmi e di finire nelle male parole. Ma credo che tu d’ora in avanti sarai molto cauta, poiché sono sicuro che mi vuoi bene e ti dispiace di avermi cosí profondamente ferito e addolorato. Non addolorarti troppo tu per ciò che ti ho scritto; rompi ogni pratica con l’avv. Niccolai, e se vuoi, riferiscigli la parte di questa lettera che lo riguarda. Non mandarmi nulla, né libri né altro, che io non ti abbia domandato; attieniti in modo rigorosissimo a questa norma, senza eccezioni di nessuna sorta, né di tempo, né di luogo, né di occasione speciale. – Mi dispiace di essere stato nella necessità di occupare tutta la lettera con questa quistione. Spero che questa volta ti curerai sul serio e non farai piú tante cose strampalate a danno della tua salute. Io mi sono già abituato all’idea che per questa volta non verrai a Turi ma riterrai piú opportuno tener maggior conto della tua salute. Cara Tatiana, credi che solo perché ti voglio molto bene e mi dispiacerebbe molto troncare ogni rapporto con te, sono stato cosí schietto e reciso. Ti abbraccio teneramente

Antonio


137.

18 novembre 1929

Carissima Tatiana,

ho ricevuto la tua cartolina del 16 e sono stato molto contento di avere tue notizie dopo circa 15 giorni che non mi avevi scritto. Cara Tatiana, credo che Carlo ti abbia assicurato a voce del mio vero stato d’animo e che sia riuscito a cancellare l’impressione che ti aveva fatto la mia ultima lettera: io volevo solo creare in te una convinzione, non darti un dispiacere, ma forse era impossibile ottenere un risultato senza determinare anche quest’altro effetto. Ti sono molto grato di tutto ciò che mi hai mandato, seppure devo fare l’osservazione che hai speso troppi quattrini; adesso non devi piú pensare che mi manchi qualcosa: sono provvisto per almeno cinque o sei anni e abbondantemente. Ho ricevuto anche i bulbi, ma non li ho ancora interrati, perché il freddo invernale credo li gelerebbe; li pianterò ai principii della primavera e spero che germoglieranno a differenza delle dalie che sono tutte fallite. Ho ricevuto anche i libri, ma ti prego di non inviarmene piú fino a mio avviso, perché sono al completo, nonostante che Carlo ne abbia portato via seco un certo mucchio. Dei libri che ti avevo indicato manca l’edizione italiana di quello del prof. Michels sui Partiti politici e le tendenze oligarchiche della democrazia moderna, che io avevo. Se è andato perduto nei traslochi, pazienza, ma se si trova ancora, mettilo da parte e caso mai me lo porterai tu al tuo primo nuovo viaggio: è un grosso volume edito dalla Unione Tipografica Editrice Torinese nel 1924. Se non sono andati dispersi metti da parte anche i volumi del Metodo Berlitz per il tedesco (2 volumetti) e per il russo (1 vol.) e se puoi il tuo esemplare dell’Oblomov di Gonciarov nel testo russo (una volta lo vidi sul tuo tavolino). Adesso traduco solo dal tedesco, per non affaticarmi troppo la memoria e non disperdere l’attenzione, ma l’anno venturo, quando avrò esaurito il programma di tedesco che mi sono fissato, riprenderò a fondo il russo: l’Oblomov mi pare adatto perché ne ho tradotto qualche brano in una antologia per le scuole commerciali italiane e inoltre perché avendo la traduzione integrale del Lo Gatto, potrò controllare il mio lavoro personale. Se la tua edizione è anteriore alla guerra, come mi pare di ricordare, e si può leggere la data della stampa, credo non ci sarà difficoltà a farlo passare.

Proprio oggi sono arrivati nella posta due fasci di atti parlamentari delle discussioni al Senato. Non ho ancora potuto esaminarli perché dovevano ancora andare al visto. In ogni modo la loro mole mi ha spaventato. Io ti avevo scritto per avere solo quei fogli che contengono la discussione sul patto del Laterano. Se per caso hai dato ordine alla Libreria di spedirmi sempre gli atti parlamentari, per piacere, ritiralo subito, perché non saprei proprio che farmene nelle attuali condizioni. Se puoi ritira anche gli ordini per le discussioni dinanzi alla Camera dei Deputati: ho letto che questa parte deve essere pubblicata in volume con prefazione dell’on. Federzoni, cioè in una forma piú comoda e piú maneggevole.

Ho visto che Giulia non ha ancora scritto, dopo tanto tempo. Ciò mi addolora. Non può trattarsi solo di mancanza di tempo. A me non ha scritto da circa quattro mesi e nel frattempo io le ho scritto due volte senza avere risposta. Ciò mi mette in un certo disagio, che mi è difficile superare. Non sarei piú capace di scriverle, senza prima aver ricevuto qualche sua notizia diretta. Penso che qualche sua lettera sia andata perduta. È possibile. È possibile anche che lei si maravigli che io non le scriva, se ha scritto e le sue lettere si sono perdute. Allo stato dei fatti da me controllabili, io ho scritto due volte senza aver risposta e mi trovo imbarazzato a scrivere una terza volta. – Sai, adesso mi sto abituando all’idea che, poiché sono in carcere, posso aver diritto a qualche riguardo. Ci ho pensato molto a questo «sentimento», dopo averti scritto l’ultima lettera. Un po’ ho riso di me stesso perché mi sono ricordato di una commedia del cinquecento in cui appaiono come personaggi alcuni lanzichenecchi ubbriachi che su per giú fanno questo ragionamento: «Nui lanzi essere molto fortunati; noi rubare, bastonare italiani, violentare italiane, poi dire che essere ubbriachi». Tuttavia ho pensato che la mia non è solo una pretesa da lanzo ubbriaco e che l’essere in prigione non è proprio simile all’essere ubbriachi. Non che crei dei diritti speciali verso quelli che ci vogliono bene, ma, per esempio, spiega e giustifica che io non scriva a Giulia se persistentemente non ricevo da lei lettere. Io non ho suscettibilità meschine, ma qualche volta penso che se non mi si scrive, ciò può dipendere anche dal fatto che non si ha piú piacere di ricevere mie lettere e notizie: onde il disagio di cui parlavo prima. Cara Tatiana, scrivo queste cose un po’ per ridere, ma anche con un po’ di malinconia. Ti abbraccio teneramente.

Antonio

Quando parti per Milano avvertimi subito. Se io sono in sospeso, perché non so dove tu sia nel giorno in cui posso scrivere la corrispondenza, finisco che non scrivo piú e lascio perdere il turno. Sai che l’ultima volta per ben quattro mesi filati mi hai scritto ogni quattro o cinque giorni che eri sul punto di prendere il treno ecc. ecc.; come volevi che io prendessi sul serio queste velleità e non pensassi che si trattava di una fiaba? Se avvenisse uno di questi inconvenienti, ricordati che verso la metà del mese entrante sarà bene ricordare alla Libreria di rinnovare a tempo gli abbonamenti alle riviste, se no capiterà come al principio di quest’anno. Cara, ti abbraccio ancora

Antonio


138.

16 dicembre 1929

Carissima Tatiana,

questo mese mi hai scritto pochino pochino: una cartolina il 28 novembre e un bigliettino il 29 insieme con la lettera di Giulia. Sai, però, anch’io ho, adesso, pochissima voglia di scrivere. Mi pare che tutti i legami col mondo esterno si vadano a uno a uno rompendo. Quando ero al carcere di Milano due lettere alla settimana non mi bastavano mai: avevo la mania di chiacchierare per iscritto. Ricordi come scrivevo fitto fitto? Si può dire che allora tutti i miei pensieri, durante la settimana, erano concentrati per il lunedí: cosa potrò scrivere? in che modo dovrò scrivere questo o quest’altro perché la lettera non sia trattenuta? Ora non so piú cosa scrivere, come incominciare. Mi sto completamente imbozzolando. La mia attenzione è rivolta a quello che leggo e traduco. Mi pare, quando rifletto su me stesso, di essere ricaduto nello stato di ossessione in cui mi trovavo negli anni dell’Università quando mi concentravo su una questione ed essa mi assorbiva in tal modo che non badavo piú a nulla e correvo talvolta il pericolo di andare sotto il tranvai.

