Dissidio.

– Dunque, mi amate? – ella domandò.
– Io vi amo. E voi? – egli chiese.
– Anche io vi amo.
Ma perchè non erano felici, dopo quella confessione? Perchè quella permanente nube di tristezza in entrambi?
– Avete molto tardato a dirmelo – ella soggiunse.
– Moltissimo. Anche voi, del resto.
– Anche io – ella replicò. – Perchè tardaste tanto?
– Perchè non ero perfettamente certo di amarvi: e non volevo ingannare nè me, nè voi.
– Dubitavate? Non vi piacevo, io, forse? – ella disse.
– Mi piacevate e mi piacete immensamente. I vostri occhi così vivaci e tanto spesso pieni di malinconia, la vostra bocca sempre così fresca e dove il sorriso assume tante forme novelle e bizzarre, mi attirano irresistibilmente: io adoro le vostre perfette mani e quando immagino che esse possano passare sui miei capelli, con una lenta carezza, fremo di un lungo brivido: tutta la vostra persona esercita su me il fascino, che non si vince, dei corpi giovani e belli, fatti per l’amore…
– Ebbene?
– Ebbene, tutto ciò, talvolta, non esiste più. Vengono giorni, vengono periodi, in cui non mi piacete punto. Nè lo sguardo vostro, nè il vostro riso arrivano sino a me; mi sembrano pallidi, smorti, o, forse, io non li sento, sono diventato sordo e cieco alla loro espressione. La vostra persona mi pare quella di un manichino e non la bella forma di una creatura umana. In questi periodi, io potrei stare vicino a voi, voi sola con me, lontani ambedue da ogni rumore, da ogni fastidio, in quella compagnia, infine, che ogni amante ardentemente desidera e io non vi prenderei una mano per baciarla, non vi direi una parola d’amore…
– È strano… è strano… – ella mormorò.
– Vi è di peggio. Debbo io dire anche il peggio? Non vi offendete, voi?
– Non mi offendo. Dite.
– Càpitano dei periodi anche peggiori. Sono quelli in cui tutto in voi mi dispiace. Dopo la indifferenza, un senso di disgusto, d’irritazione tutta fisica. I vostri occhi mi sembrano sfrontati, perversi, sempre duri, come se giammai vena di dolcezza li possa attraversare; la vostra bocca ha qualche cosa di odioso, di sovranamente antipatico, nel parlare, nel sorridere; ogni vostro movimento mi sembra volubile o goffo; e tutta voi, per me, mancate di armonia, siete una dissonanza, urtate i miei nervi e vi debbo fuggire, se non voglio essere maleducato, villano con voi.
– Così?
– Così.
– E poi?
– Poi, non so come, giacchè la transizione mi sfugge, viene il giorno, viene l’ora in cui voi, a un tratto, mi riapparite in tutta la vostra seduzione. Sarà, forse, un vestito che vi va bene; un significato più tenero degli occhi; qualche cosa di più mite nel sorriso; una posa più stanca, più abbandonata del vostro bel corpo; un tocco fuggevole della vostra cara mano nella mia… non so! Allora l’antica incantatrice mi prende, mi riprendo ed io sono suo.
– Solo per questo non eravate certo di amarmi?
– Anche per altre ragioni.
– Vi ascolto.
– Non vi rattristeranno, esse?
– Sì: ma non importa.
– L’istesso fenomeno del mondo fisico, fra me e voi, si è sempre riprodotto nel mondo morale. Vi ho ammirata sempre, lo sapete, perchè il vostro carattere ha qualche cosa di assolutamente personale, perchè sotto il vivido sfavillare dello spirito, ho ritrovato un senso equo della vita, perchè a traverso gli erramenti naturali del cuore, il vostro onore mi è parso buono e perchè in mezzo a tutte le inevitabili influenze di corruzione, avete tanta ingenuità infantile. Ciò è così nuovo in una donna moderna ed è così inaspettato, in voi, che sono stato e sono innamorato della vostra anima…
– Ma non sempre innamorato?
– Non sempre! Ciò che voi dite, in certi momenti, mi pare senza colore e senza sapore, come il cinguettìo di un uccellino senza cervello e io mi domando, se dietro la vostra bianca fronte, havvi veramente un pensiero. Mi sembra che il vostro spirito sia quello comune a qualunque altra donna, senza intelligenza: e che la vostra bontà sia quella debolezza naturale del cuore muliebre, quella volgare impotenza a odiare, a fare il male, che si scambia tante volte, fallacemente, con la bontà. La vostra sentimentalità mi pare insipida e la vostra ingenuità mi fa l’effetto di una puerilità scema…
– Triste!
– Non basta. Dopo ciò arriva, costantemente il periodo della irritazione morale. Allora, sì, allora non solo dubito di amarvi, ma sento che mi diventate così odiosa, che tutto il mio cuore si solleva, si ribella contro di voi. Vi ritengo per una donna completamente falsa, in ogni vostra manifestazione. Fredda, se avete l’aria appassionata; ipocrita, se avete l’aspetto sentimentale; maligna, se scherzate; sleale, se vi abbandonate a delle confidenze; e sovra tutto bugiarda, bugiarda nelle prove di bontà, bugiarda nelle espressioni di equità, bugiarda nella ingenuità, bugiarda nella tenerezza, incapace, incapace di una verità, mai!
– E poi? E poi?
– Improvvisamente il suono della vostra voce, dicente una parola; una lettera scritta da voi ad altri e che io leggo per caso; l’aver conosciuto lo scopo di una vostra passeggiata, di una vostra, visita; il velo delle lacrime nei vostri begli occhi; la morte del sorriso sulle vostre labbra; una impressione simile, un fatto vago e fuggevole, mi ridanno, intiera, tutta la malìa che la vostra anima esercita su me…
– Ma, allora, in tanta incertezza, come siete giunto a credere che mi amate?
– Sentite. Voi sapete che io ho un carattere sentimentale e un temperamento amoroso. L’amore, così, è stato il grande affare della mia vita. Io ho amato varie volte e con entusiasmo, con profondità. Le donne che ebbero tutto me stesso, mi meritavano, non mi meritavano, erano, sovra tutto, degne di tanto amore, io non lo so! So che mi detti ad esse e all’amore, con trasporto. Ebbene, a traverso a questa dedizione della mia persona, dei miei pensieri, dei miei sentimenti, io ho scorto, in un cantuccio del mio spirito, un pensiero solitario, talvolta latente, ma costante: il pensiero di voi. Non già che vi amassi, mentre ne amavo un’altra. No. Ma mi occupavo di voi, ma vi seguivo in tutte le evoluzioni della vostra vita, ma nulla di quello che facevate voi, mi era indifferente. Andando a un convegno d’amore, desideratissimo, se v’incontravo, mi distraevo subito, non per molto, ma mi distraevo: tornando da un convegno d’amore, tranquillo, felice e stanco, se vi rivedevo, per la via, tutto il mio essere aveva una vibrazione. Quando mai mi siete escita di mente? Una curiosità costante di voi, dei vostri fatti, della vostra esistenza ha accompagnato tutti i miei ardori per altre donne, io ho delirato di amore e di dolore, ma non sono mai stato infedele a questo pensiero, a questa curiosità. E se il criterio dell’amore è un abbandono assoluto, incondizionato, se bisogna donarsi tutto, se il lasciare anche una piccola parte di se stesso, è una infedeltà, io ho tradito tutte le donne che ho amate, per voi.
– Per questo soltanto, avete avuto la certezza che mi amavate?
– Non soltanto! Il vostro cuore ha avuto le sue ore di passione, non è vero?
– Sì – ella disse.
– Ne ha avute anche di aberrazione?
-… Sì.
– Quanto ho sofferto, sempre, in queste ore, che gelosia continua, profonda, sanguinante, ho avuto di voi e della persona che amavate! Che tormento lungo e sottile, ad ogni nuovo sospetto, a ogni nuova induzione! Che spasimo segreto, non tanto segreto, però, che non ve ne accorgeste, voi! Dite, ve ne siete accorta?
– Sempre. Ogni volta che ero prossima ad amare qualcuno, l’idea che voi ne avreste sofferto, mi ha turbato molto: qualche volta, vedete, ho rinunciato, perchè sentivo tutta la vostra gelosia.
– Atroce! V’intendevo, io, quando stavate per commettere un altro errore e venivo da voi, e vi parlavo, vi rammentate, vi maltrattavo, talvolta! Ciò vi fermava, lo so. Ma quella volta, quella volta fatale, nulla vi arrestò, nulla poteva arrestarvi ed io che vi amava, forse, dovetti assistere alla vostra caduta. Che orribile cosa, che notti ho trascorse, con questo cruccio nell’anima, vedendovi avvilita, perduta, disonorata, non solo agli occhi del pubblico, che non sarebbe di prima importanza, ma agli occhi miei, agli occhi vostri! Questo, è amore.

