2 Lettere 31 – 60

31.

2 maggio 1927

Carissima Giulia,

credo sia piú salutare per la mia corrispondenza il non mantenere la promessa che ti avevo fatto di descriverti almeno la parte positiva della mia avventura. Ciò mi dispiace enormemente, credi, perché ho sempre l’ossessione di essere per essere ridotto ad una epistolografia convenzionale e, ciò che è il peggio del convenzionalismo, ad una epistolografia convenzionalmente carceraria. Avrei avuto tante piccole storie da raccontarti! Tania ti ha riferito la storia dell’arresto del maiale? Forse no, perché Tania non ci ha creduto; ha creduto che fosse una mia pura invenzione per tenerla allegra e farla sorridere. Del resto, anche tu non crederai molto a queste storie (occhiali verdi ecc.) che invece sono belle appunto perché sono vere (realmente vere): non hai voluto credere neppure alla storia degli aeroplani che prendono gli uccelli col vischio e alla teoria del Loria in proposito, sebbene ci fosse la rivista con l’articolo del Loria come pezza giustificativa. Come farti sapere il mio modo di vivere e di pensare? Una gran parte della mia esistenza puoi immaginarla da te; per esempio che penso molto a te e a tutti voi. La mia vita fisica è facilmente immaginabile lo stesso. Leggo molto: in questi tre mesi ho letto 82 libri della Biblioteca del carcere, i piú bizzarri e stravaganti (la possibilità di scelta è piccolissima); ho poi una certa quantità di libri miei, un po’ piú omogenei, che leggo con piú attenzione e metodo. Inoltre leggo cinque giornali al giorno e qualche rivista. Ancora: studio il tedesco e il russo e imparo a memoria nel testo una novella di Puškin, la Signorina-contadina. Ma, in verità, mi sono accorto che, proprio al contrario di quanto avevo sempre pensato, in carcere si studia male, per tante ragioni, tecniche e psicologiche.

Ho ricevuto, la settimana scorsa, la tua lettera del 15 III. Attendo con molta ansia le tue lettere e sono molto felice quando le ricevo. Vorrei che tu potessi trovare il tempo di descrivermi la tua vita e la vita di Delio, specialmente. Ma immagino quanto devi essere sempre occupata. Quante cose vorrei sapere.

Sai, quando ho ricevuto questa tua lettera, dove parli del famoso Atlante, avevo solo qualche giorno prima restituito alla Biblioteca il Guerrin Meschino, un popolarissimo romanzo cavalleresco italiano, molto letto dai contadini ecc., meridionali specialmente; avrei voluto trascrivere qualche pezzo geografico contenuto nel romanzo, dei più spassosi (la Sicilia è messa nelle terre polari, per esempio) per rassicurarti che c’è stato qualcuno che conosceva la geografia anche meno di te; non parliamo della storia, perché in tal caso bisognerebbe citare il sullodato prof. Loria, il quale in una conversazione parlava in modo da dimostrare di credere che al tempo di Giulio Cesare esisteva Venezia e a Venezia si parlava come adesso («il dolce dialetto della Laguna» secondo la sua immaginifera improntitudine). Cara, cerco di scriverti il piú a lungo che posso, di cose che credo non faranno fermare la lettera: perciò ti devo infastidire con simili stupidaggini. Ti abbraccio forte forte

Antonio

32.

23 maggio 1927

Carissima mamma,

da qualche tempo non ricevo tue lettere e notizie di casa. Ho scritto a Teresina, ma essa non mi ha risposto. Cosí in tutto questo tempo non mi avete mai scritto nulla su Grazietta e sulle sue condizioni di salute.

Io sto abbastanza bene; la mia vita scorre sempre uguale. Leggo, mangio, dormo e cosí ogni giorno. Attendo sempre della corrispondenza, ma ne ricevo ben poca. Perché non mi fai scrivere almeno da Carlo? Possibile che i suoi affari lo assorbano tanto da impedirgli di scrivermi di tanto in tanto? Vorrei inoltre avere l’indirizzo preciso di Mario; dal 1921 non ho piú avuto rapporti con lui, ma ora ho saputo che si è occupato di me e perciò vorrei scrivergli per ringraziarlo. Scrivimi tutto ciò che lo riguarda, in modo che dalle mie lettere non appaia che io proprio non mi sono occupato di lui in tutti questi anni: quanti figli ha e come si chiamano? ecc. ecc.

Abbraccia tutti di casa e tira delicatamente le orecchie a Carlo e a Teresina. Un abbraccio affettuoso a te

Nino

33.

23 maggio 1927

Carissima Tania,

ho ricevuto la settimana scorsa una tua cartolina e una tua lettera insieme alla lettera di Giulia.

Voglio rassicurarti per ciò che riguarda la mia salute: sto abbastanza bene, proprio sul serio. In questa ultima settimana mangio poi con una diligenza che sorprende me stesso: sono riuscito a farmi mandare il cibo quasi del tutto come piace a me e credo di essere persino ingrassato. Inoltre da qualche tempo dedico un po’ di tempo, tanto al mattino come al pomeriggio, alla ginnastica; ginnastica da camera, che non credo sia molto razionale, ma che tuttavia mi giova moltissimo, secondo la mia impressione. Faccio cosí: cerco di fare dei movimenti che diano impulso a tutti gli arti e a tutti i muscoli, ordinatamente e cercando ogni settimana di aumentare di qualche unità il numero dei movimenti; che ciò sia utile è dimostrato, secondo me, dal fatto che nei primi giorni mi sentivo tutto indolenzito e non potevo fare un certo movimento se non pochissime volte, mentre adesso sono già riuscito a triplicare il numero dei movimenti senza risentire nessuna noia. Credo che questa innovazione mi abbia giovato anche psicologicamente, distraendomi specialmente dalle letture troppo insulse e fatte solo per ammazzare il tempo. Non devi neanche credere che io studii troppo. Un vero e proprio studio credo che mi sia impossibile, per tante ragioni, non solo psicologiche, ma anche tecniche; mi è molto difficile abbandonarmi completamente a un argomento o a una materia e sprofondarmi solo in essa, proprio come si fa quando si studia sul serio, in modo da cogliere tutti i rapporti possibili e connetterli armonicamente. Qualche cosa in tal senso forse incomincia ad avvenire per lo studio delle lingue, che cerco di fare sistematicamente, cioè non trascurando nessun elemento grammaticale, come non avevo mai fatto sinora, poiché mi ero accontentato di sapere quanto bastava per parlare e specialmente per leggere. Perciò finora non ti ho scritto di mandarmi nessun dizionario: il dizionario tedesco del Kohler che mi avevi mandato ad Ustica è stato perduto dai miei amici di colà; ti scriverò di mandarmi l’altro dizionario, quello sistema Langescheid, quando avrò studiato tutta la grammatica; allora ti scriverò di mandarmi anche i Gespräche di Goethe con Eckermann, per farvi su delle analisi di sintassi e di stile e non solo per leggerli; ora leggo le novelline dei fratelli Grimm che sono elementarissime. Sono proprio deciso a fare dello studio delle lingue la mia occupazione predominante; voglio sistematicamente riprendere, dopo il tedesco e il russo, l’inglese, lo spagnolo e il portoghese che avevo studiacchiato negli anni scorsi; inoltre il rumeno, che avevo studiato all’università solo nella sua parte neolatina e che ora penso di poter studiare completamente, cioè anche per la parte slava del suo dizionario (che poi è piú del 50% del vocabolario rumeno). Come vedi, tutto ciò dimostra che sono completamente tranquillo anche psicologicamente; infatti non soffro piú di nervosismo e di accessi di sorda collera come nei primi tempi; sono acclimatato e il tempo mi scorre abbastanza in fretta; lo calcolo a settimane e non a giorni e il lunedí è il punto di riferimento, perché scrivo e mi faccio la barba, operazioni eminentemente topiche.

Ti voglio fare un catalogo della mia biblioteca permanente, cioè dei libri di mia proprietà, che scorro continuamente e che cerco di studiare. Vediamo. Il Corso di Scienza delle Finanze dell’Einaudi, ecco un solido libro da digerire sistematicamente. Di finanza ho ancora: Gli ordinamenti finanziari italiani, raccolta di lezioni fatte all’Università di Roma da tecnici dell’amministrazione statale; ottimo libro e di grande interesse. Una Storia dell’Inflazione, scritta dal Lewinsohn, molto interessante, sebbene di tipo giornalistico. Un libro sulla Stabilizzazione monetaria nel Belgio scritto dal ministro Frank. Di economia non ho nessun testo: avevo ad Ustica quello ottimo del Marshall, ma i miei amici se lo sono trattenuto loro. Ho però le Prospettive economiche del Mortara per il 1927; l’Inchiesta Agraria di Stefano Jacini; il libro di Ford Oggi e domani che mi diverte assai, perché Ford, se è un grande industriale, mi pare assai comico come teorizzatore; il libro del Prato sulla struttura economica del Piemonte e di Torino e un fascicolo degli «Annali di Economia» con una ricerca molto diligente sulla struttura economica del Vercellese (zona del riso italiano) e una serie di conferenze sulla situazione economica inglese (c’è anche una conferenza del Loria). Di storia ho pochissimo e cosí di letteratura: un libro di Gioacchino Volpe sugli ultimi 50 anni di storia italiana, di attualità però, di carattere piuttosto polemico, La storia della lett. ital. e i Saggi critici del De Sanctis. Quelli che avevo ad Ustica li ho dovuti lasciare agli amici di colà, che si trovavano anche loro a mal partito.

Ti ho voluto scrivere tutto questo perché mi pare sia il mezzo migliore perché tanto tu quanto Giulia vi facciate un’idea almeno approssimativa della mia vita e del corso ordinario dei miei pensieri. D’altronde non dovete pensare che sia completamente solo e isolato; ogni giorno, in un modo o nell’altro, c’è qualche movimento. Al mattino c’è il passeggio; quando mi capita una buona posizione di cortiletto, osservo le facce di quelli che vanno e vengono ad occupare gli altri cortiletti. Poi vendono i giornali permessi a tutti i detenuti. Al ritorno in cella, mi portano i giornali politici di cui mi è concessa la lettura; poi c’è la spesa, poi portano la spesa fatta il giorno prima, poi portano la colazione ecc. ecc. Insomma si vedono continuamente delle faccie nuove, ognuna delle quali nasconde una personalità da indovinare. D’altronde, potrei, rinunziando alla lettura dei giornali politici, stare in compagnia di altri detenuti per 4 o 5 ore al giorno. Ci ho pensato un po’, ma poi mi sono deciso a star solo mantenendo la lettura dei giornali; una compagnia occasionale mi divertirebbe per qualche giorno, forse per qualche settimana, ma poi, con ogni probabilità, non riuscirebbe a sostituire la lettura dei giornali. Cosa ve ne pare? O forse la compagnia, in sé e per sé, vi pare un elemento psicologico da apprezzare di piú? Tania, come medichessa, devi darmi tu un consiglio proprio tecnico, poiché è possibile che io non sia in grado di giudicare con la oggettività che forse sarebbe necessaria.