Mi dici di scrivere a Giulia tante cosette, dei particolari della mia vita. Ma il fatto è che nella mia vita non ci sono né cosette né particolari, non ci sono chiaroscuri. Ed è bene che sia cosí. Quando la vita in carcere è movimentata, il segno è brutto assai. L’unico campo che non sia come quel quadro che rappresentava un nero al buio è quello cerebrale. Ma ci sono dei limiti, sostanziali e formali. Formali, perché sono in carcere e ho dei limiti regolamentari. Sostanziali perché ciò che spesso mi interessa, ha un valore molto relativo. In questo momento mi interessa la quistione se la lingua dei Niam Niam, che chiamano se stessi popolo dei Sandeh, mentre il nome Niam Niam è attribuito loro dai vicini Dinka, appartenga o no alla branca sudanese occidentale, anche se il territorio dove è parlata è posto nel Sudan orientale, tra il 22° e il 28° grado di longitudine Est. Quindi se la classificazione delle lingue sia da fare meglio secondo la distribuzione geografica o secondo il processo storico di filiazione. Ecc. ecc. – Questa è anche la ragione per cui neanche questa volta scrivo a Giulia. Non so proprio cosa scrivere. E non voglio scrivere una lettera di convenienza, come si dice. Devo ancora riflettere su alcuni problemi e senza averli risolti, non riesco a scrivere. (Non so neanche se riuscirò a risolverli). Il problema fondamentale è questo: devo pensare a Giulia e trattare con lei secondo gli schemi della banale psicologia che ordinariamente si attribuisce al mondo muliebre? Ciò mi ripugnerebbe in sommo grado. Eppure… Come ti pare che debba essere interpretata la sua lettera dove dice che dopo la mia lettera del 30 luglio si è sentita piú vicina a me, però è rimasta quattro mesi senza scrivermi proprio dopo quella lettera. Io finora non sono riuscito a trovare la sintesi superiore di questa contraddizione e non so se riuscirò a trovarla. Perciò mi astengo. Tu scrivi che non sai deciderti a mandare a Giulia la mia ultima lettera, perché potrebbe farle male. È certo che le farà del male, ma non credo che questa sia una buona ragione. Sono anzi sicuro che ella stessa preferisca conoscere esattamente il mio stato d’animo. Credi che io sia allegro, di scrivere queste cose? Ma sono giunto al punto in cui mi trovavo come ho già detto, quando ero all’Università: allora non scrivevo mai lettere. Quando io mi trovo dinanzi a una quistione che non posso risolvere e mi convinco che realmente non posso risolverla, io l’abbandono e non ci penso piú. Lo faccio, per un rispetto a me stesso e più per un rispetto agli altri: io stimo troppo Giulia per considerarla come una borghesuccia sentimentale, che so io? come la protagonista di Eugenio Oneghin, per esempio. Ti pare, cara Tatiana? D’altronde, manda questa lettera a Giulia: è sempre diretta a lei, anche se indirettamente. Carissima Tatiana, vedi quanti dispiaceri ti sto dando in questi ultimi tempi? Ne sono proprio addolorato, credimi. Ti abbraccio teneramente

Antonio


139.

19 dicembre 1929

Carissimo Carlo,

ho ricevuto la lettera del 4 dicembre della mamma e la tua del 13. Ti ringrazio per la sollecitudine con cui hai eseguito le mie commissioni. Tra gli oggetti di vestiario che avevo a Roma non ti fu consegnato anche un soprabito? Mi pare che fosse ancora passabile, se anche non piú di primo pelo. Voglio parlare di un soprabito da inverno, perché un altro, di gabardine, era ormai diventato uno straccio. Ma forse l’hai ricevuto e ti sei dimenticato di scrivermene. – Delle due paia di scarpe non ricordo piú: credo però che debbano essere molto malandate e ormai inservibili. – Naturalmente ti prego di non mettere piú in testa a mammà che possa fare un viaggio fino a Turi: solo il pensiero di una simile eventualità mi spaventa. Mi pare che ella già abusi troppo della sua fibbra eccezionale lavorando cosí accanitamente alla sua età: avrebbe ormai diritto alla pensione, se esistessero pensioni per le madri di famiglia. Penso che il primo contatto col carcere abbia fatto persino una gravissima impressione a te: immagina quale impressione farebbe a lei. Non si tratta tanto del lungo viaggio, con tutti i suoi disagi, per una donna anziana che non ha mai fatto piú di 40 km. in ferrovia e non ha attraversato il mare (forse il viaggio in sé la divertirebbe): si tratta di un tale viaggio fatto per visitare un figlio in carcere. Mi pare che occorra evitarlo a tutti i costi. – Che cosa le hai poi raccontato? Spero che non abbia esagerato in nessun senso: del resto tu stesso hai visto che io non sono né abbattuto, né scoraggiato, né depresso. Il mio stato d’animo è tale che se anche fossi condannato a morte, continuerei a essere tranquillo e anche la sera prima dell’esecuzione magari studierei una lezione di lingua cinese. La tua lettera e ciò che mi scrivi di Nannaro mi hanno interessato molto, ma anche maravigliato. Voi due avete fatto la guerra: specialmente Nannaro ha fatto la guerra in condizioni eccezionali, da minatore, sotto terra, sentendo attraverso il diaframma che separava la sua galleria dalla galleria austriaca il lavoro del nemico per affrettare lo scoppio della mina propria e mandarlo per aria. Mi pare che in tali condizioni, prolungate per anni, con tali esperienze psicologiche, l’uomo dovrebbe aver raggiunto il grado massimo di serenità stoica, e aver acquistato una tale convinzione profonda che l’uomo ha in se stesso la sorgente delle proprie forze morali, che tutto dipende da lui, dalla sua energia, dalla sua volontà, dalla ferrea coerenza dei fini che si propone e dei mezzi che esplica per attuarli – da non disperare mai piú e non cadere piú in quegli stati d’animo volgari e banali che si chiamano pessimismo e ottimismo. Il mio stato d’animo sintetizza questi due sentimenti e li supera: sono pessimista con l’intelligenza, ma ottimista per la volontà. Penso, in ogni circostanza, alla ipotesi peggiore, per mettere in movimento tutte le riserve di volontà ed essere in grado di abbattere l’ostacolo. Non mi sono fatto mai illusioni e non ho avuto mai delusioni. Mi sono specialmente sempre armato di una pazienza illimitata, non passiva, inerte, ma animata di perseveranza. – Certo oggi c’è una crisi morale molto grave, ma ce ne sono state nel passato di molto più gravi e c’è una differenza tra oggi e il passato. […]. Perciò sono anche un po’ indulgente e ti prego di essere anche tu indulgente con Nannaro, che, ho visto io stesso, sa anche essere forte. Solo quando è isolato, perde la testa e si accascia. Forse gli scriverò la prossima volta.

Caro Carlo, ti ho fatto un sermone in piena regola. Intanto dimenticavo di raccomandarti di fare tanti complimenti e tanti auguri a Teresina e anche a Paolo naturalmente, per la loro nuova figlietta. Poi devo fare gli auguri generali per il Natale e per tutte le altre feste che succederanno. Io farò il natale alla meglio, un po’ come il famoso signor Chiu, di cui ci parlava la mamma quando eravamo bambini.

Abbraccia tutti affettuosamente e specialmente la mamma.

tuo Antonio


140.

30 dicembre 1929

Cara Giulia,

non mi sono ricordato di domandare a Tatiana con la quale ho avuto un colloquio qualche giorno fa, se ti aveva trasmesso le mie due ultime lettere a lei. Penso di sí, perché avevo domandato che lo facesse; perché volevo che tu fossi informata d’un mio stato d’animo, che si è attenuato, ma non è ancora completamente sparito, anche a costo di procurarti qualche dispiacere.

