Parte seconda

10 Capitolo 10- Il diritto al nome

10.1 Caso 10-1: tutela del nome patronimico

Invece di offrire una trattazione teorica della disciplina al nome, si evidenzieranno alcune linee evolutive della medesima disciplina affrontando due casi appartenenti a epoche diverse e distanti: il primo dell’inizio del ‘900, cioè del periodo fondativo in Italia dei diritti della personalità, e l’altro dei nostri giorni.

Il primo caso attiene alla tutela del cognome in un giudizio instaurato da un nobile e il secondo caso invece concerne una richiesta di cambiamento del prenome oramai non corrispondente, secondo il richiedente, alla propria identità sessuale. Valori e interessi che fanno da sfondo ai due casi sono radicalmente differenti. Nel primo, la difesa del cognome si traduce anche nella tutela della famiglia (nobile, appunto; oggi i titoli nobiliari non sono riconosciuti: v. la disp. trans. e fin. XIV della Cost.: «I titoli nobiliari non sono riconosciuti. I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922, valgono come parte del nome […]»). Nel secondo, si apprezza il nesso che lega oggi il nome all’individualità e all’identità personale [v. –> Capitolo 13 sul diritto all’identità personale].

Partiamo da alcuni cenni storici [Resta 2019, 347].

La storia della disciplina del nome è affascinante, perché si intreccia con i criteri identificativi della persona, con le discriminazioni di etnia, lingua, religione ecc., e con la storia politica dei luoghi in cui risiede la persona […].

Il cognome nasce solo nel Medioevo per distinguere le persone che portavano il medesimo «nome di battesimo» e nella maggior parte dei casi si riferisce al nome del padre (es. Di Giacomo …), o alla professione di famiglia (es. Ferri …), a qualche handicap portato da uno dei membri, o al soprannome dato alla famiglia […].

Leggendo la narrativa di App. Napoli, ud. 18 giugno 1906 in Foro it., 1906, I, 1397 si può formulare il caso nei seguenti termini.

Caso 10-1

Due fratelli germani acquisiscono per concessione sovrana (decreto reale) l’autorizzazione ad aggiungere un cognome (nome patronimico) identico a quello del Sig. Filangieri di Candida. Quest’ultimo agisce presso il giudice civile per impedire che i fratelli possano aggiungere il suo cognome (Filangieri) a quello loro di nascita (Rossi).

I redattori de Il Foro italiano estrassero tre massime [v. –> Capitolo 1] dalla motivazione della Corte d’Appello di Napoli.

Due delle tre massime interessano ai fini di questo capitolo.

La prima così si esprime.

L’autorità giudiziaria [ordinaria] è competente a giudicare dell’osservanza o meno delle forme stabilite dalla legge pel decreto reale che autorizza una aggiunta al cognome.

 

La seconda così recita.

L’avente diritto al nome patronimico ha azione per impedire che altri se lo appropri senza titolo legittimo.

La seconda riguarda il problema centrale che interessa in questo capitolo. Tale problema potrebbe essere formulato rovesciando la massima.

L’avente diritto al nome patronimico ha diritto ad agire davanti al giudice ordinario per impedire che altri se ne appropri senza titolo legittimo?

La soluzione della Corte di Appello di Napoli consiste nel riconoscimento della tutela del cognome. La sentenza, dunque, rappresenta un esempio di creazione giurisprudenziale di diritto al nome quale attributo del diritto di personalità. Come si è ricordato nel –> Capitolo 7 sull’evoluzione dei diritti della personalità, nei primi anni del ‘900 non esisteva in Italia alcuna disposizione legislativa nel codice civile esplicitamente riferibile ai diritti della personalità e in particolare al diritto al nome.

Scrive Giorgio Resta in proposito.

A livello di legislazione ordinaria le uniche ipotesi di protezione del nome erano quelle offerte in via mediata dal diritto penale, in particolare nelle fattispecie di truffa, falsificazione di documenti ed indicazione di false generalità a pubblico ufficiale (art. 436 c.p.) o nel caso di alterazione degli atti di stato civile (artt. 404-405 c.p.); nonché, in maniera più diretta, dalla normativa sui marchi, ove era prevista – ed assistita da multa – la «generale proibizione di usurpare il nome e la firma di una società o di un individuo» (artt. 5 e 12, l. 30-8-1868, n. 4577).
Con l’ausilio di questi indici normativi ed argomentando dai principi generali – così si legge in diverse pronunzie – le corti italiane elaborarono una serie di criteri, i quali, considerati unitariamente, deponevano per la sussistenza di un diritto privato sul nome, civile o commerciale [Resta 2019, 221-222].

