3 Lettere 61 – 90

61.

14 novembre 1927

Cara Giulia,

ti voglio almeno inviare un saluto ogni volta che mi è concesso scrivere. È trascorso un anno dal giorno del mio arresto e quasi un anno dal giorno in cui ti scrissi la prima lettera dal carcere. Sono molto cambiato in questo tempo: credo di essermi rafforzato e sistemato meglio. Lo stato d’animo che mi dominava quando ti scrissi questa prima lettera (non voglio neanche tentare di descrivertelo, perché ti farebbe orrore), ora mi fa un po’ ridere. Penso che Delio deve avere avuto in quest’anno la possibilità di ricevere impressioni che lo accompagneranno per tutta l’esistenza; ciò mi fa stare allegro. Ti abbraccio teneramente.

Antonio

62.

21 novembre 1927

Carissima mamma,

da qualche settimana non ricevo notizie né da te né da Carlo. Credo di averti già fatto sapere che rimarrò a Milano ancora per qualche tempo. Non ho ricevuto ancora i libri annunziatimi. Le mie condizioni di salute sono abbastanza buone. In questi ultimi giorni mi sento proprio bene, perché abito in una cella insieme con un amico; la compagnia fa sentire meno la noia e ciò determina un po’ piú di appetito. Spero di ricevere tue lettere nei giorni prossimi e allora ti potrò scrivere piú a lungo. Saluta affettuosamente tutti. Ti abbraccio

Nino

63.

21 novembre 1927

Carissima Tania,

ho ricevuto i libri seguenti: Francesco Crispi: I Mille; Broccardo, Gentile, ecc.: Goffredo Mameli e i suoi tempi; C. Maurras: L’«Action Française» et le Vatican.

Mi sono dimenticato, all’ultimo colloquio, di ringraziarti per il fazzolettino e di farti i dovuti complimenti. Le ochette mi paiono venute a maraviglia. Non ricordo se ti ho mai raccontato la storia dei fazzolettini ricamati da Genia; io mi divertivo un mondo a canzonarla, sostenendo che le rondini o gli altri ornamenti del ricamo erano sempre lucertole. E in verità tanto gli ornamenti che le cifre di quei fazzoletti avevano una spiccata tendenza ad assumere aspetti sauriani: Genia andava proprio in collera nel vedere misconosciuti i meriti dei suoi lavori donneschi. Devo riconoscere, in perfetta lealtà, che i tuoi lavori sono invece molto ben riusciti e rinnovo i complimenti.

Vorrei scriverti a lungo sulla quistione dell’abito nuovo. Per me è una quistione completamente oziosa. Bisogna tener presente che il processo si terrà in un tempo relativamente prossimo e che dopo la condanna e l’invio a una casa di pena, l’amministrazione carceraria dà il vestito regolamentare da galeotto. È vero che il regolamento adopera a questo proposito una formula alquanto vaga; dice press’a poco cosí: «Al detenuto saranno rasi i capelli e gli sarà fatta indossare la casacca, se del caso». Parrebbe che ci possano essere delle eccezioni. Ma io non ho nessuna prevenzione specifica contro la casacca e non farò pratiche speciali per essere una «eccezione». A che pro’ adunque farsi un vestito nuovo? Per il processo, poiché si potrebbe dire che l’attuale mia giacca è una esibizione «demagogica», metterò il vestito che ho al magazzino e che è in ordine abbastanza decente. Naturalmente non voglio litigare con te su un tale argomento e non voglio neanche contrariarti; io parto da presupposti assolutamente utilitari, che possono essere corretti e modificati solo dalla preoccupazione di non contrariarti. Ti abbraccio teneramente

Antonio

64.

21 novembre 1927

Carissima Giulia,

nel cortile, dove con altri detenuti vado a fare il passeggio regolamentare, è stata tenuta una esposizione di fotografie dei bambini rispettivi. Delio ha avuto un grande successo di ammirazione. Da qualche giorno non sono più isolato, ma sto in una cella comune con un altro detenuto politico, che ha una graziosa e gentile bimbetta, di tre anni, che si chiama Maria Luisa. Secondo un costume sardo, abbiamo deciso che Delio sposerà Maria Luisa appena i due siano giunti all’età matrimoniale; che te ne pare? Naturalmente attendiamo il consenso delle due mamme, per dare al contratto un valore piú impegnativo, sebbene ciò costituisca una grave deroga ai costumi e ai principi del mio paese. Immagino che tu sorrida e ciò mi rende felice; non riesco che con grande difficoltà a immaginarti sorridente.

Ti abbraccio teneramente, cara.

Antonio

65.

28 novembre 1927

Carissima Tania,

ho ricevuto la tua lettera del 17. XI.; mi pare che già al colloquio ti abbia detto tutto ciò che può avere riferimento con ciò che mi scrivi. La febbre mi è durata pochi giorni; era certamente dovuta a una leggera faringite, anch’essa sparita. Le mie condizioni generali di salute sono enormemente migliorate. Per la prima volta, dopo molto tempo, trascorro intere giornate senza il minimo male di testa e al mattino mi levo dal letto veramente riposato, qualche volta persino con una terribile voglia di fare ai pugni con qualcuno, ciò che spero non avrà nessuna conseguenza deleteria per l’integrità fisica del mio compagno di cella! Insomma, il cambiamento mi ha giovato assai; il nuovo cibo, preparato cristianamente dalla moglie di Tulli, ha avuto la virtú di sollecitare il mio appetito, che era stato mezzo assassinato dal permanente gusto di rigovernatura che caratterizzava il vitto della trattoria, come, del resto, caratterizza tutti i cibi di trattoria dell’universo. Dormo di piú e mi pare di essere sulla buona via per diventare un perfetto filisteo, ciò che mi preoccupa assai, dato che leggo pochissimo e con spiccata tendenza per i romanzi di Ponson du Terrail. Attendo la lettera in cui hai promesso di riferirmi minutamente i mirabili progressi dello sviluppo fisico di Delio. Ti abbraccio affettuosamente

Antonio

66.

28 novembre 1927

Carissima Giulia,

sabato scorso Tania mi ha riferito a voce le notizie che ha ricevuto specialmente su Delio. Io attendo tue lettere e le fotografie; mi pare proprio che tutto debba essere cambiato, in modo tale che io non posso, senza una impressione visiva, rappresentarmi la realtà della fase attuale. Ti abbraccio.

Antonio

67.

5 dicembre 1927

Carissima Tania,

ricevo in questo momento la tua lettera del 28 novembre, con le notizie alle quali avevi accennato nel penultimo colloquio. Non ho voglia di scrivere; mi sento snervato per una lunga operazione di taglio dei capelli e della barba. Voglio però nuovamente rassicurarti e sul serio a proposito del mio regime di cella; l’affare dei caffè e delle sigarette è certamente niente altro che uno scherzo. In verità sono morigeratissimo e io stesso debbo continuamente passare sopra alla modestia per ammirarmi; non bevo che tre caffè al giorno e non fumo piú di 15 sigarette. Non mi pare troppo e neppure molto. Potrei ridurre i caffè a due e le sigarette a 10 senza difficoltà e per le sigarette cercherò di farlo. Credi che si è trattato solo di una cosa scherzosa.

Ti abbraccio teneramente

Antonio

68.

12 XII 1927

Carissima mamma,

ho ricevuto la tua lettera del 30 novembre, dopo quasi un mese che non ricevevo piú notizie. Sarà bene che tu mi scriva o mi faccia scrivere almeno ogni 15 giorni; basterà anche solo una cartolina. Nella vita che io sono costretto a fare, l’assenza di notizie diventa qualche volta un vero tormento. — Non so piú cosa scriverti per consolarti e farti stare con l’animo tranquillo. Sulla tranquillità del mio spirito non devi mai avere dei dubbi. Non sono un bambino né un bamboccio, ti pare? La mia vita è stata sempre regolata e diretta dalle mie convinzioni, che non erano certo né capricci passeggeri, né improvvisazioni del momento. Perciò anche il carcere era una possibilità da affrontare, se non come un divertimento leggero, come una necessità di fatto che non mi spaventava come ipotesi e non mi avvilisce come stato di cose reale. D’altronde, anche le mie condizioni di salute, che nei primi tempi mi preoccupavano un po’, oggi mi hanno rassicurato. L’esperienza mi ha provato che sono molto piú forte, anche fisicamente, di quanto io stesso credessi; tutto ciò contribuisce a farmi vedere il prossimo futuro con freddezza e serenità. Vorrei che anche tu te ne convincessi.

Ho ricevuto notizie, buone abbastanza, dai bambini e da Giulia. Delio si sviluppa molto bene. A tre anni e 4 mesi è alto già un metro e gli è stretto un vestitino comprato a Roma per bambini di 5 anni; lo sviluppo intellettuale è parallelo a questo sviluppo fisico cosí promettente.

