6 Lettere 151 – 180

151.

5 maggio 1930

Carissima Tania,

ti devo fare, prima di tutto, i miei complimenti: mi pare d’averti trovato assai rimessa di salute, relativamente alle volte precedenti. Spero che questi complimenti, però, non ti facciano di nuovo trascurare le tue condizioni generali di vita; dovresti, per qualche mese almeno, mangiare tre uova al giorno oltre i pasti ordinari e cercare di ristabilirti completamente. Ti prego di scrivere a mio fratello, includendo nella lettera quanto segue: 1° Ho ricevuto la sua raccomandata di fine aprile con le 150 lire; al 1° maggio, calcolate anche queste 150 lire, avevo disponibili 400 lire circa. – 2° Ho ricevuto la copia della sentenza del Tribunale speciale e l’estratto di articoli del Codice Penale Militare; questo estratto non mi serve a nulla. Carlo ha equivocato, evidentemente. Avevo domandato copia degli articoli o dell’articolo del Codice di Procedura penale militare che si riferiscono o si riferisce alla revisione. Io non sono stato condannato in base al Codice Penale Militare, ma in base al diritto penale ordinario secondo la procedura militare in tempo di guerra; la procedura solo è quella militare, non gli articoli di reato. D’altra parte non c’è da perderci su il tempo e la pazienza, perché la quistione m’interessa mediocremente. – 3° La legge speciale la possiedo già. – 4° Non desidero piú nessun catalogo; lasci perdere. – 5° Ho ricevuto proprio oggi il volume della Biblioteca Antiquaria Hoepli; ringrazio, ma avverto di non spedirmi piú libri di questo genere, che non mi servono a nulla in carcere; mi fanno solo rimpiangere di non aver seguito gli impulsi degli anni giovanili e di non essere diventato un pacifico topo di biblioteca che si nutre di vecchia carta stampata e produce dissertazioni sull’uso dell’imperfetto in Sicco Polenton. Nel novembre dell’anno scorso avevo detto a Carlo di mandarmi un paio di maglie leggere da estate; mi domanda se per caso tu non hai già pensato a provvedermi. Queste magliette mi sono necessarie, perché anche d’estate non posso fare a meno di avere qualcosa sulla pelle che mi preservi dai raffreddori e le tre che avevo sono andate in pezzi. Decidi tu sul da fare o scrivi qualcosa a Carlo.

Cara Tatiana, ho ricevuto le tue due lettere dopo il colloquio. Vedrai che saprò regolarmi bene. Ho capito benissimo ciò che devo fare. Non mi sarà difficile. D’altra parte mi accorgo sempre piú che la mia lingua sta diventando completamente incomprensibile: dunque bisogna ricorrere al dizionario, dove c’è un’ampia provvista di fossili di conoscenza universale: e poi ho fatto il giornalista per 15 anni e conosco i primi rudimenti del mestiere. Ti prego di prendere atto della mia buona volontà e di non insistere piú oltre su questi tasti. D’altra parte sono meno rinfichisecchito di quanto io stesso voglio credere di essere.

Ti abbraccio teneramente

Antonio


152.

5 maggio 1930

Carissima Giulia,

in un recente colloquio Tatiana mi ha fatto un quadro discretamente buio del tuo stato d’animo e delle tue condizioni di salute. In una lettera precedente mi aveva informato delle malattie che hanno colpito tanto Delio che Giuliano. Mi è sembrato però che la stessa Tatiana sia scarsamente informata e solo per via indiretta e non so che giudizio farmi. Mi sembra spaventosamente lontano il tempo in cui mi assicuravi che non mi avresti mai tenuto nascosto niente riguardo alla salute tua e allo sviluppo dei bambini. Si vede che hai cambiato d’opinione e qualche ragione ci deve essere per questo cambiamento, sebbene io non riesca a immaginarla. Penso che veramente devi stare molto male, devi essere molto stanca. Ma perché non farmi sapere qualche cosa, perché fare aumentare il senso dell’impotenza che già mi viene da tutte le limitazioni di volontà e di libertà a cui sono stato condannato dal Tribunale Speciale per la difesa dello Stato? Se Tatiana non fosse stata in Italia e non mi avesse informato di quando in quando, non so cosa avrei dovuto fare; forse avrei ricorso al consolato. Io penso che tu devi fare un grande sforzo su te stessa e informarmi con molta sincerità e franchezza delle tue condizioni e di quelle dei bambini, senza nascondermi proprio nulla; io sono ridotto in tali condizioni che preferisco ricevere cattive notizie al non ricevere notizie affatto, ciò che mi fa pensare alle cose peggiori.

Aspetto. Ti abbraccio

Antonio


153.

19 maggio 1930

Carissima Tatiana,

ho ricevuto tue lettere e cartoline. Mi ha fatto nuovamente sorridere la curiosa concezione che tu hai della mia situazione carceraria. Non so se tu hai letto le opere di Hegel, che ha scritto «il delinquente aver diritto alla sua pena». Su per giú tu immagini me come uno che insistentemente rivendica il diritto di soffrire, di essere martirizzato, di non essere defraudato neanche di un minuto secondo e di una sfumatura della sua pena. Io sarei un nuovo Gandhy, che vuole testimoniare dinanzi ai superi e agli inferi i tormenti del popolo indiano, un nuovo Geremia o Elia o non so chi altro profeta d’Israello che andava in piazza a mangiare cose immonde per offrirsi in olocausto al dio della vendetta, ecc. ecc. Non so come ti sei fatta questa concezione, che è molto ingenua nei tuoi rapporti personali e abbastanza ingiusta nei tuoi rapporti verso di me, ingiusta e inconsiderata. Ti ho detto che io sono eminentemente pratico; io penso che non capisci ciò che io voglia dire con questa espressione, perché non fai nessuno sforzo per metterti nelle mie condizioni (probabilmente quindi io ti dovrò apparire come un commediante o che so io). La mia praticità consiste in questo: nel sapere che a battere la testa contro il muro è la testa a rompersi e non il muro. Molto elementare, come vedi, eppure molto difficile a capire per chi non ha mai dovuto pensare di poter sbattere la testa contro il muro, ma ha sentito dire che basta dire: apriti Sesamo! perché il muro si apra. Il tuo atteggiamento è inconsapevolmente crudele; tu vedi uno legato (veramente non lo vedi legato e non sai rappresentarti il legame) che non vuol muoversi perché non può muoversi. Tu pensi che non si muove perché non vuole (non vedi che, per aver voluto muoversi, i legami gli hanno già rotto le carni) e allora giú a sollecitarlo con delle punte di fuoco. Cosa ottieni? Lo fai contorcere e ai legami che già lo dissanguano aggiungi le bruciature. – Questo quadro orripilante da romanzo d’appendice sull’Inquisizione di Spagna penso bene che non ti persuaderà e che tu continuerai; e siccome i bottoni di fuoco sono anch’essi puramente metaforici, avverrà che io continuerò a seguire la mia «pratica», di non sfondare le muraglie a colpi di testa (che mi duole già abbastanza per sopportare simili sports) e di mettere da parte quei problemi per risolvere i quali mancano gli elementi indispensabili. Questa è la mia forza, la mia sola forza e proprio questa tu mi vorresti togliere. D’altronde è una forza che non si può dare ad altri, purtroppo; la si può perdere, non la si può regalare né trasmettere. Tu, penso, non hai riflettuto abbastanza al caso mio e non sai scomporlo nei suoi elementi. Io sono sottoposto a vari regimi carcerari: c’è il regime carcerario costituito dalle quattro mura, dalla grata, dalla bocca di lupo, ecc. ecc.; – era già stato da me preventivato e come probabilità subordinata, perché la probabilità primaria dal 1921 al novembre 1926, non era il carcere, ma il perdere la vita. Quello che da me non era stato preventivato era l’altro carcere, che si è aggiunto al primo ed è costituito dall’essere tagliato fuori non solo dalla vita sociale, ma anche dalla vita famigliare ecc. ecc.

Potevo preventivare i colpi degli avversari che combattevo, non potevo preventivare che dei colpi mi sarebbero arrivati anche da altre parti, da dove meno potevo sospettarli (colpi metaforici, s’intende, ma anche il codice divide i reati in atti e omissioni; cioè anche le omissioni sono colpe o colpi). Ecco tutto. Ma ci sei tu, dirai tu. È vero, tu sei molto buona e ti voglio molto bene. Ma queste non sono cose in cui valga la sostituzione di persona e poi, ancora, la cosa è molto, molto complicata e difficile a spiegarsi completamente (anche per la quistione delle muraglie non metaforiche). Io, a dire il vero, non sono molto sentimentale e non sono le quistioni sentimentali che mi tormentano. Non che sia insensibile (non voglio posare da cinico o da blasé); piuttosto anche le quistioni sentimentali mi si presentano, le vivo, in combinazione con altri elementi (ideologici, filosofici, politici, ecc.) cosí che non saprei dire fin dove arriva il sentimento e dove incomincia invece uno degli altri elementi, non saprei dire forse neppure di quale di tutti questi elementi precisamente si tratti, tanto essi sono unificati in un tutto inscindibile e di una vita unica. Forse questa è una forza; forse è anche una debolezza, perché porta ad analizzare gli altri allo stesso modo e quindi forse a trarre conclusioni errate. Ma non continuo, perché sto scrivendo una dissertazione e a quanto pare è meglio non scrivere nulla che scrivere delle dissertazioni.

Carissima Tatiana, non preoccuparti tanto delle magliette; quelle che ho mi possono fare aspettare quelle che mi manderai. Non mandarmi il termos oppure, mandamelo solo dopo aver avuto alla direzione la certezza che mi sarà consegnato; per averlo in magazzino, è meglio non averlo. La signora Pina abita proprio in via Montebello 7, non credo che debba venire per ora, anzi lo escludo. Ti manderò fuori un altro po’ di libri e due camicie sbrindellate. – Scrivi a mia madre salutandola da parte mia e assicurandola che sto abbastanza bene.

Ti abbraccio teneramente.

Antonio


154.

2 giugno 1930

Carissima Tatiana,

ho ricevuto le magliette che mi hai mandato e ti ringrazio. Non ho altra biancheria sciupata da mandarti oltre le due camicie che hai ricevute; anche queste si sono strappate proprio in queste ultime settimane; erano molto ragnate, ma senza sbrindelli, come tu stessa puoi assicurarti osservandole. Non aspettare perciò nulla; le tue virtú di rammendatrice non avranno un oggetto per manifestarsi, per questa volta almeno. Ho ricevuto anche le tue due lettere del 24 e del 31 maggio. Tu sbagli di molto se credi che io «debba compatirti perché ti sei decisa a non nascondermi nulla», o quando scrivi che «la tua sincerità ti costringe ad essere crudele nel non nascondermi la verità». Mi pare invece che tu sia stata molto piú crudele ad attendere tre anni per scrivermi certe notizie. Ma non ti rimprovero: ho rinunziato a capire qualche cosa, poiché mi sono convinto che, per una ragione o per l’altra, non riuscirò mai ad avere elementi sufficienti per capire qualche cosa. Le cartoline di tuo papà, che mi trascrivi, mi hanno appunto persuaso di ciò.

Carissima, voglio scriverti di una quistione che ti farà arrabbiare o ti farà ridere. Sfogliando il piccolo Larousse mi è ritornato alla memoria un problema abbastanza curioso. Da bambino io ero un infaticabile cacciatore di lucertole e di serpi, che davo da mangiare a un bellissimo falco che avevo addomesticato. Durante queste caccie nelle campagne del mio paese (Ghilarza), mi capitò tre o quattro volte di trovare un animale molto simile al serpe comune (biscia), solo che aveva quattro zampette, due vicino alla testa e due molto lontane dalle prime, vicino alla coda (se si può chiamare cosí): l’animale era lungo 60-70 centimetri, molto grosso in confronto della lunghezza, la sua grossezza corrisponde a quella di una biscia di 1 metro e 20 o un metro e 50. Le gambette non gli sono molto utili, perché scappava strisciando molto lentamente. Al mio paese questo rettile si chiama scurzone, che vorrebbe dire scorciato (curzu vuol dire corto) e il nome si riferisce certamente al fatto che sembra una biscia scorciata (bada che c’è anche l’orbettino, che alla poca lunghezza unisce la proporzionata sottigliezza del corpo). A Santu Lussurgiu dove ho fatto le tre ultime classi del ginnasio, domandai al professore di Storia Naturale (che veramente era un vecchio ingegnere del luogo) come si chiamasse in italiano lo scurzone. Egli rise e mi disse che era un animale immaginario, l’aspide o il basilisco, e che non conosceva nessun animale come quello che io descrivevo. I ragazzi di Santu Lussurgiu spiegarono che nel loro paese scurzone era appunto il basilisco, e che l’animale da me descritto si chiamava coloru (coluber latino), mentre la biscia si chiamava colora al femminile, ma il professore disse che erano tutte superstizioni da contadini e che biscie con le zampe non ne esistono. Tu sai come faccia rabbia a un ragazzo sentirsi dar torto quando invece sa di aver ragione o addirittura essere preso in giro come superstizioso in una quistione di cose reali; penso che a questa reazione contro l’autorità messa a servizio dell’ignoranza sicura di se stessa è dovuto se ancora mi ricordo l’episodio. Al mio paese poi non avevo mai sentito parlare delle qualità malefiche del basilisco-scurzone, che però in altri paesi era temuto e circondato di leggende. – Ora appunto nel Larousse ho visto nella tavola dei rettili un sauriano, il seps, che è appunto una biscia con quattro zampette (il Larousse dice che abita la Spagna e la Francia meridionale, è della famiglia degli scincidés il cui rappresentante tipico è lo scinque (forse il ramarro?) La figura del seps non corrisponde molto allo scurzone del mio paese: il seps è una biscia regolare, sottile, lunga, proporzionata, e le zampette sono attaccate al corpo armonicamente; lo scurzone invece è un animale repellente: la sua testa è molto grossa, non piccola come quella delle biscie; la «coda» è molto conica; le due zampette d’avanti sono troppo vicine alla testa, e sono poi troppo lontane dalle zampe di dietro; le zampe sono bianchiccie, malsane, come quelle del proteo e dànno l’impressione della mostruosità, dell’anormalità. Tutto l’animale, che abita in luoghi umidi (io l’ho sempre visto dopo aver rotolato grossi sassi) fa un’impressione sgraziata, non come la lucertola e la biscia, che a parte la repulsione generica dell’uomo per i rettili, sono in fondo eleganti e graziose. Vorrei ora sapere dalla tua sapienza di storia naturale, se questo animale ha un nome italiano e se è noto che in Sardegna esiste questa specie che deve essere della stessa famiglia del seps francese. È possibile che la leggenda del basilisco abbia impedito di ricercare l’animale in Sardegna; il professore di Santu Lussurgiu non era uno stupido, tutt’altro, ed era anche molto studioso; faceva collezioni mineralogiche ecc., eppure non credeva che esistesse lo «scurzone» come realtà molto pedestre, senza alito avvelenato e occhi incendiari. Certo questo animale non è molto comune: io l’ho visto non piú di una mezza dozzina di volte e sempre sotto dei massi, mentre biscie ne ho viste a migliaia senza bisogno di muovere sassi.