Ecco dunque la struttura generale della mia vita e dei miei pensieri. Non voglio parlare dei miei pensieri in quanto sono diretti a voi tutti e ai bambini: questa parte dovete immaginarla, e credo che la sentiate.

Cara Tania, nella tua cartolina mi parli ancora della tua venuta a Milano e della possibilità che ci vediamo a colloquio. Sarà proprio da vero questa volta? Sai che oramai da piú di sei mesi non vedo nessun familiare? Questa volta ti aspetto sul serio. Abbracci.

Antonio

34.

6 giugno 1927

Carissima mamma,

ho ricevuto la tua lettera del 23 maggio. Ti ringrazio perché mi hai scritto a lungo e mi hai mandato tante notizie interessanti. Dovresti sempre scrivermi cosí e mandarmi sempre tante notizie sulla vita locale anche se a te non sembrano di grande significato. Per esempio: mi scrivi che a Ghilarza aggregheranno altri 8 comuni; intanto quali sono? E poi: che significato ha questa aggregazione e quali conseguenze? Ci sarà un solo podestà, e una condotta municipale, ma le scuole, per esempio, come saranno organizzate? Lasceranno in ogni attuale comune le prime scuole elementari, oppure i bambini di Narbello o di Domusnovas dovranno ogni giorno venire a Ghilarza anche per la prima classe? Metteranno un dazio comunale unico? Le imposte che i ghilarzesi proprietari di terra in tutti questi comuni pagheranno saranno spese nelle singole frazioni o saranno spese per abbellire Ghilarza?

Questa è la questione principale, mi pare, perché nel passato il bilancio comunale di Ghilarza era poverissimo perché i suoi abitanti possedevano nel territorio dei comuni vicini e a questi pagavano la maggior parte delle imposte locali. Ecco di che cosa devi scrivermi invece di pensare sempre alla mia posizione critica, triste ecc. ecc. Io vorrei rassicurarti da questo punto di vista. Intendiamoci: non che io creda la mia posizione molto brillante. Ma tu sai che ogni cosa ha un valore anche secondo il nostro modo di vederla e di sentirla. Ora, io sono molto tranquillo e vedo tutto con una grande calma e una grande fiducia, non per gli avvenimenti immediati che mi riguardano, ma per il mio avvenire ulteriore; sono persuaso, come ho già scritto a Teresina, che non dovrò star sempre a marcire in prigione; io credo, cosí a lume di naso, che starò dentro non piú di tre anni, anche se mi condannassero, mettiamo, a 20 anni. Vedi che ti scrivo con la massima sincerità, senza cercare di crearti nessuna illusione, penso che solo cosí anche tu sarai forte e avrai pazienza. Devi poi essere assolutamente tranquilla per ciò che riguarda le mie condizioni di forza morale e anche di salute fisica. Per la forza morale un po’ mi conosci. Ricordi quella volta (ma forse non te l’abbiamo mai detto allora) che abbiamo fatto una scommessa tra ragazzi a chi resisteva di piú a darsi dei colpi di pietra sulle dita fino a fare uscire una goccia di sangue dai polpastrelli. Adesso non sarei forse piú capace di resistere a queste prove barbariche, ma certamente sono diventato anche piú capace di resistere ai colpi di martello sulla testa che gli avvenimenti mi hanno vibrato e ancora mi vibreranno. Pensa che su per giú da dieci anni mi trovo in un ambiente di lotta e che mi sono sufficientemente temprato; avrei potuto essere ucciso una dozzina di volte, e invece mi trovo ancora vivo: è già un punto di guadagno incalcolabile. D’altronde sono stato anche felice per qualche tempo; ho due bellissimi bambini che certamente vengono allevati e crescono come piace a me e che diventeranno due uomini energici e forti. Dunque sono tranquillo e calmo e non ho proprio bisogno né di compassione né di conforto. E anche fisicamente sto abbastanza bene. In questi sei mesi ne ho viste e ne ho passate di tutti i colori e ho scoperto che anche fisicamente sono molto, molto piú forte di quanto io stesso pensassi. Sono sicuro di poter resistere anche in avvenire e sono sicurissimo perciò di riabbracciarti e di vederti contenta.

Di tanto in tanto ho nostalgia di Giulia e dei nostri figli e so che stanno bene. Sono certo che i bambini sono allevati anche con troppe comodità e cure: la mamma, i nonni, le zie, si priverebbero del pane per non far mancare loro i biscotti e i bei vestitini. Di Nannaro non sono riuscito a saper niente di preciso, mai: sapevo solo che viveva a Parigi, che lavorava, ma non di piú. Nannaro è molto matto e strano e credo che proprio lui non abbia voluto farmi sapere nulla di sé, perché forse pensava che io fossi molto in collera con lui perché aveva riscosso il mio stipendio per 5 o 6 mesi senza farmene sapere nulla, mentre io ero ammalato in un sanatorio. Penso cosí io, almeno; e perciò credo che sia pazzo. Io sapevo in che stato era, come era stato ferito per causa mia e non avrei neanche pensato a rimproverarlo o a domandargli un soldo.

Cara mamma, sta forte e tranquilla e non essere troppo feroce con gli abbasantesi. Ti abbraccio affettuosamente

Nino

35.

27 giugno 1927

Carissima mamma,

ho ricevuto la tua lettera del 2 con la fotografia di Mea. La tua precedente lettera l’avevo poi ricevuta e ad essa ho anche risposto. Le mie notizie sono sempre le stesse; la salute è abbastanza buona e tiro avanti. In queste ultime settimane ho avuto un grosso dispiacere; è venuta da Roma a Milano mia cognata Tatiana per visitarmi, ma è caduta ammalata e dal 14 maggio si trova in un ospedale, senza ancora essere potuta venire a vedermi. Spero che adesso stia bene (cosí mi scrive, almeno) e che fra giorni mi farà una visita.

La fotografia di Mea non mi piace. Sai a cosa pensavo? Che lo scudo d’argento che avevo mandato per farle un cucchiaino, tu l’hai conservato e glielo hai messo nel salvadanaio o alla posta. Mi pare di vedere nella faccia di questa bambina i lineamenti potenziali di una beghina che dà il denaro in prestito al 40 per cento d’interesse. Mi pare che tutti insieme, tu, Grazietta e Teresina avete rovinato Edmea. Non dimenticherò mai che la prima volta che Mea venne a spasso con me, avendole chiesto se voleva i cioccolattini, mi rispose di darle i soldi che li avrebbe messi alla posta. Ti pare un bel modo questo di educare i bambini? Io mi domando perché una ragazza educata cosí possa sentire ripugnanza a prostituirsi; se le avete insegnato che il denaro vale per se stesso e non per i servizi che può procurare? Io desidero proprio che Mea abbia un cucchiaino e non uno scudo, devi scrivermi se hai fatto ciò.

Vorrei che tu mi mandassi, sai che cosa? La predica di fra’ Antiogu a su populu de Masuddas. Ad Oristano si potrà comprare, perché ultimamente l’aveva ristampata Patrizio Carta nella sua famosa tipografia. Poiché ho tanto tempo da perdere, voglio comporre sullo stesso stile un poema dove farò entrare tutti gli illustri personaggi che ho conosciuto da bambino: tiu Remundu Gana con Ganosu e Ganolla, maistru Andriolu e tiu Millanu, tiu Micheli Bobboi, tiu Iscorza alluttu, Pippetto, Corroncu, Santu Jacu zilighertari ecc. ecc. Mi divertirò molto e poi reciterò il poema ai bambini, fra qualche anno. Penso che adesso il mondo si è incivilito e le scene che abbiamo visto noi da bambini ora non si vedono piú. Ti ricordi quella mendicante di Mogoro che ci aveva promesso di venirci a prendere con due cavalli bianchi e due cavalli neri per andare a scoprire il tesoro difeso dalla musca maghedda e che noi l’abbiamo attesa per mesi e mesi? Adesso i bambini non credono piú a queste storie e perciò è bene cantarle; se ci trovassimo con Mario potremmo rifare una gara poetica! Mi sono ricordato di tiu Iscorza alluttu, come pudicamente diceva zia Grazia: vive ancora? ti ricordi quanto ci faceva ridere col suo cavallo che aveva la coda solo la domenica? Hai visto quante cose ricordo? Scommetto che sono riuscito a farti ridere. Saluta affettuosamente tutti. Ti abbraccio teneramente

Nino

36.

4 luglio 1927

Caro Berti[1],

ho ricevuto la tua lettera del 20 giugno[2]. Ti ringrazio di avermi scritto. Non so se Ventura ha ricevuto le mie numerose lettere, perché da Ustica non ricevo corrispondenza da un bel pezzo. In questo momento attraverso un certo periodo di stanchezza morale, in relazione ad avvenimenti di carattere famigliare. Sono molto nervoso e irascibile; non riesco a concentrarmi su nessun argomento, anche se interessante, come quello trattato nella tua lettera. D’altronde ho perduto ogni contatto col vostro ambiente e non so immaginare quale sia il carattere delle trasformazioni avvenute nella media dei confinati. Una delle attività piú importanti, secondo me, da svolgere da parte del corpo insegnante sarebbe quella di registrare, sviluppare e coordinare le esperienze e le osservazioni pedagogiche e didattiche; da questo ininterrotto lavoro solo può nascere il tipo di scuola e il tipo di insegnante che l’ambiente richiede. Che bel libro si potrebbe fare, e quanto utile, su queste esperienze. Poiché tale è la mia opinione, mi è difficile darti dei consigli e tanto meno scodellarti, come tu dici, una serie di idee «geniali». Penso che la genialità debba essere mandata nel «fosso» e debba invece essere applicato il metodo delle esperienze piú minuziose e dell’autocritica piú spassionata o obiettiva. Caro Berti, non pensare che io voglia scoraggiarti o aumentare il turbamento che già esiste in te, come mi scrivi. Io penso, cosí all’ingrosso, che la scuola dovrebbe essere in tre gradi (fondamentali, perché ogni grado potrebbe essere diviso in corsi): il terzo grado dovrebbe essere quello degli insegnanti o equiparati, e funzionare piuttosto come circolo che come scuola in senso comune. Ogni componente, cioè, dovrebbe dare un suo contributo come conferenziere o relatore su determinati argomenti scientifici, storici o filosofici, ma specialmente didattici e pedagogici. Per il corso di filosofia io penso, cosí, sempre all’ingrosso, che l’esposizione storica dovrebbe essere riassuntiva e si dovrebbe invece insistere su un sistema filosofico concreto, quello hegeliano, sviscerandolo e criticandolo in tutti i suoi aspetti. Farei invece un corso di logica, direi persino coi barbara, baralipton, ecc., e di dialettica. Ma di tutto questo potremo ancora parlare, se tu mi scriverai ancora.

