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Universo Digitale e Io Digitale

Fiorenzo Pilla

Cos’è l’universo digitale

Immaginate di essere a cena con amici, un’occasione piacevole e informale.

Mentre chiacchierate gradevolmente con i commensali, scattate una foto della splendida pietanza che avete ordinato per condividerla su Instagram, rispondete a qualche messaggio arrivato tramite
Whatsapp e aggiornate lo stato di Facebook per rendere partecipi i vostri amici di un momento allegro e spensierato.

Ebbene, attraverso ciascuna di queste azioni avrete reso più vivo e consistente l’universo digitale.

Per universo digitale si intende il complesso dei dati prodotti, scambiati e immagazzinati in forma digitale.

Questo insieme, in maniera non dissimile rispetto a quanto accade nell’universo fisico, è formato da un numero incalcolabile di fondamenti atomici, raggruppati in costrutti più complessi, e comprende elementi eterogenei al punto da rendere difficile l’immaginarli come parte di un unico contesto.

Si va dalle foto che i nostri smartphone caricano in automatico nel Cloud1 ai “celeb selfie”2 diffusi via Twitter, dal miliardo di ore di show televisivi e film che Netflix distribuisce ai propri abbonati ogni mese agli aggiornamenti degli oltre 1,36 miliardi di utenti Facebook sparsi ovunque nel mondo.

Ma a differenza dell’universo fisico, l’universo digitale è stato ed è definito da un costrutto artificiale: il software.3 Se questa differenza, da un lato, ne limita parzialmente la natura, da un altro lo libera da vincoli fisici rendendolo un contesto aperto e in continua evoluzione, evoluzione di cui non siamo meri spettatori, ma protagonisti e artefici.

Al di là delle definizioni tecniche, l’universo digitale rimane, infatti, lo spazio in cui ci muoviamo ogni volta in cui scambiamo informazioni, intessiamo le nostre relazioni virtuali o lavoriamo utilizzando sistemi interconnessi.

Seduti davanti a un Personal Computer, o grazie a pochi, semplici, tocchi sugli schermi dei nostri smartphone, possiamo compiere delle vere e proprie “azioni virtuali” che, nella maggior parte dei casi, riflettono i propri effetti all’interno del mondo fisico.

Anzi, se ci soffermiamo ad analizzare queste azioni, scopriamo come si integrino nel contesto fisico anche grazie ai “movimenti” materiali cui, nell’universo digitale, queste azioni corrispondono.

Pensiamo solo alla rapidità e semplicità con cui la maggior parte degli utenti è passata dall’utilizzo del mouse all’azione tramite touch screen.

Nella maggior parte dei casi, quando operiamo su dispositivi dotati di uno schermo sensibile al tatto, il movimento non assume esclusivamente una funzione di posizionamento o di selezione, ma viene eseguito per “compiere un’azione”: cancellare un’email, archiviare un contenuto…utilizzare una fionda gigante per lanciare un uccellino e abbattere costruzioni abitate da maialini verdi4

Ci sono sin anche casi in cui il movimento simula un’azione fisica per replicare un effetto simile all’interno del mondo reale.

È il caso, ad esempio, di Snapchat, popolare sistema di “messaggistica usa e getta” che analizzeremo approfonditamente nei successivi capitoli, e che, nel novembre 2014, ha lanciato un servizio per il trasferimento virtuale di denaro tra utenti5.

Il trasferimento può essere eseguito in due modalità differenti: la prima prevede semplicemente di inviare al destinatario un messaggio che contenga un importo preceduto dal simbolo del dollaro, la seconda consiste nel “lanciare” la somma al destinatario, facendo scivolare il dito sulla immagine di una banconota che appare sullo schermo.

La seconda delle due modalità rappresenta un chiaro esempio del livello di integrazione che quotidianamente contribuiamo a generare tra il mondo fisico e l’universo digitale, oltre a dare un’idea delle connotazioni spaziali che siamo abituati ad attribuire a quest’ultimo.

E se oggi il “muoversi” all’interno spazio digitale, per quanto elevato possa essere il livello di immersione, rimane ancorato a una dimensione astratta, in un futuro molto prossimo potrebbe non essere più così.

Reale o artificiale? L’integrazione tra digitale e fisico negli scenari di “Realtà Virtuale” e “Realtà Aumentata”

Nel 1984 lo scrittore statunitense William Gibson, con il romanzo “Neuromante”, immaginava uno spazio digitale in cui fosse possibile immergersi con tutti i cinque sensi: la “Matrice”.

Lo scenario disegnato da Gibson forniva ai personaggi la possibilità di integrarsi in prima persona con il mondo virtuale, non solo attraverso la percezione di una realtà etero-vissuta6, ma anche attraverso la manipolazione fisica delle informazioni e delle interfacce software, rappresentate come elementi tangibili.