Se vuoi mandare un pacco a Tatiana, penso che sarà bene lo indirizzi alla signora presso la quale ella alloggia: — Signora Isabella Galli — Via Montebello, 7, Milano, — per il caso di una partenza improvvisa per Roma, che diventa ogni giorno piú probabile. Il pacco, nella migliore delle ipotesi, data la strettezza del tempo e la grande quantità di pacchi che viaggiano in occasione delle prossime feste, potrà arrivare per Capodanno o per l’Epifania; perciò sarà bene non mandare cose che si deteriorano rapidamente.

Auguri vivissimi per le feste natalizie; spero che le trascorrerai senza tristezza, pensando che sicuramente riusciremo a festeggiare ancora molti natali insieme, mangiando molte teste di capretto al forno. Ti abbraccio teneramente insieme agli altri di casa

Nino

69.

12 dicembre 1927

Carissima Tania,

ho ricevuto i seguenti volumi: 1° Calendario-Atlante De Agostini per il 1927; 2° Mario Sobrero, Pietro e Paolo; 3° Benedetto Croce, Storia della Storiografia italiana nel secolo XIX. Non ho ancora ricevuto i Sonetti del Pascarella, e i volumi di novelle di Cekhof e di Maupassant che mi hai annunziato fin dall’altro colloquio.

Il volume del Croce non è quello che io avevo indicato e che si intitola: Teoria e storia della storiografia; questo è in un solo tomo e costa 20 lire, mentre quello che ho ricevuto è in due tomi e costa 40 lire. È vero che i due lavori si integrano, in un certo senso, e conviene forse rileggerli insieme, ma dal punto di vista «carcerario» quello da me ricevuto non è il migliore. L’altro contiene, oltre che una sintesi dell’intero sistema filosofico crociano, anche una vera e propria revisione dello stesso sistema, e può dar luogo a lunghe meditazioni (ecco la sua utilità specifica «carceraria»). Se puoi procurarlo, te ne sarò grato. Bisogna che avverta il libraio che non ho mai ricevuto un volume ordinato già da parecchio tempo: Giulio Bertoni e Matteo Giulio Bartoli, Manualetto di Linguistica, stampato a Modena nel 1925, da un editore che non ricordo. Se è difficile da procurare, si può lasciar correre, perché ormai ho abbandonato il disegno di scrivere (per forza maggiore, data l’impossibilità di ottenere la disponibilità del materiale scrittorio) una dissertazione sul tema e dal titolo: «Questa tavola rotonda è quadrata», che penso, sarebbe diventata un modello per lavori intellettuali carcerari presenti e futuri. La quistione, purtroppo, rimarrà insoluta per un pezzo ancora e ciò mi procura un certo dispiacere. Ma ti assicuro che la questione esiste ed è già stata discussa e trattata in qualche centinaio di memorie accademiche e opuscoli polemici. E non è una piccola quistione, se pensi che essa significa: «Che cosa è la grammatica?» e che ogni anno, in tutti i paesi del mondo, milioni e milioni di grammatiche vengono avidamente divorate da milioni e milioni di esemplari della razza umana, senza che gli infelici abbiano una coscienza esatta dell’oggetto che divorano. Non voglio svilupparti, neanche schematicamente, le mie argomentazioni, perché lo spazio sarebbe insufficiente; senza contare la preoccupazione che queste argomentazioni, data la pubblicità relativa della mia corrispondenza, arrivino fino a qualche studente in cerca di temi per tesi dottorali di filologia e io sia defraudato della giusta fama che mi propongo di acquistare con le mie elucubrazioni.

Dunque se il libro è difficile da trovare, non importa insistere. Io avverto nel caso che esso mi sia stato inviato, sia andato smarrito e possa essere ricuperato. Cara Tania, non devi impressionarti se qualche volta, durante il colloquio, mi vedi nervoso, inquieto e irrequieto. Penso che sia una conseguenza del fatto che in cella ci si abitua ai rumori smorzati e che il frastuono della folla, con la nota dominante delle urla metalliche delle donne, metta addosso una irrequietudine nervosa spiacevole. Non devi pensare che io abbia la febbre o che sia preoccupato per altra ragione. Ti abbraccio teneramente; vorrei baciarti le mani

Antonio

70.

19 dicembre 1927

Carissima Tania,

ho avuto l’impressione, specialmente dall’ultimo colloquio, che si sia venuto creando tra noi un certo equivoco a proposito della mia corrispondenza. Mi è parso che tu, quando ne accenni, ti senta come impacciata, perché mi ritieni in preda a brutti pensieri o a preoccupazioni che io non voglio confessare. Vorrei distruggere radicalmente questo equivoco, rassicurandoti. È vero solo un fatto: che io esito a parlare e a scrivere delle cose mie piú intime per un ritegno che non riesco assolutamente a vincere in presenza di terzi. Perciò, ai tuoi accenni, talvolta, in modo involontario e istintivo, taglio corto, con una certa bruschezza, che ti prego di non interpretare in un qualsiasi cattivo senso. Cara Tania, mi dispiace di averti procurato, anche in questo, dei cattivi momenti di sconforto e di malinconia. Cosí almeno mi è sembrato di capire, riflettendo in cella sui tuoi atteggiamenti e sui moti del tuo viso.

Come trascorrerai le feste natalizie? Sono contento perché sarai in compagnia e potrai avere una qualche distrazione. Farete l’albero di natale? Io ho fatto l’ultimo albero di Natale nel 22, per far divertire Genia che non poteva ancora levarsi dal letto o per lo meno non poteva ancora camminare senza appoggiarsi alle pareti e ai mobili. Non ricordo bene se era levata; ricordo che l’alberetto era collocato sul tavolino accanto al letto ed era zeppo di cerini che furono accesi tutti simultaneamente appena Giulia, che aveva tenuto un concerto per gli ammalati, rientrò nella camera, dove anch’io ero rimasto a far compagnia a Genia.

Cara Tania, vorrei consolarti, perché mi rimane l’impressione di un tuo stato d’animo addolorato e sconfortato; ti abbraccio teneramente

Antonio

71.

26. XII. 1927

Carissima Tania,

e cosí è passato anche il santo natale, che immagino quanto sia stato laborioso per te. In verità, io ho pensato alla sua straordinarietà solo da questo punto di vista, l’unico che mi interessasse. Di notevole non c’è stato che il fatto di una generale tensione degli spiriti vitali in tutto l’ambiente carcerario; il fenomeno poteva essere rilevato già in isvolgimento da tutta una settimana. Ognuno aspettava qualcosa di eccezionale e l’attesa determinava tutta una serie di piccole manifestazioni tipiche, che nell’insieme davano questa impressione di uno slancio di vitalità. Per molti l’eccezione era una porzione di pasta asciutta e un quarto di vino che l’amministrazione passa tre volte all’anno invece della solita minestra: ma che avvenimento importante è questo, tuttavia. Non credere che io me ne diverta o ne rida. L’avrei fatto, forse, prima di aver fatto l’esperienza del carcere. Ma ho visto troppe scene commoventi di detenuti che si mangiavano la loro scodella di minestra con religiosa compunzione, raccogliendo con la mollica di pane anche l’ultima traccia di unto che poteva rimanere attaccata alla terraglia! Un detenuto ha pianto perché in una caserma dei carabinieri, dove eravamo di transito, invece della minestra regolamentare fu distribuita solo una doppia razione di pane; era da due anni in carcere e la minestra calda era per lui il suo sangue, la sua vita. Si capisce perché nel Pater Noster è stato messo l’accenno al pane quotidiano.

Io ho pensato alla tua bontà e alla tua abnegazione, cara Tania. Ma la giornata è trascorsa un po’ come tutte le altre. Forse abbiamo chiacchierato di meno e letto di piú. Io ho letto un libriccino di Brunetière su Balzac, una specie di penso per bambini cattivi. Ma non voglio affliggerti con questo argomento. Invece ti voglio raccontare un episodio quasi natalizio della mia fanciullezza, che ti divertirà e ti darà un tratto caratteristico della vita dalle mie parti. Avevo quattordici anni e facevo la 3a ginnasiale a Santu Lussurgiu, un paese distante dal mio circa 18 chilometri e dove credo esista ancora un ginnasio comunale in verità molto scalcinato. Con un altro ragazzo, per guadagnare 24 ore in famiglia, ci mettemmo in istrada a piedi il dopopranzo del 23 dicembre invece di aspettare la diligenza del mattino seguente. Cammina, cammina, eravamo circa a metà viaggio, in un posto completamente deserto e solitario; a sinistra, un centinaio di metri dalla strada, si allungava una fila di pioppi con delle boscaglie di lentischi. Ci spararono un primo colpo di fucile in alto sulla testa; la pallottola fischiò a una decina di metri in alto. Credemmo a un colpo casuale e continuammo tranquilli. Un secondo e un terzo colpo piú bassi ci avvertirono subito che eravamo proprio presi di mira e allora ci buttammo nella cunetta, rimanendo appiattati un pezzo. Quando provammo a sollevarci, altro colpo e cosí per circa due ore con una dozzina di colpi che ci inseguivano, mentre ci allontanavamo strisciando, ogni volta che tentavamo di ritornare sulla strada. Certamente era una comitiva di buontemponi che voleva divertirsi a spaventarci, ma che bello scherzo, eh? Arrivammo a casa a notte buia, discretamente stanchi e infangati e non raccontammo la storia a nessuno, per non spaventare in famiglia, ma non ci spaventammo gran che, perché alle prossime vacanze di carnevale il viaggio a piedi fu ripetuto senza incidenti di sorta. Ed ecco che ti ho riempito quasi interamente le quattro paginette!