Cara Tatiana, non arrabbiarti troppo di queste mie divagazioni.

Ti abbraccio teneramente.

Antonio


155.

16 giugno 1930

Carissima Tatiana,

ho avuto poco fa il colloquio con mio fratello e ciò ha determinato un corso a zig-zag dei miei pensieri. È stata davvero una novità straordinaria, alla quale non ero neanche minimamente preparato: non avrei creduto possibile di rivedere mio fratello a Turi. Sono stato molto contento, anche perché con Gennaro sono stato molto piú amico che col resto della famiglia. Intanto però non so cosa scrivere a te. Mi accontenterò di qualche cosettina. Da Gennaro ho saputo che mangi veramente poco: egli ne è rimasto colpito e spontaneamente me ne ha accennato (non c’è stata malizia alcuna da parte mia e non l’ho neanche interrogato in proposito: quindi il suo giudizio ha molta importanza: – tu mangi cosí pochino, che dài subito nell’occhio e ciò è molto grave). Bisogna cambiare e curarsi, per avere il diritto di far le prediche a me.

Una cosa che mi ha fatto molto ridere nell’ultima tua cartolina è la tua affermazione di sapere che io ci tengo a che mi si facciano gli auguri per il mio onomastico. Non so chi ti abbia rivelato questo segreto che tenevo accuratamente nascosto nelle piú intime latebre del piú profondo subcosciente; tanto nascosto e tanto segreto che dall’età di sei anni non sapevo neppure piú di custodire (solo fino ai sei anni ho ricevuto dei regali per il mio onomastico). Ho paura che tu scoprirai chissà quale altra mia piaga nascosta: forse quella di farmi frate trappista o di inscrivermi alla Compagnia di Gesú. (Un solo segreto desiderio io ti voglio rivelare, che mi ha sempre tormentato, che non sono mai riuscito a soddisfare e che forse, ahimè, non soddisferò mai: quello di mangiare una frittura mista di rognoni e di cervello di babirussa e di rinoceronte!) Cara Tatiana, in ogni modo ti ringrazio degli auguri, con la semplice avvertenza che il Sant’Antonio che mi protegge non è quello di giugno, ma quello di gennaio, accompagnato dalla specie europea del babirussa. (Purtroppo il babirussa abita solo nelle isole della Sonda e quindi è molto difficile da procurare, specialmente sotto la forma di cervello e rognoni freschi).

Vorrei che mi facessi inviare dalla Libreria due libricini: 1° Benedetto Croce – Alessandro Manzoni – Laterza editore, Bari – 2° Albert Mathiez – La Révolution Française, Tome III. La Terreur – Collection Armand Colin – presso lo stesso editore, Parigi (avverti che desidero solo questo terzo volumetto, perché i primi due li ho già).

Carissima Tatiana, ti ringrazio tanto delle notizie che mi hai ancora mandato.

Ti abbraccio teneramente.

Antonio

Avvertimi con esattezza della tua partenza da Turi.


156.

14 luglio 1930

Carissima Tatiana,

ho ricevuto tutte le tue lettere, le lettere di Giulia e la fotografia. Non mi hai, però, dato notizie del tuo viaggio. Ti sei fermata a Bari? Hai consultato l’oculista e che cosa ti ha detto? Tutte queste informazioni mi interessano molto: vorrei sperare, davvero, che ti decida a curare seriamente la tua salute, ma ci credo poco; avresti bisogno di un vero e proprio «aguzzino» che ti costringesse a nutrirti in modo soddisfacente, anche con l’uso di mezzi coercitivi e di vie di fatto (tiratine di capelli, ecc.) – ma non vedo come ciò possa avvenire: forse io solo sarei capace di esercitare in modo efficiente questa professione, combinando in giusta misura la spietatezza fredda e la persuasione affettuosa. Dovresti proprio impegnarti solennemente con me (con prestazione della parola d’onore) di prendere ogni mattino tre tuorli d’uovo sbattuti nello zucchero col caffè caldo e in ogni lettera assicurarmi d’aver rispettato l’impegno. Lo vuoi fare? Sembra una cosa da ridere, eppure credo che sarebbe forse una cosa molto seria.

In questi ultimi giorni c’è stata una piccola novità reale. Mi è stato comunicato il condono di un anno, quattro mesi e cinque giorni di pena: la pena complessiva è cosí ridotta a 19 anni sani e il giorno della scarcerazione dal 25 maggio 1947, è stato portato al 20 gennaio 1946. Nell’avviso si accennava a una declaratoria del Tribunale Speciale del maggio 1930 in dipendenza del decreto del 1° o 2 gennaio che si riferisce alla misura presa in occasione del matrimonio del principe ereditario. Come vedi si tratta di una novità vera e propria, perché ormai era radicata la persuasione che il decreto del gennaio non si applicasse ai condannati del Tribunale Speciale: invece si è avuto il condono ed io, come molti altri, non ho avuto un anno, ma bensí un anno, quattro mesi e cinque giorni. Come si spiega tutto ciò? Io lo spiego cosí: nelle condanne inflitte per supposti reati commessi prima della legge speciale e quindi giudicati col vecchio codice Zanardelli, i capi di imputazione sono parecchi: io avevo sei capi di imputazione che portavano complessivamente 31 anni e 8 mesi tra reclusione e detenzione, ridotti per il cumulo giuridico a 20 anni, 4 mesi e 5 giorni. Penso che il tribunale ha applicato il decreto del condono di un anno, a tre o quattro e forse cinque capi di imputazione, rifacendo quindi il calcolo del cumulo giuridico in modo che si ebbe la detrazione dei 16 mesi e 5 giorni. – Ti ho scritto tutto ciò perché sono molto curioso di sapere se la mia ipotesi è giusta e a quali capi d’imputazione è stato applicato il condono. Vuoi informarti? Appena ti sei rimessa, potresti recarti forse alla cancelleria del Tribunale e domandare questi schiarimenti: non so se ci sia altro mezzo. Forse potresti domandarlo a Piero.

Ti prego di farmi mandare dalla libreria questo libro: P. Louis Rivière L’après-guerre: dix ans d’histoire (1919-1929) Parigi, editore Ch. Lavauzelle et Cie – Informami proprio se decidi di prendere i tre tuorli al caffè quotidiani (devono proprio essere tre, perché capiterà spesso che in tutto il giorno non mangerai altro). Te lo farò dire anche da Gennaro che forse ai primi dell’altra settimana andrà a Roma.

Ti abbraccio affettuosamente.

Antonio


157.

14 luglio 1930

Carissima Giulia,

un piccolo calcolo di contabilità… epistolare, come introduzione: – in questa prima quindicina di luglio ho ricevuto quattro tue lettere, una datata del 24 dicembre 29, una del 5 febbraio 30 e due recentissime, del giugno; anteriormente avevo ricevuto una lettera nel dicembre 29 datata del 15 novembre e prima ancora una lettera del giugno. Ciò significa che dal luglio 29 al luglio 30, un anno, avevo solo ricevuto una tua lettera. Queste pure constatazioni di fatto sono alla base di tutta una superstruttura psicologica che mi guarderò bene dal descrivere: certo questo anno non è passato senza lasciare parecchie traccie su di me. Ho spesso ricordato in questo tempo uno strano tipo che ho conosciuto in tempo di guerra, non privo di un certo talentaccio perché ha finito con l’inventare un cavallino meccanico che muoveva le gambe e camminava come un cavallo vivo: egli voleva seriamente che io mi sottoponessi in sua compagnia a questo esercizio destinato a renderci invulnerabili: spararsi addosso metodicamente, centimetro per centimetro di pelle, dei colpi di pistola, caricando la pistola gradatamente da dosi minime alle dosi normali. Io mi guardai bene dall’accettare e quindi non ho potuto fisicamente immunizzare la pelle; ma ho acquistato la persuasione in questi ultimi mesi di aver immunizzato la pelle, dirò cosí, morale, o sentimentale o psicologica; sono stato un po’ ossessionato, è vero, ma poi sono caduto in uno stato di completa ottusità e insensibilità, che ancora dura un po’. Sono contento di aver ricevuto le tue quattro lettere e le fotografie, tuttavia esse mi hanno lasciato l’impressione che hai attraversato una crisi grave e che non l’hai superata ancora: anche la fotografia mi ha lasciato questa impressione. Tu hai ricordato la piccola fotografia in cui ti trovavo una espressione «guerresca», ebbene, questa mi richiama le fotografia con l’espressione «dolce e mite» con in piú qualcosa di nuovo, non so se doloroso o rassegnato. Questo mi impressiona. Forse, è vero, basterebbe poco per far cambiare tutto questo, ma questo «poco» è incredibilmente difficile e moltissimo: basterebbe una carezza sulla fronte. Eppure io sono convinto e nonostante le impressioni che ho avuto, ho rafforzato questa convinzione, che tu ignori te stessa e le riserve di energia che hai in te e che le tue crisi di debolezza e di depressione sono dovute proprio a questo. Perciò penso che devi scrivermi di piú: non solo per me (naturalmente anch’io sarei molto contento, ti pare?) ma anche per te. Mi pare che tu ti affligga perché scrivi poco e per questa afflizione scriva ancor meno e cosí via, tormentandoti in scala crescente. Dovresti scrivermi di piú e con maggiore ardire. Ciò che scrivi dei bambini è interessante e caratteristico (scegli molto bene i tratti che mi possono piacere) ma non mi dà l’idea di uno sviluppo, di un arricchimento progressivo della loro piccola vita di uomini in formazione, della formazione in loro di una embrionale concezione del mondo. Il mio accenno alla carta geografica aveva solo questo significato e non era affatto pedantesco, sebbene io creda che coi bambini, finché la personalità sia giunta a un certo grado di sviluppo, un po’ di pedanteria sia necessaria e indispensabile. Di solito avviene, almeno nei nostri paesi, che la pedanteria viene invece esercitata piú tardi, proprio quando è dannosa, dai 12 ai 16 anni, salvo a non curarsene; ma allora si hanno i ragazzi «fuori legge». Ti ho scritto un po’ arruffatamente, sotto l’impressione delle tue tante lettere ultime. Devi proprio sentire come se io ti abbracciassi stretta stretta insieme con Delio e Giuliano e sorridendo ti accarezzassi la fronte

Antonio


158.

28 luglio 1930

Carissima Tania,

non ho potuto fare a Gennaro la commissione di cui mi scrivesti, perché la tua cartolina mi fu consegnata dopo il colloquio. A questo proposito; sarà bene tener presente il giorno in cui io potrò scriverti; d’ora innanzi dovrò limitarmi sempre a una lettera al mese e tu dovrai badare a scrivermi le cose che domandano risposta in modo che io non debba rimandare la risposta d’un mese. Gennaro vuole che qualche volta scriva anche a lui e potrò farlo solo dedicandogli mezzo foglio della lettera che scrivo a casa.

Sono contento dei tuoi proponimenti di nutrirti in modo conveniente: è la base di tutta la tua condizione di salute. Devi proprio impegnarti a fare ciò che ti ho raccomandato, senza cavillare sulle uova che sono pesanti e che so io. Tu cerchi sempre l’ottimo e naturalmente finisci col non far niente: è una forma tipica di abulia quella che consiste nel manifestare fermissimi propositi che poi non trovano mai l’«ottimo» in cui realizzarsi. – È molto increscioso che non abbia potuto approfittare del viaggio di Piero per farti accompagnare, ma temo che dovrai lasciar passare anche qualche altra buona occasione, se non ti rimetterai in condizione di poter viaggiare senza pericolo. Non so perché ti preoccupi delle dogane, dei visti ecc. Tutto ciò è un’inezia, perché basta che tu abbia con te un sacco o una valigetta con gli oggetti necessari per il viaggio stesso: i bagagli si fanno impiombare alla frontiera di partenza e viaggiano con te fino alla frontiera d’arrivo senza altro disturbo che di consegnare lo scontrino a un träger alle stazioni capolinea per il trasbordo da un treno all’altro: alla dogana presenti solo, cosí, ciò che hai con te personalmente, che non domanda gran lavoro, perché i doganieri possono solo domandare di vedere se non ci siano gioielli. Ti scrivo questo per convincerti che la sola difficoltà è la tua salute e null’altro: tutto dipende dalla tua buona volontà e dalla tua perseveranza; ma se non incomincerai una buona volta, non sarai mai pronta né disposta. Hai capito? Niente cavilli, niente cause o difficoltà estranee ecc. ecc. Tu stessa sei l’alfa e l’omega della tua vita e della tua libertà di movimento. – Carissima, devi proprio esser brava e non farmi stare sempre col rimorso che per causa mia non puoi fare ciò che piú ti piacerebbe. Ti abbraccio teneramente

Antonio

Spedisci a mia madre la parte che le spetta.


