3 L’inspiegabile passione degli italiani per la lettura

Dino Baldi

L’ultimo rapporto Nielsen “L’Italia dei libri 2011-2013”, che si può consultare qui, conferma il trend positivo per la lettura nel nostro paese: nel 2013 in Italia ben 22,4 milioni di persone, il 43% della popolazione, hanno letto almeno un libro, per un totale di 153 milioni di copie lette e 112 milioni di copie acquistate. Ma il dato del 2013 diventa ancora più significativo se lo si mette a confronto con gli anni precedenti: dal 2011 i lettori sono calati dell’11%, il che significa che soltanto 2,9 milioni di persone hanno deciso di abbandonare la lettura per dedicarsi ad altri hobby. Al di là della comprensibile soddisfazione dell’industria editoriale, ben più prospera rispetto ad altri settori colpiti da una crisi irreversibile, questa sostanziale tenuta del libro è sorprendente. Perché ancora così tanti italiani leggono? Come si spiega che tante persone investano la cifra media di 57,47 euro l’anno in libri, nonostante la concorrenza di altri media ben più attraenti ed efficaci a scopo di intrattenimento (e nonostante, aggiungo, le iniziative dirette e indirette per la disincentivazione della lettura, vale a dire la scuola e quella sofisticata forma di negative campaigning che sono le fiere del libro con tutti gli annessi e connessi)?

So bene, come lo sanno tutti, che non si può trarre da dati statistici come questi alcuna conclusione in merito alla “Cultura” delle persone, e non sta dunque a me valutare se l’ostinata resistenza del libro sia, a parte gli interessi legittimi di autori ed editori, qualcosa di positivo o piuttosto il segno di una sostanziale arretratezza del nostro Paese. Vorrei rilevare invece il senso di insoddisfazione che queste indagini, sempre più numerose, lasciano in chi legge, un’oscurità che fanno indovinare ma non diradano. La domanda che ad esempio mi pongo io, dopo aver scorso tabelle su tabelle piene di dati, è questa: ma i tre milioni di ex-lettori, quelli che nel 2011 leggevano e ora non leggono più, adesso cosa fanno? Come impiegano il tempo della non-lettura?

Prendiamo un libro di 250 pagine, e mettiamo che per leggere una pagina ci vogliano più o meno tre minuti: per terminarlo un lettore medio impiegherà, poniamo, dodici o tredici ore; però un lettore che sta per abbandonare la lettura è verosimilmente un lettore demotivato, che già da tempo, magari inconsciamente, covava la decisione di non comprare più libri: meglio calcolare una ventina d’ore di lettura svogliata o controvoglia. Da capo, allora: come utilizza adesso il neo-non-lettore questo cospicuo patrimonio temporale? Per dare una risposta occorrerebbero altre statistiche, basate questa volta non sul criterio “merce” ma sul criterio “attività svolte nell’arco della giornata”: da queste potrebbe venir fuori che le venti ore annue sono state assorbite da attività diverse quali, ad esempio: venti minuti in più di sonno o veglia nel letto, tre ore di litigi familiari, un’ora di coda per uffici, quattro ore per aggiornare il curriculum, quaranta minuti per bisogni corporali e masturbazione, un’ora per scegliere i vestiti la mattina, un’ora di ozio non classificabile e il resto internet. Ma alcuni avranno sostituito in blocco la lettura con attività più appaganti come la ricerca di donne, le passeggiate per funghi, la fotografia digitale, la pittura ad olio, il volo d’aquilone: non è detto insomma che la lettura tradizionale sia stata sostituita da attività assimilabili al consumo di contenuti in forme diverse da quelle tradizionali. Incrociando i dati relativi ai consumi con quelli relativi ai tempi necessari a svolgere le attività relative, i conti dovrebbero tornare.

Ma a parte questo cambiamento naturale di abitudini, da valutare laicamente e senza pregiudizi, io ho il sospetto che potrebbe esserci anche altro. Qualcuno ad esempio è andato a vedere quanti occhiali si sono venduti nel triennio 2011-2013? Forse il calo della lettura è legato al calo della vista. Magari questi tre milioni di non-lettori vorrebbero continuare a leggere, ma non ci riescono più: entrano in libreria con le migliori intenzioni, prendono un libro, lo sfogliano, e poi lo rimettono nello scaffale per la frustrazione di non riuscire a decifrare le righe sfuocate. Questi sono lettori che non si recuperano più, si daranno ad altro; e pensare che sarebbe stato sufficiente mettere a disposizione nelle librerie degli occhiali da presbiti in diverse gradazioni, da prendere all’ingresso e restituire all’uscita.

Ma in merito a questi tre milioni di lettori persi per strada vorrei proporre un’ulteriore ipotesi. Tutti sanno che la percentuale di dislessici nella scuola italiana è in netto aumento ormai da anni. Non c’è davvero nessuna correlazione tra questo dato e la diminuzione nel numero dei lettori? Del resto non è affatto scontato, per come la vedo io, che la dislessia sia una patologia da curare con mezzi speciali: i dislessici potrebbero essere le avanguardie di una nuova umanità incompatibile con le forme tradizionali di trasmissione del sapere, non tanto culturalmente, ma biologicamente. Forzarli a leggere potrebbe essere considerato, tra non molto, un crimine contro l’umanità. Se fossi un insegnante, o un promotore assiduo della lettura, ci penserei.

Questo articolo è apparso per la prima volta su Pagina99 il 22 marzo 2014.