12 Profondità e superficialità non bastano più

Verso percorsi di conoscenza reticolari

Mario Tedeschini-Lalli

Ho appena finito di leggere la bella intervista di Vittorio Zambardino al regista Paolo Sorrentino sul numero di Wired ora in edicola. I pezzi di giornalismo belli sono quelli che mettono in moto il cervello e qui ce n’è da stancarsi di moto cerebrale. Per quel che mi riguarda, mi affascina la spiegazione della “antipatia” di Sorrentino per la rete. Il cuore di tutto è in questa frase:

Ogni qual volta ho provato ad approfondire un’idea su internet sono finito in un labirinto, mi sono perso.

Il regista ha ragione, ha sommamente ragione. In 19 parole ha perfettamente definito il vertiginoso abisso che separa la cultura – diciamo – analogica dalla cultura digitale. Un abisso che spaventa molti e che è disonesto e dannoso disconoscere. Il fatto è che il digitale e la cultura che esso esprime ci hanno fatto entrare in un universo diverso dove vigono regole diverse, la prima delle quali ci dice che Spazio e Tempo – come in Fisica – collassano, si confondono, si relativizzano e vanno continuamente rinegoziati. Sostanzialmente le dimensioni nelle quali viviamo non sono più solo le quattro dell’uomo analogico (le tre spaziali più il tempo), l’universo digitale è un universo pluridimensionale.

Le parole chiave della frase di Sorrentino sono “approfondire” e “labirinto”.

“Approfondire”. Finchè viviamo nel mondo analogico è ancora possibile usare immagini e metafore analogiche e così è ancora normale usare “profondità” e “superficialità” come se fossero concetti scontatti. In realtà sono immagini che suppongono un mondo tridimensionale, di silos, di depositi di informazioni e cultura distinti e profondi. Il mondo digitale è invece perfettamente descritto dalla rete (e quindi Internet ne è non solo strumento, ma anche metafora). In rete, come nello Spazio, non c’è un sopra e un sotto, un prima e un dopo. Come scrivemmo qualche anno fa in occasione del dibattito su “I Barbari” (Caro Baricco anche la “superficie” non c’è più, il senso è multidimensionale):

In questo universo dove non è più possibile individuare con certezza un sopra e un sotto, un prima e un dopo, il “senso” – quando ci si riesce – si costruisce seguendo percorsi non più solo lineari (fossero dall’alto verso il basso della “profondità” o dal centro verso la periferia della “superfice”), ma percorsi, appunto, reticolari non necessariamente predefiniti.

“Labirinto”. Ciò che il regista napoletano indica con questa parola è per l’appunto un percorso reticolare, dove non ci sono necessariamente un inizio e una fine preordinati. Un percorso conoscitivo che ci porta di nodo in nodo, non per forza “sempre più a fondo”. E’ evidente che che nel “labirinto” ci si possa perdere. Cioè ci si perde se si pensa che il labirinto sia una costruzione contenuta all’interno di un mondo di tranquillizzanti percorsi che portano da qui a lì, un edificio in fondo fine a se stesso dal quale se anche vi si entra è opportuno prima o poi uscire. Nel caso del digitale, però, non è così, quel labirinto – cioè l’insieme degli N percorsi possibili attraverso sfruttando i collegamenti tra i diversi noi – è in realtà l’intero universo nel quale viviamo. Non un nuovo pianeta del sistema solare, ma il contesto di galassie e buchi nero nel quale il sistema solare è inserito.

Se guardiamo bene, la dicotomia profondità-superficialità è in realtà una immagine della dicotomia complessità-elementarità. Sintetizzavamo nel Capitolo 5:

L’universo digitale è reticolare e i processi conoscitivi si muovono di nodo in nodo, dove ogni nodo è copresente. Anche in rete ci possono essere letture facili, brevi, povere,  insieme a letture complesse, lunghe, ricche, le prime presumibilmente conduttrici di conoscenze sommarie, le seconde di conoscenze estese.

Tutto questo non vuol dire che non sia facile “perdersi” nell’universo digitale, tanto più che la nostra natura di uomini e donne è sostanzialmente tridimensionale. Ma come sanno tutti i poveri “superficiali” di questo mondo (ah, se lo sanno!) è facilissimo perdersi anche nel mondo analogico. Solo che – si scopre ora – molte di quelle “distrazioni” erano solo percorsi complessi in dimensioni non avvertite.

Questo articolo è apparso per la prima volta sul Blog Giornalismo d’altri su Kataweb.it il 4 febbraio 2014.