Caro Berti, salutami tutti gli amici e credimi cordialmente tuo

Antonio

37.

18 luglio 27

Carissima Tania,

ho ricevuto la tua lettera dell’11. Non ti ho scritto prima direttamente, perché non sapevo il tuo indirizzo preciso. Ma io pensavo che la Ester ti mostrasse sempre le mie lettere che erano scritte specialmente per te. Cara Tania, certo immagini quanto dolore abbia sentito e senta per tutto questo trambusto di malattie in cui ti sei trovata per causa mia. Io non ne capisco nulla ma a certe parole che ronzano come mosconi, penso che si tratti di cose molto complicate. Che tu sia già potuta uscire dall’ospedale, mi ha molto consolato. Sai da che cosa era specialmente determinato il mio nervosismo? Dal non sapere nulla di concreto e dal pensare che mentre tu eri a Milano ammalata io potevo, da un giorno all’altro, essere messo in traduzione per Roma, senza averti visto. Devo restituire la penna e perciò devo smettere. Ti abbraccio teneramente, con la speranza di vederti tra breve.

Antonio

 

38.

25 luglio 1927

Carissima Tania,

ho ricevuto, questa settimana, solo una lettera della Ester. Ieri, domenica, ero proprio convinto che saresti venuta al colloquio. Non devi credere, però, carissima, che io mi sia mai irritato perché tu non hai ancora potuto venire a vedermi, e che abbia, in qualsiasi modo, pensato che il ritardo sia stato causato da tua poca diligenza. Mi è sembrato di leggere un qualcosa del genere nella lettera della Ester. No. Sono stato nervoso perché non avevo tue notizie regolarmente e perché le notizie erano vaghe e incerte. Capivo che tu mi scrivessi come mi scrivevi, perché ho visto altre volte come dai poca importanza alla tua salute, ma non capisco come la Ester almeno non capisse di dovermi scrivere con una certa concretezza. Anche adesso capisco poco. Ester mi aveva scritto che tu avevi già subito l’operazione dell’appendicite; dalla tua ultima lettera appare invece che l’operazione non ha avuto luogo ancora. Questa incertezza devi poi metterla in rapporto al fatto che alla fine di maggio e per quasi tutto giugno io credevo di dover partire per Roma da un giorno all’altro. Puoi immaginare il mio stato d’animo in simili condizioni. Qualche momento ero veramente furibondo. Quei «benino», che mi scrivevate, mi facevano da aculeo. Sai, al mio paese si racconta questa storia: — Il governo, attraverso i prefetti, inviò a tutti i Municipi, molto tempo fa, una circolare dove si domandava a quale distanza dall’abitato si trovasse il cimitero. Il sindaco rispose la prima volta: «A un tiro di schioppo». Il modulo fu rimandato indietro, con la richiesta di una maggiore precisione e il sindaco precisò: «A un tiro di sasso, lanciato da mano maestra»; il modulo fu ancora rimandato e il sindaco fu ancora piú preciso: «Una volata di allodola di seconda covata». Non ti pare che tu ed Ester abbiate avuto ed abbiate contro il sistema metrico decimale delle notizie la stessa avversione di quel sindaco?

Carissima Tania, nonostante tutto, mi sento molto colpevole e sono addolorato di avere in tal modo perduto il controllo di me stesso. Ti prego di non trascurare nulla per rimetterti in salute e di fare tutto ciò che alla clinica ritengono sia necessario. Io posso aspettare e aspetterò con molta pazienza. Ti voglio molto bene

Antonio

 

39.

1° agosto 1927

Carissima mamma,

ho ricevuto la tua lettera del 12 luglio e la fotografia dei due bambini di Teresina. Hai ricevuto un’altra mia lettera, nella quale ti scrivevo qualcosa su Nannaro? Se non l’hai ricevuta, non pensare che ti abbia mandato sue notizie precise, perché neanche io sono riuscito mai ad averne; cercavo solo di spiegarti le ragioni probabili del silenzio di Nannaro almeno a mio riguardo.

Il gruppo dei due bambini mi pare venuto molto bene, anche se la fotografia non è molto riuscita. Si vede che sono due bei bambini. Nell’altra fotografia di Franco che mi avevi mandato, il bambino sembrava un vecchietto; era molto magro e senza freschezza. Da un pezzo non ho piú ricevuto notizie da Giulia; da circa 3 mesi, non so niente né di lei né dei bambini. Mia cognata è sempre all’ospedale ammalata; penso che proprio in questi giorni le abbiano fatto un’operazione, perché da 20 giorni non ho sue notizie. Io mi sto abituando a non pensare piú a nulla e a lasciare andare le cose come vogliono. Abbracci a tutti

Nino

Perché non ti faccia imbrogliare, nel caso, ti avverto che lo scudo d’argento non vale solo 5 lire, ma oggi vale 20 lire. Quando l’ho mandato valeva proprio 30 lire circa e da esso si poteva benissimo fare un cucchiaino da bambini.

 

40.

8 agosto 1927

Carissima Tania,

ho ricevuto la tua lettera del 28 luglio e la lettera di Giulia. Non avevo ricevuto lettere dopo l’11 luglio ed ero in grande pena, tanto che ho fatto qualcosa che a te sembrerà una sciocchezza: non te la voglio dire, però, te la dirò quando verrai a colloquio. Mi dispiace che tu ti senta moralmente stanca. Mi dispiace tanto piú, perché sono persuaso di avere contribuito a deprimerti. Cara Tania, ho sempre un grande timore che tu stia peggio di quanto mi scrivi e che ti possa trovare in qualche imbarazzo. Per causa mia. È questo uno stato d’animo che niente può distruggere. È radicato in me. Sai che nel passato io ho sempre fatto una vita da orso nella caverna proprio per questo stato d’animo: perché non volevo che nessuno fosse legato alle mie traversie. Ho cercato di farmi dimenticare anche dalla mia famiglia, scrivendo a casa il meno possibile. Basta! Vorrei fare qualcosa per farti sorridere almeno. Ti racconterò la storia dei miei passerotti. Devi dunque sapere che ho un passerotto e che ne ho avuto un altro che è morto, credo avvelenato da qualche insetto (una blatta o un millepiedi). Il primo passerotto era molto piú simpatico dell’attuale. Era molto fiero e di una grande vivacità. L’attuale è modestissimo, di animo servile e senza iniziativa. Il primo divenne subito padrone della cella. Credo che avesse uno spirito eminentemente goethiano, come ho letto in una biografia a proposito dell’uomo biografato. Ueber allen Gipfeln. Conquistava tutte le cime esistenti nella cella e quindi si assideva per qualche minuto ad assaporarne la sublime pace. Salire sul tappo di una bottiglietta di tamarindo era il suo perpetuo assillo; e perciò una volta cadde in un recipiente pieno dei rifiuti della caffettiera e fu lí lí per affogare. Ciò che mi piaceva in questo passero è che non voleva essere toccato. Si rivoltava ferocemente, con le ali spiegate e beccava la mano con grande energia. Si era addomesticato, ma senza permettere troppe confidenze. Il curioso è che la sua relativa famigliarità non fu graduale, ma improvvisa. Si muoveva per la cella, ma sempre nell’estremo opposto a me. Per attirarlo gli offrivo una mosca in una scatoletta di fiammiferi; non la prendeva se non quando io ero lontano. Una volta invece di una, nella scatoletta erano cinque o sei mosche; prima di mangiarle danzò freneticamente intorno per qualche secondo; la danza fu ripetuta sempre per le mosche numerose. Un mattino, rientrando dal passeggio, mi trovai il passero vicinissimo; non si staccò piú, nel senso che da allora mi stava sempre vicino, guardandomi attentamente e venendo ogni tanto a beccarmi le scarpe per farsi dare qualcosa. Ma non si lasciò mai prendere in mano senza rivoltarsi e cercare subito di scappare. È morto lentamente, cioè ha avuto un colpo improvviso, di sera, mentre era accovacciato sotto il tavolino, ha strillato proprio come un bambino, ma è morto solo il giorno dopo: era paralizzato dal lato destro e si trascinava penosamente per mangiare e bere, poi di colpo morí. L’attuale passero invece è di una domesticità nauseante; vuole essere imboccato, quantunque mangi da sé benissimo; viene sulla scarpa e si mette nella piega dei calzoni: se avesse le ali intiere volerebbe sul ginocchio; si vede che vuol farlo perché si allunga, freme, poi va sulla scarpa. Penso che morirà anch’esso, perché ha l’abitudine di mangiare le capocchie bruciate dei fiammiferi oltre al fatto che il mangiare sempre pane mollo deve procurare a questi uccellini dei disturbi mortali. Per adesso è abbastanza sano, ma non è vivace; non corre, sta sempre vicino e si è già involontariamente preso alcune pedate. Ed ecco la storia dei miei passerini.

Scriverai tu a Giulia anche per me, è vero? Ho pensato di scriverle direttamente; che te ne pare. Sarebbe lo stesso, ma come fare a scrivere ogni settimana a te e a Giulia separatamente? Tutta la mia corrispondenza sarebbe impegnata; d’altronde io voglio scrivere a te ogni settimana. Cara Tania, ti voglio tanto bene e ti abbraccio

Antonio

 

41.

8 agosto 1927

Carissimo Berti,

ho ricevuto la tua del 15 luglio. Ti assicuro che il mio stato di salute non è peggiore di quello che era negli scorsi anni; credo anzi che sia un tantino migliorato. D’altronde non faccio nessun lavoro, perché non può chiamarsi lavoro il leggere puro e semplice. Leggo molto, ma disordinatamente. Ricevo qualche libro di fuori e leggo i libri della biblioteca carceraria, cosí, come capitano, settimana per settimana. Io possiedo una capacità abbastanza felice di trovare un qualche lato interessante anche nella piú bassa produzione intellettuale, come i romanzi d’appendice, per esempio. Se avessi la possibilità, accumulerei centinaia e migliaia di schede su alcuni argomenti di psicologia diffusa popolare. Per esempio: come è nato il mito del «rullo compressore russo» del 1914; in questi romanzi trovi a centinaia gli spunti in proposito, ciò che significa che esisteva tutto un sistema di credenze e di timori radicati nelle grandi masse popolari e che nel 1914 i governi imponevano quelle che si potrebbero dire le loro campagne d’agitazione nazionalistiche. Allo stesso modo trovi centinaia di spunti sull’odio popolare francese contro l’Inghilterra, legato alla tradizione contadinesca della guerra dei cento anni, del supplizio di Giovanna d’Arco e poi alle guerre e all’esilio di Napoleone. Che i contadini francesi, sotto la Restaurazione, credessero Napoleone un discendente della Pulzella, non è estremamente interessante? Come vedi io razzolo anche nei letamai! D’altronde qualche libro interessante mi capita di tanto in tanto. Sto leggendo adesso l’Église et la Bourgeoisie primo tomo (300 pp. in 8°) di Origines de l’esprit bourgeois en France di un tale Groethuysen. L’autore, che non conosco, ma che deve essere un seguace della scuola sociologica del Paulhan, ha avuto la pazienza di analizzare molecolarmente le raccolte di prediche e di libri di devozione usciti prima del 1789, per ricostruire i punti di vista, le credenze, gli atteggiamenti della nuova classe dirigente in formazione. Una grande delusione intellettuale mi ha dato invece il tanto strombazzato libro di Henri Massis Défense de l’Occident; credo che Filippo Crispolti o Egilberto Martire avrebbero scritto un libro piú snello se fosse loro venuto in testa l’argomento. Ciò che mi fa ridere è il fatto che questo egregio Massis, il quale ha una benedetta paura che l’ideologia asiatica di Tagore e di Gandhi non distrugga il razionalismo cattolico francese, non s’accorge che Parigi è diventata una mezza colonia dell’intellettualismo senegalese e che in Francia si moltiplica il numero dei meticci. Si potrebbe, per ridere, sostenere, che se la Germania è l’estrema propaggine dell’asiatismo ideologico, la Francia è l’inizio dell’Africa tenebrosa e che il jazz-band è la prima molecola di una nuova civiltà eurafricana!