Ho letto con molto interesse la lettera in cui mi hai dato una impressione del grado di sviluppo di Delio. Le osservazioni che farò devono essere naturalmente giudicate tenendo presente alcuni criteri limitativi: 1) che io ignoro quasi tutto dello sviluppo dei bambini proprio nel periodo in cui lo sviluppo offre il quadro piú caratteristico della loro formazione intellettuale e morale, dopo i due anni, quando si impadroniscono con una certa precisione del linguaggio, incominciano a formare nessi logici oltre che immagini e rappresentazioni; 2) che il giudizio migliore dell’indirizzo educativo dei bambini è e può essere solo di chi li conosce da vicino e può seguirli in tutto il processo di sviluppo, purché non si lasci acciecare dai sentimenti e non perda con ciò ogni criterio, abbandonandosi alla pura contemplazione estetica del bambino, che viene implicitamente degradato alla funzione di un’opera d’arte.

Dunque, tenendo conto di questi due criteri, che poi sono uno solo in due coordinate, mi pare che lo stato di sviluppo intellettuale di Delio, come risulta da ciò che mi scrivi, sia molto arretrato per la sua età, sia troppo infantile. Quando aveva due anni, a Roma, egli suonava il pianoforte, cioè aveva compreso la diversa gradazione locale delle tonalità sulla tastiera, dalla voce degli animali: il pulcino a destra, e l’orso a sinistra, con gli intermedi di svariati altri animali. Per l’età di due anni non ancora compiuti questo procedimento era compatibile e normale; ma a cinque anni e qualche mese, lo stesso procedimento applicato all’orientamento, sia pure di uno spazio enormemente maggiore (non quanto può sembrare, perché le quattro pareti della stanza limitano e concretano questo spazio), è molto arretrato e infantile.

Io ricordo con molta precisione che a meno di cinque anni, e senza essere mai uscito da un villaggio, cioè avendo delle estensioni un concetto molto ristretto, sapevo con la stecca trovare il paese dove abitavo, avevo l’impressione di cosa sia un’isola e trovavo le città principali d’Italia in una grande carta murale; cioè avevo un concetto della prospettiva, di uno spazio complesso e non solo di linee astratte di direzione, di un sistema di misure raccordate, e dell’orientamento secondo la posizione dei punti di questi raccordi, alto-basso, destra-sinistra, come valori spaziali assoluti, all’infuori della posizione eccezionale delle mie braccia. Non credo di essere stato eccezionalmente precoce, tutt’altro. In generale ho osservato come i «grandi» dimentichino facilmente le loro impressioni infantili, che a una certa età svaniscono in un complesso di sentimenti o di rimpianti o di comicità o altro di deformante. Cosí si dimentica che il bambino si sviluppa intellettualmente in modo molto rapido, assorbendo fin dai primi giorni della nascita una quantità straordinaria di immagini che sono ancora ricordate dopo i primi anni e che guidano il bambino in quel primo periodo di giudizi piú riflessivi, possibili dopo l’apprendimento del linguaggio. Naturalmente io non posso dare giudizi e impressioni generali, per l’assenza di dati specifici e numerosi; ignoro quasi tutto, per non dire tutto, perché le impressioni che mi hai comunicato non hanno nessun legame tra di loro, non mostrano uno sviluppo. Ma dal complesso di questi dati ho avuto l’impressione che la concezione tua e di altri della tua famiglia sia troppo metafisica, cioè presupponga che nel bambino sia in potenza tutto l’uomo e che occorra aiutarlo a sviluppare ciò che già contiene di latente, senza coercizioni, lasciando fare alle forze spontanee della natura o che so io. Io invece penso che l’uomo è tutta una formazione storica, ottenuta con la coercizione (intesa non solo nel senso brutale e di violenza esterna) e solo questo penso: che altrimenti si cadrebbe in una forma di trascendenza o di immanenza. Ciò che si crede forza latente non è, per lo piú, che il complesso informe e indistinto delle immagini e delle sensazioni dei primi giorni, dei primi mesi, dei primi anni di vita, immagini e sensazioni che non sempre sono le migliori che si vuole immaginare. Questo modo di concepire l’educazione come sgomitolamento di un filo preesistente ha avuto la sua importanza quando si contrapponeva alla scuola gesuitica, cioè quando negava una filosofia ancora peggiore, ma oggi è altrettanto superato. Rinunziare a formare il bambino significa solo permettere che la sua personalità si sviluppi accogliendo caoticamente dall’ambiente generale tutti i motivi di vita. È strano ed interessante che la psico-analisi di Freud stia creando, specialmente in Germania (a quanto mi appare dalle riviste che leggo) tendenze simili a quelle esistenti in Francia nel Settecento; e vada formando un nuovo tipo di «buon selvaggio» corrotto dalla società, cioè dalla storia. Ne nasce una nuova forma di disordine intellettuale molto interessante.

A tutte queste cose mi ha fatto pensare la tua lettera. Può darsi, anzi è molto probabile, che qualche mio apprezzamento sia esagerato e addirittura ingiusto. Ricostituire da un ossicino un megaterio o un mastodonte era proprio di Cuvier, ma può avvenire che con un pezzo di coda di topo si ricostruisca invece un serpente di mare.

Ti abbraccio affettuosamente.

Antonio


141.

13 gennaio 1930

Carissima Tania,

ho ricevuto con qualche giorno di ritardo la tua lettera del 5, perché essa è stata tassata, certamente per errore. Tu l’hai spedita da Turi, indubbiamente, e quindi l’affrancatura di 25 cent. era giusta. Occorrerà fare un ricorso. In ogni modo ti avverto che se in questo caso l’ufficiale postale ha avuto torto, in altri casi egli ha avuto ragione: tu riempi troppo le cartoline dalla parte dell’indirizzo, e invece non bisogna scrivere mai sopra la dicitura «Cartolina postale» e forse neanche sopra lo stemma dello Stato. La cartolina viene tassata di 40 cent. e ritarda qualche volta tre giorni per via delle pratiche occorrenti.

Ti ringrazio delle notizie sulla famiglia che mi hai mandato. Quanto al mio stato d’animo, penso che tu non l’abbia perfettamente capito. Però ti dirò che è difficile capire queste cose, perfettamente, a chiunque, perché troppi elementi concorrono a formarle, e molti di essi è quasi impossibile immaginarli; tanto meno è quindi possibile immaginare il complesso in cui si combinano. In questi giorni, proprio, ho letto un libro, Dal 1848 al 1861, nel quale sono raccolte lettere, scritti, documenti riguardanti Silvio Spaventa, un patriotta abbruzzese, deputato al Parlamento napoletano del ’48, arrestato dopo il fallimento del moto nazionale, condannato all’ergastolo e liberato nel 1859 per le pressioni della Francia e dell’Inghilterra; in seguito ministro del Regno e una delle personalità piú spiccate del partito liberale di destra fino al 1876. Mi è sembrato che in molte sue lettere, col linguaggio del tempo, cioè alquanto romantico e sentimentale, egli esprima perfettamente degli stati d’animo simili a quelli che io spesso attraverso. Per esempio, in una lettera del 17 luglio 1853 al padre egli scrive: «Di voi già non ho nuove da due mesi; da quattro e forse piú delle sorelle; e da qualche tempo di Bertrando (suo fratello). Credete voi che in un uomo come me, che mi pregio di avere un cuore affettuoso e giovanissimo, questa privazione non debba tornarmi oltre ogni modo dolorosissima? Io non penso che sia ora amato meno di quello che sono stato sempre dalla mia famiglia; ma la sventura suol fare due effetti, che spesso lasci spegnere ogni affetto verso gli sventurati e non meno spesso spegne negli sventurati ogni affetto verso di tutti. Io non temo il primo di questi due effetti in voi, quanto il secondo in me; dappoiché, sequestrato come sono qui da ogni commercio umano ed amorevole, il tedio grande, la prigionia lunga, il sospetto di essere dimenticato da ognuno mi amareggiano e isteriliscono lentamente il cuore». Come dicevo, a parte il linguaggio corrispondente alla temperie sentimentale dell’epoca, lo stato d’animo appare con molto rilievo. E, ciò che mi conforta, lo Spaventa non fu certo un carattere debole, un piagnucolone come altri. Egli fu dei pochi (una sessantina) che dei piú che seicento condannati nel ’48 non volle mai fare domande di grazie al re di Napoli; né si diede alla devozione, anzi, come scrive spesso, si andò sempre piú persuadendo che la filosofia di Hegel era l’unico sistema e l’unica concezione del mondo razionali e degni del pensiero d’allora.