Le disposizioni normative nominate esplicitamente dalla decisione partenopea del 1906 sono le seguenti:

    • il r.d. (regio decreto) 15 novembre 1865, sull’ordinamento dello stato civile, art. 119 ss.43.
    • la l. 20 marzo 1865, sul contenzioso amministrativo, art. 244.

Per giungere alla soluzione consistente nel riconoscimento del diritto al nome i giudici napoletani dovevano radicare la giurisdizione del giudice ordinario, escludendo la competenza dell’autorità amministrativa.

Il sillogismo alla base della decisione può essere reso così: posto che il giudice ordinario giudica dei diritti civili, ed essendo il diritto di personalità un diritto civile di cui il nome è un attributo, il giudice ordinario giudica del diritto personale al nome.

Il sillogismo si regge su alcuni argomenti interpretativi.

Il primo è il seguente.

La Corte ritiene che l’importanza giuridica del nome non può accertarsi senza premettere ch’esso non è qualche cosa di astratto, né può avere un significato giuridico disgiunto dalla persona che lo porta, della quale forma un attributo inseparabile [Di che tipo di argomento interpretativo (v. --> Capitolo 2 sugli argomenti interpretativi) si tratta? Naturalistico?].

In questo passo la corte sembra affermare in modo assiomatico che il nome è un attributo della persona inseparabile dalla stessa.

Il secondo argomento è immediatamente successivo.

Preso separatamente della persona, il nome civile non è un bene immateriale, capace di dominio come il prodotto dell’ingegno; ma il nome appartiene alla persona come la vita, la libertà, l’onore e, concorrendo con questi e con altri elementi a costituire la persona umana, serve anzi a contraddistinguerla nella civile comunanza […] [Di che tipo di argomento si tratta? Naturalistico? Sistematico?].

La corte differenzia il nome dai beni immateriali come i prodotti dell’ingegno (allude alle invenzioni oggetto di brevetto e alle opere artistiche e letterarie oggetto del diritto d’autore) suscettibili di dominio (ciò che oggi denominiamo proprietà intellettuale) dal nome e da altri elementi della persona come la vita, la libertà e l’onore. In altri termini, nel sistema dell’ordinamento i beni immateriali e gli elementi della persona hanno discipline differenti. La corte usa come punto di riferimento concettuale i beni immateriali, ma al fine di differenziarli dagli elementi che costituiscono la (e sono inseparabili dalla) persona umana [v. –> Capitolo 7 sull’evoluzione dei diritti della personalità].

Sul distacco del diritto della personalità dalla categoria della proprietà Giorgio Resta rileva quanto segue.

Ciò dimostra come il richiamo alla concettuologia proprietaria, frequente soprattutto nelle pronunzie più risalenti, avesse un carattere spiccatamente declamatorio, non potendo, per definizione, darsi appartenenza esclusiva di un bene giuridicamente costruito come condiviso tra più soggetti [il cognome, n.d.r.]. Anche per questa ragione, […], la teoria personalistica ebbe buon gioco nel sovrapporsi a quella proprietaria, come schema privilegiato per dare una veste concettuale alle prerogative private sul nome.
Questo, nel linguaggio dei giudici, si trasformò ben presto da «proprietà sacrosanta e inviolabile al pari, e più ancora, di qualunque altra proprietà di cose materiali» in una inconfondibile «espressione della personalità e dello stato di famiglia», e quindi oggetto di un «diritto individuale in grado eminente, che si confonde col diritto stesso della personalità umana, col diritto di ciascuno di non essere confuso con altri» [Resta 2019, 223-224].

Tuttavia, il passaggio retorico di maggior peso della sentenza della Corte di Appello di Napoli del 1906 è forse rappresentato dai seguenti due argomenti.