“Neuromante” è solo una delle innumerevoli opere letterarie e cinematografiche che hanno descritto un universo digitale con il quale fosse possibile interagire in maniera totale e completa, al punto da annullare ogni percezione di differenza con la realtà. Da “Matrix” a “Il tagliaerba”, da “Il tredicesimo piano” a “Player One”7 il tema è stato trattato e analizzato da infinite angolazioni.

Oggi, la tecnologia sta compiendo enormi progressi verso il concetto di “immersività totale” richiamato in queste opere e, se è vero che siamo ancora lontani dal concetto di “interfacciamento neurale”8, è altrettanto vero che sono già in commercio device che garantiscono un livello di coinvolgimento inimmaginabile anche solo pochi anni fa.

Se a molti giovani (e meno giovani) appassionati di video games nomi come “Oculus Rift” o “Samsung VR”9 suoneranno familiari, probabilmente molto meno lo saranno per le generazioni più adulte.

Si tratta di dispositivi, generalmente dotati di visori, strumenti audio e di controllo, nati con lo scopo specifico di garantire un’esperienza di Realtà Virtuale totale e immissiva, permettendo al fruitore di estraniare vista e udito dalla realtà fisica per dedicarne le capacità percettive esclusivamente al mondo ricreato artificialmente.

Certo, finché tatto e olfatto non saranno coinvolti appieno in questa simulazione, l’esperienza fittizia non potrà definirsi completa, tuttavia è necessario considerare che la ricerca finalizzata alla immedesimazione totale partorisce a ciclo continuo strumenti in grado riprodurre sensazioni fisiche corrispondenti a quanto accade nella simulazione come, ad esempio, piattaforme a scorrimento multidirezionale sulle quali è possibile correre liberamente in tutte le direzioni senza mai spostarsi fisicamente dal luogo in cui sono installate.

Questi device non sono certo paragonabili alle tute sensoriali cui la fantascienza ci ha abituato, ma provate a immaginare la simulazione di una battaglia in cui vista e udito siano rapiti da uno scenario digitale iperrealistico e in cui, allo stesso tempo, la libertà di movimento sia pressoché totale.

Senza la necessità di sensazioni tattili di ritorno, dal momento che si imbraccia un’arma che funge da controller, non sarebbe così semplice mantenere chiara, in ogni momento, la coscienza che si sta vivendo un’esperienza fittizia10.

Fin qui ci siamo limitati a considerare le ipotesi in cui il mondo fisico e quello digitale siano separati.

Esiste, tuttavia, un altro versante, quello in cui reale e fittizio si fondono grazie all’integrazione di elementi digitali nel mondo che ci circonda: la “Realtà aumentata”.

Si parla di Realtà aumentata quando si percepisce una versione della realtà “migliorata” grazie all’integrazione di elementi digitali.

Il risultato è ottenuto sovrapponendo gli oggetti virtuali a un’immagine che viene visualizzata attraverso un dispositivo: un visore, una fotocamera o uno smartphone.

La realtà aumentata permette di disegnare scenari praticamente infiniti e, per alcuni versi, inquietanti.

Potremmo indossare un visore e rinunciare a tutti i dispositivi multimediali che oggi utilizziamo.

I televisori non sarebbero più necessari perché avremmo l’opportunità di crearne versioni virtuali ovunque ci aggradi. Né avremmo bisogno di smartphone dal momento che il visore sarebbe sufficiente per comunicare con chiunque e, sempre attraverso il visore, riceveremmo messaggi di testo e notifiche email.

Pensate inoltre a come sarebbe semplice eseguire lavori manuali di riparazione se il visore ci mostrasse le diverse fasi del lavoro da compiere proiettandole direttamente sull’oggetto da riparare…

Bastano questi pochi esempi per comprendere come l’unico limite sia la fantasia.

Si tratterebbe, o si tratterà, di strumenti che integrano la nostra percezione del quotidiano, studiati non solo per aiutarci ma anche per conoscere i nostri gusti, le nostre abitudini, tutte le informazioni che ci riguardano.

E che saremo disposti a rivelargli.

1 Il termine “Cloud” è entrato, ormai, nel lessico comune, tuttavia non sempre è chiaro cosa si celi dietro questo termine che, per immagine e assonanza, fa pensare a una nuvola opaca e indefinita sospesa in un contesto etereo.

Molti di noi identificano il “Cloud” con quella porzione di internet in cui è possibile caricare e conservare i propri file e i propri ricordi in forma digitali grazie a servizi di conservazione dei dati come Dropbox, Google Drive, One Drive e molti altri.

In realtà il nome “Cloud” può riferirsi a qualsiasi rete.

Un “Cloud” può essere una rete geografica (WAN), come ad esempio l’Internet pubblico, o una rete privata, nazionale o globale.

Il termine può anche riferirsi a una rete locale (LAN) posta all’interno di un’organizzazione, considerato che per decenni i diagrammi di rete hanno utilizzato un simbolo di una nuvola per rappresentare l’intera infrastruttura di una rete.