Sai, poi, quale sarà l’effetto pratico di questa concordanza trovata tra i miei stati d’animo e quelli di un detenuto politico del ’48? Che ormai essi mi sembreranno un po’ comici, buffamente anacronistici. Sono passate tre generazioni e del cammino avanti se n’è fatto, in tutti i campi. Ciò che era possibile per i nonni, non è possibile per i nipoti (non dico dei nostri nonni, perché mio nonno, non te l’ho mai detto, era proprio colonnello della gendarmeria borbonica e probabilmente fu tra quelli che arrestarono lo Spaventa antiborbonico e fautore di Carlo Alberto); obbiettivamente, s’intende, ché soggettivamente, cioè individuo per individuo, le cose possono cambiare.

Cara Tania, ieri era il tuo onomastico; credevo di poterti fare gli auguri a voce, invece te li posso scrivere solo un giorno dopo e tu li leggerai solo fra qualche giorno. Spero che ti sarai rimessa e che potrai uscire di casa, se il tempo continua come oggi. Sai come mi dispiace che i tuoi viaggi a Turi, per qualche mezz’ora di colloquio, ti affatichino tanto e ti facciano addirittura ammalare. Io sono persuaso che tu ti trascuri troppo: mi ricordo che Genia era press’a poco come te quando la conobbi al sanatorio e in seguito, quando entrammo in una certa confidenza, dovevo minacciarla di bastonate per farla mangiare: aveva nascosto al medico centinaia di uova che avrebbe dovuto mangiare e che invece nascondeva e cosí via. Tua mamma rise molto quando seppe la storia delle mie intimidazioni, ma mi dette ragione. Anche tu avresti bisogno che ti si tirassero i capelli, sia pure con un certo garbo: mi pare che abbia perduto il gusto di vivere per te e che viva solo per gli altri. Non è poi un errore? E vivendo anche per te, rafforzando la tua salute, non vivrai anche meglio per gli altri, se cosí ti piace e se questo è il solo gusto di vivere tuo? Io ho molta tenerezza per te e vorrei vederti sempre forte e sana; anche questo mi dà amarezza, il saperti qui a Turi, cosí, malaticcia, debole, solo per darmi un po’ di conforto e rompere il mio isolamento. Basta. Questa lettera doveva essere per mia madre. Ti prego di scriverle tu, perché non si allarmi non ricevendo mie notizie.

Cara, ti abbraccio.

Antonio


142.

27 gennaio 1930

Carissima Tania,

ho ricevuto le tue lettere e le tue cartoline. Ma non sono ancora riuscito a farmi un’idea delle tue condizioni di salute; mi dai cosí poche notizie di te! Perciò non sono contento e neppure tranquillo.

Ho letto e riletto la tua lunga lettera. Volevo persuadermi di aver torto. Ma non ci sono riuscito. Ci ho messo tutta la buona volontà. Del resto non fa nulla. Queste quistione le avevo esaminate da tanto tempo, riesaminate, analizzate, pesate, ripesate, pensato alle possibili conseguenze di ogni mio atteggiamento e di ogni mia parola; se mi sono deciso a scrivere è perché ho pensato che non farlo sarebbe stato ancora peggio. Tu credi che io sia stato troppo duro: è possibile. Bisogna vedere se ciò non sia necessario; qualche volta una buona strappata è proprio ciò che ci vuole per ridare energia a chi ha perduto o sta per perdere la volontà. Del resto io non sono stato duro a disegno, per fini pedagogici. Adesso ci rifletto su e ne cavo anche questa conseguenza. E poiché è questa l’ultima volta in cui voglio trattenermi su questo argomento, permetti che ti faccia osservare che anche tu sei stata molto ingiusta con me. Hai posto la quistione in un modo veramente crudele e ingiustificato con me. Io non pensavo neppure a fare un qualsiasi paragone tra il dolore di chi è posto in graticola e il dolore dei parenti che sono costretti a guardarlo mentre si contorce. Ma posta la quistione e fatto il paragone, mi pare inumano sostenere che è maggiore il dolore dei parenti ed è spiegabile che essi, assorti in questo dolore, non pensino a dare qualche goccia d’acqua al graticolato. Questo, cara Tatiana, è puro estetismo morale e credo che solo la fretta di scrivere, ti abbia fatto uscire dalla penna una tale enormità. Come l’altra che io ho maggiori conforti di Giulia, perché mi scrive mia madre, o mio fratello o tu. Non credere che io mi sia offeso o addolorato per queste enormità. E non credere neanche che io drammatizzi le cose. Non le drammatizzavo neanche prima. Io ho un’ampia riserva di forze morali autonome, indipendenti dall’ambiente esterno; ma può essere Giulia per me «ambiente esterno»? Non si tratta dunque del fatto che io abbia bisogno di conforti, consolazioni ecc.; tutto ciò mi farebbe un effetto orripilante. È proprio il contrario che io vorrei: poter dare un po’ di forza a Giulia, che deve lottare contro tante difficoltà ed ha avuto tutti i pesi schiaccianti della nostra unione. Ma sono stato sempre piú posto nella condizione di non saper nulla, di essere completamente isolato dalla sua vita; perciò ho paura per me, di diventare sempre piú distaccato dal suo mondo, e di non comprenderne piú nulla, di non sentirne piú nulla. Basta. Come ho detto, è questa l’ultima volta che parlerò di tale quistione: altrimenti si formerà un tale intrico di malintesi che ci vorrebbe un lunghissimo, circostanziato memoriale per dipanarlo: e io posso scrivere troppo poco. – Cara Tania, sta allegra e rimettiti bene in salute: questo è piú importante di tutto: e sta sempre persuasa che io non mi parto mai dalla mia serenità, anche se ho qualche piccolo scatto. Ti abbraccio teneramente

Antonio

Spedisci a mia madre la sua parte di lettera. La reticella del filtro mi è stata buttata via a Milano: io facevo il caffè lo stesso; ci vuole un po’ piú di tempo e di caffè.


143.

10 febbraio 1930

Carissima Tania,

ho ricevuto le tue cartoline del 6 e dell’8 febbraio, dopo un certo intervallo dalla tua lettera del 29 gennaio. Sono sempre in ansia perché non m’informi con precisione delle tue condizioni di salute; ogni volta scrivi «a presto» e intanto è passato un mese e mezzo da quando sei giunta e ti senti male. Io penso che il clima variabilissimo di Turi non si confaccia molto al tuo temperamento e non sia molto propizio per una cura. Mi pare che tu ricada troppo spesso in istati di abulia e di irresolutezza e poi cerchi di spiegare, sofisticamente, questa abulia con ragioni stiracchiate, con scoperte mirabolanti. Devi curarti bene, questo è fuori discussione, prima di ripartire, ma non devi adagiarti nello stato in cui ti trovi presentemente. È assurdo pensare che a Turi si stia bene; per un carcerato forse è giusto, ma non per chi può scegliere oltre il dilemma di essere arrostito o di essere scorticato. Quindi energia, energia, risolutezza, decisione.

Ti prego di scrivere una cartolina alla libreria, per avvertire che ho ricevuto una parte delle riviste, per le quali ho reclamato nel gennaio scorso (il 23 o il 24), mi mancano solo: L’Italia che scrive di Formiggini del dicembre 1929 e I problemi del lavoro del gennaio 1929. Vorrei avere questi numeri per completare le raccolte. Poiché scrivi, avverti anche che mi spediscano la nuova edizione della Cultura italiana di Giuseppe Prezzolini, stampata dalla Casa Editrice Corbaccio. Per i miei libri che si trovano ancora a Roma non so cosa dirti. Per ora non mi occorrono; devo prima mandare a casa una buona parte di quelli che ho già qui. Poi non ricordo che vagamente i loro titoli; sono passati piú di tre anni e ancora una parte è andata certamente dispersa. Qualcosa ricordo, per esempio, i libri economici di Graziadei, ma ci sono ancora? Valentino a Roma mi disse d’averne presi parecchi ma non ricordare di tutti. Penso che potrai fare una lista e mandarmela: io indicherò quelli che possono essermi mandati col tempo e quali sono da mandare al macero o da portare al Campo di Fiori.