159.

28 luglio 1930

Carissima mamma,

le due piccole fotografie che mi ha portato Nannaro mi sono molto piaciute: anche se tecnicamente non ben riuscite, riescono a dare una impressione abbastanza immediata della tua fisionomia e della tua espressione. Mi pare che, nonostante i tuoi anni e tutto il resto, tu ti sei mantenuta assai giovane e forte: devi avere pochi capelli bianchi e la tua espressione è molto vivace anche se un po’, come dire?… matronale. Scommetto che potrai ancora vedere i pronipoti e vederli già grandetti; proprio vogliamo fare una grande fotografia, un giorno avvenire, dove saremo tutte le generazioni e tu nel mezzo a mettere ordine. Mea è molto cresciuta, ma è sempre ancora molto… spabaiada. Nannaro, da ciò che gli avete scritto, aveva creduto che sua figlia fosse chissà quale mostro di sapienza e di genialità. Da ciò dipende che è passato all’estremo opposto e ha dimenticato che la bambina ha ancora solo 9 o 10 anni. Però un po’ di ragione ce l’ha, specialmente quando osserva che noi a quell’età eravamo piú maturi e piú sviluppati intellettualmente. Questo colpisce anche me. Mi pare che Mea sia troppo puerile per la sua età, anche per la sua età, che non abbia altre ambizioni che quella di fare belle figure apparenti e che non abbia vita interiore, che non abbia bisogni sentimentali che non siano piuttosto animaleschi (vanità, ecc.). Forse voi l’avete viziata troppo e non l’avete costretta a disciplinarsi. È vero che anch’io o Nannaro o gli altri, non siamo stati costretti a disciplinarci, ma l’abbiamo fatto da noi stessi. Io ricordo che all’età di Mea sarei morto di vergogna se avessi fatto tanti errori di ortografia; ti ricordi quanto leggevo fino a tarda ora e a quanti sotterfugi ricorrevo per procurarmi dei libri. E anche Teresina era cosí, sebbene fosse anch’essa una bambina come Mea e fosse certamente anche più graziosa fisicamente. Vorrei sapere cosa ha letto Mea finora: mi pare, da ciò che scrive, che non deve leggere altro che i libri di scuola. Insomma, dovete cercare di abituarla a lavorare con disciplina e a restringere un po’ la sua vita «mondana»: meno successi di vanità e piú serietà di sostanza. Fammi scrivere da Mea e dille che mi racconti la sua vita, ecc. Baci a tutti. Ti abbraccio teneramente.

Antonio


160.

11 agosto 1930

Carissima Tatiana,

mi scrivi che hai parlato già della domanda che ho deciso di fare da un pezzo, ma che poi ho dovuto rimandare e che in quest’ultimo tempo non ho avuto voglia di scrivere perché abbrutito letteralmente dal non dormire e dal caldo; vuol dire che farò un «grande» sforzo in questi giorni e la scriverò. Ancora non ho riacquistato l’equilibrio, sebbene da qualche notte dorma un po’: mi viene una specie di afasia psichica, che si manifesta con l’impossibilità di concentrare l’attenzione, con la difficoltà di connettere dei concetti e fino con la difficoltà di trovare le parole materiali e di ricordare da un attimo all’altro le cose piú comuni. Non è una cosa grave: conosco di che si tratta, perché già altre volte ho avuto di queste crisi anche in forma peggiore.

Da mio fratello Gennaro ho ricevuto una lettera da Namur, mentre era ancora in viaggio, il 22 luglio, poi più nulla. Mi pare difficile che non mi abbia scritto qualche altra volta e dubito che ci sia stata qualche dispersione. Tu hai il suo indirizzo e puoi scrivergli? Dovresti avvertirlo del fatto e aggiungere che la sua lettera da Namur era abbondantemente censurata, perché sappia regolarsi.

Mi dispiace che sia andata ad abitare dal vecchio Isacco: è un ambiente troppo depresso e deprimente. Spero che non perderai quel poco di forza di volontà che parevi aver riacquistato e che continuerai la cura intensiva delle uova. Sai che mi ha fatto ridere un tuo accenno al fatto che hai «sempre fame»? Ne parli come se si trattasse di una malattia e non di un segno di sanità. È un punto di vista che i napoletani hanno spiritosamente incarnato nella figura di monsignor Perrelli e delle cure che egli aveva dei suoi cavalli per guarirli dalla malattia della fame. Ma almeno monsignor Perrelli voleva guarire i suoi cavalli e non applicò a se stesso il regime dell’astinenza! Tu invece pare non abbia ancora imparato che mangiando non si ha piú fame: davvero è strabiliante un tal modo di procedere verso se stessi. Dovrei estendere il tuo menu quotidiano e oltre ai tre tuorli d’uovo «importi» qualche cosa altro di fisso: ma ciò sarebbe esagerato davvero e poi non saprei cosa consigliarti, perché non so come hai organizzato la tua vita, se mangi a casa, se sei a dozzina ecc. Informami, ti prego. Voglio almeno esercitare su di te tutta la pressione morale possibile, perché mi pare di essere responsabile verso tua madre delle tue condizioni di salute. – Sai che è stata pubblicata la continuazione delle avventure di padre Brown? Il libro è uscito presso la casa editrice «Alpes» di Milano e si intitola La saggezza di padre Brown; ti informo perché il primo volume, mi pare, ti era piaciuto molto e se nel primo il padre Brown era ingenuo mentre nel secondo è saggio chissà quali progressi avrà fatto la sua capacità di induzione e di introspezione psicologica. Cara Tania, ti abbraccio teneramente

Antonio


161.

11 agosto 1930

Carissima Giulia,

non ho proprio voglia di scriverti una lettera, ma ti voglio solo salutare. Tania mi ha scritto che ti sei già recata nella casa di riposo; spero che ti rafforzerai e che ti rimetterai rapidamente in grado di riprendere la tua attività. Scrivimi che significato esatto assume o può assumere per i bambini la registrazione che essi hanno un anno di piú di età. Io non so quale forma voi diate a questa ricorrenza e quale forza stimolante ed energetica praticamente se ne possa ritrarre. Realmente non so nulla di tutto il sistema di educazione, e ciò mi interesserebbe moltissimo. Tania mi ha scritto che l’amico Piero avrebbe portato dei regali per Delio: dimmene qualche cosa. Ti ricordi quella palla di celluloide mezzo riempita d’acqua e coi cigni galleggianti che Delio aveva a Roma? Essa era un regalo di Piero, ma ricordo che Delio s’interessava specialmente a volerla aprire, cioè a distruggerla come giocattolo, ciò che dimostra che non era molto rispondente al fine. Scrivimi del tuo riposo e di tante altre cose. Ti abbraccio.

Antonio


162.

25 agosto 1930

Carissimo Carlo,

ho ricevuto la tua assicurata con le 250 lire e poco fa ho ricevuto la tua lettera del 23: qualche giorno fa ho ricevuto una lettera di Mamma e di Mea. Come ho scritto a Tatiana ho ricevuto da Nannaro una lettera da Namur del 22 luglio e poi piú nulla: vorrei solo che tu lo informassi del fatto per il caso in cui egli abbia scritto e la lettera sia andata dispersa. Per ciò che riguarda Mea, mi pare che tu non abbia ragione. Poiché la quistione è importante e può decidere di tutto l’avvenire della ragazza, ti esprimo ancora qualche mia osservazione. Io ho tenuto conto dell’ambiente in cui essa vive, naturalmente, ma l’ambiente non giustifica nulla: mi pare che tutta la nostra vita sia una lotta per adattarci all’ambiente ma anche e specialmente per dominarlo e non lasciarcene schiacciare. L’ambiente di Mea siete prima di tutto voi di costà, poi i suoi amici, la scuola, e poi tutto il paese coi suoi Cozzoncu, con le sue zie Tane e Zuanna Culemantigu, ecc. ecc. Da quali sezioni di quest’ambiente Mea riceverà gli impulsi per le sue abitudini, i suoi modi di pensare, i suoi giudizi morali? Se voi rinunziate ad intervenire ed a guidarla, usando dell’autorità che viene dall’affetto e dalla convivenza famigliare facendo pressione su di lei, in modo affettuoso ed amorevole ma tuttavia rigido e fermo inflessibilmente, avverrà senza alcun dubbio che la formazione spirituale di Mea sarà il risultato meccanico dell’influsso casuale di tutti gli stimoli di quest’ambiente: cioè all’educazione di Mea contribuirà zia Tana come Cozzoncu, ziu Salomone e tiu Juanni Bobbai ecc., (cito questi nomi come simboli, perché immagino che se questi tipi sono morti, ne esisteranno altri di equivalenti). Un errore che si fa di solito nel tirar su i ragazzi mi pare sia questo (tu puoi pensare a te stesso e poi giudicare se ho ragione): non si distingue che nella vita dei ragazzi ci sono due fasi molto distinte, prima e dopo la pubertà. Prima della pubertà la personalità del ragazzo non si è ancora formata ed è piú facile guidare la sua vita e fargli acquistare determinate abitudini di ordine, di disciplina, di lavoro: dopo la pubertà la personalità si forma in modo impetuoso e ogni intervento estraneo diventa odioso, tirannico, insopportabile. Ora avviene appunto che i genitori sentono la responsabilità dei figli proprio in questo secondo periodo, quando è tardi: allora naturalmente entra in iscena il bastone e la violenza, che poi danno ben pochi frutti. Perché non occuparsi del ragazzo nel primo periodo, invece? Sembra poco, ma l’abitudine di star seduti a tavolino 5-8 ore al giorno è una cosa importante, che si può far acquistare con le buone fino ai 14 anni, ma in seguito non si può piú. Per le donne mi pare sia lo stesso, e forse peggio, perché la pubertà è una crisi molto piú grave e complessa che negli uomini: con la vita moderna e la relativa libertà delle ragazze, la quistione è ancora aggravata. Io ho l’impressione che le generazioni anziane hanno rinunziato a educare le generazioni giovani e che queste commettono lo stesso errore; il clamoroso fallimento delle vecchie generazioni si riproduce tale e quale nella generazione che adesso sembra dominare. Pensa un po’ a ciò che ho scritto e rifletti se non sia necessario educare gli educatori.

Per ciò che riguarda le domande da fare per i libri di Trotzky, forse è meglio davvero che faccia tu la pratica. Ecco come dovrà porsi la quistione. Vorrei mi si concedesse la lettura: 1° dei libri di Trotzky scritti dopo la sua espulsione dalla Russia, cioè della sua autobiografia tradotta anche in italiano e stampata dalla Casa editr. Mondadori e di questi altri due: La Révolution défigurée e Vers le capitalisme ou vers le socialisme, (questi due li possiedo già ma ci vuole un’autorizzazione perché mi siano consegnati). 2° il libro del Fülöp Miller – Il volto del bolscevismo – tradotto in italiano con prefazione di Curzio Malaparte, attuale direttore della «Stampa» di Torino e noto fascista della prima ora. 3° questi libri che possiedo già e che per ragioni da me insindacabili non mi saranno concessi senza autorizzazione: 1° Mino Maccari – Il trastullo di Strapaese (è un canzoniere fascista: il Maccari era il capo dei fascisti di Colle Valdelsa ed ora è redattore capo della «Stampa») – Giuseppe Prezzolini – Mi pare (è una raccolta di articoli sulla moda, sulle librerie, ecc.): il libro è stato stampato a Firenze da Arturo Marpicati, attuale segretario e cancelliere dell’Accademia d’Italia; il Prezzolini è il direttore della Sezione italiana dell’Istituto di Cooperazione intellettuale e suo superiore immediato è proprio l’on Rocco, Ministro della Giustizia – 3° Maurice Muret – Le crépuscule des nations blanches (Il Muret è uno scrittore svizzero molto amico dell’Italia: compila molte rubriche di letteratura italiana in giornali e riviste francesi e svizzere: il libro tratta della quistione coloniale) – 4° Petronio Arbitro – Satyricon (è uno dei capolavori della lett. latina: ho fatto un corso di due anni di università su questo libro e lo ricordo a memoria in gran parte ancora: contiene delle oscenità come tutti i libri latini e greci, ma io non faccio collezioni di libri osceni) – 5° Krassnoff – Dall’aquila imperiale alla bandiera rossa (è un romanzo dell’ex generale dei cosacchi Krassnoff, ora emigrato zarista a Berlino: è stampato dall’editore Salani coi romanzi di Carolina Invernizio) – 6° Heinrich Mann – Le sujet (è un romanzo tedesco del tempo di Guglielmo II) – 7° Jack London – Le memorie di un bevitore (non lo conosco ma dev’essere un romanzo di avventure di marinai e di minatori dell’Alaska) – 8° Oscar Wilde Il fantasma di Canterville ecc. (sono tre novelle umoristiche contro lo spiritismo e le storie inglesi sui fantasmi). Scrivimi ciò che farai. Abbraccia tutti di casa. Cordialmente

Antonio


163.

22 settembre 1930

Carissima mamma,

ho ricevuto a suo tempo l’assicurata di Carlo con duecento lire. Non sto male e non ho avuto nessuna malattia, l’assenza di lettere è stata determinata da altre cause. Non ho ricevuto la lettera di Nannaro che Carlo mi ha annunziato. Spero veramente, come mi scrive Carlo, che riesca finalmente a farti curare in modo energico: sai, penso sempre che tu ti fidi troppo della tua robustezza passata, quando non avevi quasi mai delle malattie, e che perciò non sei troppo assidua nel seguire i consigli dei medici e ti trascuri. Carlo e Grazietta dovrebbero costringerti a curarti e non lasciarti stancare, anche a costo di legarti alla sedia. Ma Grazietta non dev’essere molto energica e anche Carlo si lascerà commuovere e cosí tu continuerai forse a stare dinanzi ai fornelli e poi magari uscire nel cortile anche se sei riscaldata ecc. Ah! Peppina Marcias, ci vorrebbe un figlio come me vicino per farti fare le cure a dovere e non lasciarti correre a destra e a mancina come un furetto. Carissima mamma, scrivimi o fammi scrivere sulla tua salute. Baci a tutti di casa e a te tanti abbracci affettuosi.