Ti ringrazio per aver cercato di farmi avere i fogli mancanti al mio esemplare del libro del Rosselli. Hai letto il libro? Io non conosco il Rosselli, ma vorrei dirgli che non comprendo in un libro di storia l’acrimonia che egli mette nel suo. Questo in generale. In particolare: lo spunto del suo libro mi pare drammatico fino all’istrionismo (naturalmente il recensore del «Giornale d’Italia» si è impadronito di questo spunto e l’ha rigirato con la massima pacchianeria). Poi il Rosselli non accenna neanche al fatto che la famosa riunione di Londra del 1864 per l’indipendenza della Polonia era domandata dalle Società napoletane da qualche anno e fu convocata proprio per una esplicita lettera di una Società napoletana. Il fatto mi pare capitale. Nel Rosselli c’è (per lui) una strana deformazione intellettuale. I moderati del Risorgimento, i quali dopo i fatti di Milano del febbraio 1853 e a pochi giorni dall’impiccagione di Tito Speri, avevano inviato un indirizzo di omaggio a Francesco Giuseppe, a un certo momento, specialmente dopo il 60 ma piú dopo gli avvenimenti di Parigi del 71, si impadronirono di Mazzini e se ne fecero un baluardo, anche contro Garibaldi (vedi Tullio Martello, per es. nella sua Storia). Questa tendenza è rimasta fino ad oggi ed è rappresentata dal Luzio. Ma perché anche dal Rosselli? Io pensavo che la giovane generazione di storici si fosse liberata da queste diatribe e dall’acrimonia che le accompagna e che ai Gesta dei avesse sostituito la critica storica. Del resto il libro del Rosselli «riempie una lacuna» realmente. Ho ricevuto una cartolina da Amadeo. Saluta tutti affettuosamente, anche il Rosselli e il Silvestri.

Ti abbraccio.

Antonio

 

42.

22 agosto 1927

Carissima mamma,

da circa un mese non ricevo tue lettere. Come state? Ti scrivo per avvertirti di non avere nessuna preoccupazione se riceverai (o avrai già ricevuto) un qualche avviso delle Ferrovie dello Stato in cui si parla di tre biglietti ferroviari da me rilasciati come deputato a tre Tizii e che sono stati contestati non ricordo bene se alla fine del 25 o ai principii del 26. Credo almeno che si tratti di questa faccenda, perché due giorni fa mi hanno domandato l’indirizzo della mia famiglia, che era richiesto dalle Ferrovie dello Stato per una «quistione amministrativa». Io ho prima risposto che, essendo maggiorenne, la mia famiglia ero io stesso, ma siccome la richiesta era molto concisa, mi fu domandato l’indirizzo dei genitori. Ti spiego il caso. Come deputato avevo diritto ogni anno a 8 biglietti di 1a classe e 4 di 2a per le persone della famiglia o per chi viaggiava con me in accompagnamento per ragioni di salute. Mi sono servito di questi biglietti qualche volta per farmi accompagnare, perché in tutti gli anni scorsi sono sempre stato molto debole e soffrivo qualche volta di svenimenti e di capogiri. Una volta che da Roma andai a Milano, il mio accompagnatore doveva subito ripartire, come fare? Mi rivolsi all’impiegato dei biglietti speciali e gli domandai schiarimenti; mi rispose che potevo emettere il biglietto, specificando: «di ritorno dall’accompagnamento». Cosí feci e ripetei altre due volte, successivamente, la cosa. Nel maggio 26, quando dovevo ritirare i biglietti del nuovo anno legislativo, essi mi furono rifiutati e mi si comunicò che avrei dovuto pagare, per averli, qualche migliaio di lire, importo di tre biglietti piú la multa. Io penso che non devo pagar nulla: — 1° perché da parte mia non c’è stato nessun dolo; ho presentato allo sportello dei biglietti che sono stati accettati, nonostante che in essi fosse scritto chiaramente: «di ritorno dall’accompagnamento», ciò significa che il regolamento non è chiaro e che gli impiegati non sanno interpretarlo — 2° perché sono stato danneggiato col non uso dei biglietti per il 1926. Ti ho spiegato questo perché tu veda che non c’è stato nulla di male da parte mia. In ogni caso sono io solo il responsabile e non so cosa possono pretendere dai miei genitori. Se ricevi un avviso di tal genere, pertanto, devi rispondere che voi non c’entrate per nulla, che da 20 anni io sono indipendente dalla mia famiglia e faccio vita e famiglia per conto mio. Aspetto tue notizie. Ti abbraccio affettuosamente

Nino

 

43.

22 agosto 1927

Carissima Tania,

da quasi un mese non ricevo tue notizie; l’ultima tua lettera è del 29 agosto. Sono diventato piú paziente, è vero; tuttavia questo stato di cose mi dà molta pena. Il mese scorso, prima di ricevere la tua lettera del 29, non sapendo cosa pensare, ho scritto alla signorina Nilde. Mi ha risposto molto gentilmente e mi ha assicurato che il prof. Bastianelli non crede necessaria l’operazione per il tuo male e che ha scritto in tal senso a un medico dell’ospedale. Il prof. Bastianelli crede che per te sia necessario tranquillità, aria buona e buon nutrimento. Tutto ciò è bello, ma non è fatto per farmi star tranquillo, perché penso che non hai né tranquillità né aria buona e che probabilmente mangerai pochissimo. Scrivimi quante volte ti è possibile; qualche lettera almeno mi arriverà e mi darà ancora un po’ di pazienza. E scrivi a Giulia, rassicurandola. La sua ultima lettera era un po’ malinconica (l’avevi letta?). Ti abbraccio

Antonio

 

44.

29 agosto 1927

Carissima mamma,

ho ricevuto oggi la tua lettera del 17 e ti rispondo subito, quantunque ti abbia scritto anche la settimana scorsa.

Giovedí è giunto Mario e ci siamo parlati per circa un quarto d’ora. Sta molto bene. Mi ha accennato ai suoi affari che adesso vanno abbastanza bene anch’essi. Mi pare che abbia una leggera tendenza a diventare grasso come papà. Prima di venire da me, Mario era andato a visitare mia cognata all’ospedale, cosí mi ha dato sue notizie e mi ha un po’ tranquillizzato. Egli mi ha promesso di scriverti subito per dirti che mi ha trovato assai bene di salute. Ciò che mi hai scritto di lui mi pare esagerato. Nessuno, in questo caso, può essere piú spassionato e obbiettivo di me, poiché Mario milita nel campo opposto al mio. Quando io sono stato a visitarlo, qualche anno fa, in casa sua, credo di essermi fatta un’opinione esatta su tutto l’ambiente di cui egli era una specie di eroe. Ma sono cose che è meglio non scrivere e d’altronde Mario è mio fratello e gli voglio bene nonostante tutto. Spero che adesso si occupi piú delle sue faccende e che metta la testa a partito. Se ritornerà a trovarmi, come mi ha detto, vedrò di trovare il modo di dirgli qualcosa, specialmente per sua moglie che non è certo una donna come te, e che si affloscerebbe come uno straccio se dovesse lottare con una difficoltà appena appena seria. Altro che rinunciare ai bagni o alla villeggiatura o a un nuovo vestito.

Mi dispiace che Grazietta stia sempre male; perché non mi scrive qualche volta? Abbraccio tutti affettuosamente; tanti, tanti baci a te

Nino

(E la predica di prete Poddighe quando me la mandi?)

 

45.

29 agosto 1927

Carissima Tania,

giovedí ho avuto il colloquio con mio fratello Mario, che mi ha rassicurato sulle tue condizioni. Ero talmente sovraeccitato per la mancanza di tue notizie, che dopo il colloquio e la scarica nervosa da esso determinata, mi sono sentito male: non ho dormito tutta la notte e devo aver avuto un po’ di febbre. Tuttavia non so spiegarmi la mancanza di tue lettere. Mario mi ha detto d’averti invitato a passare qualche giorno a Varese in casa sua. Perché non accetti? Il caldo ormai è passato, tuttavia la campagna deve essere ancora gradevole e la regione dei laghi lombardi è degna di essere vista. Mio fratello è un buon ragazzo e sono sicuro che tu ti troverai à ton aise in casa sua. Conosco poco sua moglie; l’ho vista una volta sola, parecchi anni fa, quando stava per partorire e non credo sia questo il momento piú opportuno per conoscere una signora. Potresti ancora fare qualche bella passeggiata; Varese stesso possiede un lago, e delle colline molto belle. Intanto, anche tu, come passi il tempo? Hai dei libri? Io potrei mandarti qualche libro, ma non so come fare. Ho letto un romanzo di una scrittrice inglese, Margherita Kennedy, che mi pare molto pregevole. Il titolo La ninfa innamorata, è alquanto sciocco, ma il libro è realmente interessante: non so perché, mi ricorda L’Idiota di Dostoievski. Non credere che sia di una tale intensità, però; è certamente notevole, sia perché scritto da una donna, sia per l’atmosfera psicologica in cui è concepito e sia ancora per il mondo che descrive; inoltre è ben tradotto. Certamente lo leggerai, perché questi libri che ho qui, bisognerà pure che te li mandi, o quando partirò da Milano, o da Roma, quando sarò assegnato a qualche Casa di Pena definitiva, dopo il processo. Vorrei che questo romanzo, dopo averlo letto, lo mandassi a Giulia. Io le scriverò allora il perché il libro deve interessarla. Sai, si tratta, nel romanzo, di una specie di falanstero di musicisti, che vivono, sviluppano modi di pensare e di giudicare intorno a questo fatto fondamentale: la creazione e la sensibilità musicale. Giulia m’ha detto una volta che da giovinetta pensava di trasformare il mondo con la musica. Nel romanzo è il mondo che stritola i protagonisti: in ogni modo il libro è interessante e tradotto bene. Ti sei accorta come sono tradotti male i romanzi di Conrad? Non solo non si ha in italiano uno stile e una espressione che equivalga all’originale inglese, ma addirittura la lingua italiana è massacrata.