A proposito della tua ultima lettera voglio solo fare un’errata-corrige indispensabile. Quando accennai alla Tatiana di Puškin non mi passava neppure per la testa ciò che invece tu hai creduto di capire e che mi ha molto meravigliato e fatto ridere. Avevo semplicemente dinanzi alla fantasia una bellissima caricatura del pittore Dessí, nella quale Lloyd George, vestito alla Tatiana Larnia, intinge la penna nel calamaio, fa la boccuccia a cuore, mentre sulla carta è scritta una frase di Puškin che piú non ricordo con esattezza, ma che in generale risponde a quello che io volevo dire. Perciò mi pare che la tua fantasia si sia un po’ abbandonata senza controllo e mi abbia attribuito delle banalità che mi hanno fatto solo ridere. Meglio cosí, non è vero? Tu non devi offenderti se ti scrivo che mi hai fatto ridere; non credo che possa avere delle tali suscettibilità nei miei riguardi e in un simile caso.

Dunque, diventa piú energica; fa anche una cura della volontà, non lasciarti illanguidire dai venti del mezzogiorno. I bulbi sono già germinati da un pezzo; già un giacinto mostra le colorazioni del futuro fiore. Purché qualche gelata non distrugga tutto. Anche la rosa ha gettato le nuove gemme; è piú selvatica che mai, sembra un pruno più che una rosa, ma anche il vigore vegetale del pruno è interessante.

Ti abbraccio affettuosamente.

Antonio


144.

10 febbraio 1930

Carissima Giulia,

mi sono ricordato, nel ripensare diverse cose degli anni passati, come tu una volta abbia detto che la Libreria di Stato non solo ricompensa i traduttori di libri stranieri, come è ovvio, ma ricompensa anche chi suggerisce libri da tradurre, nel caso che il suggerimento sia accolto. Cosí mi è venuto in mente di suggerire a te qualcuno di questi libri, con le indicazioni che mi è possibile avere, date le condizioni in cui mi trovo, cioè necessariamente mutile e approssimative; mi sarà cosí piú facile avere argomenti da trattare nelle mie lettere, poiché mi ripugna scrivere le solite vacuità e la mia esistenza non offre molti spunti ameni e comunque interessanti; e ti offrirò, incidentalmente, qualche osservazione sulle correnti della vita intellettuale italiana in ciò che vi è di piú profondo e piú solido.

È uscita l’anno scorso una nuova edizione di un libro che apparteneva ormai alla cultura europea: Il capitalismo antico. Storia dell’economia romana, pp. 204 in 16°, Editore Laterza, Bari. La prima edizione uscí nel 1906, in francese, tradotta dal manoscritto italiano, ed ebbe un grande successo; fu tradotta subito in tedesco da Carlo Kautsky e credo anche in russo e in altre lingue. Il libro era rivolto contro la tendenza creata da Mommsen, di trovare «capitalistica» ogni economia «monetaria» (rimprovero rivolto da Marx al Mommsen e che il Salvioli svolge e dimostra criticamente), tendenza che oggi ha assunto proporzioni morbose per opera del professor Rostovtzev, uno storico russo che insegna in Inghilterra, e in Italia per opera del professor Barbagallo, un discepolo di Guglielmo Ferrero. Il Salvioli era uno studioso molto serio (è morto l’anno scorso, durante una lezione all’Università di Napoli), che accettava le teorie del materialismo storico, nella forma che esse hanno assunto in Italia attraverso la revisione di Benedetto Croce, cioè come canone pratico di ricerca storica e non come concezione del mondo totalitaria. L’attuale edizione italiana rinnova completamente la precedente, aggiornandola dal punto di vista erudito, e sfrondandola di quegli elementi polemici che erano propri nel 1906: è un libro nuovo, insomma, perché l’autore morí prima di perfezionarla. Domanda un traduttore che conosca molto bene l’italiano e che perciò sia in grado di comprendere anche le storture sintattiche e i periodi un po’ raffazzonati. Un altro libro recente è quello di Francesco Ercole, attuale deputato al Parlamento: Dal Comune al Principato, saggi sulla storia del diritto pubblico del Rinascimento italiano, editore Vallecchi, Firenze 1929, pp. 381. È composto di quattro studi, variamente interessanti dal punto di vista della cultura non italiana. Certamente interessante anche fuori d’Italia è il primo, La lotta delle classi alla fine del Medioevo, che potrebbe diventare un ottimo libretto a sé o un articolo di grande rivista. Contiene qualche evidente ingenuità storica, come il compiacimento che a Firenze sia fallito il movimento dei Ciompi, permettendo cosí la fioritura culturale del Rinascimento, ma contiene informazioni di grande interesse e ignorate generalmente (i documenti d’archivio ne furono pubblicati durante la guerra in rassegne di edizioni quasi clandestine per i non iniziati) su alcuni tentativi avvenuti a Firenze tra il 1340-50 per organizzare gli operai delle manifatture, esclusi dalle corporazioni artigiane, con contraccolpi politici originali, ecc.

Anche l’Ercole appartiene alla stessa tendenza storiografica del Salvioli, alla cosiddetta scuola economico-giuridica, che ha rinnovato in parte la dottrina storica e tradizionalmente accademica e retorica, o nel miglior caso, puramente erudita e filologica.

Non so se queste indicazioni ti possono servire a qualche cosa e se tu hai la voglia e la possibilità di sfruttarle; in ogni modo esse mi hanno offerto lo spunto per scriverti qualche cosa di diverso dal bel tempo e dalle condizioni del mio sistema nervoso: sono le sole cose che mi interessano e che mi aiutano a passare il tempo alla bell’e meglio. Perché non mi scrivi anche dello sviluppo intellettuale di Giuliano oltre che di Delio? Ti abbraccio teneramente.

Antonio


145.

24 febbraio 1930

Carissima Tania,

ho ricevuto la tua lettera del 16. Mi pare che tu sia ricascata nelle fantasticherie dell’anno scorso, quando facevi progetti su progetti di viaggi su e giú per l’Italia. Io credo che tu debba deciderti una volta per tutte di ritornare a Milano, di non stancarti piú oltre e di trovarti nelle migliori condizioni fisiche per raggiungere i tuoi. Se continuerai nel vecchio sistema di non avere determinazioni ben prese e razionalmente preparate, ho timore che anche quest’anno trascorrerà come quello scorso e tu ti ritroverai a fare progetti e castelli in aria. Scusa se sono un po’ burbero, ma la tua lettera mi ha dato proprio l’impressione che tu sia in uno stato di marasma intellettuale. Come fai anche ad interessarti degli avvisi di giornale? L’avviso del «Corriere», secondo me, non è da prendersi sul serio in nessun modo; in Italia il tradurre e il compilare recensioni non è stato mai un’occupazione vantaggiosa, ed è un affare che riguarda studenti che vogliono racimolare qualche lira supplementare o impiegati statali che vogliono arrotondare il loro stipendio o vedere il loro nome stampato in un pezzo di carta. Proprio non capisco perché ti interessino queste cose: puoi riprendere il tuo impiego milanese, ti pare? e abbandonare ogni idea di stabilirti a Bari o a Taranto o che so io. Davvero, devi essere più giudiziosa e ragionevole. Io penso che questo debba essere il tuo ultimo viaggio a Turi. Non è stato molto fortunato; pazienza. Ma credi che non sia meglio anche per me saperti in un luogo migliore di questo? più a tuo agio, senza tante meschinità, in condizioni di curarti piú razionalmente? Questo mi pare il piú importante di tutto. Anche per me, credi. Sono assalito da maggiori preoccupazioni ed ansie quando sei a Turi che quando sei a Milano. Qui mi pare che debba essere una prigione anche per chi non è in prigione, e in un certo senso non può non essere cosí.