Oggi questa idea si è evoluta portando alla nascita di concetto che include la distribuzione dei programmi, delle azioni e delle relazioni software in internet, con nuove opportunità e diversi vantaggi per gli sviluppatori, editori di contenuti e gli utenti. Vd. “Cloud definition from PC Magazine Encyclopedia” [http://www.pcmag.com/encyclopedia/term/39847/cloud]

2 A proposito dei selfie delle celebrità, non è semplice immaginare quanto rapidamente ed esponenzialmente trovino diffusione alcuni elementi divenuti “virali”.

A tal proposito basti pensare che il Tweet con il quale l’attrice Ellen De Generes selfie ha diffuso la foto che la ritraeva insieme a numerosi protagonisti della notte degli Oscar 2014, è stato visualizzato 26 milioni di volte nell’arco di sole 12 ore. – “Ellen DeGeneres’ Oscars selfie beats Obama retweet record on Twitter” – (The Guardian – 3.3.2014) – [http://www.theguardian.com/film/2014/mar/03/ellen-degeneres-selfie-retweet-obama]

3The Digital Universe of Opportunities: Rich Data and the Increasing Value of the Internet of Things – Executive summary” – (EMC Digital Universe with Research & Analysis by IDC – aprile 2014 – [http://italy.emc.com/leadership/digital-universe/2014iview/executive-summary.htm])

4 Nella remota ipotesi in cui non sappiate a cosa si riferisca questa frase, si tratta della descrizione delle meccaniche di azione utilizzate nel videogame “Angry Birds”, una delle più celebri app per dispositivi mobili.

Pubblicato nel 2009 dallo sviluppatore Rovio Software, il gioco narra le vicende di un gruppo di uccelli “arrabbiati”, da cui il nome “Angry Birds”, in lotta contro maialini verdi colpevoli di aver rubato le loro uova. Per questo, gli uccellini si armano di fionde giganti e si lanciano contro i loro nemici per eliminarli. Il gioco ha avuto un successo planetario tale da generare un merchandising parallelo che comprende gadget, una serie tv e un film.

[Per approfondire: https://it.wikipedia.org/wiki/Angry_Birds_(serie)#Serie_animata]

5 Il servizio si chiama “Snapcash”. Se volete farvi un’idea di come funzioni il sistema senza diventare esperti di pagamenti virtuali, potete dare un’occhiata al (fin troppo) colorato spot disponibile su Youtube [https://www.youtube.com/watch?v=kBwjxBmMszQ]

6 Gibson immagina un sistema di sensori strutturati in modo da permettere di provare le medesime sensazioni di un’altra persona nel momento stesso in cui quest’ultima le vive.

7 “Player One”, dello scrittore e sceneggiatore statunitense Ernest Cline, è un piccolo scrigno delle meraviglie che chiunque sia stato un ragazzino appassionato di videogiochi durante gli anni ’80 dovrebbe concedersi il tempo di esplorare.

Il libro, come molti cugini di genere, è ambientato in un futuro distopico, ma disegna una realtà virtuale che sembra frutto delle fantasie e delle discussioni di un gruppo di adolescenti piuttosto che il regno incontrastato di mega-corporazioni da incubo.

“Player One” è un’enciclopedia sulla cultura pop degli anni ottanta, non un “classico” incentrato sulla vita digitale, ma è questo il suo principale punto di forza, evocatore di nostalgia per chiunque abbia vissuto l’epoca in cui il termine “nerd” non poteva godere dello sdoganamento che “Big Bang Theory” e una diffusa sottocultura social gli garantiscono al giorno d’oggi.

8 Su Wikipedia Italia è presente una semplice ma efficace descrizione di cosa sia un’interfaccia neurale: “Una interfaccia neurale, nota anche con il termine inglese Brain-computer interface (BCI, letteralmente ‘interfaccia cervello-computer’), è un mezzo di comunicazione diretto tra un cervello (o più in generale parti funzionali del sistema nervoso centrale) e un dispositivo esterno quale ad esempio un computer.” [http://it.wikipedia.org/wiki/Interfaccia_neurale]

9 Si tratta solo di due esempi dei numerosissimi dispositivi per la Realtà Virtuale che, all’atto della stesura di questo testo, sono commercializzati o in procinto di essere lanciati sul mercato. C’è da scommettere che, considerata la velocità di evoluzione che caratterizza questo contesto innovativo, basteranno pochi mesi per far apparire le loro tecnologie superate e obsolete. Ma, come in molti altri casi, i dispositivi passano, i principi di base restano.

10 Se ritenete che lo scenario proposto si spinga un po’ troppo “oltre” nel concetto di immersività probabilmente è perché tutti noi siamo stati abituati a considerare queste evoluzioni come elementi puramente fantascientifici. Basta però riflettere su come già oggi viviamo continue esperienze di coinvolgimento anche in contesti molto meno “coinvolgenti” dal punto di vista sensoriale.