Antonio


164.

22 settembre 1930

Carissima Tatiana,

ho ricevuto il tuo pacco e le lettere di Giulia e la fotografia del tuo babbo. Le sopracalze vanno su per giú bene come misura (sono forse un po’ troppo grandi), ma non sono molto utili, si consumano dal primo giorno. Se vuoi mandarmene di panno, come scrivi, ti raccomando di badare al colore: devono essere bianche o almeno il bianco deve dominare, altrimenti non sono permesse. Delle medicine ho incominciato a prendere l’Uroclasio e il Benzofosfan: mi pare che l’Uroclasio mi abbia già giovato un po’ per la gengivite espulsiva (questo è il nome della malattia e non gengivite «esplosiva» come ti dissi una volta): sebbene tutti i denti continuino a muovere e non ne combacino ormai che due soli (uno superiore e l’altro inferiore, canini); in modo che non posso masticare nulla, tuttavia almeno non mi fanno male e le gengive non bruciano tanto: nessun beneficio invece ho ancora riscontrato per il mal di capo, ma la cura deve ancora essere lunga, secondo le istruzioni. Gli altri medicinali li tengo da parte per ora: non voglio riempirmi lo stomaco di cose tanto disparate e di alcuni, in verità, ignoro lo scopo perché mancano le istruzioni. – Il Benzofosfan l’ho quasi terminato. La fotografia del tuo babbo non mi pare che sia ben riuscita: non dà la vera espressione caratteristica e piú personale. È vero che non ha piú la barba intera e ciò cambia un po’ la fisionomia generale che mi era rimasta impressa, ma mi pare tuttavia che manchi molto altro. Forse si è accorciato la barba perché Delio quando era in culla, nel 1925, gliela strappava con grande vigore: sai, che stavo a lungo a guardare la scena: tuo padre si chinava sul bambino per farlo giocare e lui si afferrava alla sua barba per drizzarsi, mentre tuo padre rideva di cuore, sebbene dovesse sentire abbastanza dolore. – Mi è stata consegnata ieri la traduzione di Puškin: da un pezzo non avevo letto corbellerie cosí stupide: è un vero caso di teratologia letteraria; non è riuscita neanche a divertirmi tanto la stupidaggine è monotona. Però mi sarà utile lo stesso per capire meglio l’originale. – Ti prego di scrivere alla libreria avvertendo che non ho ricevuto il fascicolo di agosto della rivista «Gerarchia» e che desidero averlo. Cosí desidero avere anche i due volumi dei Racconti autobiografici di Leone Tolstoi, recentemente pubblicati dalla «Slavia». Dovresti tu, se hai tempo, passare dalla Libreria del Littorio che deve essere in una via centrale e farmi mandare un fascicolo di saggio della rivista «Bibliografia fascista»: forse bisogna comprarlo e farlo spedire, pagando le spese di posta; forse anche qualche altra libreria farà il servizio.

Carissima Tatiana, non devi essere preoccupata e specialmente non devi pensare di potermi avere scontentato: per pensare cosí, dovresti anche pensare non solo che io sia un bel scellerato egoista, ma addirittura un tanghero. Sto abbastanza bene. La volta prossima vedrò di scrivere tutta la lettera a Giulia.

Ti abbraccio teneramente.

Antonio

Forse sarebbe bene che mi mandassi un po’ di carta e buste per le lettere, perché mi pare che la scorta sia finita o stia per finire.


165.

6 ottobre 1930

Carissima Tania,

sono stato contento della venuta di Carlo. Egli mi ha detto che ti sei rimessa abbastanza, ma vorrei avere piú precise notizie sulle tue condizioni di salute. Ti ringrazio per tutto ciò che mi hai mandato. Non mi sono stati ancora consegnati i due libri: la «Bibliografia fascista» e le novelline di Chesterton che leggerò volentieri per due ragioni. Primo perché immagino che siano interessanti almeno quanto la prima serie e secondo perché cercherò di ricostruire l’impressione che dovettero fare su di te. Ti confesso che questo sarà il mio diletto maggiore. Ricordo esattamente il tuo stato d’animo nel leggere la prima serie: tu avevi una felice disposizione a ricevere le impressioni piú immediate e meno complicate dai sedimenti culturali. Non eri neanche riuscita ad accorgerti che il Chesterton ha scritto una delicatissima caricatura delle novelle poliziesche piú che delle novelle poliziesche propriamente dette. Il padre Brown è un cattolico che prende in giro il modo di pensare meccanico dei protestanti e il libro è fondamentalmente un’apologia della Chiesa Romana contro la Chiesa Anglicana. Sherlock Holmes è il poliziotto «protestante» che trova il bandolo di una matassa criminale partendo dall’esterno, basandosi sulla scienza, sul metodo sperimentale, sull’induzione. Padre Brown è il prete cattolico, che attraverso le raffinate esperienze psicologiche date dalla confessione e dal lavorio di casistica morale dei padri, pur senza trascurare la scienza e l’esperienza, ma basandosi specialmente sulla deduzione e sull’introspezione, batte Sherlock Holmes in pieno, lo fa apparire un ragazzetto pretenzioso, ne mostra l’angustia e la meschinità. D’altra parte Chesterton è grande artista, mentre Conan Doyle era un mediocre scrittore, anche se fatto baronetto per meriti letterari; perciò in Chesterton c’è un distacco stilistico tra il contenuto, l’intrigo poliziesco e la forma, quindi una sottile ironia verso la materia trattata che rende piú gustosi i racconti. Ti pare? Ricordo che tu leggevi queste novelle come se fossero state cronache di fatti veri e ti immedesimavi fino ad esprimere una schietta ammirazione per padre Brown e per il suo acume maraviglioso, in modo cosí ingenuo che mi divertiva straordinariamente. Non devi però offenderti, perché in questo divertimento c’era una punta di invidia per questa tua capacità di fresco e schietto impressionismo, per cosí dire. A dirti la verità, non ho molta voglia di scrivere: ho il cervello svaporato.

Ti abbraccio affettuosamente.

Antonio


166.

6 ottobre 1930

Carissima Giulia,

ho ricevuto due tue lettere: una del 16 agosto e l’altra successiva, credo del settembre. Avrei voluto scriverti a lungo, ma non mi è possibile, perché non riesco, in certi momenti, a connettere i ricordi e le impressioni provate nel leggere le tue lettere. Purtroppo, però, posso scrivere solo in giorni e ore determinate non da me e che talvolta coincidono con momenti di depressione nervosa. Mi ha fatto molto piacere ciò che mi scrivi: che avendo riletto mie lettere del 28 e 29, hai rilevato la identità dei nostri pensieri. Vorrei però sapere in quali circostanze e intorno a quale oggetto questa identità è stata da te specialmente rilevata. Nella nostra corrispondenza manca appunto una «corrispondenza» effettiva e concreta: non siamo mai riusciti a intavolare un «dialogo»: le nostre lettere sono una serie di «monologhi» che non sempre riescono ad accordarsi neanche nelle linee generali; se a questo si aggiunge l’elemento tempo, che fa dimenticare ciò che si è scritto precedentemente, l’impressione del puro «monologo» si rafforza. Non ti pare? Ricordo una novellina popolare scandinava: – tre giganti abitano nella Scandinavia lontani uno dall’altro come le grandi montagne. Dopo migliaia d’anni di silenzio, il primo gigante grida agli altri due: – «Sento muggire un armento di vacche!» – Dopo trecento anni il secondo gigante interviene: «Ho sentito anch’io il mugghio!» e dopo altri 300 anni il terzo gigante intima: «Se continuate a far chiasso cosí, io me ne vado!» – Beh! non ho proprio voglia di scrivere, c’è un vento di scirocco che dà l’impressione di essere ubbriachi. Cara, ti abbraccio teneramente coi nostri bambini.

Antonio


167.

20 ottobre 1930

Carissima Tatiana,

ho ricevuto le fotografie e tutti i tuoi commenti e le tue osservazioni non sono valse a farle diventare migliori; esse sono pessime e mi pare che mettano tutto in falsa luce. – Credo che ciò che scrivi sulle condizioni di salute di Giulia non sia esatto e che anzi sia pericoloso o almeno inopportuno porre cosí la quistione; mi pare che le conversazioni con la signorina Nilde abbiano contribuito a fuorviarti. È evidente che Giulia soffre di esaurimento nervoso e di anemia cerebrale che tendono a diventar cronici perché ella non vuole o non sa curarsi. Giulia sta mettendosi, insensibilmente, nelle stesse condizioni in cui si era messa Genia nel 1919, cioè non vuole persuadersi che un determinato ritmo di lavoro è possibile solo con certe compensazioni integrative dell’organismo e con un certo metodo di vita e che in ogni caso ciò che era almeno spiegabile nel 1919 non è che assurdo romanticismo nel 1930. L’aspetto grave della quistione mi pare consistere nel fatto che essa mi appare irrisolvibile: cosa infatti possiamo fare, io e tu? Delle prediche, degli avvertimenti generici, che saranno infruttuosi. Secondo me, in condizioni di tal genere, l’unico rimedio consiste in un giusto contemperamento dei mezzi persuasivi coi mezzi coercitivi, ma è appunto qui il punto: chi può esercitare questa coercizione necessaria? In ogni caso credo che il tuo modo di vedere sia errato e che se tu vuoi intervenire, devi abbandonarlo. Dico ciò seriamente, perché conosco molto bene lo stato delle cose, per averle osservate attentamente. Io scriverò una lunga lettera a Giulia, che, per forza, dovrà assumere la forma della «dissertazione», anche se questa forma è odiosa: non vedo cosa potrei fare d’altro. D’altronde non si tratta di un fenomeno individuale; purtroppo è diffuso e tende a diffondersi sempre piú, come si vede dalle pubblicazioni scientifiche fatte in rapporto ai nuovi sistemi di lavoro introdotti dall’America. Non so se tu segui questa letteratura. È interessante anche dal punto di vista psicologico e sono interessanti le misure prese dagli stessi industriali americani come Ford, per esempio. Ford ha un corpo di ispettori che controllano la vita privata dei dipendenti e impongono loro il regime di vita: controllano anche i cibi, il letto, la cubatura delle stanze, le ore di riposo e anche faccende piú intime; chi non si piega, viene licenziato e non ha i 6 dollari di salario giornaliero minimo. Ford dà 6 dollari al minimo, ma vuole gente che sappia lavorare e sia sempre in condizioni di lavorare, che cioè sappia coordinare il lavoro col regime di vita. Noi europei siamo ancora troppo bohémiens, crediamo di poter fare un certo lavoro e vivere come ci piace, da bohèmiens: naturalmente il macchinismo ci stritola e intendo macchinismo in senso generale, come organizzazione scientifica anche del lavoro di concetto. Siamo troppo romantici in modo assurdo e per non voler essere piccolo borghesi, cadiamo nella forma piú tipica di piccolo borghesismo che è appunto la bohème. Ho già cominciato a dissertare anche con te. Ti abbraccio teneramente

Antonio


168.

4 novembre 1930

Carissima Tatiana,

sono contento di aver saputo, dalla tua ultima lettera, che sei d’accordo con me per ciò che riguarda le condizioni di salute di Giulia. È sempre meglio, in queste quistioni, che dall’esterno si faccia una pressione morale identica; data la scarsa efficacia che in tali cose può avere la pressione morale, che essa almeno sia omogenea e concorde per non essere completamente inutile! Ti maravigli che a Roma io non sia stato un tuo alleato per ottenere da Giulia un metodo di vita materialmente meno spossante per riguardo alle necessità di lavoro. È giusta la tua maraviglia e dovrei giustificarmi. Ma ciò non è possibile oggi: la mia giustificazione apparirebbe forse grottesca o almeno comica o forse ancora semplicemente romanzesca.

Le mie condizioni di salute sono sempre le stesse e il mio sforzo maggiore è rivolto a mantenere almeno la stabilizzazione attuale. Tutto il problema è l’insonnia, che non essendo determinata che parzialmente da cause organiche, e in buona parte da cause esterne, meccaniche, inerenti piú o meno alla vita carceraria, non può essere vinta con mezzi terapeutici, ma solo palliata. Ho fatto una statistica per il mese di ottobre: solo due notti ho dormito 5 ore, per 9 notti intiere non ho dormito affatto, le altre notti ho dormito meno di 5 ore, in misura variabile, che dà una media generale di poco piú di due ore per notte. Io stesso mi maraviglio talvolta di avere ancora tanta resistenza e di non avere un collasso generale. Prendo regolarmente il Benzofosfan (che è quasi finito) e l’Uroclasio e la sera il Sedobrol. Li prendo, ripeto, per cercare di mantenere almeno il livello attuale delle mie condizioni fisiche.