Ti abbraccio teneramente.

Antonio

Ma la storia è proprio vera; non è affatto una storia di briganti!

72.

26 dicembre 1927

Carissimo Berti,

ho ricevuto con un certo ritardo la tua lettera del 25 novembre. Sapevo che un gruppo di confinati era stato inviato a Palermo in carcere, ma ignoravo l’imputazione precisa; credevo si trattasse di un processo disciplinare dinanzi al pretore, trasportato a Palermo solo per la scarsa capacità del carcere isolano. Beh! pazienza, caro Berti!

Avvocati ne conosco, su per giú, come te. Penso che avrai tempo per pensarci, se l’istruttoria andrà fino in fondo e ti imballeranno per Roma. Io, personalmente, non ho ancora pensato al grave problema, che mi fa alquanto ridere. Su per giú, farei anche a meno dell’avvocato, se non mi divertisse in anticipo immaginare il suo discorso, ovverossia arringa, e se non seguissi il principio generale di non lasciar cadere nessuna possibilità legale. Il divertimento sarebbe massimo se potessi scegliere un qualche avvocato democratico massone dormiente, da mettere in cattiva postura e da fare arrossire; ma bisognerà, purtroppo, razionare i propri sollazzi (immagini, per esempio, la posizione di uno di quei tali avvocati che nel 1924-25 sostenevano e stampavano che noi eravamo d’accordo col governo, o giú di lì?)

Caro Berti, sta’ allegro; bada solamente alla tua salute fisica, per essere in grado di sostenere fermamente qualsiasi traversia.

Ti abbraccio fraternamente.

Antonio

73.

2. I. 1928.

Carissima mamma,

come avete passato tutta questa sequela di festa? spero benissimo; senza preoccupazioni e senza avervi a lamentare della salute. Io le ho passate molto semplicemente, come puoi benissimo immaginare; ma quando c’è la salute!…

Per natale avrei voluto mandarti un telegramma di auguri che ti fosse arrivato proprio fresco fresco per l’occasione; ma non mi è stato concesso. I carcerati, a quanto pare, non hanno il diritto di mandare auguri alla loro famiglia, che giungano proprio per il giorno stabilito dal calendario della tradizione come festa della famiglia. Mi è dispiaciuto per te, carissima mamma, che avresti sentito meno malinconia in quel giorno ricevendo i miei saluti. Bah!

In ogni modo un altro anno è passato, piú in fretta di quanto non avessi immaginato e non completamente inutile per me. Ho imparato un mucchio di cose che altrimenti avrei sempre ignorato, ho visto una serie di spettacoli che non avrei in altro modo avuto mai occasione di vedere. Insomma, non sono proprio malcontento del 1927. E per un carcerato questo non è poco, ti pare? Ciò significa che sono un carcerato eccezionale e che spero di rimanere tale per tutto il tempo che dovrò trascorrere sotto questa rubricazione.

Ti abbraccio affettuosamente con tutti di casa

Nino

74.

2 gennaio 1928

Carissima Tania,

e cosí anche l’anno nuovo è cominciato. Bisognerebbe fare dei programmi di vita nuova, secondo l’usanza; ma per quanto abbia pensato, un tale programma non sono riuscito ancora a combinarlo. È stata questa una grande difficoltà sempre nella mia vita, fin dai primi anni di attività raziocinatrice. Nelle scuole elementari ogni anno di questi tempi assegnavano come tema di componimento la quistione: «Che cosa farete nella vita». Questione ardua che io risolvetti la prima volta, a 8 anni, fissando la mia scelta nella professione di carrettiere. Avevo trovato che il carrettiere univa tutte le caratteristiche dell’utile e del dilettevole: schioccava la frusta e guidava cavalli, ma nello stesso tempo compiva un lavoro che nobilita l’uomo e gli procura il pane quotidiano. Sono rimasto fedele a questo indirizzo anche l’anno successivo, ma per ragioni che direi estrinseche. Se fossi stato sincero, avrei detto che la mia piú viva aspirazione era quella di diventare usciere di pretura. Perché? Perché in quell’anno era venuto nel mio paese come usciere della pretura un vecchio signore che possedeva un simpaticissimo cagnetto nero sempre in ghingheri: fiocchetto rosso alla coda, gualdrappina sulla schiena, collana verniciata, finimenti da cavallo in testa. Io proprio non riuscivo a dividere l’immagine del cagnetto da quella del suo proprietario e dalla professione sua. Eppure rinunziai, con molto rammarico, a cullarmi in questa prospettiva che tanto mi seduceva. Ero di una logica formidabile e di una integrità morale da fare arrossire i piú grandi eroi del dovere. Sí, mi ritenevo indegno di diventare usciere di pretura e quindi possedere cagnetti cosí meravigliosi: non conoscevo a memoria gli 84 articoli dello Statuto del regno! Proprio cosí. Avevo fatto la seconda classe elementare (rivelazione prima delle virtú civiche del carrettiere!) e avevo pensato di fare nel mese di novembre gli esami di proscioglimento, per passare alla quarta saltando la terza classe: ero persuaso di essere capace di tanto, ma quando mi presentai al direttore didattico per presentargli la domanda protocollare, mi sentii fare a bruciapelo la domanda: «Ma conosci gli 84 articoli dello Statuto?» Non ci avevo neanche pensato a questi articoli: mi ero limitato a studiare le nozioni di «diritti e doveri del cittadino» contenute nel libro di testo. E fu per me un terribile monito, che mi impressionò tanto piú, in quanto il 20 settembre precedente avevo partecipato per la prima volta al corteo commemorativo, con un lampioncino veneziano e avevo gridato con gli altri: «Viva il leone di Caprera! Viva il morto di Staglieno!» (Non ricordo se si gridava il «morto» o il «profeta» di Staglieno: forse, tutt’e due, per la varietà!), certo come ero di essere promosso all’esame e di conquistare i titoli giuridici per l’elettorato, diventando un cittadino attivo e perfetto. Invece non conoscevo gli 84 articoli dello Statuto. Che cittadino ero dunque? E come potevo ambiziosamente aspirare a diventare usciere di pretura e a possedere un cane con il fiocchetto e la gualdrappa? L’usciere di pretura è una ruotella dello Stato (io pensavo fosse una grande ruota); è un depositario e un custode della legge anche contro i possibili tiranni che volessero calpestarla. E io ignoravo gli 84 articoli! Cosí mi limitai gli orizzonti e ancora una volta esaltai le virtú civiche del carrettiere, che tuttavia può avere un cane anche egli, sia pure senza fiocchetti e senza gualdrappa. Vedi come i programmi precostituiti in modo troppo rigido e schematico vanno a cozzare, infrangendosi, contro la dura realtà, quando si ha una vigile coscienza del dovere!

Cara Tania, ti pare che abbia un po’ menato il can per l’aia? Ridi e perdonami. Ti abbraccio.

Antonio

75.

9. I. 1928

Carissima Tania,

ti ripeto per iscritto i titoli dei tre libri di cui ti ho parlato nell’ultimo colloquio:

Roberto Michels, Francia contemporanea, Edizione «Corbaccio», Milano.

Roberto Michels, Corso di sociologia politica, Milano, Società anonima Istituto Editoriale Scientifico.

Henry Sée, Matérialisme historique et interprétation économique de l’histoire, Parigi, M. Giard.

I tre volumi sono recensiti favorevolmente nell’ultimo fascicolo della «Riforma Sociale». Il Corso di sociologia politica del Michels mi interessa specialmente, perché deve essere la riproduzione del primo corso di lezioni tenuto all’Università di Roma dalla cattedra di Scienze politiche recentemente fondata e inaugurata proprio dal Michels: ho già letto l’altro corso sulla scienza dell’amministrazione che era però non molto interessante; si trattava di esposizioni «tecniche», fatte da alti funzionari dello Stato, ognuno per il suo dicastero. – Cara Tania, il tempo è terribilmente uggioso, il pennino domanda uno sforzo eccezionale di attenzione, per non schizzare inchiostro da tutte le parti e questo sforzo io sono incapace di fare in questo momento. Ti abbraccio affettuosamente

Antonio

Ieri ho avuto l’abito ultimato. Tulli mi assicura che va molto bene. La spesa per la fattura è stata modica. Ho ricevuto i quattro volumi di Maupassant e i due di Cekhof. Ti ringrazio.

76.