Aspetto sempre tue notizie dirette. Si avvicina il freddo: immagino che tu sei arrivata a Milano con una borsetta, credendo di stare pochi giorni e che ti trovi imbarazzata per tante piccole cose. Quando potrò dirti a voce tutto ciò che ho pensato in questo mese, ti farò certamente ridere: credo proprio che la soverchia immaginazione sia una grande disgrazia. Ti abbraccio affettuosamente

Antonio

 

46.

Cara Grazietta[3],

spero che queste righe ti trovino ancora ad Oristano. Mi dici d’avermi scritto altre cose. Ti dò la mia parola, che quando ti risposi era la prima volta che ricevevo da te direttamente qualche notizia. Credi pure che sono meno indifferente e meno pigro di quanto possa apparire a qualcuno. O dio, non sono un mostro di espansione e spesso mi ci vuole per scrivere una parola affettuosa, ma non te e quelli di casa dovrete meravigliarvi di questo fatto. Bacia tanto la figliolina di zio Serafino e saluta tutti gli zii e la coorte delle zie, e di’ loro che mi scrivano qualche volta ed io risponderò: scrivere a tutti è impossibile; scegliere fra i tanti non è cortese; perciò, se proprio può a qualcuno importare che io viva e vesta panni, aspetto di conoscere questo qualcuno. Ma io ci credo poco. Baci infiniti a tutti.

Nino

 

47.

12. IX. 1927

Carissima Tania,

ho ricevuto le tue due lettere; ricevo ogni giorno la frutta che mi mandi. Sono stato molto contento di averti visto e di aver potuto scambiare qualche parola con te. È stata proprio una consolazione averti visto, dopo questi 4 mesi di ansie e di brutti pensieri. Perché mi hai trovato mutato? Io non so rendermene conto. È vero che i mutamenti, con questa vita, si succedono cosí lentamente che il «paziente» può non accorgersene. Mi pare che tu non sei mutata gran che; forse eri troppo in preda alla paura di vedermi, è vero? Io invece penso di essermi «sviluppato» nel senso della freddezza e della indifferenza esterna, ho perduto molto del mio «meridionalismo». Non credo di essere diventato insensibile, tutt’altro; forse invece ho acquistato un po’ di sensibilità nervosa e morbosa, ma ho perduto l’abito esterno della sensibilità. È vero che tu mi hai ricordato Giulia; ho osservato che vi rassomigliate molto, nonostante alcuni tratti spiccati di personalità propria e inconfondibile. Del resto, ricordi che un pomeriggio a Roma ti ho rivolto la parola credendo che tu fossi Giulia? Non so quando potrai avere il secondo colloquio. Ti vorrei dire a voce, meglio dell’altra volta, che non devi preoccuparti troppo di me. Sai che sono già passati 10 mesi dal giorno del mio arresto? Il tempo passa molto in fretta, è vero, ma è anche molto lungo. Io penso che ho già imposto troppi sacrifici ai miei fratelli e anche a te. Su mio fratello Mario non posso piú contare. L’ho capito un mese fa, dopo una lettera di mia madre. La mamma mi scrisse d’aver ricevuto una lettera dalla moglie di Mario, con molti lamenti ecc. Scrissi a Mario di venire a colloquio; mi sembrò molto imbarazzato. Dopo il colloquio, scrisse al mio paese, a mio fratello Carlo, in forma allarmatissima, da quanto posso immaginare. Carlo mi scrive come se io fossi sull’orlo della tomba; parla di venire lui a Milano e ha pensato persino di condurre la mamma, una donna di 70 anni circa, che non si è mai mossa dal villaggio e non ha mai fatto un viaggio in ferrovia piú lungo di 40 kilometri. Cose da manicomio, che mi hanno addolorato e anche un po’ irritato contro Mario, che poteva essere piú franco con me e non terrorizzare la vecchia mamma. Basta. Ho deciso per tutto questo di porre un termine a questo stato di cose, riducendomi, se occorre, al puro vitto carcerario. Ci sono però delle pendenze e queste mi preoccupano assai. Scusami lo sfogo, cara Tania, e non addolorarti. Vedi che io ti scrivo proprio come a una sorella e tu in tutto questo tempo sei stata per me piú che una sorella. Perciò ti ho anche tormentato un po’, qualche volta. Ma non è forse vero che si tormenta proprio coloro che ci sono piú cari. Io voglio che tu faccia di tutto per guarire e star sana. Cosí potrai scrivermi, tenermi informato di Giulia e dei bambini e consolarmi col tuo affetto.

Le 300 lire che mi hai mandato in giugno, le ho ricevute; devo anche avertelo scritto. Non mi hanno ancora consegnato il dizionario tedesco; ma tu perché me l’hai mandato? Potevo farne a meno per ora, in attesa di poter avere il mio. In linea generale non devi mandarmi nulla che io non ti domandi o sulla cui spedizione io non sia stato consenziente. Credi pure che questa è la linea piú razionale, a parte il fatto, come tu dici, che io non domando mai nulla. Non è vero; io, quando ho bisogno, domando; ma cerco di farlo razionalmente, per non crearmi cattive abitudini che poi è piú doloroso smettere. Per vivere tranquilli in carcere, occorre abituarsi al purissimo necessario; tu capisci bene che ogni piccola comodità, in questo ambiente, diviene una specie di vizio che poi è difficile estirpare, data l’assenza di distrazioni. Se si vuole rimanere forti e mantenere intatta la propria forza di resistenza, occorre imporsi un regime e osservarlo ferreamente. Per esempio: perché ho io sofferto tanto del tuo silenzio? Perché ero abituato a una certa regolarità nella corrispondenza: ogni irregolarità perciò assumeva un significato sinistro. Ma questa abitudine della corrispondenza regolare devi però crearmela, sai? Non pensare che io ti autorizzi a non scrivermi, con la teoria delle non abitudini! Carissima, aspetto il nuovo colloquio, anche se non possiamo neanche stringerci la mano. A proposito, sai che per lungo tempo avevo pensato di darti qualche fiore cresciuto nella mia cella (vedi che romanticismo carcerario!)? Ma le piante sono ormai essicate e cosí non ho potuto mantenere nessuno dei 5 o 6 fiorellini che erano sbocciati, bruttini alquanto, a dire il vero.

Ti abbraccio, affettuosamente

Antonio

 

48.

12. IX. 1927

Carissimo Carlo[4],

ho ricevuto insieme la tua lettera del 30 agosto e l’assicurata del 2 settembre. Ti ringrazio di tutto cuore. Non so cosa ti ha scritto Mario; ho l’impressione che ti abbia troppo allarmato, mentre io pensavo che la sua visita avrebbe contribuito a rassicurare la mamma. Mi sono sbagliato. — La tua lettera del 30 agosto è poi addirittura drammatica. Ti voglio, d’ora innanzi, scrivere spesso, per cercare di convincerti che il tuo stato d’animo non è degno di un uomo (e tu non sei piú tanto giovane, ormai). È lo stato d’animo di chi è in preda al panico, di chi vede pericoli e minacce da tutte le parti, e perciò diventa impotente ad operare seriamente e a vincere le difficoltà reali, dopo averle bene determinate e circoscritte da quelle immaginarie che la sola fantasia ha creato. — E prima di tutto voglio dirti che tu e anche gli altri di casa non mi conoscete che ben poco e avete perciò una opinione completamente sbagliata sulla mia forza di resistenza. Mi pare che siano quasi 22 anni da che io ho lasciato la famiglia; da 14 anni poi sono venuto a casa solo due volte, nel 20 e nel 24. Ora in tutto questo tempo non ho mai fatto il signore; tutt’altro; ho spesso attraversato dei periodi cattivissimi e ho anche fatto la fame nel senso piú letterale della parola. A un certo punto questa cosa bisogna dirla, perché [ … ] si riesce a rassicurare. Probabilmente tu qualche volta mi hai un po’ invidiato perché mi è stato possibile studiare. Ma tu non sai certamente come io ho potuto studiare. Ti voglio solo ricordare ciò che mi è successo negli anni dal 1910 al 1912. Nel 10, poiché Nannaro era impiegato a Cagliari, andai a stare con lui. Ricevetti la prima mesata, poi non ricevetti piú nulla: ero tutto a carico di Nannaro, che non guadagnava piú di 100 lire al mese. Cambiammo di pensione. Io ebbi una stanzetta che aveva perduto tutta la calce per l’umidità e aveva solo un finestrino che dava in una specie di pozzo, piú latrina che cortile. Mi accorsi subito che non si poteva andare avanti, per il malumore di Nannaro che se la prendeva sempre con me. Incominciai col non prendere piú il poco caffè al mattino, poi rimandai il pranzo sempre piú tardi e cosí risparmiavo la cena. Per 8 mesi circa mangiai cosí una sola volta al giorno e giunsi alla fine del 3° anno di liceo, in condizioni di denutrizione molto gravi. Solo alla fine dell’anno scolastico seppi che esisteva la borsa di studio del Collegio Carlo Alberto, ma nel concorso si doveva fare l’esame su tutte le materie dei tre anni di Liceo; dovevo perciò fare uno sforzo enorme nei tre mesi di vacanze. Solo zio Serafino si accorse delle deplorevoli condizioni di debolezza in cui mi trovavo, e mi invitò a stare con lui ad Oristano, come ripetitore di Delio. Vi rimasi 1 mese ½ e per poco non divenni pazzo. Non potevo studiare per il concorso, dato che Delio mi assorbiva completamente e la preoccupazione, unita alla debolezza, mi fulminava. Scappai di nascosto. Avevo solo un mese di tempo per studiare. Partii per Torino come se fossi in istato di sonnambulismo. Avevo 55 lire in tasca; avevo speso 45 lire per il viaggio in terza delle 100 lire avute da casa. C’era l’Esposizione e dovevo pagare 3 lire al giorno solo per la stanza. Mi fu rimborsato il viaggio in seconda, un’ottantina di lire ma non c’era da ballare perché gli esami duravano circa 15 giorni e solo per la stanza dovevo spendere una cinquantina di lire. Non so come ho fatto a dar gli esami, perché sono svenuto due o tre volte. Riuscii ma incominciarono i guai. Da casa tardarono circa due mesi a inviarmi le carte per l’iscrizione all’università, e siccome l’iscrizione era sospesa, erano sospese anche le 70 lire mensili della borsa. Mi salvò un bidello che mi trovò una pensione di 70 lire, dove mi fecero credito; io ero cosí avvilito che volevo farmi rimpatriare dalla questura. Cosí ricevevo 70 lire e spendevo 70 lire per una pensione molto misera. E passai l’inverno senza soprabito, con un abitino da mezza stagione buono per Cagliari. Verso il marzo 1912 ero ridotto tanto male che non parlai piú per qualche mese: nel parlare sbagliavo le parole. Per di piú abitavo proprio sulle rive della Dora, e la nebbia gelata mi distruggeva.