Mi sono sempre dimenticato di scrivere che tra i libri consegnati a Carlo c’era un esemplare intatto dei Discorsi pronunziati dal Capo del Governo nel 1929: questo esemplare, per errore, mi era stato spedito in doppia copia e sarebbe bene rispedirlo alla Libreria, domandando un altro volume, in compenso, dello stesso prezzo. Non so se questi libri sono già in Sardegna o sono ancora a Roma: ti prego di far tu la spedizione se sono ancora a Roma o di avvertire Carlo (che non mi ha ancora scritto dopo il suo viaggio a Turi) se sono in Sardegna. Ti avevo anche scritto di avvertire la Libreria che non avevo ricevuto il numero di agosto della rivista «Gerarchia» e tu mi hai fatto sapere di averlo fatto. Bisognerà che insista perché oltre al mese di agosto mi manca ora anche quello di settembre e di ottobre; inoltre da oltre un mese non ricevo l’«Italia letteraria» (l’ultimo numero ricevuto è del 21 settembre). Ti prego di mandare una cartolina raccomandata, in modo da essere certi che la ricevano. Non ho letto il libro di Ford sugli ebrei, ma conosco il suo punto di vista dagli altri suoi libri fondamentali: la lotta contro gli ebrei è l’aspetto piú tagliente della sua lotta contro la plutocrazia che ha cercato a piú riprese di impadronirsi del suo sistema industriale con la pressione finanziaria e anche attraverso l’azione dei sindacati operai. Chissà quale maggiore odio nutrirà Ford ora, dopo le due crisi della Borsa di New York che hanno posto un freno alla costruzione degli automobili! Tutto l’ottimismo della sua visione industriale è stato distrutto d’un colpo e sarà difficile farlo rinascere.

Cara, ti abbraccio teneramente.

Antonio


169.

4 novembre 1930

Carissima Giulia,

ignoro se ti trovi ancora a Soci e se questa lettera deve esserti rispedita o se sei già rientrata dal riposo. Perciò non ti propino ancora una lunga lettera alla moda del dottor Grillo che avevo già pensato in tutta la sua struttura da dissertazione accademica. Sarà per una prossima volta. Intanto ti avverto che «tutto è scoperto», che non esistono piú misteri per me, che cioè sono stato minutamente informato delle tue vere condizioni di salute. Era, a dire il vero, ciò che in Italia si chiama «il mistero delle cose palesi», nel senso che io avevo compreso che tu stavi abbastanza male o per lo meno attraversavi una crisi psichica che doveva avere una base fisiologica; sarei stato un ben meschino «letterato» se non avessi compreso questo leggendo le tue lettere, che, dopo la prima lettura, che dirò disinteressata, in cui solo l’affetto per te mi guida – sono rilette, dirò cosí, da «critico» letterario e psicanalitico. Per me l’espressione letteraria (linguistica) è un rapporto di forma e contenuto: l’analisi mi dimostra o mi aiuta a capire se tra forma e contenuto c’è adesione completa o se esistono screpolature, mascherature ecc. Si può anche sbagliare, se specialmente si vuole troppo dedurre, ma se si ha del criterio si può capire parecchio, per lo meno lo stato d’animo generale. Ti scrivo tutto ciò per avvertirti che ormai mi puoi e mi devi scrivere con estrema franchezza. Ho ricevuto alcune fotografie dei nostri bambini, molto mal riuscite tecnicamente, ma interessantissime per me lo stesso. Ti abbraccio affettuosamente.

Antonio


170.

17 novembre 1930

Carissima Tatiana,

ho ricevuto la cartolina del 10 novembre e la lettera del 13. Cercherò di rispondere in ordine alle tue quistioni. 1° Per adesso non devi mandarmi dei libri. Quelli che hai tienili da parte e aspetta che io ti avverta di spedirli. Voglio prima sgomberare tutte le vecchie riviste che da 4 anni ho accumulato: prima di spedirle le rivedo per prendere delle note sugli argomenti che piú mi interessano e naturalmente ciò mi toglie una buona parte della giornata, perché le note di erudizione sono accompagnate da richiami, da commenti ecc. Mi sono fissato su tre o quattro argomenti principali, uno dei quali è quello della funzione cosmopolita che hanno avuto gli intellettuali italiani fino al Settecento, che poi si scinde in tante sezioni: il Rinascimento e Machiavelli, ecc. Se avessi la possibilità di consultare il materiale necessario, credo che ci sarebbe da fare un libro veramente interessante e che ancora non esiste; dico libro, per dire solo l’introduzione a un certo numero di lavori monografici, perché la quistione si presenta diversamente nelle diverse epoche e secondo me bisognerebbe risalire ai tempi dell’Impero Romano. Intanto scrivo delle note, anche perché la lettura del relativamente poco che ho mi fa ricordare le vecchie letture del passato. D’altronde la cosa non è nuova completamente per me, perché dieci anni fa scrissi un saggio sulla quistione della lingua secondo il Manzoni e ciò domandò una certa ricerca sull’organizzazione della cultura italiana, fin da quando la lingua scritta (il cosí detto medio latino, cioè il latino scritto dal 400 dopo C. al 1300) si staccò completamente dalla lingua parlata dal popolo, che, cessata la centralizzazione romana, si franse in infiniti dialetti. A questo medio latino successe il volgare, che fu nuovamente sommerso dal latino umanistico, dando luogo a una lingua dotta, volgare per il lessico, ma non per la fonologia e tanto meno per la sintassi che fu riprodotta dal latino: cosí continuò ad esistere una doppia lingua, quella popolare, o dialettale, e quella dotta, ossia la lingua degli intellettuali e delle classi colte. Lo stesso Manzoni, nel rifare i Promessi Sposi e nelle sue trattazioni sulla lingua italiana, tenne, in realtà, conto di un solo aspetto della lingua, il lessico, e non della sintassi che poi è l’essenziale parte di ogni lingua, tanto vero che l’inglese sebbene abbia piú del 60% di parole latine o neolatine è lingua germanica, mentre il rumeno sebbene abbia piú del 60% di parole slave è lingua neolatina, ecc. Come vedi l’argomento mi interessa tanto, che mi sono lasciato prendere la mano. – 2° Per le riviste: la «Bibliografia fascista» non mi è tanto utile perché le riviste bibliografiche che ricevo sono compilate dagli stessi scrittori e i libri recensiti sono gli stessi. Mi parli di una rivista inglese: sarebbe bene mandarmene un numero di saggio attraverso la Libreria. Potresti farmi mandare anche un numero di saggio del supplemento settimanale del «Manchester Guardian» e del «Times», che ho visto al carcere di Roma: credo però che la prosa letteraria di queste riviste sia troppo difficile ancora per me. E inoltre non ho molta voglia di studiare le lingue. – 3° Non ho capito ciò che mi hai scritto a proposito di una «giacca» di cui mi avrebbe parlato Carlo, […]. Da ciò che ricordo di quanto mi disse Carlo, si tratterebbe di una maglia o sottoveste di lana per l’inverno. Tu la chiami «giacca» e in carcere è permessa solo la giacca regolamentare. Avevo già detto a Carlo che ho maglie a sufficienza per parecchi anni e non solo maglie semplici: ho quattro pull-over, se non cinque e due non li ho ancora neanche toccati. A che scopo mandarmi ancora oggetti dello stesso genere anche se di forma migliore? o semplicemente diversa? Per farli mangiare dalle tignole […].– Hai scritto troppo in fretta alla Libreria per il rinnovo degli abbonamenti alle riviste: troppo zelo, perché in due mesi hanno tutto il tempo di dimenticarsi anche l’avvertimento. Il «Secolo Illustrato» lo ricevo regolarmente. L’«Emporium» non lo voglio assolutamente: ho già pantoffole a sufficienza. Non arrabbiarti.

Ti abbraccio teneramente.

Antonio

Ho ricevuto il Sedobrol e le sovracalze. Ti ringrazio.

Manda l’altro mezzo foglio a mia sorella Teresina Gramsci-Paulesu.


171.

17 novembre 1930

Carissima Teresina,

ho ricevuto la tua lettera dell’11 con la fotografia dei tuoi bambini. Essi sono molto simpatici e graziosi e sono anche robusti e sani, mi pare. Sono veramente meravigliato di come si è irrobustito Franco; mi hai mandato qualche tempo fa una sua fotografia dove appariva magro e gracilino: adesso appare chiaramente forte, svelto e vivacissimo. Ne sono proprio contento e ti sarei grato se volessi mandare una copia della stessa fotografia a Tatiana che la manderà a Giulia: le ho mandato io qualche esemplare delle altre fotografie (che erano tecnicamente molto mal riuscite) e mi scrisse che Delio e Giuliano se ne interessarono molto e fecero tante domande.

Sono stato molto preoccupato perché da oltre un mese non ricevo notizie di mamma: Carlo non mi ha piú scritto dopo il suo viaggio a Turi (o almeno io non ho ricevuto le sue lettere); Nannaro poi, nonostante tutte le sue promesse, non mi ha mai scritto (nel suo caso, però, è probabile che le lettere non siano giunte). Dovresti proprio deciderti a scrivermi qualche volta di piú e a darmi specialmente molte notizie dei tuoi bambini. Ciò mi interessa assai. L’accenno da te fatto a Franco, che scrive «lunghe lettere a suo modo» che vi divertono, mi piace: vuol dire che ha fantasia, che ha qualche cosa da dire e che si sforza di dare un’espressione a ciò che turbina in testa. Chi sa se rassomiglierà a noi due: ti ricordi come eravamo fanatici per leggere e per scrivere? Mi pare che anche tu, sui dieci anni, non avendo piú libri nuovi, ti sei letta tutti i Codici. Invece Mimí non mi pare molto fantastica: ha l’espressione stupita di chi ha troppo da fare per ammirare il mondo perché gli resti il tempo di arzigogolare per conto suo. La piccola mi pare sia piú di tutto contenta di trovarsi protetta dai due maggiori e di poter quindi fidarsi indifferentemente della macchina fotografica e del suo apparato da moro cabbanu: mi pare persino che abbia una certa aria di sfida con la testa inchinata sulle ventitre. Mi sono sbagliato? Naturalmente una fotografia irrigidisce un movimento di vita molto irrequieto ed è possibile interpretare male un solo atteggiamento anche se molto drammatico come nella fotografia dei tuoi bambini.

Scrivimi anche sulla mamma e delle sue reali condizioni di salute. Vinci la svogliatezza, non lasciarti sopraffare dall’ambiente monotono dell’ufficio e dei suoi frequentatori e dalle loro chiacchiere melense e stucchevoli. Devi diventare vivace come una volta (non nel senso fisico, che vivace in tal senso non lo sei mai stata, mi pare, ma nel senso intellettuale) per poter guidare bene i bambini fuori della scuola e non lasciarli abbandonati a se stessi, come troppo spesso avviene specialmente nelle famiglie cosí dette «per bene».

Ti abbraccio affettuosamente.

Antonio


172.

1° dicembre 1930

Carissima Tatiana,

ho ricevuto il pacco coi medicinali e con le altre cosette che mi hai mandato. Le sovracalze vanno benissimo, ma ho paura che le scarpe finiranno con l’aver ragione anche di esse; in ogni modo non consumerò più un paio di calze alla settimana. Credo che sia inutile che mi mandi ancora dei ricostituenti tipo «Benzofosfan» o dei calmanti come l’ultimo che mi hai mandato: ho la persuasione che non mi giovino per nulla. Ti scriverò io, quando qualche cosa mi occorrerà, ciò che potrai mandarmi.

Carlo non mi ha ancora scritto dopo il suo viaggio a Turi, non so perché, sebbene lo immagini. Per adesso non ho bisogno di denari: ho 870 lire che mi basteranno per parecchi mesi. Da qualche mese non è permesso piú di ricevere sigarette; si può invece ricevere tabacco sciolto. Avevo ricordato a Carlo che quando ero al carcere di Roma ricevetti o da lui o da te un pacchetto di tabacco turco, molto buono, nel senso che era simile al tabacco macedonia italiano d’una volta, quando ancora non lo mescolavano con tabacchi americani: costava, ricordo, 4,20 al pacchetto e ora deve costare non molto di piú, perché l’aumento dei tabacchi esteri è stato molto leggero. Se hai voglia di occupartene te, potresti vedere di ritrovarlo, mandamene poco, però, perché in caso di errore non ci sia una perdita rilevante; posso fumare solo tabacco leggero del tipo macedonia.

Sarei contento se tu riuscissi a trovare in qualche libreria di Roma il fascicolo di ottobre della rivista «La Nuova Italia» diretta dal professor Luigi Russo e potessi spedirla a Giulia. Vi è pubblicata una lettera in cui si parla del cortese contradditorio, avvenuto al Congresso internazionale dei filosofi tenuto recentemente a Oxford, tra Benedetto Croce e Lunaciarski a proposito della quistione se esista o possa esistere una dottrina estetica del materialismo storico. La lettera è forse dello stesso Croce o per lo meno di un suo discepolo ed è curiosa.

Pare che il Croce abbia risposto a una dissertazione del Lunaciarski prendendo un certo tono paterno, un po’ di protezione e un po’ di comicità scherzosa, con gran divertimento del Congresso. Dalla lettera appare anche che il Lunaciarski avrebbe ignorato che il Croce si è molto occupato del materialismo storico, ha scritto molto in proposito e in ogni caso è eruditissimo di tutta questa materia, ciò che mi pare strano, perché le opere di Croce sono tradotte in russo e Lunaciarski conosce l’italiano molto correttamente.