30 gennaio 1928

Carissima Tania,

spero che tu sia già ristabilita, mentre leggi. Penso di essere stato in parte la causa del tuo malessere. Avrei dovuto insistere con maggiore energia per farti ripartire e non permettere che trascorressi la cattiva stagione a Milano. Queste nebbie e questa umidità sono deleterie per un temperamento come il tuo. Veramente sono pieno di rimorsi. Eppoi, tu, che mi predichi ogni settimana di curarmi, di mangiare ecc. ecc., non devi avere nessuna cura di te stessa e devi sperperare le tue energie in un mucchio di movimenti inutili o almeno non necessari. Basta. Non voglio ancora scriverti dei rimproveri. Ho già l’impressione che la mia lettera di 15 giorni fa abbia immediatamente contribuito a farti star male. Vorrei invece farti stare allegra, o almeno farti sorridere. Ma non è facile per me, in questo momento. Il saperti indisposta costringe il corso dei miei pensieri in un solco poco allegro e d’altronde non voglio fare il «giornalista» con te. Spero di vederti al colloquio prima ancora che abbia ricevuto questa lettera.

Ti abbraccio teneramente

Antonio

77.

30 gennaio 1928

Carissimo Berti,

ho ricevuto la tua lettera del 13 una settimana fa, quando però avevo già esaurito le due lettere regolamentari. Nessuna novità da parte mia. Il solito squallore e la solita monotonia. Anche la lettura diventa sempre piú indifferente. Naturalmente, leggo ancora molto, ma senza interesse, meccanicamente. Nonostante che sia in compagnia, leggo un libro al giorno e anche piú. Libri disparati, come puoi immaginare (ho riletto persino L’ultimo dei Mohicani di Fenimore Cooper), cosí come li distribuisce la biblioteca a pagamento del carcere. In queste ultime settimane ho letto qualche libro arrivatomi dalla famiglia, ma nessuno di soverchio interesse. Te li enumero, tanto per farti passare il tempo.

1. Le Vatican et l’Action Française. Si tratta del cosí detto «libro giallo» dell’«Action Française»; una raccolta di articoli, discorsi e circolari che conoscevo in gran parte, perché usciti nell’«Act. Franç.» del 1926. La sostanza politica del conflitto è nel libro mascherata con sette e sette veli. Appare solo la discussione «canonica» sulla cosí detta «materia mista» e sulla «giusta (secondo i canoni) libertà» dei fedeli. Tu sai di che cosa si tratta: esiste in Francia una organizzazione cattolica di massa, sul tipo dell’«Azione Cattolica» nostrana, presieduta dal generale di Castelnau. Fino alla crisi politica francese del 1926, i nazionalisti, di fatto, erano il solo partito politico che organicamente si innestasse in questa organizzazione e ne sfruttasse le possibilità (4-5 milioni di sottoscrizioni annue, per esempio). Cioè tutte le forze cattoliche erano esposte ai contraccolpi delle avventure di Maurras e Daudet, che nel 1926 avevano già pronto il governo provvisorio da issare al potere in caso di collasso. Il Vat., che prevedeva invece una nuova ondata di leggi anticlericali tipo Combes, ha voluto dimostrativamente rompere con l’«Act. Franç.» e lavorare per la organizzazione di un partito cattolico democratico di massa che avesse la funzione di un Centro parlamentare, secondo la politica Briand-Poincaré. – Nell’«Act. Franç.» per ragioni ovvie, uscivano solo gli articoli mezzo-ossequienti e moderati: gli attacchi violenti e personali erano riserbati allo «Chiarivari» pubblicazione settimanale che non ha l’equivalente fra noi e che non era ufficialmente di Partito; ma questa sezione delle polemiche non è riportata nel libro. – Ho visto che gli ortodossi hanno pubblicato una risposta al «libro giallo», compilata da Jacques Maritain, professore all’Università cattolica di Parigi e capo riconosciuto degli intellettuali ortodossi: ciò significa che il Vaticano ha registrato un successo notevole, perché nel ’26 il Maritain aveva scritto un libro per difendere Maurras e aveva prima firmato una dichiarazione nello stesso senso: oggi dunque, questi intellettuali si sono scissi e l’isolamento dei monarchici deve avere progredito.

Un libro di Alessandro Zévaès, Storia della terza repubblica La Francia dal settembre 1870 al 1926 – superficialissimo, ma divertente. Aneddoti, larghe citazioni ecc. Serve per ricordare gli avvenimenti piú importanti della vita parlamentare e giornalistica francese.

R. Michels, La Francia contemporanea. È una truffa libraria. Si tratta di una raccolta, senza nesso, di articoli su alcuni aspetti parzialissimi della vita francese. Il Michels crede, poiché è nato nella Prussia renana, zona di confluenza tra romanesimo e germanesimo, di essere destinato a cementare l’amicizia tra tedeschi e neolatini, unendo in sé i peggiori caratteri dell’una e dell’altra cultura: la mutria del filisteo teutonico e la fatuità sciagurata del meridionalismo. Eppoi quest’uomo che mette in vista come una coccarda il suo rinnegamento della razza germanica e si vanta di aver dato nome Mario a un suo figlio per ricordo della sconfitta dei Cimbri e dei Teutoni, mi dà l’impressione dell’ipocrisia piú sopraffina a scopi di carriera accademica.

Raccolta di scritti per il centenario di Goffredo Mameli (Gentile, ecc.). – La seconda edizione dei Mille di Francesco Crispi – il piú interessante di tutti. – Ed ecco tutto, poiché non ti voglio parlare di qualche altro meno notevole, di carattere romantico. Scrivimi quando puoi; ma credo che le tue possibilità sono ancora inferiori alle mie. Cordialmente

Antonio

Tulli ti saluta – Devo correggere un errore, contenuto in una mia lettera di quando eri ad Ustica. Ti indicavo un libro sul metodo storico, attribuendolo a un Bernstein, mentre invece si trattava di un Bernheim: la memoria mi serve proprio male, perché questo volume mi è servito per due anni come testo scolastico: si vede che sono invecchiato piú di quanto supponessi. Il nome esatto è rigalleggiato all’improvviso e senza ragione di nesso e ho voluto, per scrupolo, avvertirtene. Saluti affettuosi.

78.

6 febbraio 1928

Carissima mamma,

ho ricevuto la settimana scorsa due tue lettere: una del 25 gennaio e l’assicurata del 1° febbraio con le 200 lire. Una volta tanto la tua corrispondenza è arrivata con una certa onestà di tempo.

Ti assicuro che le mie condizioni di salute sono abbastanza buone; se ho scritto solo dei bigliettini, la volta scorsa, fu solo perché non ricevevo tue notizie. Da quindici giorni faccio delle iniezioni di bioplastina e ciò contribuirà, per lo meno, a mantenermi in forze. Del resto, ho trascorso la prima metà dell’inverno senza troppe scosse. Un po’ di freddo, che mi ha fatto venire dei geloni, che non avevo mai avuto: si vede che divento vecchio e che il sangue si è alquanto raffreddato. – Le tue due lettere mi hanno un po’ fatto andare in collera. Spero che non farai dire delle messe per il buon esito del mio processo! Non devi preoccuparti di queste cose. Io sono tranquillissimo e lo sarò ancora di più se avrò la sicurezza che tu sei tranquilla e serena. E perché non dovresti esserlo? La sorte che mi attende, come tu dici, non è poi spaventevole: è una semplice questione di tempo e di pazienza.

Ringrazia tanto Carlo per l’assicurata. Abbraccia tutti affettuosamente e tu ricevi tanti tanti abbracci

Nino

Tatiana si è ammalata e si trova all’ospedale un’altra volta; il cattivo clima di Milano e le fatiche che fa per portarmi ogni giorno da mangiare, sono certamente la causa del suo male. Cosí mi pare che io, nonostante la prigione, sono quello che sta meglio di tutti. Adesso Tatiana sta meglio, ha superato la fase critica di una bronco-polmonite. Le notizie ultime dei bambini sono abbastanza buone.

79.

6 febbraio 1928

Carissima Tania,

ho avuto notizie della tua salute e anche della tua impazienza di uscire dalla clinica. Questa tua impazienza mi pare poco assennata. Mi dispiace proprio di essere nell’impossibilità di adoperare dei mezzi piú persuasivi che le parole per costringerti a curarti razionalmente; ciò che mi fa diventare ferocissimo è il fatto che proprio tu mi hai predicato con tanta tenacia di curarmi, di curarmi, di curarmi. Ti pare giusto? In questo caso mi sento kantiano fino alla punta dei capelli: «Non domandare agli altri di fare ciò che non saresti disposto a fare tu stesso». Poiché le nostre condizioni sono le stesse. Tu, poi, sei indubbiamente piú convinta di me della moralità delle massime assolute di Kant e dovresti inoltre ricordare il principio professionale: «Medice, cura te ipsum». Insomma, non devi costringermi a farti degli ultimatum. Perché sono capace non solo di interrompere le iniezioni, ma anche di non andare piú al colloquio se mi persuado della tua poca saggezza e di incaricare la signora Pina di tirarti ben bene i capelli.