Perché ti ho scritto tutto ciò? Perché ti convinca che mi sono trovato in condizioni terribili, senza perciò disperarmi, altre volte. Tutta questa vita mi ha rinsaldato il carattere. Mi sono convinto che anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio. Mi sono convinto che bisogna sempre contare solo su se stessi e sulle proprie forze; non attendersi niente da nessuno e quindi non procurarsi delusioni. Che occorre proporsi di fare solo ciò che si sa e si può fare e andare per la propria via. La mia posizione morale è ottima: chi mi crede un satanasso, chi mi crede quasi un santo. Io non voglio fare né il martire né l’eroe. Credo di essere semplicemente un uomo medio, che ha le sue convinzioni profonde, e che non le baratta per niente al mondo. Ti potrei raccontare qualche aneddoto divertente. Nei primi mesi che ero qui a Milano, un agente di custodia mi domandò ingenuamente se era vero che io, se avessi cambiato bandiera, sarei stato ministro. Gli risposi sorridendo che ministro era un po’ troppo, ma che sottosegretario alle Poste o ai Lavori Pubblici avrei potuto esserlo, dato che tali erano gli incarichi che nei governi si davano ai deputati sardi. Scosse le spalle e mi domandò perché dunque non avevo cambiato bandiera, toccandosi la fronte col dito. Aveva preso sul serio la mia risposta e mi credeva matto da legare.

Dunque, allegro, e non lasciarti sommergere dall’ambiente paesano e sardo: bisogna sempre essere superiori all’ambiente in cui si vive, senza perciò disprezzarlo o credersi superiori. Capire e ragionare, non piagnucolare come donnette! Hai capito? Devo proprio essere io, che sono in prigione, con delle prospettive abbastanza brutte, a far coraggio a un giovanotto che può muoversi liberamente, può esplicare la sua intelligenza nel lavoro quotidiano e rendersi utile? Ti abbraccio affettuosamente insieme con tutti di casa.

Nino

Ciò che hai promesso di mandarmi, mandalo appena puoi, perché ne ho proprio bisogno. Spero in seguito di non dover piú ricorrere al tuo aiuto.

 

49.

19 settembre 1927

Carissima Tania,

sei rimasta piú contenta per il colloquio di mercoledí? Era molto pittoresco, non è vero? Ho visto che anche tu ridevi, per tutto quel baccano assordante; non avrai però pianto dopo? Io sono stato molto contento, perché mi è sembrato che tu stessi un po’ meglio.

Ti ringrazio per ciò che mi mandi ogni giorno. Io cerco di mangiare proprio tutto ciò che tu mandi: ma qualche volta è proprio impossibile. Come potevo mangiare tante noci, per esempio? Invece ho proprio mangiato di gusto il buon prosciutto e il formaggio fresco che mi piace tanto e l’uva e i fichi ecc. Non mandarmi del pane, però: qui bisogna comprarne ogni volta almeno mezzo chilo e quindi io ne ho sempre in eccesso; è fresco e buono come quello che si può comprare fuori. Da ieri poi ho ricominciato a ricevere il pranzo dalla trattoria (almeno, ieri l’ho ricevuto; in questo momento che scrivo non ho ancora ricevuto per oggi, ma è ancora presto). Da qualche giorno ho rinunziato alla lettura dei giornali politici quotidiani e vado in compagnia, cioè viene nella mia cella dall’una alle cinque circa un altro detenuto. È un giudicando di un paese vicino a Monza, imputato di furto e devastazione di una casa di malaffare: eccesso di zelo nella ricerca di cocaina da parte di una specie di squadra del buon costume. Questa compagnia mi ha divagato enormemente in questi giorni; è un giovanotto, questo detenuto, abbastanza sveglio e spiritoso e io mi affiato rapidamente con chiunque. Per adesso almeno, gli argomenti di conversazione non sono esauriti.

Hai letto il romanzo della Kennedy? Un altro romanzo abbastanza interessante è quello di Henri Beraud; non ti pare, se l’hai letto, che riproduca abbastanza bene, lo stile secco e nervoso di vecchi cronisti francesi? Degno di esser letto è anche il libro di memorie di André Gide, del quale non so se tu conosci la restante letteratura poetica e romanzesca. Il romanzo di R. Bacchelli — Il diavolo al Pontelungo — ha avuto molto successo, da quanto ho letto nella stampa. Sai; il Bacchelli appartiene a una scuola che nel dopoguerra è stata molto discussa, quella dei cosidetti «rondisti» (perché la loro rivista si intitolava la «Ronda»); essi hanno «scoperto» che il Leopardi è il piú grande scrittore italiano e che la prosa del Leopardi dà il migliore modello alla letteratura moderna. Hanno pubblicato una bellissima antologia della prosa del Leopardi, ma mi pare che tutto il loro sforzo si sia esaurito in questa antologia; dal romanzo non si capisce bene in che cosa il Bacchelli innovi la letteratura italiana moderna e segni una tappa. Certo non appare in esso l’armonia delle parti e la completa fusione tra la forma espressiva e la concezione che sono proprie del Leopardi.

Spero che rapidamente ormai possa riuscire a ristabilirti in salute. Aspetto l’altro colloquio per vederti ancora piú contenta e piú forte. Ti abbraccio

Antonio

 

50.

26 settembre 1927

Carissima Tania,

avevo pensato di scrivere questa lettera a Giulia. Ma proprio non mi riesce; non riesco a incominciare. Sono ancora sotto l’impressione della sua ultima lettera, da me ricevuta, del 31 maggio, ma è una impressione certamente anacronistica. Mi pare che la vita di Giulia in questi mesi debba essersi svolta con molti mutamenti, perché Giuliano incomincerà a parlare e a camminare e lei avrà riprovato, ma con nuove sfumature, le impressioni dei primi moti di Delio, il quale oggi deve essere già uno spettatore giudizioso delle alte imprese del suo fratellino; cosí tutti i rapporti sentimentali sono complicati, con novità essenziali di enorme portata. Ti pare. Io dunque non sarei a tempo, certamente sarei stonato: ciò mi preoccupa e mi toglie l’iniziativa. Tu pensi davvero che Giulia sarà molto addolorata di non ricevere direttamente mie lettere? (Bada che non voglio mettere in dubbio la sua sensibilità!) Io ci penso, ma non riesco lo stesso. È proprio necessario che io abbia qualche sua lettera piú recente. Si può però fare cosí: comunicarle questa lettera, per esempio. Leggendola, lei capirà benissimo il mio stato d’animo e mi perdonerà. Forse non penserà neanche che ci sia bisogno di un perdono vero e proprio. Dovrei scrivere ora un grande elogio della sua bontà, ma qualcuno potrebbe pensare che lo faccio apposta ad captandam benevolentiam!

Cara Tania, spero di trovarti un po’ meglio dell’ultima volta; mi sembrasti un po’ febbricitante. Ti aspetto mercoledí.

Ti abbraccio

Antonio

 

51.

3 ottobre 1927

Carissima mamma,

ho ricevuto l’assicurata del 26 settembre; ringrazia tanto Carlo. Ho ricevuto pure la predica di prete Poddighi, ma essa non è molto divertente; certo non c’è l’umorismo fresco e paesano di quella al «populu de Masuddas». Con uno sforzo di memoria, nonostante che l’abbia sentito poche volte, sono riuscito a ricordarmene interi brani e perciò te l’avevo domandata. E ite cou no mais bogau — chi si nci boghint is ogus — e un arrogu e figau — ecc. ecc.; questo mi piace molto. Credo di averti scritto qualche lettera che non hai ricevuto: non so spiegarmi altrimenti la mancanza di notizie. Non sono stato ammalato e non mi sento male. In quest’ultimo tempo ho rinunziato alla lettura dei giornali quotidiani per poter andare qualche ora in compagnia di altri detenuti. La compagnia, come puoi immaginare, è quale può offrirla il carcere, perché non è permesso andare con altri detenuti politici: si tratta cioè di imputati di reati comuni. Tuttavia trovo un po’ di svago e il tempo passa piú rapidamente.

Mia cognata è uscita dall’ospedale e viene a visitarmi di tanto in tanto. È ancora in convalescenza e fa dei grandi sacrifizi per me. Ogni giorno viene al carcere e mi manda qualche cosettina prelibata da mangiare: della frutta, della cioccolata, dei latticini freschi. Poverina, non riesco a convincerla di non affaticarsi tanto e di pensare un po’ piú alla sua salute. Io sono persino un po’ umiliato di tanta abnegazione, che qualche volta non si trova neanche nelle sorelle.

Volevo dirti una cosa. Io non ricordo piú quali miei libri si trovano ancora a Ghilarza. Ricordo che nel 1913 avevo a Torino comprato uno stok di libri sulla Sardegna della biblioteca di un marchese di Boyl, i cui eredi si erano disfatti dei libri di argomento sardo. Qualcheduno, mi pare di ricordare, l’avevo portato a Ghilarza nelle vacanze. Vorrei avere, se ci sono ancora, il libro del generale Lamarmora sui suoi viaggi in Sardegna (è scritto in francese) e le storie del barone Mannu. Questi due mi pare che siano proprio a Ghilarza. Avevo un grosso volume rilegato (molto grosso, del peso di almeno 10 kili) con la raccolta di tutte le carte d’Arborea, ma non ricordo se l’avevo portato. Un volumetto che invece ci deve essere è dell’ingegnere Marchesi, Con Quintino Sella in Sardegna. Se trovi qualcuno di questi libri in casa, fammelo mandare. Di’ a Carlo che se gli capita di comprare qualche numero della rivista «Il Nuraghe» me lo mandi dopo averlo letto. Quando ti capita mandami qualcheduna delle canzoni sarde che cantano per le strade i discendenti di Pirisi Pirione di Bolotana e se fanno, per qualche festa, le gare poetiche, scrivimi quali temi vengono cantati. La festa di S. Costantino a Sedilo e di S. Palmerio, le fanno ancora e come riescono? La festa di S. Isidoro riesce ancora grande? Lasciano portare in giro la bandiera dei quattro mori e ci sono ancora i capitani che si vestono da antichi miliziani? Sai che queste cose mi hanno sempre interessato molto; perciò scrivimele e non pensare che sono sciocchezze senza cabu né coa.

Dei bambini non ricevo notizie da qualche tempo, ma spero che stiano bene. Ti abbraccio affettuosamente insieme a tutti di casa

Nino

 

52.