Hai ricevuto i libri che ho domandato ti fossero fatti recapitare? Ho pensato che non avevi nulla da leggere dopo tanto tempo e che ti potevano aiutare a passare il tempo. Puoi spedirli a mio fratello, o buttarli via, dopo averli letti; o portarteli con te (il libro del Croce è molto interessante e potresti portarlo a Giulia: può darsi che qualche volta si interessi della filosofia di Hegel e della revisione che ne ha fatto il Croce). In ogni caso essi non mi servono piú. (Il Cemento di Gladkov l’ho già avuto; vedi perciò di non mandarmi libri che io non ti abbia domandato). Invece scrivi alla Libreria che mi mandino le Prospettive economiche per il 1930 del prof. Giorgio Mortara che sono uscite in questi giorni e ricorda che avevo domandato di abbonarmi alla rivista «La Nuova Italia» (presso la S. E. «Nuova Italia» – Perugia-Venezia) che sostituisce una rivista morta l’anno scorso: non ho ricevuto ancora nulla e perciò credo opportuno ricordare. Carissima Tatiana, spero davvero di vederti tra breve completamente ristabilita e ridiventata energica e piena di volontà. Ti abbraccio teneramente

Antonio

Spedisci a mio fratello la parte che lo riguarda. – Ho ricevuto ieri due tue cartoline molto censurate, dopo che avevo già scritto la lettera. Poiché mi dispiace vedere cancellature, ti avverto di non scrivere che notizie famigliari assolutamente chiare. Pazienza. Ti abbraccio

Antonio


146.

24 febbraio 1930

Carissimo Carlo,

ho lasciato passare le due lettere senza ricordarmi di scrivere a proposito di un affare che, in una certa misura, mi interessa «intellettualmente» e forse anche «moralmente». Volevo già scriverti, cioè, di rivolgerti al Tribunale Speciale per la difesa dello Stato (alla Cancelleria) e domandare copia in carta libera, per fini di ricorso per revisione, della sentenza pronunciata contro di me il 4 giugno 1928. Non c’è da spendere altro che l’importo per i diritti di scritturazione e di cancelleria che non deve essere molto alto. Ti dirò ciò che intendo fare, poiché già conosci la mia opinione a proposito del risultato che può avere la pratica. Innanzi tutto voglio leggere la sentenza. Io credevo prima che le sentenze del Tribunale Speciale, data la sua procedura abbreviata, consistessero nel semplice dispositivo: ho visto invece che esse sono diffuse e vi si riassumono gli elementi processuali cercando di coordinarli. Poiché sarà cosí anche nel caso mio, il motivo formale della revisione sarà dato con piú evidenza dalle affermazioni di «considerando» della sentenza. Ti manderò questi elementi, con la sentenza stessa, e tu li sottoporrai a un avvocato che abbia un po’ di buona volontà perché giudichi e nel caso stenda il ricorso nei termini di legge. Io non volevo avere nessun rapporto con l’avvocato Niccolai, perciò mi sono alquanto arrabbiato quando Tatiana, senza avvertirmi preventivamente, si rivolse a lui. L’avvocato Niccolai, dopo la sentenza, come fanno tutti gli avvocati, ci consigliò, insidiosamente, di ricorrere e Terracini si rivolse alla Cassazione, in assenza di ogni altra istanza indicata allora dalla legge del novembre 1926, che dava facoltà di ricorso ma non diceva a chi bisognava ricorrere: dunque Niccolai avrebbe dovuto mettersi in rapporto col Terracini che era il suo cliente e questo era il suo dovere. Io non avevo che farci e non potevo entrare in rapporto con lui. Ma egli, che era cosí persuaso della giustificabilità del ricorso nel 1928, non lo era piú nel 1929, quando l’istanza era stata costituita e il ricorso diventava effettivamente possibile. Poi ci sono altre ragioni che non starò a dire.

Non potendo sapere nulla di ciò che gli altri coaccusati abbiano potuto decidere, ora mi ritengo sciolto da ogni subordinazione alle loro precedenti iniziative e perciò desidero studiare la sentenza e vedere se è legittima la pratica di revisione. In generale io ritengo che, nella mia situazione, ogni ricorso alla legalità sia opportuno e doveroso, senza farmi delle illusioni, ma per avere la coscienza di aver fatto, da parte mia, tutto ciò che mi era legalmente possibile per dimostrare di essere stato colpito senza base legale. Ricopiami anche gli articoli del codice di procedura penale militare a proposito della revisione, in modo che io possa avere il quadro esatto delle possibilità esistenti. Scrivimi ciò che farai e quando lo farai e non avere esitazioni nell’informarmi della situazione dei tuoi affari. Forse per la domanda (che però deve essere fatta da me) per avere copia della sentenza puoi metterti d’accordo con Tatiana, se ella si troverà a Roma; cosí la tua pratica potrà farla sbrigare prima.

Ti abbraccio con tutti di casa con tanti auguri per i bambini di Teresina che mamma mi scrisse essere stati male.

Affettuosamente.

Antonio


147.

10 marzo 1930

Carissima Tania,

ho ricevuto la tua lettera del 26 febbraio e due cartoline, del 3 e del 7 marzo. Scrivi che hai provato grande dispiacere per la mia ultima lettera, perché io considero sotto un aspetto sfavorevole tutto ciò che ti riguarda, e perché ho accennato a un «marasma intellettuale». Capisco che ti dispiaccia e dispiace anche a me di doverti scrivere qualche volta tali cose e di dover adoperare espressioni cosí energiche; ma lo credo indispensabile e voglio sempre essere sincero. Sai che mi fa proprio rabbia quando tu mi esponi dei piani cervellottici di viaggi a destra e a sinistra? L’anno scorso quando mi scrivesti che volevi andare in Sardegna, in Calabria e non so dove ancora, io subito mi persuasi che non saresti venuta neanche a Turi e infatti ebbi ragione. Adesso che nuovamente ricaschi in queste fantasmagorie di Bari, Taranto, ecc. io mi persuado che stai poco bene, che sei molto debole e che sei poco consapevole delle tue condizioni, cioè non dedichi tutte le tue energie a ristabilirti, a rafforzarti fisicamente come dovresti. In verità niente mi irrita piú del «velleitarismo» che soppianta la volontà concreta; mi irrita nelle persone che mi sono indifferenti sentimentalmente e che giudico «inutili»; mi addolora nelle persone che non mi sono indifferenti e che non voglio e non posso giudicare utilitariamente, ma che vorrei stimolare e risvegliare. Ho conosciuto, specialmente all’Università, parecchi tipi di velleitari e ne ho seguito il processo tragicomico di esistenza: si può dire che ho dei modelli nella memoria, ben profilati e delineati, che mi fanno stizzire quando si ripresentano all’attenzione per qualche concatenazione di ricordi, sí, mi fanno stizzire ancora; ed ecco perché quando nelle tue manifestazioni psicologiche colgo un motivo che richiama un tratto di quei modelli esemplari, mi agito stizzosamente e divento persino cattivo con te. Ma credi che è il mio affetto che mi sollecita a rimproverarti proprio come un bambino, perché c’è veramente del puerile in questi stati d’animo. Bisogna, secondo me, essere sempre molto pratici e concreti, non sognare a occhi aperti, porsi dei fini discreti, raggiungibili e pensarli con tutte le condizioni che solo li fanno realizzare; bisogna quindi avere una perfetta coscienza dei propri limiti, se pur si vuole allargarli e approfondirli. Tutto ciò mi pare cosí ovvio e banale che quasi mi pare di farti un predicozzo da parroco di villaggio. E poi non bisogna mai avere troppo zelo; tu sei troppo zelante con me e mi pare che ottenga l’effetto precisamente opposto di quello che vorresti. In molte cose sei di una ingenuità trascendentale. Quando io ti consiglio di ritornare a Milano e di non fantasticare su Bari e Taranto, credi che so quel che mi dico e che ti dico una cosa estremamente ragionevole e assennata. Quando qualche mia osservazione ti dispiace (o dovrebbe obbiettivamente dispiacerti) non pensare mai che io ti voglia far dispiacere; pensa piuttosto che nei propositi che mi hai espresso c’è qualcosa che dispiace a me in modo profondissimo e che non potrò mai approvare e regolati secondo questa impressione che sarà sempre giusta.