Cara Tania, spero davvero che non farai niente che sia contrario ai consigli del medico. Il saperti indisposta aumenta le tante preoccupazioni che mi assillano; quando ho saputo che stavi male sono stato quattro o cinque giorni talmente furioso contro me stesso che non rivolgevo piú neanche la parola a Tulli. Se vuoi che io sia tranquillo, devi mostrarmi di stare bene e sul serio, perché io non posso non pensare di essere la origine di ogni tuo malessere. E una cosa devi promettermi assolutamente. È possibile che io parta anche prima di rivederci: non è poi una cosa molto grave, perché ci rivedremo a Roma. Tu devi fare il viaggio nelle migliori condizioni possibili. Devi prendere un posto nell’espresso, con la cuccetta per dormire. Col biglietto di seconda classe, il letto costava 60 lire e non credo sia aumentato di prezzo: bisogna prenotarlo qualche giorno prima. Lo farai? Me lo prometti? Vorrei accarezzarti: ti abbraccio teneramente

Antonio

80.

13 febbraio 1928

Carissima Tania,

ho saputo ieri che stai meglio e che forse potrai abbandonare tra breve la clinica. Sono molto contento della buona notizia, ma insisto perché ti curi senza aver fretta. Non devi illuderti che ormai la buona stagione e il bel tempo siano incominciati: io credo anzi che questo sia a Milano il peggiore periodo dell’anno, per gli improvvisi cambiamenti di temperatura; l’anno scorso ha nevicato per tutto marzo. Come passi il tempo? Hai libri da leggere? Io continuo a farmi fare le iniezioni: oggi farò la 20a; vedi come sono bravo!

Mi è stata annunziata una tua lettera, che non ho però ancora ricevuto. La prima volta che verrai al colloquio devi essere proprio rimessa; voglio vederti in salute, altrimenti andrò terribilmente in collera e domanderò il permesso di tirarti i capelli di sopra la grata.

Ti abbraccio teneramente

Antonio

81.

20 febbraio 1928

Carissima Tania,

ho ricevuto la tua lettera del 9; ti rispondo all’indirizzo di casa, come augurio che tra giorni possa uscire dall’ospedale e riprendere la vita normale (sempre mantenendo la condizione che sia veramente guarita e abbia ripreso le tue forze).

La cura delle iniezioni va a gonfie vele: proprio stamane ho avuto una testimonianza autentica e irrefutabile di una mia incipiente marcia verso l’obesità, quella del barbiere. Egli mi ha assicurato che il rasoio scorre meglio, perché le guancie si sono alquanto rimpolpate in questo ultimo tempo. Ciò dovrebbe tagliare la testa al toro, come si dice.

Ho incominciato a mandare fuori dei libri: ho mandato fuori 40 pezzi, finora. Dalla Libreria ho ricevuto il libro del Sée che tu avevi ordinato. Appena potrai riprendere la vita normale, ti indicherò qualche altra pubblicazione da farmi inviare. Veramente avevo deciso, per un pezzo di non domandare piú nulla, ma non pensavo che siamo all’inizio di un nuovo anno e che dovevano uscire le Prospettive Economiche per il 1928 del prof. Giorgio Mortara e l’Almanacco Letterario Mondadori. Nonostante tutto, non riesco a soffocare il bisogno di seguire, sia pure molto approssimativamente, ciò che succede nel mondo grande e terribile. Carissima Tania, spero di rivederti tra breve. Questa volta potrebbero concederti anche un colloquio visivo, in modo che mi sia possibile abbracciarti. Potrebbero, se vogliono cautelarsi contro le mie terribili iniziative, ordinare che mi sia fatta una perquisizione personale speciale prima e dopo il colloquio.

Ti abbraccio teneramente

Antonio

82.

20 febbraio 1928

Carissima Teresina,

ho ricevuto la tua lettera del 30 gennaio e la fotografia dei tuoi bambini. Ti ringrazio e sarò molto contento di ricevere altre tue lettere.

Il peggiore guaio della mia attuale vita è la noia. Queste giornate sempre uguali, queste ore e questi minuti che si succedono con la monotonia di uno stillicidio, hanno finito per corrodermi i nervi. Almeno i primi tre mesi dopo l’arresto furono molto movimentati: sballottato da un estremo all’altro della penisola, sia pure con molte sofferenze fisiche, non avevo tempo di annoiarmi. Sempre nuovi spettacoli da osservare, nuovi tipi d’eccezione da catalogare: davvero mi pareva di vivere in una novella fantastica. Ma ormai da piú di un anno sono fermo a Milano, in ozio forzato. Posso leggere, ma non posso studiare, perché non mi è stato concesso di avere carta e penna a mia disposizione, neppure con tutta la sorveglianza domandata dal capo, dato che passo per essere un terribile individuo, capace di mettere il fuoco ai quattro angoli del paese o giú di lí. La corrispondenza è la mia piú grande distrazione. Ma pochissima gente mi scrive. Da un mese poi mia cognata è ammalata e non ho neanche piú il colloquio settimanale con lei.

Mi preoccupa molto lo stato d’animo della mamma, d’altronde non so come fare per rassicurarla e consolarla. Vorrei infonderle la convinzione che io sono tranquillissimo, come realmente sono, ma vedo che non riesco. C’è tutta una zona di sentimento e di modi di pensare che costituisce una specie di abisso tra noi. Per lei il mio incarceramento è una terribile disgrazia alquanto misteriosa nelle sue concatenazioni di cause ed effetti; per me è un episodio della lotta politica che si combatteva e si continuerà a combattere non solo in Italia, ma in tutto il mondo, per chissà quanto tempo ancora. Io sono rimasto preso, cosí come durante la guerra si poteva cadere prigionieri, sapendo che questo poteva avvenire e che poteva avvenire anche di peggio. Ma temo che anche tu la pensi come la mamma e che queste spiegazioni ti rassomiglino a un indovinello espresso ancora in una lingua sconosciuta.

Ho osservato a lungo la fotografia, confrontandola con quelle che mi avevi mandato prima. – (Ho dovuto interrompere la lettera, per farmi fare la barba; non ricordo piú ciò che volevo scrivere e non ho voglia di ripensarci. Sarà per un’altra volta).

Saluti affettuosi a tutti. Ti abbraccio.

Nino

83.

27 febbraio 1928

Carissima Tania,

per una felicissima congiunzione di astri favorevoli, la tua lettera del 20 mi è stato consegnata il 24, insieme alla lettera di Giulia. Ho ammirato molto la tua bravura nelle diagnosi, ma non sono caduto nei sottili lacci della tua furberia letteraria. Non pensi che sarebbe preferibile esplicare la propria bravura su altri soggetti che non sulla propria persona? (Non per augurare male al prossimo, s’intende, se di prossimo si può parlare in questo caso. Tu hai letto bene e studiato le idee di Tolstoi? Dovresti confermarmi il significato preciso che Tolstoi dà alla nozione evangelica di «prossimo». Mi pare che egli si attenga al significato letterale, etimologico della parola: «chi ti è piú vicino, quelli della tua famiglia, cioè, e, al massimo, quelli del tuo villaggio»). Insomma, non sei riuscita a cambiarmi le carte in tavola, mettendomi innanzi dimostrativamente la tua bravura di medico, per farmi riflettere meno alle tue condizioni di paziente. Sulla flebite, poi, io mi sono formato una cultura speciale, perché negli ultimi quindici giorni di residenza ad Ustica, ho dovuto ascoltare le lunghe disquisizioni di un vecchio avvocato perugino che ne soffriva e si era fatto arrivare quattro o cinque pubblicazioni in proposito. So che si tratta di un male abbastanza grave e molto doloroso; tu avrai veramente la pazienza necessaria per curarti bene senza fretta? Spero di sí. Io posso contribuire a farti aver pazienza, scrivendoti lettere piú lunghe del solito. È un piccolo sforzo che non mi costerà gran che, se tu ti accontenterai del mio chiacchiericcio. Eppoi, eppoi, sono molto più sollevato di prima.

La lettera di Giulia ha determinato in me uno stato d’animo piú tranquillo. Le scriverò a parte, un po’ a lungo, se mi sarà possibile, perché non voglio farle dei rimproveri e non vedo ancora come potrò scriverle a lungo, senza farle dei rimproveri. Ti pare giusto, infatti, che ella non mi scriva quando sta male o è angosciata? Io penso che, proprio in tali circostanze, dovrebbe scrivermi di piú e piú lungamente. Ma non voglio fare di questa lettera la sezione-rimproveri.