Da questa lettera appare anche che la posizione del Croce verso il materialismo storico è completamente mutata, da quella che era fino a qualche anno fa. Adesso il Croce sostiene, niente di meno, che il materialismo storico segna un ritorno al vecchio teologismo… medioevale, alla filosofia prekantiana e precartesiana. Cosa strabiliante e da far dubitare che anch’egli, nonostante la sua olimpica serenità, cominci a sonnecchiare troppo spesso, piú spesso di quanto succedeva ad Omero. Non so se scriverà qualche memoria speciale su questo argomento: sarebbe molto interessante e credo che non sarebbe difficile rispondergli, attingendo nelle sue stesse opere gli argomenti necessari e sufficienti. Io credo che il Croce abbia ricorso a una gherminella polemica molto trasparente e che il suo giudizio, piú che un giudizio storico-filosofico, sia niente altro che un atto di volontà, abbia cioè un fine pratico. Che molti cosí detti teorici del materialismo storico siano caduti in una posizione filosofica simile a quella del teologismo medioevale e abbiano fatto della «struttura economica» una specie di «dio ignoto» è forse dimostrabile; ma cosa significherebbe? Sarebbe come se si volesse giudicare la religione del papa e dei gesuiti e si parlasse delle superstizioni dei contadini bergamaschi. La posizione del Croce verso il materialismo storico mi pare simile a quella degli uomini del Rinascimento verso la Riforma luterana: «dove entra Lutero, sparisce la civiltà» diceva Erasmo, eppure gli storici e lo stesso Croce riconoscono oggi che Lutero e la Riforma sono stati l’inizio di tutta la filosofia e la civiltà moderna, compresa la filosofia del Croce. L’uomo del Rinascimento non comprendeva che un grande movimento di rinnovazione morale e intellettuale, in quanto si incarnava nelle vaste masse popolari, come avvenne per il Luteranismo, assumesse immediatamente forme rozze e anche superstiziose e che ciò era inevitabile per il fatto stesso che il popolo tedesco, e non una piccola aristocrazia di grandi intellettuali, era il protagonista e il portabandiera della Riforma. – Se Giulia potesse farlo, dovrebbe informarmi se la polemica Croce-Lunaciarski darà luogo a manifestazioni intellettuali di qualche importanza. – Come ricordi, qualche tempo fa, feci un’istanza al Capo del Governo per avere il permesso di leggere determinati libri che mi erano stati trattenuti e oltre a questi, due altri che ancora non avevo e che domandavo di poter comprare e cioè: Fülöp Miller – Il volto del bolscevismo – con prefazione di Curzio Malaparte – Casa ed. Bompiani – Milano – e Leone Trotzky – La mia vita: ed. Mondadori – Milano (non son sicuro se il libro di Trotzky abbia questo titolo o un titolo simile). La risposta è giunta ed è stata favorevole perciò ti prego di scrivere alla libreria e di farmeli spedire. Desidererei avere anche questi altri libri: 1° Benedetto Croce – Eternità e storicità della filosofia – Biblioteca Editrice – Rieti – 2° Henri De Man – La gioia nel lavoro – Ed. Laterza – Bari – 3° Biagio Riguzzi – Sindacalismo e riformismo nel Parmense – Ed. Laterza – Bari. – A proposito dell’istanza al Capo del Governo, sarà forse bene che tu avverta Carlo di non fare altre sollecitazioni, nel caso che ne avesse l’intenzione; mi pare che le cose sono andate abbastanza bene.

Carissima, devo consegnare la lettera. Ti abbraccio teneramente.

Antonio

Le cancellature delle linee – ultime della pagina precedente e prima di questa pagina – le ho fatte io. Se scrivi a Carlo digli che mi dispiace che egli da tanto tempo non mi scriva e non mi mandi notizie sulla salute di mamma.

Ti devo fare i migliori complimenti per la confezione delle sovracalze: hai fatto un bellissimo lavoro e che ti deve avere affaticato molto perché la stoffa è molto robusta e deve essere stata difficile da cucire. Ti ringrazio proprio di cuore.

Antonio


173.

15 dicembre 1930

Carissima mammà,

non so spiegarmi cosa succede. Carlo non mi ha scritto da più di tre mesi. Il tuo ultimo biglietto l’ho ricevuto circa due mesi fa. Ho ricevuto, un mese e mezzo circa fa una lettera di Teresina, alla quale ho risposto, senza avere piú riscontro (ho scritto a Teresina quattro settimane fa, giusto giusto). Veramente non so spiegarmi questo silenzio sistematico: perché non interromperlo almeno con qualche cartolina illustrata? Tatiana mi scrive di aver ricevuto una lettera di Carlo, che si scusa di non scrivere piú spesso adducendo il suo grande lavoro. Mi pare una giustificazione insufficiente; può spiegare il perché non si scrivono delle lunghe lettere ma non si spiega il silenzio assoluto; una cartolina illustrata può essere scritta in un istante.

Io ho pensato che Carlo possa avere avuto delle seccature per causa mia e che non voglia o non sappia spiegarmi un suo stato d’animo di sconcerto o di esitazione. Lo pregherei perciò di rassicurarmi o di farmi rassicurare, magari facendo scrivere una lettera da Mea. Cosí vorrei essere informato un po’ piú spesso sulle tue condizioni di salute. Ti sei rinforzata? Se non hai la forza di scrivere fa’ scrivere delle cartoline da qualcuno e poi mettici solo la tua firma; per me sarà sufficiente. Carissima mamma, ecco il quinto natale che passo in privazione di libertà e il quarto che passo in carcere. Veramente la condizione di coatto in cui passai il natale del 26 ad Ustica era ancora una specie di paradiso della libertà personale in confronto alla condizione di carcerato. Ma non credere che la mia serenità sia venuta meno. Sono invecchiato di quattro anni, ho molti capelli bianchi, ho perduto i denti, non rido più di gusto come una volta, ma credo di essere diventato più saggio e di avere arricchito la mia esperienza degli uomini e delle cose. Del resto non ho perduto il gusto della vita; tutto mi interessa ancora e sono sicuro che se anche non posso piú «zaccurrare sa fae arrostia», tuttavia non proverei dispiacere a vedere e sentire gli altri a zaccurrare. Dunque non sono diventato vecchio, ti pare? Si diventa vecchi quando si incomincia a temere la morte e quando si prova dispiacere a vedere gli altri fare ciò che noi non possiamo piú fare. In questo senso sono sicuro che neanche tu sei diventata vecchia nonostante la tua età. Sono sicuro che sei decisa a vivere a lungo, per poterci rivedere tutti insieme e per poter conoscere tutti i tuoi nipotini: finché si vuol vivere, finché si sente il gusto della vita e si vuole raggiungere ancora qualche scopo, si resiste a tutti gli acciacchi e a tutte le malattie. Devi persuaderti però che occorre anche risparmiare un po’ le proprie forze e non intestarsi a fare dei grandi sforzi come quando si era di primo pelo. Ora mi pare appunto che Teresina, nella sua lettera, mi abbia accennato, con un po’ di malizia, che tu pretendi di fare troppo e che non vuoi rinunziare alla tua supremazia nei lavori di casa. Devi invece rinunziare e riposarti. Carissima mamma, ti auguro tante cose per le feste, di essere allegra e tranquilla. Tanti auguri e saluti a tutti di casa. Ti abbraccio teneramente.

Antonio


174.

15 dicembre 1930

Carissima Tatiana,

sí, sí, il libro dello Zangwill l’ho ricevuto da parecchio tempo e mi sono sempre dimenticato di dartene conferma. È un libro molto interessante, ma lo conoscevo già; tuttavia l’ho riletto volentieri. – Le riviste «Pégaso» e «Les Nouvelles Littéraires» le ho sempre ricevute regolarmente e infatti mi interessano: puoi confermare l’abbonamento presso la Libreria, ma penso che tu abbia genericamente confermato tutti gli abbonamenti già in corso e quindi non è necessaria la conferma specificata; ti pare? – In quanto alla domanda di revisione poiché è già stata fatta da un condannato, non occorre che io la faccia. Gli elementi individuali sono utili per l’appello, non per la revisione, in cui si domanda solo, come giustificazione, la prova di difetti di forma, oppure di contrasto con altre sentenze dello stesso Tribunale ecc., cioè elementi di carattere tecnico-giuridico che solo un avvocato può identificare. Io non so quale avvocato Umberto abbia incaricato di trattare il suo ricorso, nel caso che esso venga accolto; a dire il vero non so neanche quale sia la procedura dei ricorsi di revisione, se si tratti di una deliberazione in camera di consiglio o se all’avvocato sia permesso di svolgere i motivi del ricorso dinanzi al consiglio investito del giudizio. In ogni caso, dato il nostro processo, che è stato squisitamente politico, anche il ricorso sarà accolto o rigettato per motivi politici e non per motivi giuridici formali e quindi è sufficiente la domanda di un singolo. Si tratta solo di vedere se nel ricorso tutti i motivi giuridici sono stati esposti da Umberto e di ciò dubito, per il fatto che al processo gli avvocati, dal punto di vista professionale, furono di una insufficienza stupefacente (dico insufficienza per non adoperare parole piú grosse). Essi non ci informarono di un fatto essenziale, che cioè, in un altro processo precedente al nostro, quello del gruppo fiorentino Serafino Masieri e C., vi era stata assoluzione per il reato di incitamento alla guerra civile. Nel nostro processo appariva invece che il Masieri aveva commesso il reato e noi fummo condannati a 15 anni di reclusione come «mandanti», mandanti di un reato del quale il mandatario era stato assolto! Ma anche questa è una bazzecola, perché, come ti ho detto, il processo era politico, ossia, come disse il procuratore militare e come ripete la sentenza, noi fummo condannati per «mero pericolo», perché avremmo potuto commettere tutti i reati contemplati nel codice: che li avessimo o no commessi era cosa secondaria. Dunque lascia perdere la quistione del ricorso; l’importante era che esso fosse fatto, che cioè fosse acquisito agli atti del Tribunale Speciale che noi avevamo esperito tutte le istanze concesse dalla legge per protestare contro la condanna; credo che nessuno scontasse una qualsiasi speranza di effettiva revisione, io almeno non ci ho mai pensato e tanto meno ci penso oggi. – Cara Tatiana, non voglio ancora scrivere a Giulia; voglio prima ricevere una sua lettera e avere direttamente da lei notizie sulla sua salute. Del resto penso che tu continui a mandarle tutte le mie lettere, anche quelle che sono scritte a te personalmente. Se le invii anche questa, leggerà di questo mio desiderio, che risponde a una vera esigenza psicologica che non riesco a superare. Sarà perché tutta la mia formazione intellettuale è stata di ordine polemico; anche il pensare «disinteressatamente» mi è difficile, cioè lo studio per lo studio. Solo qualche volta, ma di rado, mi capita di dimenticarmi in un determinato ordine di riflessioni, e di trovare per dir cosí, nelle cose in sé l’interesse per dedicarmi alla loro analisi. Ordinariamente mi è necessario pormi da un punto di vista dialogico o dialettico, altrimenti non sento nessuno stimolo intellettuale. Come ti ho detto una volta, non mi piace tirar sassi nel buio; voglio sentire un interlocutore o un avversario in concreto; anche nei rapporti familiari voglio fare dei dialoghi. Altrimenti mi sembrerebbe di scrivere un romanzo in forma epistolare, che so io, di fare della cattiva letteratura. – Certo mi interesserebbe sapere ciò che Delio pensa del suo viaggio, quali impressioni ne ha ricevuto ecc. Ma non mi sento piú di chiedere a Giulia che spinga Delio a narrarmi qualche cosa. L’ho fatto una volta; ho scritto una lettera a Delio, forse ricordi, ma tutto è caduto nel nulla. Non so pensare perché è stato nascosto a Delio che io sono in prigione, senza riflettere appunto che egli avrebbe potuto saperlo indirettamente, cioè nella forma piú spiacevole per un bambino, che incomincia a dubitare della veridicità dei suoi educatori e incomincia a pensare per conto proprio e a far vita da sé. Almeno cosí avveniva a me quando ero bambino: lo ricordo perfettamente. Questo elemento della vita di Delio non mi spinge a scrivergli direttamente: penso che ogni indirizzo educativo, anche il peggiore, è sempre migliore delle interferenze tra due sistemi contrastanti. Sapendo la grande sensibilità nervosa di Delio e ignorando quasi tutto della sua vita reale e del suo sviluppo intellettuale (non so neppure se ha cominciato a imparare a leggere e a scrivere) esito a prendere delle iniziative nei suoi confronti, nel dubbio appunto di determinare delle interferenze di stimoli sentimentali contradditori che ritengo sarebbero dannosi. Cosa te ne pare? Perciò bisognerebbe stimolare Giulia a scrivermi con un maggiore spirito di sistema o magari a suggerirmi ciò che devo scrivere, e bisognerebbe convincerla che non è né giusto né utile, in ultima analisi, tener nascosto ai bambini che io sono in carcere: è possibile che la prima notizia determini in loro reazioni sgradevoli, ma il modo di informarli deve essere scelto con criterio. Io penso che sia bene trattare i bambini come esseri già ragionevoli e coi quali si parla seriamente anche delle cose piú serie; ciò fa in loro una impressione molto profonda, rafforza il carattere, ma specialmente evita che la formazione del bambino sia lasciata al caso delle impressioni dell’ambiente e alla meccanicità degli incontri fortuiti. È proprio strano che i grandi dimentichino di essere stati bambini e non tengano conto delle loro proprie esperienze; io, per conto mio, ricordo come mi offendesse e mi inducesse a rinchiudermi in me stesso e a fare vita a parte ogni scoperta di sotterfugio usato per nascondermi anche le cose che potevano addolorarmi; ero diventato, verso i dieci anni, un vero tormento per mia madre, e mi ero talmente infanatichito per la franchezza e la verità nei rapporti reciproci da fare delle scenate e provocare scandali. – Ho ricevuto i due pacchetti di tabacco, che è buono, ma è troppo forte. Ti ringrazio, ma sarà meglio rinunziare. – Vorrei che tu vedessi se nella rivista «Educazione fascista» di dicembre è stato pubblicato il recente discorso del senatore Giovanni Gentile all’Istituto di Cultura fascista: questa rivista puoi trovarla alla Libreria del Littorio e forse il commesso ti saprà dire se il discorso è stato pubblicato in altra rivista (forse nella «Bibliografia fascista» che è pure diretta dal Gentile). In ogni modo ti sarei grato se mi facessi avere un numero di saggio dell’«Educazione fascista» per vedere come ora è compilata e se vale la pena di abbonarsi: il numero di dicembre, contenendo l’indice dell’annata, è indicato come saggio. Carissima, ti auguro le buone feste e ti abbraccio teneramente

Antonio


175.