3 ottobre 1927

Carissima Tania,

ho ricevuto le tue due cartoline del 21 e del 23 settembre. Non devi sempre pensare a ciò che io desidero e che vorrei avere. Ti assicuro che se qualche cosa di necessario o di utile mi manca, te lo domando senza complimenti. Per i libri, tanto per accontentarti, ti dirò che desidero leggere la recente pubblicazione di Daudet e Maurras L’Action Française et le Vatican, che può essere acquistata anche a Milano. Ancora, desidero avere il Manualetto di linguistica di Giulio Bertoni e Matteo Giulio Bartoli, stampato a Modena nel 25 o nel 26. Avevo comandato alla libreria Sperling e Kupfer (Via Larga, 23) un libretto del Finck; siccome non ricordavo il titolo, invece del libro voluto, me ne hanno inviato uno abbastanza interessante per chi vuole studiare il cinese, il lappone, il turco, il georgiano, il samoano e il dialetto dei negri dello Zambesi, ma non ancora interessante per me, che non mi sono ancora deciso a cosí ardue fatiche. Quello desiderato si intitola precisamente cosí: F. N. Finck, Die Sprachstämme des Erdkreises, Edizione Teubner di Lipsia, nella collezione «Aus Natur und Geisteswelt». È una classificazione di tutte le lingue del mondo, ma l’oggetto del libro è solo la classificazione e non lo studio delle lingue separatamente. Il libro ricevuto invece è proprio dedicato ai primi elementi grammaticali delle lingue su citate (oltre che all’arabo e al greco moderno), con antologia. Ti vorrei riportare una novellina dei negri dello Zambesi, su alcune ragazze che giocano nella foresta coi serpenti, il cui titolo è: Za bakazana n in-zoca (letteralmente: Di alcune organismi-persone-ragazze con organismi-serpenti), ma sarebbe troppo complicato; puoi ammirare tuttavia la stringatezza dei negri in confronto con la prolissità europea; non sono poi sicuro che qualcuno dei suoni non debba riprodursi con lo schiocco della lingua e non già con una articolazione vocale. Questo libro lo voglio conservare: lo manderò a Giulia con l’indicazione di studiare il lappone, il samoano e il negro; proprio voglio che vada in collera. Sarà un complemento dei suoi studi di geografia, che mi sono costati tanto lavoro di propaganda e di agitazione. Che te ne pare. Non darti troppa pena per questi libri. Puoi andare alla libreria Sperling a mio nome e farmeli spedire. Vorrei avere, se è possibile, il numero unico dell’«Europe Nouvelle», dedicato al Vaticano e la Francia, uscito verso febbraio o marzo scorso. Tu puoi mandarmi qualche numero della «Die literarische Welt» che forse si trova in vendita, come a Roma, alla libreria Modernissima.

Ti abbraccio

Antonio

 

53.

10 ottobre 1927

Carissima Tania,

dopo il colloquio di giovedí, ho pensato a lungo e mi sono deciso a scriverti ciò che non ho avuto il coraggio di dirti a voce. Io credo che tu non debba piú a lungo rimanere a Milano per me. Il sacrifizio che tu fai è troppo sproporzionato. Non potrai riacquistare la salute con questo clima umido. Per me è certo un grande conforto vederti, ma credi che poi io non pensi continuamente al tuo aspetto malaticcio e non mi senta dei rimorsi, per essere la causa e l’oggetto di questo tuo sacrifizio? Credo di avere indovinato il motivo principale della tua volontà di rimanere: tu pensi di poter partire con lo stesso treno in cui io sarò tradotto e di potere, durante il viaggio, provvedere in qualche modo a procurarmi un certo confort. Ho indovinato? Ebbene: questo motivo non avrà nessuna possibilità pratica di estrinsecarsi. Le disposizioni per la traduzione saranno certamente molto severe e la scorta non permetterà in nessun modo che i «cristiani» si interessino dei detenuti. (Apro una parentesi per spiegarti che i coatti e i detenuti dividono il pubblico in due categorie: «cristiani» e coatti o detenuti). Il tuo proponimento sarebbe inutile e forse dannoso, perché potrebbe anche determinare diffidenza e un accrescimento di severità e di rigore. Tu otterresti solo di viaggiare nelle peggiori condizioni e giungere a Roma ammalata per altri quattro mesi. Carissima Tania, io penso che bisogna essere pratici e realisti anche nella bontà. Non che tu sciupi la tua bontà, ma sciupi le tue energie e le tue forze; ed io non posso piú a lungo consentire a ciò. Ho proprio riflettuto a lungo sull’argomento e avrei voluto dirtelo a voce; mi è proprio venuto meno il coraggio nel vederti e nel pensare che forse ti avrei ancora afflitto.

Cara, ti abbraccio teneramente.

Antonio

 

54.

17 ottobre 1927

Carissima Tania,

ho ricevuto avantieri la tua lettera del 27 settembre. Sono contento che Milano ti piaccia e ti offra delle possibilità di svago. Hai visitato i musei e le gallerie? perché dal punto di vista della sua struttura urbana, penso che la curiosità debba esaurirsi abbastanza in fretta. La differenza fondamentale tra Roma e Milano mi pare consista proprio in ciò: che Roma è inesauribile come «panorama» urbano, mentre Milano è inesauribile come chez soi, come vita intima dei milanesi che sono legati alle tradizioni piú di quanto si pensi. Perciò Milano è poco conosciuta dai soliti forestieri, mentre ha fortemente attirato a sé uomini come Stendhal, che hanno potuto penetrare nelle sue famiglie e nei suoi salotti e conoscerla intimamente. Il suo nucleo sociale piú consistente è l’aristocrazia, che ha saputo conservare una omogeneità e una compagine unica in Italia, mentre gli altri gruppi, compresi gli operai, sono, su per giù, accampamenti zingareschi senza stabilità e ossatura, striati di tutte le varietà regionali italiane. È questa la forza e la debolezza nazionale di Milano, emporio gigantesco di industria e commerci, dominati effettivamente da una élite di vecchie famiglie aristocratiche che hanno la forza della tradizione di governo locale (sai che Milano ha persino un culto cattolico speciale, il culto ambrosiano, di cui i vecchi milanesi sono gelosissimi e che è legato a questa situazione). — Scusa la digressione. Ma tu sai come io sia un gran chiacchierone e mi lasci pigliar la mano ad ogni argomento che mi interessa.

Per i libri. Naturalmente, tu non devi tirarti dietro come bagaglio tanto peso. Io credo anche che sia meglio spedire i libri al mio indirizzo presso le Carceri di Roma, in modo che la visita del dazio e della polizia sia fatta presso il carcere.

Io ho al magazzino una valigia di fibra e un sacco da viaggio, abbastanza capaci; saranno sufficienti. Per mio uso personale mi basterà una fodera da cuscino, dove metterò la biancheria e gli oggetti indispensabili. Farò la domanda perché ti siano consegnate alla porta queste cose. Nella valigia devo avere: — un termos, che non mi serve perché non posso adoperarlo, dei barattoli di latte Nestlè, dei pezzi di sapone, inoltre l’orologio e la penna stilografica che possono andare a male se non sono adoperati. Tu li potrai conservare e adoperare, sebbene l’orologio sia tutt’altro che elegante e moderno (a proposito: Giulia ha cercato spesse volte di avere la catenina, che in verità è peggio dell’orologio e che io non le ho mai dato appunto perché mi sembrava un capriccio strampalato).

Scrivimi ancora delle tue impressioni di Milano. Ti abbraccio affettuosamente e ti aspetto.

Antonio

 

55.

24 ottobre 1927

Carissima mamma,

non ho ricevuto tue lettere, dopo l’assicurata, ma ti voglio scrivere lo stesso per diverse ragioni: — 1° perché ho l’impressione che da qualche mese la mia corrispondenza sia diventata molto irregolare negli arrivi e partenze; una lettera in piú spedita è una probabilità di piú che qualcheduna arrivi. — 2° perché è probabile che tra breve io sia trasportato da Milano a Roma per il processo e che per qualche settimana non possa scrivere. Tu non devi darti troppa ansia per queste storie; pensa che io sono assolutamente tranquillo e che sono sicuro che tutto l’affare andrà a finire bene, non subito, ma almeno fra un paio di anni. E ho imparato ad aspettare senza perdere la pazienza. Saluta tutti affettuosamente. Ti abbraccio

Nino

 

56.

31 ottobre 1927

Carissima Tania,

ricevo in questo momento la tua lettera del 21 con le due lettere di Giulia. Tu non sapevi proprio nulla della sua malattia? Spesso nei colloqui avevo l’impressione che tu non volessi parlarmi di qualche cosa e qualche settimana fa ero proprio deciso a porti la quistione; ma in carcere si acquista una psicologia molto complicata, purtroppo! e all’ultimo momento non ho voluto. Tu mi hai promesso di dirmi la verità, sempre; e io non voglio neanche dubitare della tua promessa. Stai sicura; io non mi sentirò male e non almanaccherò nel vuoto. Ma voglio essere informato, sempre. Scrivi anche tu a Giulia, perché mandi delle fotografie, sue e dei bambini, posteriori alla sua malattia. Ho tardato a scrivere questa lettera, per aspettare la distribuzione della posta. È troppo tardi e non ho voglia di scrivere troppo in fretta a Giulia. Ti abbraccio teneramente

Antonio

 

57.

7 novembre 1927

Carissima mamma,

ho ricevuto l’assicurata di Carlo del 28 ottobre e la tua lettera del 25. Ringrazia molto cordialmente Carlo dei denari che mi ha mandato; digli che per qualche tempo oramai sono a posto e che se avrò bisogno gli scriverò indubbiamente. Non voglio neanche che egli si sacrifichi troppo per me; chissà quando potrò sdebitarmi!

Non conosco la notizia sul processo che scrivi d’aver letto sui giornali, perché da qualche mese non leggo piú i quotidiani. Anch’io credevo di dover partire per Roma, e cosí infatti ti scrissi nell’ultima mia lettera; pochi giorni fa, invece, fui informato che il processo verrà fatto solo alla fine di gennaio o ai primi di febbraio. Rimarrò pertanto a Milano ancora qualche mese, ciò che non mi dispiace affatto, perché viaggiare in questa stagione non è piacevole (viaggiare da arrestato, s’intende!). Tu non devi avere nessun orgasmo, e devi solo pensare che io sono tranquillo. Oh!, queste mamme, queste mamme! Se il mondo fosse stato sempre nelle loro mani, gli uomini vivrebbero ancora dentro le caverne, vestiti solo di pelli di caprone! E anche per la mia salute non devi preoccuparti. Sono stato informato che all’estero hanno pubblicato delle sciocchezze a questo riguardo, e non vorrei che qualche anima «pietosa» trovasse il modo di farle arrivare fino alle tue orecchie (è vero, purtroppo, che le cattive notizie giungono sempre anche in fondo al mondo), tu devi solo credere a ciò che ti scrivo io, che sono il meglio informato di tutti e non ho nessuna ragione per nasconderti la verità. Mia cognata è ancora a Milano e continua a viziarmi come un bambino, mandandomi ogni giorno qualche cosa che mi dia l’impressione di essere libero di mangiare tutto ciò che può piacermi. Non riesco a convincerla di ritornare a Roma, anche perché il clima di Milano non è dei migliori in questa stagione. Ho finalmente ricevuto notizie dei bambini, che stanno bene e si sviluppano; Giulia invece è stata ammalata qualche mese. Mi dispiace molto della morte di zia Maria Domenica, era buona, in fondo, nonostante la sua rudezza, ed era certo la sola parente simpatica che avevamo (dopo zio Serafino). Io ricordo molto bene i modi e le parole di tutta questa gente, quando eravamo bambini e ricordo che andavo piú volentieri in casa di zia Maria Domenica; tu capisci certe cose che io non ti scrivo. Cara mamma, abbraccia affettuosamente tutti e tu ricevi tanti baci

Nino

 

58.