Per farti passare il tempo ti riferirò una piccola discussione «carceraria» svoltasi a pezzi e bocconi. Un tale, che credo sia evangelista o metodista o presbiteriano (mi sono ricordato di lui a proposito del suaccennato «prossimo») era molto indignato perché si lasciavano ancora circolare per le nostre città quei poveri cinesi che vendono oggettini certamente fabbricati in serie in Germania, ma che dànno l’impressione ai compatrioti di annettersi almeno un pezzettino del folklore cataico. Secondo il nostro evangelista, il pericolo era grande per la omogeneità delle credenze e dei modi di pensare della civiltà occidentale: si tratta, secondo lui, di un innesto dell’idolatria asiatica nel ceppo del cristianesimo europeo. Le piccole immagini del Budda finirebbero con l’esercitare uno speciale fascino che potrebbe essere come un reagente sulla psicologia europea ed esercitare una spinta verso neoformazioni ideologiche totalmente diverse da quella tradizionale. Che un elemento sociale come l’evangelista in parola avesse simili preoccupazioni, era certo molto interessante, anche se tali preoccupazioni avessero origine molto lontana. Non fu difficile però cacciarlo in un ginepraio di idee, senza uscita per lui, facendogli osservare:

1°. Che l’influenza del buddismo sulla civiltà occidentale ha radici molto piú profonde di quanto sembri, perché durante tutto il Medio Evo, dall’invasione degli arabi fino al 1200 circa, la vita di Budda circolò in Europa come la vita di un martire cristiano, santificato dalla Chiesa, la quale solo dopo parecchi secoli si accorse dell’errore commesso e sconsacrò il pseudosanto. L’influenza che un tale episodio può avere esercitato in quei tempi, quando l’ideologia religiosa era vivacissima e costituiva il solo modo di pensare delle moltitudini, è incalcolabile.

2°. Il buddismo non è una idolatria. Da questo punto di vista, se un pericolo c’è, è costituito piuttosto dalla musica e dalla danza importata in Europa dai negri. Questa musica ha veramente conquistato tutto uno strato della popolazione europea colta, ha creato anzi un vero fanatismo. Ora è impossibile immaginare che la ripetizione continuata dei gesti fisici che i negri fanno intorno ai loro feticci danzando, che l’avere sempre nelle orecchie il ritmo sincopato degli jazz-bands, rimangano senza risultati ideologici; a) Si tratta di un fenomeno enormemente diffuso, che tocca milioni e milioni di persone, specialmente giovani; b) si tratta di impressioni molto energiche e violente, cioè che lasciano traccie profonde e durature; c) si tratta di fenomeni musicali, cioè di manifestazioni che si esprimono nel linguaggio piú universale oggi esistente, nel linguaggio che piú rapidamente comunica immagini e impressioni totali di una civiltà non solo estranea alla nostra, ma certamente meno complessa di quella asiatica, primitiva ed elementare, cioè facilmente assimilabile e generalizzabile dalla musica e dalla danza a tutto il mondo psichico. Insomma il povero evangelista fu convinto, che mentre aveva paura di diventare un asiatico, in realtà egli, senza accorgersene, stava diventando un negro e che tale processo era terribilmente avanzato, almeno fino alla fase di meticcio. Non so quali risultati siano stati ottenuti: penso però che non sia piú capace di rinunziare al caffè con contorno di jazz e che d’ora innanzi si guarderà piú attentamente nello specchio per sorprendere i pigmenti di colore nel suo sangue.

Cara Tania, ti auguro di ristabilirti bene e presto: ti abbraccio.

Antonio

84.

27 febbraio 1928

Carissima Giulia,

ho ricevuto la tua lettera del 26-XII-1927, con la postilla del 24 gennaio e l’unito bigliettino. Sono stato proprio felice di ricevere queste tue lettere. Ma ero già diventato piú tranquillo da qualche tempo. Sono molto cambiato, in tutto questo tempo. Ho creduto in certi giorni di essere diventato apatico e inerte. Penso oggi di aver sbagliato nell’analisi di me stesso. Cosí non credo neanche piú di essere stato disorientato. Si trattava di crisi di resistenza al nuovo modo di vivere che implacabilmente si imponeva sotto la pressione di tutto l’ambiente carcerario, con le sue norme, con la sua routine, con le sue privazioni, con le sue necessità, un complesso enorme di piccolissime cose che si succedono meccanicamente per giorni, per mesi, per anni, sempre uguali, sempre con lo stesso ritmo, come i granellini di sabbia di una gigantesca clepsidra. Tutto il mio organismo fisico e psichico si opponeva tenacemente, con ogni sua molecola, all’assorbimento di questo ambiente esteriore, ma ogni tanto bisognava riconoscere che una certa quantità della pressione era riuscita a vincere la resistenza e a modificare una certa zona di me stesso, e allora si verificava una scossa rapida e totale per respingere d’un tratto l’invasore. Oggi, tutto un ciclo di mutamenti si è già svolto, perché sono giunto alla calma decisione di non oppormi a ciò che è necessario e ineluttabile coi mezzi e nei modi di prima, che erano inefficaci e inetti, ma di dominare e controllare, con un certo spirito ironico il processo in corso. D’altronde mi sono persuaso che un perfetto filisteo non lo diventerò mai. In ogni momento sarò capace con una scossa di buttar via la pellaccia mezzo di asino e mezzo di pecora che l’ambiente sviluppa sulla vera propria naturale pelle. Forse una cosa non otterrò mai piú: di ridare alla mia pelle naturale e fisica il colore affumicato. Valia non mi potrà piú chiamare il compagno affumicato. Temo che Delio, nonostante il tuo contributo, sarà ormai piú affumicato di me! (Protesti?) Sono rimasto, questo inverno, quasi tre mesi senza vedere il sole, altro che in qualche lontano riflesso. La cella riceve una luce che sta di mezzo tra la luce di una cantina e la luce di un acquario.

D’altronde, non devi pensare che la vita mia trascorra cosí monotona e uguale come a prima vista potrebbe sembrare. Una volta presa l’abitudine alla vita dell’acquario e adattato il sensorio a cogliere le impressioni smorzate e crepuscolari che vi fluiscono (sempre ponendosi da una posizione un po’ ironica), tutto un mondo incomincia a brulicare intorno, con una sua particolare vivacità, con sue leggi peculiari, con un suo corso essenziale. Avviene come quando si getta uno sguardo su un vecchio tronco mezzo disfatto dal tempo e dalle intemperie e poi piano piano si ferma sempre piú fissamente l’attenzione. Prima si vede solo qualche fungosità umidiccia, con qualche lumacone, stillante bava, che striscia lentamente. Poi si vede, un po’ alla volta tutto un insieme di colonie di piccoli insetti che si muovono e si affaticano, facendo e rifacendo gli stessi sforzi, lo stesso cammino. Se si conserva la propria posizione estrinseca, se non si diventa un lumacone o una formichina, tutto ciò finisce per interessare e far trascorrere il tempo.

Ogni particolare che riesco a cogliere della tua vita e della vita dei bambini mi offre la possibilità di cercare di elaborare qualche rappresentazione piú vasta. Ma questi elementi sono troppo scarsi e la mia esperienza è stata troppo scarsa. Ancora: i bambini devono mutare troppo rapidamente in questa loro età perché io riesca a seguirli in tutti i movimenti e a darmene una rappresentazione. Certo, in questo devo essere assai disorientato. Ma è inevitabile che sia cosí. Ti abbraccio teneramente.

Antonio

85.

5 marzo 1928

Carissima mamma,

mi dispiace infinitamente che non abbia ricevuto le lettere che ti scrissi nei mesi di gennaio e febbraio e che perciò abbia potuto credere a una mia indisposizione, come scrivi nella tua del 27 febbraio, che è giunta molto rapidamente. Certamente io ti ho scritto in questo periodo almeno 6 lettere, che forse a quest’ora ti saranno tutte arrivate. Io ti scrivo ogni 15 giorni almeno, qualche volta ho scritto anche di settimana in settimana. Ho ricevuto l’assicurata il 6 gennaio e il 9 successivo te lo annunziavo. Ho ricevuto qualche settimana fa una lettera di Teresina con una fotografia dei bambini; risposi immediatamente.

Mi addolora molto questo disordine per le ripercussioni che ha nel tuo spirito. Ma tu non devi sempre pensare alle ipotesi peggiori e crucciarti continuamente. Tu capisci che se stessi male, se mi sentissi indisposto in qualsiasi maniera o grado, ti avvertirei subito, perché penso che non avvertendoti farei ancora peggio e la notizia improvvisa di una mia malattia diventerebbe ancor piú allarmante per te. Cosí hai torto di pensare che io sia sempre cupo e in preda a chissà quale disperazione. Ma no, ma no. Naturalmente non sto sempre a ballare di gioia e a ridere continuamente, ma neanche sono sempre cupo e disperato come un corvo appollaiato su un cipresso del cimitero. Sono proprio tranquillo e sereno, come deve essere chi ha la coscienza tranquilla e vede la vita senza illusioni. Proprio mi dispiace che tu sia ossessionata dal pensiero che io mi disperi; se si trattasse di altri che di te dovrei offendermi e ritenermi insultato a sangue. Caspita, non sono un bambino, ti pare?, che si sia messo nei pasticci inconsideratamente e per leggerezza. Vedi, stavo per eccitarmi e incominciavo a gridare contro di te! Ma, insomma, come posso convincerti che devi mantenerti tranquilla e serena anche tu? Bisogna strapazzarti un po’ per ottenerlo?