Epperò, se la personalità umana, o, meglio, il diritto di personalità è riconosciuto e garentito dalle nostre leggi (la qual cosa nella specie non è messa in dubbio) [argomento 1], e questo diritto è costituito, secondo la felice espressione di un giurista, dal complesso delle facoltà spettanti a colui che è persona, appunto perché tale e solo perché tale, e tra le facoltà della persona è quella d’individualizzarsi mediante il nome, non si può non riconoscere e proteggere questo, quale attributo della persona [argomento 2]. [Di che tipo di argomenti si tratta? L’argomento 1 potrebbe essere classificato come argomento naturalistico?].

La corte usa le parole diritto «riconosciuto» e «garantito» e non altre come «posto». Solitamente gli argomenti naturalistici relegano il ruolo della legge positiva al mero riconoscimento di ciò che preesiste perché deriva dalla natura. Oppure è un argomento dell’analogia juris o dei principi generali (come nella ricostruzione di Giorgio Resta)? La corte potrebbe voler alludere ai principi generali ricavabili dalle leggi e, infatti, non indica alcuna legge specifica che definisce il diritto al nome (per il semplice fatto che all’epoca non esisteva). L’argomento 2 è sicuramente autoritativo, in quanto si rifà all’autorità di un dottore, di un accademico. Come definire il diritto di personalità se la legge non lo fa? Lo si definisce con le parole prese a prestito dallo scienziato del diritto [la dottrina è un fattore del diritto: v. –> Capitolo 1 sul metodo casistico-problematico].

Nel caso specifico l’attore reclamava una tutela del nome patronimico (cognome). Qual è il fondamento o qual è la finalità della tutela del cognome (peraltro, nel caso di specie riferibile a una famiglia nobile, dato allora ancora rilevante)?

Ecco l’argomento usato dalla corte.

E poiché la famiglia costituisce il fondamento della comunanza civile, e lo stato di famiglia è la qualità che una persona ha di fronte alla società appunto per la famiglia cui appartiene, il diritto personale del nome deve essere riconosciuto e tutelato anche per riguardo all’organamento [organizzazione] della famiglia. [Di che tipo di argomento interpretativo si tratta? Teleologico?]

La finalità della tutela del nome, qui inteso come cognome, non è solo quella della protezione dell’individuo ma anche della famiglia quale fondamento della civile convivenza. Tale finalità rispecchia i valori dell’epoca e va confrontata con quanto si dirà nel Paragrafo 10.2 a proposito dell’attuale disciplina del diritto al nome.

L’ultimo argomento interpretativo è il seguente e regge il sillogismo di cui si è detto.

Se dunque vi è un diritto personale al nome, allorquando sorga controversia intorno alla legittimità o meno dell’uso di esso, deve esser competente a dirimerla il magistrato ordinario in quanto l’art. 2 l. 20 marzo 1865 sul contenzioso amministrativo sono devolute alla giurisdizione ordinaria tutte le cause nelle quali si faccia questione d’un diritto civile, senza punto distinguere se a tal diritto corrisponda un interesse economico o semplicemente morale. [Di che tipo di argomento si tratta? Sistematico?]

L’ordinamento attribuisce al giudice ordinario (e non all’autorità amministrativa) la giurisdizione sui diritti civili al di là della corrispondenza tra diritto e interesse economico (come quello che sta a ridosso della proprietà) o tra diritto e interesse morale (come quello sui cui poggia il diritto al nome).

In conclusione, di questo Paragrafo 10.1 si può sottolineare che la sentenza della Corte di Appello di Napoli del 1906 costituisce un ottimo esempio di creazione giurisprudenziale del diritto di personalità con riferimento all’attributo del nome.

10.2 Cenni all’attuale disciplina del diritto al nome

Nel –> Capitolo 7 sull’evoluzione dei diritti della personalità si è accennato al fatto che il sistema delle fonti attuali è complesso.

Un ruolo di primo piano lo giocano la Costituzione e l’interpretazione costituzionalmente conforme del codice civile e delle leggi speciali [Resta 2019, 298 ss.; Salvi 2015, 103 ss.], ma un ruolo rilevante è altresì svolto dalle carte internazionali dei diritti fondamentali come la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. L’attuale sistema delle fonti si riflette in una tutela multilivello in cui non sono solo i giudizi nazionali a decidere ma anche le corti internazionali come la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Nella nostra Costituzione del 1948 occorre tener presente oltre ai due articoli fondamentali in tema di diritti della personalità (l’art. 2 e l’art. 3), l’articolo specificamente dedicato al nome, ovvero l’art. 22.

Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome.

Sul piano del codice civile rileva l’esplicita definizione del diritto al nome e la sua tutela che si articola nelle norme generali (art. 6-9 c.c.) e una specifica disciplina, nell’ambito del diritto d’autore, del diritto di paternità (art. 2577 c.c.; art. 20 l.d.a.) [v. –> Capitolo 11 sul diritto morale d’autore].

Si riportano di seguito le disposizioni normative per comodità di lettura.

Art. 6. (Diritto al nome) c.c.

Ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito.

 

Nel nome si comprendono il prenome e il cognome.

Non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità dalla legge indicati.

Art. 7 (Tutela del diritto al nome) c.c.

La persona, alla quale si contesti il diritto all’uso del proprio nome o che possa risentire pregiudizio dall’uso che altri indebitamente ne faccia, può chiedere giudizialmente la cessazione del fatto lesivo, salvo il risarcimento dei danni.
L’autorità giudiziaria può ordinare che la sentenza sia pubblicata in uno o più giornali.

Art. 8 (Tutela del nome per ragioni familiari) c.c.

Nel caso previsto dall’articolo precedente, l’azione può essere promossa anche da chi, pur non portando il nome contestato o indebitamente usato, abbia alla tutela del nome un interesse fondato su ragioni familiari degne d’essere protette.

Art. 9 (Tutela dello pseudonimo) c.c.

Lo pseudonimo, usato da una persona in modo che abbia acquistato l’importanza del nome, può essere tutelato ai sensi dell’art. 7.

Art. 2577 (Contenuto del diritto) c.c.

L’autore ha il diritto esclusivo di pubblicare l’opera e di utilizzarla economicamente in ogni forma e modo, nei limiti e per gli effetti fissati dalla legge.
L’autore, anche dopo la cessione dei diritti previsti dal comma precedente, può rivendicare la paternità dell’opera e può opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione o altra modificazione dell’opera stessa, che possa essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione.

Art. 20, c. 1, l.d.a.

Indipendentemente dai diritti esclusivi di utilizzazione economica dell’opera, previsti nelle disposizioni della sezione precedente, ed anche dopo la cessione dei diritti stessi, l’autore conserva il diritto di rivendicare la paternità dell’opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione, ed a ogni atto a danno dell’opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione.

Come nell’ordinamento precedente al codice civile del ’42 e della Costituzione repubblicana, nella disciplina giuridica del nome si intersecano norme pubblicistiche e norme privatistiche.

In questa sede, per rimarcare alcune linee evolutive della materia, basta fare riferimento ad alcuni snodi fondamentali.

Innanzitutto, la parità tra donna e uomo si riflette nella disciplina del nome.

A seguito di Corte cost. 21 dicembre 2016, n. 286, in Foro it., 2017, I, 1 (in base alla quale «È incostituzionale, ai sensi dell›art. ٢٧ l. 11 marzo 1953 n. 87, l’art. 299, 3° comma, c.c., nella parte in cui non consente ai coniugi, in caso di adozione di maggiorenne compiuta da entrambi, di attribuire all’adottato di comune accordo, al momento dell’adozione, anche il cognome materno»), oggi l’ufficiale dello stato civile «deve accogliere la richiesta dei genitori che di comune accordo, intendano attribuire il doppio cognome, paterno e materno, al momento della nascita ovvero al momento dell’adozione» [Resta 2019, 348].

Inoltre, il cognome diventa anzitutto segno distintivo dell’individuo riconnettendosi all’identità personale [v. –> Capitolo 13 sul diritto all’identità personale], prima che di riconduzione a una famiglia [Lenti, 2003].

Si veda Corte cost. 3 febbraio 1994, n. 13, in Foro it., 1994, I, 1668.