29 dicembre 1930

Carissima Tatiana,

ho ricevuto le sei fotografie, che mi sono piaciute moltissimo. Mi pare non ci sia bisogno di ingrandirle, perché sono molto chiare ed evidenti anche nei particolari. Non ti pare? A meno che tu non voglia averne delle copie per te; in tal caso scrivimi ed io te le rimanderò indietro. Ma sarà bene, in altra occasione, ritardare la spedizione per me; credi che mi sono del tutto disabituato dalla fretta; ho imparato ad attendere e ad aver pazienza. Le fotografie sono tutte significative ed interessanti; i bambini sono simpatici e graziosi generalmente e le nianie paiono serie. Hai osservato come Delio si stacca fisionomicamente dagli altri? Si vede subito che è di altra razza; negli altri bambini, pur attraverso le caratteristiche personali (ed è anzi notevole come queste caratteristiche siano spiccate), si nota una certa rassomiglianza generale nella struttura della testa e della faccia che li distingue da Delio. –

Ho ricevuto dalla Libreria i libri che avevo comandato per il tuo tramite. Non ho invece piú ricevuto «Gerarchia» da sei mesi e non so spiegarmi perché. Non diranno anche questa volta che ha sospeso le pubblicazioni, come fecero nel 28 per «Critica Fascista»: ti ricordi? Ti prego perciò di insistere nel reclamo; mi mancano gli esemplari da agosto in poi, cioè il secondo semestre del 30. – Delle pubblicazioni inglesi mi basta il supplemento settimanale del «Times»; quello del «Manchester Guardian» è troppo specializzato per l’industria del cotone e affini e d’altronde la lettura dell’inglese mi costa troppa fatica ancora, perciò il supplemento del «Times» mi basta.

Non mi hai piú informato sulle tue condizioni di salute. Mi informi che l’ultima lettera l’hai scritta a letto, ma non aggiungi altro particolare. Cosí non mi hai piú detto nulla del tuo regime di vita. Eppure dovresti proporti di rinforzarti al massimo se quest’anno vuoi positivamente fare il viaggio per rivedere la famiglia. Credi che è necessario; devi farti una dieta ricostituente e osservarla scrupolosamente. Altrimenti con che diritto puoi fare dei rimproveri o dare dei consigli a Giulia e a Genia? Anche tu rassomigli loro nel curare poco il tuo nutrimento, sebbene la tua forma di romanticismo sia diversa dalla loro. Carissima, non ho voglia di scrivere piú a lungo; sono mezzo istupidito. Ti abbraccio teneramente.

Antonio

Manda l’altra metà del foglio, ma a mia sorella Grazietta, non a Teresina come l’ultima volta.


176.

29 dicembre 1930

Carissima Grazietta,

ho ricevuto la tua lettera col biglietto di Mea. Il giorno di Natale ho ricevuto il pacco. Di’ alla mamma che tutto era in ordine e che nulla si è guastato; anche il pane era ancora fresco e l’ho mangiato con molto gusto: si sentiva il sapore del grano duro sardo molto buono. Cosí ho mangiato con gusto «sa panischedda»; credo che non ne avevo mangiato piú da 15 o 16 anni. Le notizie sulle condizioni di salute della mamma mi hanno dato molto dispiacere, sono sicuro che avrete molta pazienza con lei: se ci pensi bene, ella si meriterebbe ben altro che della pazienza, perché ha lavorato per noi tutta la vita, sacrificandosi in modo inaudito; se fosse stata un’altra donna, chissà che fine disastrosa avremmo fatto tutti fin da bambini; forse nessuno di noi oggi sarebbe vivo. Non ti pare? – Avevo visto la fotografia di padre Soggiu in due giornali illustrati, ma non l’avevo riconosciuto, anzi non avevo neanche pensato che si potesse trattare di lui; sebbene sotto una fotografia fosse scritto che era nato a Norbello. L’ho riguardato dopo la tua lettera e anche sotto la gran barba francescana ho ritrovato i lineamenti dei suoi fratelli, specialmente del fratello Gino. E non era neanche invecchiato, tutt’altro; eppure si era fatto frate almeno 25 anni fa e dopo aver preso la laurea. Era veramente un bravo uomo e sarà stato un bravissimo frate, non ne dubito. Cosí i Ghilarzesi avranno un altro martire paesano, dopo Palmerio, anzi a miglior diritto, perché Palmerio aveva solo il «merito» d’aver fatto un viaggio a Gerusalemme. Però penso che se a Ghilarza arrivasse dalla Cina un frate buddista e predicasse per far abbandonare la religione di Cristo per quella di Budda, i Ghilarzesi certamente lo ammazzerebbero come i Cinesi hanno fatto con padre Soggiu. Spero davvero che Carlo si deciderà a scrivermi; le crisi di nervi non giustificano un silenzio cosí lungo. Vorrei anche sapere se Nannaro vi ha scritto di avermi mai scritto. Dopo la sua partenza da Turi ho ricevuto un suo telegramma dalla Svizzera e una sua lettera da Namur, in viaggio per il suo luogo di residenza, che non so dove sia. Vorrei sapere se mi ha mai scritto in seguito e se le sue lettere sono andate perdute. – Ringrazia Mea del suo biglietto, mi ha fatto piacere che mi abbia scritto, ma mi ha fatto dispiacere che scriva ancora come una scolaretta di terza elementare (e deve essere in 5a, se non sbaglio). È una vera vergogna; perché la nostra famiglia nelle scuole di Ghilarza aveva una certa fama; questa Mea deve proprio essere nata a Pirri, e la sua culla deve essere sempre stata assordata dalle ranocchie degli stagni che l’hanno fatta diventare cervello di ranocchia anche lei: sa gridare, ma non sa pensare e riflettere. Tirale un po’ le orecchie da parte mia e dille che deve scrivermi ancora di tanto in tanto per farmi vedere che ha migliorato nell’ortografia. Cara Grazietta, scrivimi anche tu qualche volta. Ti abbraccio affettuosamente con la mamma e con tutti di casa (compresa la donna di servizio, se permette).

Antonio


177.

13 gennaio 1931

Carissima Giulia,

recentemente Tania mi ha trasmesso cinque fotografie in cui Delio appare in gruppo con altri bambini e una fotografia del 1929 dove Delio è seduto su un muricciolo di Soci, mentre mangia un grappolo d’uva. Sono le fotografie più interessanti che ho ricevuto in questi quattro anni e mezzo dopo il distacco da te e dai nostri figliolini. C’è movimento e spontaneità. Posso cogliere le diverse espressioni e i vari atteggiamenti di Delio estrinsecati in un piccolo giro di tempo, quindi cogliere meglio la sua individualità nascente. Mi pare che la sua personcina spicchi di piú e con maggior naturalezza appunto perché in gruppo; ognuno ha un tratto caratteristico, ognuno ha una personalità, eppure il gruppo è omogeneo, forma «massa», riflettendosi nei singoli e illuminandoli meglio. Delio è cresciuto, si è sviluppato armonicamente (si vede bene dove è ritratto nudo in riva al mare); mi pare che si esageri quando mi si scrive che è troppo serio. Dalla fotografia presa mentre si trova nel refettorio appare invece come sia normalmente bambino: basta confrontarlo con la ragazzina che gli siede a sinistra, nella quale c’è una espressione di curiosità un po’ ingenua, ma solo apparente: mi pare che la furberia predomini e che l’ingenuità sia piuttosto voluta, da piccola attrice graziosa. Ricordi ciò che dicevi a Roma quando Delio prendeva il bagno? «Abbiamo proprio un bel figlio!» – Certo i ricordi di Roma e ancora rinforzati da quando vidi Delio nel 25, anche se ammalato, mi aiutano molto a ricostruirlo meglio dalle attuali fotografie; ciò è piú difficile per Giuliano, sebbene indirettamente Delio mi aiuti. Carissima Julka, è da un pezzo che non ricevo tue lettere. Adesso ho il timore che le mie lettere non ti arrivino e che anche le tue subiscano dei disguidi. In questi ultimissimi tempi sono stato informato, credo, in modo definitivo, sulle tue condizioni di salute. Mi pare che questo modo di fare finisca col rendere i rapporti reciproci convenzionali, bizantini, senza spontaneità e non si riflette che i sentimenti suscitati da queste cinture di filo spinato nei rapporti reciproci diventano esasperati e morbosi. Noi ci eravamo promesso di essere sempre franchi e veritieri nell’informarci reciprocamente su noi stessi: ricordi? Perché non abbiamo mantenuto la parola? Perché non rompiamo assolutamente con questi modi di condotta che sentono di vita feudale, di domostroi, di legislazione inglese del 700? (secondo questa legislazione il marito nascondeva alla moglie la vita dei figli e i tribunali sanzionavano che tra madre e figlio non esisteva parentela!). Naturalmente io sono molto felice quando ricevo una tua lettera: essa riempie molto del mio inutile tempo e interrompe il mio isolamento dalla vita e dal mondo. Ma credo necessario che tu scriva anche per te stessa, perché mi pare che anche tu debba essere isolata e un po’ tagliata dalla vita e che scrivendomi possa sentir meno questa intima solitudine. Quando il 19 novembre 1926 mi fu comunicata l’ordinanza della polizia che mi assegnava 5 anni di deportazione in Colonia, il comandante del carcere mi comunicò che io ero stato assegnato alla Somalia; agli altri miei colleghi fu comunicata come destinazione la Cirenaica e l’Eritrea. Mi persuasi, conoscendo come si viaggia per i luoghi di pena, che forse non sarei neanche arrivato vivo (quasi due mesi di viaggio con le catene, col passaggio dell’Equatore) e che in ogni modo non avrei vissuto a lungo. Mi concessero di scrivere, ma per circa 12 ore fui in dubbio: non era meglio non scrivere a nessuno e sparire come un sasso nell’oceano? Poi mi decisi a scriverti, molto brevemente, e se ricordi in quelle poche parole, nonostante tutto, traspare un po’ della mia convinzione d’allora. Scrissi a casa e una mia sorella, quando ero ad Ustica, perché il 26 a Napoli ci fu comunicato ufficialmente che non si andava piú in Africa, mi scrisse che la mia lettera le era sembrata un testamento. Ora rido di ciò, tuttavia è stata una svolta morale nella mia vita, perché mi ero abituato all’idea di dover fra breve morire. Dopo ciò cosa può piú colpirmi a fondo? Ti abbraccio forte forte

Antonio


178.

26 gennaio 1931

Carissima Tania,

avrei voluto scrivere a Giulia tutta questa lettera, ma ho ricevuto finalmente una lettera di Carlo, alla quale dovevo rispondere e inoltre non mi sento di scrivere a Giulia come vorrei perché ho molto mal di capo. La prossima lettera sarà dunque tutta per Giulia; ti prego perciò di non propormi, in questi quindici giorni, delle quistioni alle quali occorra rispondere subito. Cerco ora di eliminare tutte quelle che mi hai posto in queste passate settimane. 1° L’ultima mia lettera a te, se non l’hai finora spedita, crederei opportuno non fosse comunicata a Giulia. Devi avere un po’ di discernimento e di poteri discrezionali e non devi passare da un estremo all’opposto. Quella lettera non riguarda i miei rapporti con Giulia e l’addolorerebbe troppo venire a conoscere (in forma frammentaria e allusiva) cose che molto probabilmente ignora: bisognerebbe poi scrivere un volume per spiegargliele e ancora! Certe cose, credo, non si possono mai spiegare per iscritto, mentre dieci minuti di conversazione le liquiderebbe. Non ti pare? – 2° Ho ricevuto pochi minuti fa il tuo vaglia di 250 lire. Ti ringrazio. Leggi l’ultima parte della lettera a Carlo che interessa anche te per questa terribile storia di soccorsi, che ha tanto demoralizzato il povero Carlo. – 3° Anche la storia delle riviste inglesi è diventata troppo lunga: avresti potuto decidere senz’altro secondo il consiglio di Piero. Dunque: accetto che al supplemento del «Times» si sostituisca il supplemento del «Manchester Guardian» (cioè il «Manchester Guardian Weekly») che costa solo 13 scellini e non 25 come il «Times», come accetterei che alla «Tribuna Illustrata» si sostituisse la «Domenica del Corriere» (bada che si tratta di un esempio e che non desidero né la «T. I.» né la «D. del C.») poiché, su per giú, Londra sta a Roma come Manchester a Milano e la differenza appare anche nelle pubblicazioni settimanali: quei di Londra sono troppo piene di sposalizi e nascite di Lords e di Ladies e al confronto preferisco ancora quattro pagine sulla coltivazione del cotone nell’alto Egitto. Col «Guardian Weekly» va bene il «Labour Monthly» e la quistione sia finita. – 4° Ho ricevuto il numero di dicembre della «Gerarchia», ma non i precedenti, da luglio a novembre, che non mi erano stati spediti e che desidererei avere. – 5° Sono assolutamente contrario a un tuo viaggio a Turi. Tu esageri certamente sulle tue condizioni di salute. Pesare 50 kili è troppo poco e non dovresti porre limiti di peso al tuo ristabilirti. Spero che non crederai sul serio che sia il tè che ti abbia fatto ingrassare di 5 chili. La storiella delle mercantesse moscovite, grasse per il tè, è da ridere: vivevano come oche nella stia e ciò avrà contribuito piú del tè alla loro leggendaria pinguedine. Penso che non disprezzavano le buone bistecche, il burro, ecc. e che forse bevevano molto tè solo per poter meglio digerire gli abbondanti pasti, cosí come le mercantesse italiane bevono molti caffè e spesso corretti col rhum e il cognac. Mi pare che il tuo temperamento non sia incline alla pinguedine; quanto pesavi quando eri all’Università secondo la fotografia che mi mostrasti? Non eri certo grassa, ma dovevi pesare quasi 60 chili. Se vuoi andare dai tuoi ed essere in grado di sostenere il lungo viaggio con tutte le fatiche che comporta e che non sono poche, devi avere una buona riserva di energia fisica su cui contare. A Turi la stagione è pessima: nebbia e umidità come a Milano, con piogge frequenti. Dicono che è una stagione eccezionale. Il pensiero che tu possa venire, ammalarti e star qui sei mesi chiusa in casa come l’anno scorso, mi fa rabbrividire. Non devi assolutamente esporti a un tal rischio; per poterlo fare dovresti pesare almeno 70 chili ed essere guarita dalla malattia del fegato. – Ti ringrazio dei tuoi auguri, forse vuoi rimproverarmi che mi sia dimenticato che il 12 gennaio era santa Tatiana? Me ne sono veramente dimenticato e cosí anche delle mie cosí dette feste, che solo tu ricordi con molta diligenza ogni anno. Ti assicuro che per il mio onomastico il carcere non mi ha passato del giambone; anche il podestà e i maggiorenti del paese si sono dimenticati di venire a farmi gli auguri. Credo che tu ancora concepisca il carcere come un collegio per orfanelle nobili sotto il patronato delle Regine madri. Ma un po’ di ottimismo non fa mai male, è vero? Ti abbraccio teneramente.