Mi dispiace che sia morta zia Nina Corrias. Povera donna. Credo che fosse molto brava, nonostante qualche sua innocente posa di superiorità continentale. E poi, ha certamente contribuito a svecchiare un po’ l’ambiente di Ghilarza, senza paura di urtare pregiudizi, istituzioni e persone. Ti ricordi il primo circolo femminile da lei propugnato? E quando fece seppellire civilmente il suo fratello censore? Che scandali, che brusii! Io ricordo proprio tutto e sebbene molte delle sue iniziative «progressiste» mi facessero ridere alquanto, penso che in fondo si trattava di cose serie e che lei ci metteva un fervore, encomiabile in ogni modo. Si è confessata e comunicata prima di morire? E zio Francesco vive ancora? (Mi pare di ricordare che Giovanna sia morta, ma non ne sono sicuro). Queste notizie del paese, mi interessano molto. Non devi credere che siano trascurabili e che mi annoino o che si tratti di pettegolezzi. Io sono sempre curioso come un furetto e anche le piccole cose le apprezzo. D’altronde, cosa vuoi, che a Ghilarza ogni settimana inventino la polvere? Mi interessava anche Corroncu e Brisi Illichidiu e tía Juanna Culamontigu. Erano tipi originali, nella loro specie, piú di tanti altri che andavano per la maggiore e che realmente erano noiosissimi e coi quali non si poteva scambiare altro che complimenti e salamelecchi.

Dunque, concludendo: sto abbastanza bene di salute; non sono cupo per niente e ti faccio tanti, tanti auguri per il prossimo tuo onomastico. Mandami una tua bella fotografia, ma che sia fatta proprio come sei in casa, senza ghingheri, eh? senza civetteria! Ti abbraccio forte forte

Nino

86.

5 marzo 1928

Carissima Tania,

anche la tua lettera del 28 febbraio mi è giunta con sollecitudine maravigliosa; nientemeno che il 3 marzo, dopo solo 4 giorni. Mi auguro che continui cosí e che tale sollecitudine si estenda a tutta la corrispondenza. La mia povera mamma è invece disperata, perché da due mesi non riceve mie lettere; il 27 febbraio non aveva ancora ricevuto una lettera mia del 9 gennaio, che ricordo assolutamente di aver scritto, e cosí pensa che io sia gravemente ammalato e nell’impossibilità materiale di scrivere.

Faccio tutti i miei complimenti per le forze riacquistate che ti hanno permesso di levarti e di camminare. Ma tu sei troppo ottimista per principio e credi troppo in una specie di giustizia cosmica! Sarà meglio che abbi pazienza e che aspetti di essere completamente ristabilita, fuori da ogni pericolo di ricadute e di complicazioni. Devi essere proprio assennata! Altrimenti prenderò dei provvedimenti draconiani contro i tuoi capelli, senza preoccuparmi o commuovermi dei rimproveri di barbarie!

Ho letto con molto interesse la tua lettera, per le osservazioni che hai potuto fare e per le nuove esperienze. Penso che non sia necessario raccomandarti l’indulgenza e non solo l’indulgenza pratica, ma anche quella dirò cosí spirituale. Io sono sempre stato persuaso che esiste una Italia sconosciuta, che non si vede, molto diversa da quella apparente e visibile. Voglio dire – poiché questo è un fenomeno che si verifica in tutti i paesi – che il distacco tra ciò che si vede e ciò che non si vede è da noi piú profondo che nelle altre cosidette nazioni civili. Da noi la piazza, con le sue grida, i suoi entusiasmi verbali, la sua boria, soverchia il chez soi molto piú che altrove, relativamente. Cosí si sono formati tutta una serie di pregiudizi e di affermazioni gratuite, sulla saldezza della struttura famigliare come sulla dose di genialità che la provvidenza si sarebbe degnata di dare al nostro popolo, ecc. ecc. Anche in un recentissimo libro del Michels è ripetuto che la media dei contadini calabresi, anche se analfabeti, è più intelligente della media dei professori universitari tedeschi; così molta gente si crede esonerata dall’obbligo di far sparire l’analfabetismo in Calabria. Io credo che i costumi familiari delle città, data la recente formazione dei centri urbani in Italia, non possono essere giudicati astraendo dalla situazione media generale di tutto il paese, che è ancora molto bassa e che può essere, da questo punto di vista, riassunta in questo tratto caratteristico: un estremo egoismo delle generazioni tra i 20 e i 50 anni, che si verifica ai danni dei bambini e dei vecchi. Naturalmente non si tratta di una stigmata di inferiorità civile permanente: sarebbe assurdo e sciocco il pensarlo. Si tratta di un dato di fatto storicamente controllabile e spiegabile e che sarà indubbiamente superato con l’elevazione del livello di vita materiale. La spiegazione, secondo me, è nella struttura demografica del paese, che prima della guerra portava a un carico di 83 persone passive per ogni 100 lavoratori, mentre in Francia, con una ricchezza enormemente superiore, il carico era solo di 52 ogni 100. Troppi vecchi e troppi bambini in confronto delle generazioni medie, impoverite numericamente dall’emigrazione. Ecco la base di questo egoismo di generazioni, che assume talvolta aspetti di spaventevole crudeltà. Sette od otto mesi fa i giornali riferivano questo episodio efferatissimo: un padre che aveva massacrato tutta la famiglia (la moglie e 3 bambini) perché, ritornato dai lavori dei campi, aveva trovato la cena scarsa divorata dalla famelica nidiata. Cosí, su per giù alla stessa data, a Milano si svolse un processo contro marito e moglie che avevano fatto morire il figliolino di 4 anni, tenendolo legato per mesi al piede del tavolo con del filo di ferro. Si capiva, dal dibattimento, che l’uomo dubitava della fedeltà della moglie e che questa, piuttosto che perdere il marito difendendo il bambino dai maltrattamenti, si accordò per la sua soppressione. Furono condannati a 8 anni di reclusione. Questo è un tipo di reato che una volta era considerato nelle statistiche annuali della criminalità con una voce apposita; il senatore Garofalo considerava la media di 50 condanne all’anno per tali reati come solo un indice della tendenza criminale, perché i genitori colpevoli riescono il piú delle volte a eludere ogni sanzione, per il costume generale di badare poco all’igiene e alla salute dei bambini e per il diffuso fatalismo religioso che porta a considerare quasi come una particolare benevolenza del cielo l’assunzione di nuovi angeletti alla corte divina. Questa, purtroppo, è la ideologia piú diffusa e non fa maraviglia che ancora, sia pure in forme attenuate ed addolcite, si rifletta anche nelle città piú progredite e moderne. Vedi che l’indulgenza non è fuori luogo, almeno per chi non crede all’assolutezza dei principi neanche in questi rapporti, ma solo nel loro sviluppo progressivo insieme con lo sviluppo della vita generale. Tanti, tanti auguri. Ti abbraccio.

Antonio

87.

12 marzo 1928

Carissima mamma,

nella scorsa lettera (del 5 marzo) ho commesso un errore, che però tu hai potuto correggere da te stessa: l’assicurata giunse a me il 4 febbraio e io ti scrissi per avvertirtene il 6 febbraio; non gennaio, come ti scrissi, ma febbraio, dunque.

Ho ricevuto recentemente notizie dei bambini e di Giulia. Delio è sempre stato bene, ma il piccolo è stato gravemente ammalato, in pericolo per qualche mese e perciò non mi mandavano notizie. La malattia ha ritardato il suo sviluppo, nella dentizione e nel parlare, ma da qualche tempo, dopo la guarigione, si riprende bene e riacquista il tempo perduto. Mi scrivono un mondo di particolari, che non ti ripeto, perché sono in fondo i soliti della vita dei piccoli bambini, ma che le mamme ogni volta credono straordinari e meravigliosi e solamente propri dei loro piccoli.

Pare certo, questa volta, che sia prossima la partenza per Roma e il processo. È forse addirittura probabile che si parta tra brevissimo tempo; cercherò di informarti della partenza con un telegramma, in modo che tu possa subito scrivermi al nuovo indirizzo delle Carceri Giudiziarie di Roma. Ti ripeto, ancora una volta, che tu non devi allarmarti qualunque sia la farragine di notizie che i giornali si compiaceranno pubblicare. Le stesse accuse, con riferimento agli stessi art. del Codice Penale, mi furono mosse nel 1923, quando ero all’estero. Fummo assolti già in prima istanza, quantunque ci fosse un documento con tanto di firme riconosciute autentiche dagli imputati. Adesso sarò certamente condannato a molti anni, nonostante che l’accusa contro di me si basi su un semplice referto della polizia e su impressioni generiche incontrollabili; ma il confronto tra il ’23 e il ’28 basta a dare la nozione della «gravità» in sé del processo attuale e a caratterizzarlo. Ecco perché io sono cosí tranquillo. Tu pensi che ciò che deve contare non sono queste circostanze accessorie, ma il fatto reale della condanna e del carcere da soffrire? Ma devi anche contare la posizione morale, non ti pare? Anzi è solo questo che dà la forza e la dignità. Il carcere è una bruttissima cosa; ma per me sarebbe anche peggiore il disonore per debolezza morale e per vigliaccheria. Perciò tu non devi allarmarti e addolorarti troppo e non devi mai pensare che io sia abbattuto e disperato. Devi aver pazienza e, in ogni caso, non credere alle panzane che possono pubblicare sul mio conto.