È illegittimo, per violazione dell’art. 2 Cost., l’art. 165 r.d. 9 luglio 1939 n. 1238, nella parte in cui non prevede che, quando la rettifica degli atti dello stato civile, intervenuta per ragioni indipendenti dal soggetto cui si riferisce, comporti il cambiamento del cognome, il soggetto stesso possa ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a mantenere il cognome originariamente attribuitogli ove questo sia ormai da ritenersi autonomo segno distintivo dell’identità personale.

Si veda, inoltre, il comma 3 dell’art. 95 del d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396, regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della l. 15 maggio 1997, n. 127.

3. L’interessato può comunque richiedere il riconoscimento del diritto al mantenimento del cognome originariamente attribuitogli se questo costituisce ormai autonomo segno distintivo della sua identità personale.

Ma forse la sfida più evidente alle regole tradizionali arriva dal nesso tra nome e identità sessuale.

Così scrive in proposito Cesare Salvi [Salvi 2015, 123].

Prende piede un’innovazione più radicale: si diffonde l’idea di un diritto all’identità sessuale fondato sull’autodeterminazione sessuale.
[…] Indipendentemente dalle caratteristiche fisiche sia originarie sia eventualmente modificate chirurgicamente.

10.3 Casi 10-2, 10-3: cambio di nome e identità sessuale; nome di Comune e festival enologico

Nel –> Paragrafo 10.2 si sono fornite alcune coordinate fondamentali per inquadrare i seguenti casi.

Caso 10-2

Una persona che presenta caratteri sessuali maschili, registrata all’anagrafe con nome maschile, chiede il cambio di nome finalizzato all’attribuzione di un nome femminile. L’autorità amministrativa nega il cambio di nome sostenendo che, per il cambio di nome, occorre prima procedere a un intervento chirurgico per il cambiamento dei caratteri sessuali.

La persona agisce in giudizio per tutelare le proprie ragioni.

Qual è il problema?

Qual è la soluzione del problema?

Argomentare la soluzione esplicitando la tipologia di argomenti addotti.

Domande. Serie 10-1

Nel caso 10-2 la tipologia di intervento (chirurgico) richiesta come presupposto per il cambiamento dei caratteri sessuali costituisce un elemento fattuale rilevante?

La differenza tra caratteri sessuali primari e secondari è rilevante?

La soluzione al problema cambia se l’intervento richiesto come presupposto è un intervento di tipo chimico-biologico (ad es., assunzione di ormoni) e non chirurgico?

Quali sono i diritti e gli interessi che occorre bilanciare nel caso 10-2?

Qual è il nesso che esiste tra diritto al nome e [v. –> Capitolo 13] e diritto all’identità personale?

Caso 10-3

Nel comune di Barior viene organizzato un festival enologico con il nome TrentorVino e allo scopo viene predisposto un apposito sito Internet con nome di dominio trentorvino.it.

Il limitrofo comune di Trentor agisce davanti al giudice ordinario contro il comune di Barior sostenendo che il festival non si svolge sul proprio territorio e che, per questo motivo, l’uso del nome Trentor nella denominazione del festival e sul sito web è abusivo.

Qual è il problema?

Qual è la soluzione del problema?

Argomentare la soluzione esplicitando la tipologia di argomenti addotti.


43 R.d. 15. Novembre 1865 sull’ordinamento dello stato civile. Art. 119. Chiunque voglia cambiare il nome o cognome od aggiungere un altro nome o cognome deve farne domanda al Re per mezzo del Ministero di grazia e giustizia, esponendo le ragioni della domanda, ed unendo l’atto di nascita e gli altri documenti che la giustificano.
44 Legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, Legge sul contenzioso amministrativo (Allegato E) (Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 27 aprile 1865, n. 101).
Art. 1: «1. Tribunali speciali attualmente investiti della giurisdizione del contenzioso amministrativo, tanto in materia civile, quanto in materia penale, sono aboliti e le controversie ad essi attribuite dalle diverse leggi in vigore saranno d’ora in poi devolute alla giurisdizione ordinaria, od all’autorità amministrativa, secondo le norme dichiarate dalla presente legge».
Art. 2: «1. Sono devolute alla giurisdizione ordinaria tutte le cause per contravvenzioni e tutte le materie nelle quali si faccia questione d’un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione, e ancorché siano emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell’autorità amministrativa».