Ho ricevuto i cinque volumetti Berlitz. Perché mai li hai fatti spedire? Adesso ti spiegherò uno di questi meccanismi psicologici accennati sopra, sebbene in questo caso la quistione sia trascurabile relativamente; si tratta solo di aver speso male qualche decina di lire. Ti avevo scritto se tra i miei libri di Roma avevi trovato i manuali Berlitz per il tedesco e per il russo. Rispondi che non li hai trovati, ma che hai già scritto alla libreria perché mi siano mandati (hai scritto cioè senza prima domandarmi se li desideravo in questo caso. Ora i manuali Berlitz costano circa 25 lire il volumetto, cioè hai speso 125 lire circa: ne valeva la pena? Assolutamente no. Io sono molto piú avanti dei manuali Berlitz in tutt’e tre le lingue; a parte la speciale compilazione del materiale che è poi elementarissimo). Se avessi potuto avere i miei, per i quali la spesa era già fatta, tanto meglio; ma spendere di nuovo per averli, ciò era completamente inutile, era un «lusso». Ecco un caso in cui, sia pure trascurabile il contenuto, io mi irrito e trovo che il troppo zelo nuoce. Ti sei penetrata del mio modo di pensare? Non bisogna fare cose inutili, che spesso diventano dannose.

Cara, non dispiacerti di queste cose che ti dico. Non ho capito nella tua cartolina del 7 l’osservazione che fai sui fioretti di S. Francesco. Credo che essi possano molto interessare secondo il punto di vista da cui il lettore si colloca e anche secondo l’estensione delle conoscenze sulla storia della cultura del tempo. Artisticamente sono bellissimi, freschi, immediati; essi esprimono una fede sincera e un amore infinito per Francesco, che era ritenuto da molti una nuova incarnazione di dio, una riapparizione del Cristo. Perciò essi sono piú popolari nei paesi protestanti che nei paesi cattolici. Storicamente essi provano che organismo potente fosse la Chiesa cattolica e sia ancora rimasta. Francesco si pose come iniziatore di un nuovo cristianesimo, di una nuova religione, sollevando enorme entusiasmo come nei primi secoli del cristianesimo. La Chiesa non lo perseguitò ufficialmente, perché ciò avrebbe anticipato di due secoli la riforma, ma lo immunizzò, disgregò i suoi discepoli e ridusse la nuova religione a un semplice ordine monastico ai suoi servizi. Se leggi i fioretti per fartene una guida di vita, non ne capisci nulla. Prima della guerra è successo che Luigi Luzzatti pubblicasse nel «Corriere della Sera» un fioretto ritenuto da lui inedito accompagnandolo da una lunga confutazione economico-sociale, cosa da far smascellare dalle risa. Ma oggi nessuno può pensare una cosa simile: neppure i frati francescani, la cui regola è completamente trasformata anche nella lettera e che del resto tra gli ordini religiosi sono decaduti in confronto ai gesuiti, ai domenicani e agli agostiniani, cioè agli elementi religiosi che sono specializzati nella politica e nella cultura. Francesco fu una cometa nel firmamento cattolico; il fermento di sviluppo invece rimase in Domenico (che diede il Savonarola) e specialmente in Agostino dal cui ordine è uscita la riforma prima e il giansenismo piú tardi. S. Francesco non fece della speculazione teologica; cercò di realizzare praticamente i principii del Vangelo; il suo movimento fu popolare finché visse il ricordo del fondatore, ma già in fra Salimbene da Parma, vissuto una generazione dopo, i francescani sono dipinti come dei gaudenti. E non parliamo della letteratura in volgare: Boccaccio è lí per mostrare come l’ordine fosse scaduto nella stima pubblica; tutti i frati del Boccaccio sono francescani.

Carissima, ti ho addirittura fatto una lezioncina di storia della religione. Ma forse cosí gusterai meglio i fioretti. Spero davvero di vederti ristabilita e specialmente piú forte di volontà. Ti abbraccio teneramente.

Antonio


148.

24 marzo 1930

Carissima Tatiana,

sono stato anch’io molto felice di vederti. Felicità relativa, perché vorrei poter fare qualche cosa per indurti efficacemente a curarti e a migliorare la tua salute generale e questo mi è impossibile; le prediche per lettera non servono a nulla, lo comprendo benissimo. Bisognerebbe starti vicino e impiegare mezzi persuasivi come si fa coi bambini (e tu sai che io i sistemi educativi li intendo efficaci con un pizzico di coercizione anche fisica). In ogni modo sono stato contento e realmente pensavo che tu fossi ridotta molto peggio di quello che ti ho trovato. Adesso devi scrivermi almeno ogni due giorni e farmi sapere quando partirai con esattezza. Non c’è peggior cosa che stare nell’incertezza. E poi devi ricordarti di mandarmi l’indirizzo di Roma e poi di Milano. Ricordati che io devo scrivere ogni due lunedí e che se non ho l’indirizzo perdo il turno e una settimana, oltre alla preoccupazione che non mi lascerebbe tranquillo. Come vedi scrivo solamente a te. Ti prego anzi di non domandarmi neanche di scrivere a Giulia, perché mi pare che allora non scriverei neanche piú a te. Non credere che sia arrabbiato; lo ero quattro mesi fa e mi sono sfogato nelle lettere che allora ti ho scritto. Adesso sono diventato indifferente. Mi pare impossibile anche a me di essermi ridotto cosí e mi dispiace, ma è successo ed io sono il meno responsabile, dato che si possa parlare di responsabilità in queste cose. Sono stato in crisi piú di un anno (molto piú) e ho avuto momenti brutti; adesso, come avviene, sono diventato insensibile e non voglio piú guastarmi il sangue e avere delle settimane di maldicapo. Ti prego di non accennare neppure a queste cose, quando mi scriverai. Mandami notizie, se ne ricevi, ma non esortarmi, né farmi delle prediche. Cara Tatiana, tu in questi anni mi hai aiutato enormemente a sopportare il carcere, mi hai aiutato ad abituarmi alla vita che faccio, e ti sono molto grato. Se una cosa qualche volta mi amareggia è il pensare che forse non avrò piú occasione di dimostrarti quanto ti voglio bene e ti sono grato. Tuttavia in queste faccende non desidero che tu ti immischii; te ne prego proprio di cuore. Ogni tuo accenno mi fa molto male. Oramai sono abituato; lascia correre, non attizzare. Penso che tu vorrai mandarmi sempre notizie dei bambini, quando le avrai e quando li vedrai. Mi basta. Ti raccomando l’affare dell’avvocato; non trascurarlo. Esso ha per me specialmente un’importanza psicologica, ma ha un’importanza maggiore di quanto tu possa immaginare. – Ho lasciato nella lettera a mia madre un po’ di spazio perché tu possa scriverle che mi hai visto e che sto abbastanza bene. Ti abbraccio teneramente

Antonio

Scrivi alla libreria che desidererei avere i nn. 6068-6069 della Reclams Universal-Bibliothek, Lohnarbeit und Kapital di Marx.


149.

7 aprile 1930

Carissima Tania,

ho ricevuto ciò che mi hai fatto pervenire. Ho saputo che la penna stilografica ti è stata rimandata; mi sembrava di averti io stesso scritto che le penne stilografiche non si possono avere in nessun caso, ma si vede che poi me ne sono dimenticato. D’altronde tu potevi esserne persuasa per il fatto che ti avevo mandato la mia, con l’orologio e la medaglietta, tutte cose considerate oggetti di valore e che non si possono tenere neppure al magazzino. Anche il famoso sacco credo che non mi potrà servire proprio a nulla; a dire il vero non riesco neppure a immaginare a cosa possa servire in generale; forse per andare a caccia di porcospini? Chissà a cosa pensavi quando l’hai fatto confezionare! Certo però pensavi a farmi qualcosa di utile e di comodo e perciò ti ringrazio anche per questo sacco, oltre che per tutto il resto che mi sarà utilissimo.

Ti sarei grato se mi manderai una lista completa dei libri che ti ho spedito fuori: nel ricostruirla per conto mio ne ho dimenticato qualcuno, perché il conto non mi torna. Vorrei averla perché poi non mi capiti di cercarli inutilmente in mezzo agli altri.