7 novembre 1927

Carissima Tania,

mercoledí, al colloquio, sono proprio stato uno sciocco. Ci ho ripensato su per qualche giorno. Mi pare di essere stato di una freddezza quasi brutale. Non ti ho ringraziato delle 50 lire da te depositate e non ti ho nemmeno avvertito che le avevo ricevute al libretto. Sono umiliato di me stesso, in verità.

Sabato ho ricevuto i due asciugamani, lo strofinaccio e gli altri pezzi che non sono riuscito a identificare esattamente: uno che potrebbe essere anche un fazzoletto, lo adopero come salvietta; penso che non sarà, in ogni caso, una decadenza troppo notevole per lui. Gli altri pezzi di colore, presunti fazzoletti, li tengo da parte finché tu non me ne abbia indicato la destinazione. In ogni modo, credo che tu ti sia fatta una idea troppo nobile degli asciugatoi-strofinacci e che avresti invece fatto bene a seguire la mia realistica indicazione della canapa-iuta, come materia tessile piú appropriata. Il lino dello strofinaccio è troppo nobile fibra per cadere cosí in basso; al mio paese col lino preparano solo i corredi delle giovani spose.

Cara Tania, ti abbraccio affettuosamente

Antonio

 

59.

7 novembre 1927

Carissima Julca,

ho ricevuto tue due lettere, scritte verso la metà di settembre. Cosí ho dimenticato il lungo periodo di tempo, trascorso senza tue notizie. È però molto brutto stare cosí tanto tempo senza notizie. Io non riesco piú a orientarmi, per esempio; sento una certa confusione, e dovrò ancora fare un certo sforzo per togliere la sordina al corso dei miei pensieri e dei miei sentimenti. Non devi impressionarti di queste parole. Sono certo un po’ indolenzito e voglio comunicarti il mio esatto stato d’animo. Tu devi aiutarmi a sgomitolarmi a poco a poco. Devi scrivermi a lungo e ogni volta che ti è possibile, della tua vita e di quella dei bambini, di cui ignoro tutto, salvo la generica notizia della loro salute.

Ti abbraccio teneramente

Antonio

 

60.

14 novembre 1927

Carissima Tania,

ho già ricevuto qualche libro. Il Quintino Sella in Sardegna e il catalogo Mondadori li ho già in cella. Il libro del Finck e quello di Maurras sono arrivati, ma non mi sono stati ancora consegnati. È strano il fatto che il libro su «Quintino Sella» l’avevo domandato a mia madre; credo sia uno dei primi libri che ho letto, perché esisteva tra i libri di casa, tuttavia non mi ha rievocato nulla. Vorrei avere ancora queste pubblicazioni:

1° Benedetto Croce, Teoria e Storia della Storiografia (Laterza editore, Bari).

2° Machiavelli, Le piú belle pagine, a cura di G. Prezzolini (Treves editore).

3° Mario Sobrero, Pietro e Paolo (Treves editore).

4° Calendario-Atlante De Agostini per il 1927.

5° Catalogo dell’editore Vallecchi di Firenze, che puoi domandare alla Libreria Sperling. Informati se nella collezione «Tutte le Opere» della casa editrice Barbèra di Firenze è uscito il «Tutto Machiavelli» e quanto costa; temo però che costi un po’ troppo, un centinaio di lire almeno. Le piú belle pagine nella edizione Treves saranno perciò sufficienti. Quando cadde il centenario del Machiavelli lessi tutti gli articoli pubblicati dai 5 quotidiani che allora leggevo; ricevetti piú tardi il numero unico del «Marzocco» sul Machiavelli. Mi ha colpito il fatto come nessuno degli scrittori sul centenario abbia messo in relazione i libri del Machiavelli con lo sviluppo degli Stati in tutta Europa nello stesso periodo storico. Deviati dal problema puramente moralistico del cosidetto «machiavellismo» non hanno visto che il Machiavelli è stato il teorico degli Stati nazionali retti a monarchia assoluta, cioè che egli, in Italia, teorizzava ciò che in Inghilterra era energicamente compiuto da Elisabetta, in Ispagna da Ferdinando il Cattolico, in Francia da Luigi XI e in Russia da Ivan il Terribile, anche se egli non conobbe e non poté conoscere alcune di queste esperienze nazionali, che in realtà rappresentavano il problema storico dell’epoca che il Machiavelli ebbe la genialità di intuire e di esporre sistematicamente.

Ti abbraccio, cara Tania, dopo questa digressione che ti interesserà molto relativamente.

Antonio


  1. Giuseppe Berti (1901-1979), politico, membro del Partito Comunista d'Italia.
  2. Ustica 20. VI. 927

    Caro Antonio, tre mesi fa sono stato trasferito qui da Pantelleria. Già saprai come questa colonia è molto cambiata non fosse altro perché è sei volte piú numerosa di quando tu eri qui. L'attività educativa dei confinati è andata perciò intensificandosi e allargandosi e un simile aumento quantitativo ha anche influito sulla sua qualità. I corsi sono numerosissimi e frequentati: si fa quel che si può nella maniera migliore possibile.Da un paio di mesi mi hanno tirato fuori dei ranghi e mi hanno incaricato particolarmente del corso di storia della filosofia e di quello di storia. La cosa, da parecchi punti di vista, non mi ha fatto piacere. Tu sai ch'io sono meridionale e napoletano per giunta. A questo (ed a questo soltanto) io attribuisco una mia spiccata tendenza — passata, oso sperare — ad occuparmi di cose che non conosco a fondo con una certa parlantina e non senza sussiego. Questa tendenza mi ha dato per il passato alcuni dispiacerucci, sussistendone ancora vivo il ricordo frammisto ad un certo rimorso, mi hanno messo addosso un certo scrupolo che mi rende esitante e dubbioso dinanzi ad ogni questione che per poco si presenti come contradittoria (che è quanto dire dinanzi ad ogni questione possibile). Immagina, dunque, con che animo ho cominciato a far scuola in materie in cui mi sento appena appena degno di essere io stesso scolaro. Ma se io non avessi accettato il peso di questo incarico sarebbe andato a finire sulle spalle del prof. Parri del Corriere della sera o sul prof. Rosselli del Quarto Stato e per non dar loro questo incomodo ho dovuto accettare.

    Per fortuna non sono solo. Il corso di storia della filosofia è preparato in collaborazione con Amadeo, con Mauro e con altri eccellenti amici. Procediamo cosí normalmente: io od Amadeo facciamo una relazione su di un determinato argomento, ad esempio, «Parmenide e la matematica dei pitagorici», indi si discute, indi poi io m'incarico di vergare il testo definitivo della lezione in forma di dispensa per iscritto. Finora abbiamo fatto sei dispense: tutta la filosofia naturalistica greca (i presocratici). Abbiamo trattato gli argomenti seguenti: 1° Delucidazioni preliminari sul metodo 2° I Milesi 3° I pitagorici 4° Gli Eleati 5° I dialettici 6° Grandezza e decadenza della filosofia materialistica (Gli atomisti).

    Se a te è permesso d'occuparti di filosofia io ti spedirei volentieri le sei dispense, che, naturalmente, sono semplici appunti fatti senza pretese. Tu, poi, dovresti restituirli. Pel primo argomento ci siamo serviti degli scritti di filosofia del prof. Antonio Labriola e di alcuni elementi della famosa polemica fatta contro le teorie del prof. Dühring. Naturalmente abbiamo fissato negli appunti soltanto quel tanto di elementi fondamentalissimi ch'erano necessari. Poi, diviso il corso in piú gruppi, in cinque o sei lezioni ci siamo soffermati spiegando. Oltre a questo abbiamo dato nel corso allo studio della dialettica il posto che meritava. Abbiamo perciò fatto leva su Empedocle ed Eraclito (di cui abbiamo i frammenti e di cui Hegel ha potuto dire che non vi era parte della sua filosofia ch'egli non avesse incluso nella sua logica). Fonti del corso: i testi di storia del Fiorentino, del De Ruggiero, del Windelband, del Weber, e qualche raccolta di frammenti originali. La terza dispensa l'abbiamo scritta insieme con Amadeo, la quarta è del tutto fatica personale di Amadeo, le altre, dopo le opportune modificazioni collettive, sono state fatte da me. Finito il periodo della filosofia naturalistica entriamo in un periodo che presenta particolari difficoltà. È il periodo in cui l'osservazione si sposta decisamente dal campo naturalistico e si concentra sui fatti dell'uomo come individuo e come convivente in una determinata società. È il periodo del rapido dissolvimento della polis, e la filosofia dell'epoca riflette tutta la complicata crisi della vita Ateniese. Questo periodo lo cominceremo con un corso di storia greca (abbiamo E. Ciccotti e forse avremo Curtius) breve, s'intende e avremo, come bussola, il libro di Antonio Labriola su Socrate. Non è molto ma è parecchio e se non riusciremo a fare cosa decente sarà per nostra ignoranza. A questo punto hai ben capito che ti scrivo a scopo di avere in generale e in particolare consigli. Indicaci libri, materiali e dacci qualche idea geniale, ché qui c'è carestia.

    Gli allievi di filosofia son circa settanta. Fra essi c'è il vecchio Sorgoni di Ancona, Bentivoglio di Molinella, Ciccotti Scozzese junior, Jora e poi tutti noi e ancora tanti altri.

    Tutti studiamo assai volentieri.

    Del corso di storia in un'altra lettera.

    Affettuosamente tuo

    Berti

  3. Questa lettera s.d. a Grazietta, sorella di Gramsci, sembra compresa tra il 29 agosto 1927 («Mi dispiace che Grazietta stia sempre male; perché non mi scrive qualche volta?», lettera alla madre) e il 29 dicembre 1930, data della prima lettera pervenutaci di G. a Grazietta. Nella lettera si legge infatti: «Ti dò la mia parola, che quando ti risposi era la prima volta che ricevevo da te direttamente qualche notizia».
  4. Carlo Gramsci (1897 - 1968), fratello minore di Antonio Gramsci.