Antonio

Scrivi a Carlo che mi hai mandato il vaglia; cosí si persuaderà che non sto morendo di fame.


179.

26 gennaio 1931

Carissimo Carlo,

ho ricevuto la tua lettera del 17 e il giorno prima avevo ricevuto una cartolina di Teresina. Avevo già capito perché da qualche mese non mi scrivevi. Ma perché prendertela cosí a cuore? Intanto sapevi che non mi potevano mancare dei mezzi e infatti alla fine del mese avrò ancora 600 lire, cioè quanto mi può bastare largamente fino a luglio, ma che potrebbe bastarmi anche tutto l’anno senza privazioni di niente di essenziale. E poi mi pare che, in ogni caso, il rimedio migliore non sia quella di non scrivermi. Io sono rimasto per qualche tempo nella convinzione che ti fossi stabilito a Milano e perciò non capivo certi accenni di Tatiana a una tua presenza a Roma in un certo momento; solo per caso, da una lettera di Grazietta, mi pare, ho saputo che eri rientrato a Ghilarza. Per un certo tempo ci fu tutto un mistero, per me, e questo mi preoccupava. Perché? Perché temevo che a Milano, per il solo nome di Gramsci, la polizia ti avesse fatto qualche scherzo poco allegro, nonostante tutti i tuoi documenti e le tue opinioni e le informazioni della questura di Cagliari. So quello che dico e ho visto e sentito sulla mia pelle l’accanimento che questa polizia milanese ha spiegato contro di me e so che il Tribunale Speciale è intervenuto per farli smettere e il giudice istruttore insistette perché sporgessi una querela nelle sue mani. Ecco perché ero preoccupato.

Ti ringrazio delle notizie che mi mandi. Mi dispiace tanto sentire che la mamma è ancora tanto debole: Teresina mi aveva scritto che da due giorni si era alquanto rimessa, ma nella tua lettera non c’è accenno a questo miglioramento. Capisco che si sia tanto affezionata a te, che le sei stato vicino piú degli altri figli e che ti preferisca, per aiutarla, alla stessa Grazietta, che non deve essere di umore sempre uguale.

Ti ho spesso scritto d’informarmi se Nannaro, dopo la sua lettera da Namur, mi aveva scritto qualche altra volta; io non ho piú ricevuto un rigo, sebbene mi avesse fatto tante promesse durante il colloquio. Poiché da qualche lettera di casa appare che egli scrive di tanto in tanto, ti prego di scrivergli da parte mia, ponendogli la quistione: poche parole di spiegazione mi basteranno.

A proposito del soccorso, per cui ti sei tanto amareggiato, date le tue condizioni di incertezza di lavoro, bisogna che ti faccia osservare che col luglio venturo entrerà in vigore il nuovo codice penale e quindi anche un nuovo regolamento carcerario, che probabilmente muterà notevolmente la situazione dei condannati. È stabilito il principio che l’amministrazione statale potrà risarcire delle spese sostenute per l’alimentazione e per altre necessità inerenti al mantenimento dei carcerati, col sequestro o meglio con la confisca dei beni ecc. ecc. Ma fino a che punto si andrà nella specificazione di «beni»? E sarà ancora concesso di spendere per il sopravitto e di ricevere dalle famiglie delle somme o queste non potranno essere confiscate almeno in parte? Certe allusioni fatte in Senato, specialmente dal sen. Garofalo nel 1929, per cui non si dovrebbe cercare di attenuare il carattere «afflittivo» del carcere (anche se la tesi di Garofalo, che si riferiva specialmente alla segregazione cellulare, sia stata respinta dal governo) potrebbero indicare la possibilità di misure restrittive. Io non ci credo, per ora, ma il solo dubbio mi spinge ad avvertirti di non avere preoccupazioni per parecchi mesi ancora (oltre a non averne mai troppe, in generale): niente mi dispiacerebbe di piú che la confisca anche di pochi denari dovuti ai sacrifizi che tu devi fare per il tuo affetto per me.

Carissimo Carlo, abbraccia teneramente la mamma per parte mia e falle tante carezze.

Cordialmente tuo

Antonio


180.

9 febbraio 1931

Carissima Giulia,

ho ricevuto la tua lettera del 9 gennaio che incomincia cosí: «Quando penso di scrivere – ogni giorno – penso a ciò che mi fa tacere, penso che la mia debolezza è nuova per te…». – E anche io penso che ci sia stato un certo equivoco finora tra noi, proprio su questa tua presente debolezza e sulla presunta tua forza anteriore e di questo equivoco voglio prendermi almeno la maggior parte di responsabilità, che realmente mi spetta. Una volta ti ho scritto (forse ricordi) che io ero persuaso che tu sia sempre stata molto piú forte di quanto tu stessa non pensassi, ma che mi repugnava quasi di insistere troppo su questo motivo perché mi sembrava di essere come un negriero, dato che a te sono toccati i pesi piú gravi della nostra unione. Penso ancora cosí, ma ciò non significava allora, né significa oggi tanto meno, che mi fossi fatto di te un figurino di «donna forte» convenzionale e astratto: sapevo che eri anche debole, che anzi eri talvolta molto debole, che eri insomma una donna viva, che eri Iulca. Ma ho molto pensato a tutte queste cose, da che sono in carcere e piú da qualche tempo a questa parte. (Quando non si possono fare prospettive per l’avvenire, si rimugina continuamente il passato, lo si analizza, si finisce col vederlo meglio in tutti i suoi rapporti e si pensa specialmente a tutte le sciocchezze commesse, ai propri atti di debolezza, a ciò che sarebbe stato meglio fare o non fare e sarebbe stato doveroso fare o non fare). Cosí mi sono persuaso che, a proposito della tua debolezza e forza, io ho commesso molte sciocchezze (cosí mi sembrano ora) e le ho commesse per troppa tenerezza per te, che era sventataggine da parte mia e che, in realtà, io che mi credevo abbastanza forte, ero tutt’altro che forte, ero, anzi, indubbiamente, più debole di te. Cosí si è creato questo equivoco, che ha avuto conseguenze molto gravi, se tu non mi hai scritto, mentre avresti voluto scrivere, per non turbare il figurino che credevi mi fossi formato della tua forza. Le esemplificazioni che dovrei dare di queste mie affermazioni, hanno un contenuto che mi appare adesso cosí ingenuo che a stento riesco io stesso a rappresentarmi le condizioni in cui mi trovavo quando sentivo e operavo cosí ingenuamente; perciò non mi sento in grado di scriverne di proposito. Del resto servirebbe a poco. Mi pare sia piú importante stabilire ora tra noi rapporti normali, ottenere che tu non abbia a sentire dei freni inibitori nello scrivermi, che non abbia a sentire quasi repugnanza ad apparire diversa da quella che immagini io creda tu sia. Ti ho detto che io sono persuaso tu sia molto piú forte di quanto tu stessa creda: anche la tua ultima lettera mi conferma in questa persuasione. Pur nello stato di depressione in cui ti trovi, di grave squilibrio psicofisico, hai conservato una grande forza di volontà, un grande controllo di te stessa, e allora ciò significa che lo squilibrio psicofisico è molto meno grande di quanto potrebbe apparire e si limita, in realtà, a un aggravamento relativo di condizioni che nella tua personalità credo siano permanenti o almeno io le ho notate come permanenti in quanto collegate con un ambiente sociale che permanentemente domanda una tensione di volontà estremamente forte. Mi pare insomma che presentemente tu sia ossessionata dal sentimento delle tue responsabilità, che ti fa apparire le tue forze inadeguate ai doveri che vuoi compiere, ti disvia la volontà e ti esaurisce fisicamente, ponendo tutta la tua vita attiva in un circolo vizioso in cui realmente (se pure parzialmente) le forze bruciano senza risultato, perché disordinatamente applicate. Ma mi pare che, nonostante tutto, tu abbia conservato le forze sufficienti e la volontà sufficiente per superare da te stessa questa difficoltà in cui ti trovi. Un intervento esterno (esterno solo in un certo senso) ti faciliterebbe il compito: per esempio, se Tatiana andasse a convivere con te e tu ti persuadessi concretamente che le tue responsabilità sono diminuite di fatto e perciò io insisto presso Tatiana perché si decida a partire, come insisto presso di lei perché si metta in condizioni di poter giungere presso di te in condizioni di salute tali che le permettano subito di essere attiva: mi pare che altrimenti tutta la situazione sarebbe peggiorata invece che migliorata. Ma insisto nell’affermare la mia persuasione che tu sottovaluti la tua stessa forza reale, e che sei in grado di superare l’attuale crisi da te stessa. Hai sopravalutato la tua forza nel passato ed io scioccamente ti ho lasciato fare (dico adesso scioccamente, perché allora non credevo di essere sciocco); ora la deprezzi, perché non sai adeguare concretamente la tua volontà al fine da raggiungere e non sai graduare i tuoi fini e perché sei un po’ ossessionata. Cara, sento benissimo quanto tutto ciò che ti scrivo sia inadeguato e freddo. Sento la mia impotenza a fare qualsiasi cosa di reale ed efficace per darti un aiuto; mi dibatto tra il sentimento di una immensa tenerezza per te che mi appari come una debolezza da consolare immediatamente con una carezza fisica e il sentimento che è necessario da parte mia un grande sforzo di volontà per persuaderti da lontano, con parole fredde e slavate, che tuttavia tu sei anche forte e puoi e devi superare la crisi. E poi mi ossessiona il pensiero del passato. Tu ricordi la nascita di Delio e la carrozzella (ma come hai dimenticato che nell’aprile del 1925 lo abbiamo insieme condotto a spasso in quella carrozzella in un giardino vicino alla Tverskaia-Yamskaia?) e Bianco e i dodici rubli che hai preso in prestito. E perché hai cosí tenacemente rifiutato l’aiuto che ti avevo mandato attraverso Bianco? E perché io non sono riuscito a impormi a te e a far riconoscere il mio diritto di aiutarti? Penso che allora avevo riscosso 8200 lire d’indennità giornalistica e che le versai interamente per il nuovo giornale. Perché ho potuto permettere che tu facessi dei debiti di 12 rubli mentre io versavo 8200 lire al giornale, mentre avrei, senza nessuna difficoltà e pur facendo tutto il mio dovere, potuto versare solo il 50%? Tutto questo mi esaspera ora contro me stesso d’allora e mi fa vedere quanto i nostri rapporti fossero d’una incongruità e di un romanticismo scelleratissimo. È vero che tu allora non mi accennasti a questi dodici rubli, anzi mi prendesti in giro per le mie «pretese» di aiutarti, ma sento ora che avrei dovuto trovare il modo di importi anche ciò che non volevi. – Del resto hai ragione che nel nostro mondo, mio e tuo, ogni debolezza è dolorosa e ogni forza un aiuto. Penso che la nostra piú grande disgrazia è stata quella di essere stati insieme troppo poco, e sempre in condizioni generali anormali, staccate dalla vita reale e concreta di tutti i giorni. Dobbiamo ora, nelle condizioni di forza maggiore in cui ci troviamo, rimediare a queste manchevolezze del passato, in modo da mantenere alla nostra unione tutta la sua saldezza morale e salvare dalla crisi ciò che di bello c’è pure stato nel nostro passato e che vive nei bambini nostri. Ti pare? Io voglio aiutarti, nelle mie condizioni, a superare la tua attuale depressione, ma bisogna anche che tu un po’ mi aiuti e mi insegni il modo migliore di aiutarti efficacemente, indirizzando la tua volontà, strappando tutte le ragnatele di false rappresentazioni del passato che possono incepparla, aiutandomi a conoscere sempre meglio i due bambini e a partecipare alla loro vita, alla loro formazione, alla affermazione della loro personalità, in modo che la mia «paternità» diventi piú concreta e sia sempre attuale e cosí diventi una paternità vivente e non solo un fatto del passato sempre piú lontano. Aiutandomi cosí anche a conoscere meglio la Iulca di oggi che è Iulca + Delio + Giuliano, somma in cui il piú non indica solo un fatto quantitativo, ma soprattutto una nuova persona qualitativa. Cara, ti abbraccio stretta stretta e aspetto che mi scriva a lungo.

Antonio

Cara Tatiana,

aggiungo una piccola postilla per te, per salutarti e poi: 1° per pregarti di non mandarmi ricostituenti, perché non ho preso ancora quelli che già mi hai mandato – 2° per pregarti di non fare il viaggio a Turi: se Carlo ha tempo di venire, bene; ma credo che anch’egli potrebbe astenersene e risparmiare i denari per un’altra volta. – 3° ti prego di scrivere alla libreria domandando come mai non abbia ricevuto nessuna rivista del nuovo anno: come avevo previsto, i nuovi abbonamenti hanno dovuto subire un ritardo per dimenticanza o altro. Ti abbraccio.

Antonio