Spero che tu abbia ricevuto oramai tutte le mie precedenti lettere. Rinnovo gli auguri piú fervidi e affettuosi per il tuo onomastico e ti abbraccio teneramente.

Nino

88.

12 marzo 1928

Carissima Tania,

ho ricevuto solo qualche giorno fa la tua lettera datata dal 21 febbraio. Ti ringrazio per le informazioni che mi trasmetti sulle condizioni di salute dei bambini: Giulia me ne accennava solo fuggevolmente. Il riccio di Giuliano devi tenerlo tu e non cercare di farmelo pervenire chiedendo un permesso speciale: non so spiegare esattamente il perché, ma una simile pratica mi desta un certo senso di repugnanza invincibile. Io mi accontento delle tue descrizioni, ti assicuro, senza risentire, per questa soluzione, il dispiacere che invece sentirei se sapessi che diversamente tu sei andata a chiedere e a dare spiegazioni ecc. ecc.: sento proprio una repugnanza per queste cose che davvero vorrei comunicarti.

Sono un po’ preoccupato perché nuovamente circola la notizia di una prossima partenza e non vorrei che, arrivando fino a te, ti determinasse a uscire dalla clinica prima del tuo completo ristabilimento e magari a partire da Milano ancora troppo debole. Se ciò avvenisse, ne sarei enormemente addolorato e te ne manterrei il broncio per lungo tempo. Adesso tu devi pensare solo a guarire e a riprendere le forze. In ogni caso, se veramente la mia partenza fosse imminente, ci rivedremmo a Roma. Io farò tutte le cose per benino. Ho mandato fuori ancora dei libri (altri 22 pezzi) e manderò fuori rapidamente il resto. Con me porterò solo la biancheria indispensabile. Manderò fuori anche la valigia, con un paio di scarpe, l’abito nuovo e un soprabitino di mezza stagione. Penso che la valigia, con la biancheria che manderò fuori, e qualche libro per i primi tempi di Roma può essere spedita a grande velocità; il resto dei libri può andare a piccola velocità; non me li rimanderai se non dopo aver avuto mie indicazioni, giacché solo una parte di essi, che mi serviranno per studiare o per consultazione, mi saranno necessari. Nella valigia puoi mettere di libri, il Corso di Scienza delle Finanze di Luigi Einaudi e il Vocabolario tedesco (le grammatiche le porterò con me). Ti mando fuori anche i numeri arretrati del «Marzocco», dai quali vorrei ritagliare alcuni articoli di carattere storico e bibliografico.

Perché tu possa a Roma non essere costretta a fare nuove fatiche per il colloquio, sarà forse bene che tu domandi qualche indicazione al giudice istruttore; forse potrai avere dalla sua cortesia anche una lettera di presentazione per l’incaricato di Roma.

Carissima Tania, devi proprio seguire i miei consigli per ciò che riguarda la tua uscita dalla clinica. Per ricompensarti (!) dell’obbedienza, ti spiegherò per filo e per segno come fu che io da bambino fossi biondissimo e poi diventassi castano (ti ricordi come facevo arrabbiare Giulia con questa storia e con quella degli occhi di mia sorellina che prima erano azzurri, poi diventarono ognuno mezzo azzurro e mezzo nero, poi uno completamente nero e l’altro ridiventò azzurro ecc. ecc.?)

Ti abbraccio affettuosamente

Antonio

89.

19 marzo 1928

Carissima Tania,

giovedí, per qualche minuto, credetti che tu fossi ormai uscita dalla clinica. Mentre Tulli faceva i passi del leone, in attesa di essere chiamato al colloquio, la porta fu aperta ed io invece venni chiamato al centro. Ma si trattava solo di andare a firmare la ricevuta di una assicurata mandatami da mia madre. Ero proprio convinto di andare al colloquio con te, e rimasi molto deluso. Ma pazienza. Sarà per un’altra volta. Questa volta il processo si avvia veramente alla sua conclusione. Stamane mi venne comunicata la sentenza di rinvio a giudizio e ciò dovrebbe significare una partenza imminente. Mi fu anche domandato di nominare l’avvocato di fiducia e nominai l’avv. Ariis. In realtà io dò pochissima importanza alla quistione dell’avvocato; vorrei solo, prima del processo, avere qualche informazione giuridica per la compilazione di una nota o memoria di difesa che desidererei rimanesse allegata agli atti. Per la forma da dare a questa nota, non per la sostanza di essa, che ho già pensato in tutti i particolari.

Domani farò la 50a iniezione e stop. Credo di aver diritto a un certo riposo. Tu mi consiglierai in seguito se la cura debba essere ripresa dopo qualche tempo oppure no. Da una settimana non ho tue notizie precise: pare che siano abbastanza buone in generale. Ho mandato fuori ancora dei libri (altri 12 pezzi). Da qualche settimana non ricevo piú il «Marzocco» e dal 1° febbraio non ricevo più «Critica Fascista»: bisognerebbe avvertire la Libreria. Appena io parto, occorrerà anche avvertire per il cambiamento d’indirizzo. Ho visto nel «Marzocco» che è stato pubblicato dall’editore Hoepli di Milano un volume di Arnaldo Bonaventura intitolato: Storia del violino, dei violinisti e della musica per violino. Forse Anna sarebbe contenta di averlo: potrebbe servirle per l’insegnamento e potrebbe anche farne la traduzione; cosa ne pensi?

Cara Tania, sono contento di non essere ancora partito, per le probabilità che possono esserci di vederti ancora una volta a Milano: ti raccomando però, una volta di più, di curarti bene, di non abbandonare intempestivamente la clinica e di fare in seguito il viaggio Milano-Roma nelle condizioni di migliore comfort che ti è possibile.

Ti abbraccio teneramente

Antonio

90.

26 marzo 1928

Carissima mamma,

ho ricevuto la tua assicurata del 12 marzo tre giorni dopo (il 14). Avrei potuto informartene subito, lunedí scorso, ma avevo già impegnate le lettere settimanali che sono concesse e non credetti di farti un torto grave. Ti ringrazio e ringrazio Carlo molto affettuosamente.

Come vedi, non sono ancora partito per Roma, ma certamente questa volta ci siamo; si tratterà ad ogni modo, di giorni e non piú di mesi come è successo nel passato. Ho già ricevuto la sentenza di rinvio a giudizio, compilata dalla Commissione istruttoria presso il Tribunale speciale. Non ho appreso da essa nulla di nuovo. Contro di me non è portata nessuna accusa concreta, suffragata da prove documentarie e testimoniali. Ci sono quattro funzionari della polizia che affermano essere io responsabile di tutto il male che è successo in Italia nel 1926, anche del cattivo raccolto; tra l’altro ho visto ricordato persino il mio viaggio a Ghilarza nell’ottobre del ’24 come un elemento di accusa. Vedi un po’! E tu ti lamentavi sempre perché io non mi facevo vedere! Meno male che viaggiavo poco. Naturalmente tutto questo non deve crearti delle illusioni e farti credere che io possa essere assolto. Bisogna proprio che ti abitui al pensiero che sarò condannato e che necessariamente dovrò passare in carcere un certo numero di anni, che spero brevi, ma che è inevitabile. Io sono arciabituato oramai e anzi vorrei che tutto si svolgesse piú rapidamente e che fossi già inviato in una casa di pena coi capelli rasi e la casacca. Cosí finirebbe una buona volta il tormento di mia cognata, per esempio, la quale, per essermi vicina e potermi alleviare la vita, è stata quasi sei mesi all’ospedale da un anno a questa parte e ancora deve esservi ricoverata per le sue condizioni di estrema debolezza.

Ho ricevuto qualche giorno fa notizie recenti dei bambini e di Giulia, notizie abbastanza buone. Credi, e non avere nessun dubbio in proposito, che io sono tranquillissimo. Ogni giorno piú, anzi, divento piú forte e duro alle commozioni. Non sono mai stato eccessivamente sentimentale, come ben sai, e forse questa apparente insensibilità spesse volte ti ha cagionato dolore; oggi devo aver perduto anche quel poco di sentimentalismo che forse una volta ho posseduto. Come per la selce, ci vuole un colpo dato con l’acciaio per far scaturire scintille da me. Ma tu, con poche altre persone, hai certo questa virtú dell’acciaio: ti abbraccio forte forte.

Nino