Il Diavolo a Pontelungo è abbastanza «storico» nel senso che realmente accaduti sono l’esperimento della Baronata e l’episodio di Bologna del 1874. Come in tutti i romanzi storici di questo mondo, la cornice generale è storica, non i singoli personaggi e i singoli avvenimenti, uno per uno. Ciò che rende interessante questo romanzo, a parte le notevoli qualità artistiche, è la quasi assenza di acredine settaria dell’autore. Nella letteratura italiana, a parte il romanzo storico del Manzoni, c’è una tradizione essenzialmente settaria in questa specie di produzione, che risale al periodo tra il ’48 e il ’60; da una parte sta il capostipite Guerrazzi, dall’altra il gesuita padre Bresciani. Per il Bresciani tutti i patriotti erano canaglie, vigliacchi, assassini, ecc., mentre i difensori del trono e dell’altare, come allora si diceva, erano tutti angeletti scesi in terra a miracol mostrare. Per il Guerrazzi, si capisce, le parti si invertivano; i papalini erano tutti sacchi di nerissimo carbone, mentre i sostenitori dell’unità e indipendenza nazionali erano tutti purissimi eroi da leggenda. La tradizione si è conservata fino a pochissimo tempo fa, nelle due schiere tradizionali, per la letteratura d’appendice pubblicata a dispense; nella letteratura cosí detta artistica e colta, la parte gesuitica ha avuto il monopolio. Il Bacchelli nel Diavolo a Pontelungo si dimostra indipendente o quasi; il suo umorismo raramente diventa di partito preso, è nelle cose stesse, piú che in un partito preso estraartistico dello scrittore.

Sulla figlia di Costa e della Kulisciof c’è uno speciale romanzo, la Gironda di Virgilio Brocchi, che non so se tu abbia letto. Vale molto poco, è dolciastro, tutto latte e miele, sul tipo dei romanzi di Georges Ohnet. Narra appunto le vicende per le quali Andreina Costa sposa il figlio dell’industriale cattolico Gavazzi e il succedersi dei contatti tra i due ambienti cattolico e materialista e come gli attriti vengono smussati: omnia vicit amor. Virgilio Brocchi è il nostro Ohnet nazionale.

Il libro del d’Herbigny su Soloviov è molto antiquato sebbene solo ora tradotto in italiano. Il d’Herbigny però è un monsignore gesuita di grande capacità; adesso sta a capo della sezione orientale della Curia pontificia, che lavora per il ritorno dell’unità tra cattolici e ortodossi. – Anche il libro su L’Action Française et le Vatican è ormai antiquato: è solo il primo volume di una serie che forse continua ancora, perché il Daudet e il Maurras sono instancabili nel servire in diverse salse le stesse cose: ma appunto per ciò questo volume, come esposizione di principi, può essere ancora interessante. Non so se tu sei riuscita ad afferrare tutta l’importanza storica che il conflitto tra il Vaticano e i monarchici francesi ha per la Francia: esso corrisponde, entro certi limiti, alla riconciliazione italiana. È la forma francese di una conciliazione profonda tra Stato e Chiesa: i cattolici francesi, come massa organizzata nell’Azione Cattolica francese, si scindono dalla minoranza monarchica, cessano cioè di essere la riserva popolare potenziale per un colpo di stato legittimista e tendono invece a formare un vasto partito di governo repubblicano cattolico, che vorrebbe assorbire e assorbirà certamente una notevole parte dell’attuale partito radicale (Herriot e C.i). È stato tipico nel ’26, durante la crisi parlamentare francese, mentre l’«Action Française» preannunziava il colpo di forza e pubblicava i nomi dei futuri ministri che dovevano costituire il governo provvisorio che avrebbe richiamato il pretendente Giovanni IV d’Orléans, il capo dei cattolici accettava di entrare a far parte di un governo di coalizione repubblicana. La livida rabbia di Daudet e Maurras contro il cardinal Gasparri e il nunzio pontificio a Parigi è proprio dovuta alla coscienza acquistata di essere ormai diminuiti politicamente del 90% a dir poco.

Carissima, mi sono sempre dimenticato di scriverti perché mi mandassi alcuni medicinali: le nevralgie che mi sono ritornate me lo fanno ricordare oggi. Vorrei un po’ di aspirina Bayer e un po’ di cachets del dott. Faivre contro l’emicrania. Per dormire non mandarmi nulla, perché mi sono stabilizzato; dormo poco, è vero (3 o 4 ore per notte) ma non mi succede piú di stare 4 o 5 notti senza dormire, di seguito, il che è già un gran progresso.

Ho ricevuto qualche giorno fa una breve lettera di Carlo che mi scrive di pregarti perché risponda a una sua lettera. Il poveretto è molto triste per la sua disoccupazione ed è preoccupato, perché, non avendomi mandato dei soldi da qualche mese, pensa che io sia sprovvisto; scrivigli che ho ancora dei soldi e ne avrò per alcuni mesi ancora. D’altronde potrò scrivergli io stesso fra giorni, perché ci sarà la lettera straordinaria di Pasqua. Carissima, sono contento perché fai, come dici, la cura delle uova. Questo mi pare fondamentale per te; io sono convinto, per esperienza, che una parte notevole del tuo malessere è determinato dallo scarso nutrimento. Devi cercare di aumentare almeno di dieci chili e ridiventare com’eri quando frequentavi l’Università, com’eri come appari in una fotografia che ricordo, presa nella clinica dell’Università, mi pare. Devi proprio fare cosí.

Ti abbraccio teneramente.

Antonio


150.

 

21 aprile 1930

 

Carissima Tania,

nel pomeriggio di Pasqua ho ricevuto il tuo pacco e ho potuto cosí ancora mangiare qualcosa: la famosa «colomba», che aveva intrigato molto, perché si credeva trattarsi di una colomba cotta e la si cercava invano nell’involto. Io ho pensato che tu avevi battezzato «colomba», alla milanese, la ciambella con le uova, che non so come chiamino a Turi e che propriamente non può essere chiamata «colomba», perché questa a Milano ha realmente lo stampo generale di un volatile con le ali distese e qualcosa nel becco a imitazione dell’ulivo, mi pare. In ogni modo, colomba o altro esemplare della fauna meridionale, il biscotto era abbastanza buono e serví a festeggiare la giornata: ed io ti ringrazio di tutto cuore. Come hai passato queste giornate? Sei stata bene e hai potuto uscire ad ammirare «il popolo in festa»? Lo spero. Per me il tempo è passato come sempre, né bene, né male, salva l’emozione che provo sempre quando ricevo qualcosa di fuori, emozione piacevole e confortante propria dell’uomo «animale socievole», quando sente concretamente di appartenere ad una comunità «volontaria» oltre a quella cui è costretto a sottostare come numero di una serie. Carissima, queste giornate umide e nebbiose mi hanno alquanto snervato; non ho proprio voglia di scrivere. Mi preme però ricordarti tre cose:

1° Mio fratello mi ha scritto di aver già ricevuto la sentenza del Tribunale Speciale; ecco dunque che anche tu non dovrai piú preoccupartene. 2° Mi hai scritto che vuoi mandarmi dei preparati per iniezioni. Ti prego di non farlo e di non cercare di discutere in argomento. Sono deciso di non fare in carcere iniezioni ricostituenti e nessuno mi smuoverà. Se riceverò qualcosa, lo farò respingere e non ti accennerò piú nemmeno alla cosa. 3° Scrivi una cartolina alla Libreria, avvertendo che non ho ricevuto il n. 12 del 25 marzo scorso dalla «Rassegna della Stampa Estera», mentre proprio oggi sono arrivati i n. 13 e 14 successivi. Non so se si è perduto un piego raccomandato o se il fascicolo è stato smarrito in altro modo; in ogni modo vorrei che me lo procurassero e inviassero.

Carissima, ti ringrazio nuovamente e ti abbraccio teneramente

Antonio

Se hai voglia scrivi a mia madre che ho ricevuto quanto mi ha mandato e che ho gustato assai il pane sardo, quantunque fosse ormai cosí duro da far sanguinare le gengive: però non aveva sofferto niente per il sapore.