5 IV. Gli altarini

Vi meravigliate degli altarini? Vi scandalizzate della piccola processione di donne scalze e scapigliate, che portano una immagine della Madonna e salmodiano? La superstizione del popolo napoletano – oh, povera gente che è vissuta così male e con tanta bonarietà, che muore in un modo così miserando, con tanta rassegnazione! – la superstizione di questo popolo ha fatto una dolorosa impressione a tutti. La credevate cessata la superstizione? Come potevate crederlo? Non vi rammentate più nulla, dunque? Nel colera del 1865 vi furono processioni e pubbliche preghiere; nel colera del 1867, più tremendo, più straziante, che veniva dopo la guerra, da tutte le parrocchie uscirono le immagini della Vergine e quelle dei santi protettori, le processioni s’incontravano per le strade, si mescolavano: era tutto un mistero mediovale e meridionale. Come oggi Umberto di Savoia le ha incontrate, diciassette anni fa, le ha incontrate il gran re Vittorio Emmanuele. Nella spaventosa eruzione del 1872, per tre giorni di seguito una lava ha minacciato Napoli: le popolane sono andate al Duomo per avere la testa di san Gennaro: la volevano portare in giro, per far arrestare la lava. Per un momento i nobili custodi delle reliquie e i canonici della cattedrale, non la dettero loro. Al quarto giorno non uscì il sole; una nuvola fittissima di cenere copriva Napoli, cominciava a piovere cenere, come a Pompei; le popolane, in tutti i quartieri, fecero delle processioni, piangendo, gridando in una tenebra lugubre. Nel colera del 1873, più mite certo, ma sempre vivissimo, nei quattro quartieri popolari, fu portata in processione la Madonna dell’Aiuto ai Banchi Nuovi, la Madonna di Portosalvo a Porto, il Gesù alla Colonna, della chiesa nel vicolo dell’Università. O che memoria labile abbiamo tutti!
E la vita quotidiana? Solo a guardarsi attorno, a osservare quello che accade, anche superficialmente, nessuno poteva lusingarsi che la esaltazione religiosa del popolo napoletano fosse cessata. Di questi altarini, con un paio di ceri innanzi, ve ne sono ad ogni angolo di strada, nei quartieri popolari, in certe tali feste. Li fanno i bimbi è vero: ma le madri sorvegliano, le sorelle grandi chiedono l’obolo ai passanti, un po’ ridendo, un po’ pregando. Per le feste più grandi, con lampioncini alla Ottino e festoni variopinti, il popolino si quota per un anno, e un vicolo la vuol vincere sull’altro: accadono risse, corrono coltellate per questa emulazione. Queste emulazioni sono pittoresche e fanno andare in estasi gli artisti – razza di egoisti – che se ne stanno immersi nella contemplazione del loro Buddha, che è l’arte. Ancora: quando una donna si salva da una grande infermità, per ringraziare Dio, scioglie il voto di andare cercando l’elemosina, per tutte le case del suo quartiere; sale, scende, con le gambe malferme, con la faccia scialba, ricevendo rifiuti secchi e porte battute in faccia. Non importa, bisogna sopportare, è il voto. Tutto quello che raccoglie, va alla chiesa. Quando un bimbo è malato, lo votano a san Francesco: quando risana, lo vestono da monacello, con una tonaca grossolana, col cordone, coi piedini nudi nei sandali, con la chierichetta rasa. Chi non ne ha incontrati, nei quartieri popolari?

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Del miracolo di san Gennaro, fate le alte meraviglie? Quelle vecchie abitanti del Molo che si pretendono sue discendenti, che invadono l’altare maggiore, che non lasciano accostarsi nessuno, gridano il Credo, mentre si attende il miracolo, e ogni volta che ricominciano, alzano il tono, sino all’urlo, che si dimenano come ossesse, che lo gratificano di vecchio dispettoso, vecchio impertinente, faccia verde; vi stupiscono? Vi è il piede di sant’Anna che si mette sul ventre delle partorienti, che non possono procreare il figlio; vi è l’olio che arde nella lampada, innanzi al corpo di san Giacomo della Marca, nella chiesa di Santa Maria la Nuova, che fa guarire i mali di testa; vi è il Crocifisso del Carmine che ha fatto sangue dalle piaghe; vi è il bastone di san Pietro che si venera nella chiesa sotterranea di Sant’Aspreno, primo vescovo di Napoli, ai Mercanti; vi è l’acqua benedetta di San Biagio ai Librai che guarisce il mal di gola; vi sono le panelle, pagnottine di pane benedette di San Nicola di Bari, che buttate in aria, nel temporale, scampano dalle folgori. Vi sono centinaia di ossicini, di pezzetti di velo, di pezzetti di vestito, di frammenti di legno, che sono reliquie. Ogni napoletana porta al collo o sospeso alla cintura, o ha sotto il cuscino, un sacchettino di reliquie, di preghiere stampate: questo sacchettino si attacca alle fasce del bimbo, appena nato.
Credete che al napoletano basti la Madonna del Carmine? Io ho contati duecentocinquanta appellativi alla Vergine, e non sono tutti. Quattro o cinque tengono il primato. Quando una napoletana è ammalata o corre un grave pericolo, uno dei suoi, si vota a una di queste Madonne. Dopo scioglie il voto, portandone il vestito, un abito nuovo, benedetto in chiesa, che non si deve smettere, se non quando è logoro. Per l’Addolorata il vestito è nero, coi nastri bianchi; per la Madonna del Carmine, è color pulce coi nastri bianchi; per l’Immacolata Concezione, bianco coi nastri azzurri; per la Madonna della Saletta, bianco coi nastri rosa. Quando non hanno i danari per farsi il vestito, si fanno il grembiule; quando mancano di sciogliere il voto, aspettano delle sventure in casa.
E il sacro si mescola al profano. Per aver marito, bisogna fare la novena a san Giovanni, nove sere, a mezzanotte, fuori un balcone, e pregare con certe antifone speciali. Se si ha questo coraggio, alla nona sera si vede una trave di fuoco attraversare il cielo, sopra vi danza Salomè, la ballerina maledetta: la voce che si ode, subito dopo, pronunzia il nome del marito. Anche san Pasquale è protettore delle ragazze da marito e bisogna dirgli per nove sere l’antifona: O beato san Pasquale – mandatemi un marito – bello, rosso, colorito – come voi tale e quale – o beato san Pasquale! – Anche san Pantaleone protegge le ragazze, ma in diverso modo: dà loro i numeri del lotto, perchè si facciano la dote, e si possano maritare. Nove sere bisogna pregarlo, a mezzanotte, in una stanza, stando sola, col balcone aperto e la porta aperta, e dopo gli Ave e i Pater dirgli questa antifona: san Pantaleone mio – per la vostra castità – per la mia verginità – datemi i numeri, per carità! Alla nona sera si ode un passo, è il santo che viene, si odono dei colpi, sono i numeri che dà. Alla quarta o quinta sera di questi strani riti, le ragazze sono tanto esaltate, che hanno delle allucinazioni e cadono in convulsioni. Alcune affermano di aver visto e di aver udito qualche cosa, alla nona sera: ma che mancò loro la fede e il miracolo non è riuscito.
Tutte le superstizioni sparse pel mondo, sono raccolte in Napoli e ingrandite, moltiplicate. Noi crediamo tutti quanti alla jettatura. Non parliamo dell’olio sparso, dello specchio rotto, del cucchiaio in croce col coltello, della sottana posta alla rovescia che porta sfortuna, dei soldi mercati (gobbi), dei ragni, degli scorpioni, della gallina: superstizioni vecchie, chi se ne occupa? I napoletani credono ancora alle sibille: vi è una Chiara Stella alle Cento Strade, verso il Corso Vittorio Emmanuele, vi è una siè Grazia al Vicolo Mezzocannone, famosissime; e molte altre minori. Si compensano cinquanta centesimi, due lire, cinque lire. I napoletani credono agli spiriti. Lo spirito familiare napoletano che circola in tutte le case, è il monaciello, un bimbetto vestito di bianco quando porta fortuna, vestito di rosso, quando porta sventura. Una quantità di gente mi ha affermato di averlo visto. In piena Napoli, alla salita di Santa Teresa, una bellissima palazzina non si affitta mai: per vent’anni l’ho vista chiusa, poichè è abitata dagli spiriti. Il napoletano crede agli spiriti che dànno i numeri, crede agli assistiti: gli assistiti sono una razza di gente stranissima, alcuni in buona fede, alcuni scrocconi, che mangiano poco, bevono acqua, parlano per enigmi, digiunano prima di andare a letto e hanno le visioni. Vivono alle spalle dei giuocatori: non giuocano mai. Talvolta i giuocatori delusi bastonano l’assistito, poi gli chiedono perdono. Anche i monaci hanno le visioni. Ve n’era uno famoso, a Marano presso Napoli: vi andava la gente in pellegrinaggio. Un altro giovane, era al convento di San Martino: anche famoso. Talvolta i giuocatori sequestrano il monaco, lo battono, lo torturano. Uno ne morì. Prima di spirare, pronunziò dei numeri: li giuocarono, uscirono, mezza Napoli vinse al lotto, poichè un giornale aveva riportati questi numeri.
Il popolo napoletano, specialmente le donne, crede alla stregoneria. La fattura trova apostoli ferventi: le fattucchiere, o streghe, abbondano. Una moglie vuole che suo marito, che va lontano, le resti fedele? La strega le dà una cordicella a nodi, bisogna cucirla nella fodera della giacchetta del marito. Si vuole avere l’amore di un uomo? La fattucchiera brucia una ciocca di capelli vostri, ne fa una polverina, con certi ingredienti: bisogna farla bere nel vino, all’uomo indifferente. Si vuol vincere un processo? Bisogna legare, moralmente, la lingua dell’avvocato contrario: fare quindici nodi ad una cordicella, chiamare il diavolo, uno scongiuro terribile. Si vuol far morire un amante infedele? Bisogna colmare un pignattino di erbe velenose, metterle a bollire innanzi alla sua porta, nell’ora di mezzanotte. Si vuol far morire una donna, una rivale? Bisogna conficcare in un limone fresco tanti spilli che formino un disegnino della sua persona, e attaccarvi un brano del vestito della rivale e infine buttare, questo limone, nel suo pozzo. La fattura ha uno sviluppo larghissimo; letteratura strana, talvolta ignobile, di scongiuri, e di preghiere; ha una classificazione, per le anime timide e per le anime audaci: ha una diffusione in tutti i quartieri; ha un soccorso per tutte le necessità sentimentali e brutali, per tutti i desideri gentili e cruenti.
Ecco tutto. Cioè, non è tutto. Esagerate venti volte quello che vi ho detto: forse, non sarete nel vero. Questo guazzabuglio di fede e di errore, di misticismo e di sensualità, questo culto esterno così pagano, questa idolatria, vi spaventano? Vi dolete di queste cose, degne dei selvaggi? E chi ha fatto nulla per la coscienza del popolo napoletano? Quali ammaestramenti, quali parole, quali esempi, si è pensato di dare a questa gente così espansiva, così facile a conquidere, così naturalmente entusiasta? In verità, dalla miseria profonda della sua vita reale, essa non ha avuto altro conforto che nelle illusioni della propria fantasia: e altro rifugio che in Dio.