*
* *

– Voi, dunque, mi amate? – ella domandò ancora.
– Sì. E voi?
– Vi amo.
– Da molto tempo, è vero? – egli chiese.
– Da moltissimo tempo.
– Perchè non me lo avete mai detto?
– Perchè voi siete voi e non un altro.
– Come?
– Ho avuto paura di voi.
– Paura?
– Sì: ho temuto assai di non rendervi felice nell’amore, di non esser felice con voi.
– Triste, triste – egli disse, a sua volta.
– Triste! – ripetette ella, come un’eco – Dal giorno che vi ho conosciuto, sono stata attratta verso voi, continuamente e continuamente respinta, come innanzi a un pericolo sconosciuto. Ho intravveduto sempre, con un senso d’infinita dolcezza, l’idea di appartenervi, l’idea di avervi mio, per tutta la vita, prima come amante, poi, quando la ragione dell’età fosse sopravvenuta, come la migliore vostra amica, come il migliore fra i vostri amici, come l’unico amico. Qual sogno!
– Ebbene?
– Ebbene, ogni volta che la realtà mi pareva si avvicinasse a me, a noi, sempre che questa visione prendeva forma, cominciava a prender forma, un invincibile terrore mi ha impedito di continuare.
– Ma perchè?
– Ve l’ho detto: sospettavo, temevo una reciproca inguaribile infelicità. Troppo diversi fra noi e troppo eguali in alcuni momenti: troppo esigente, io, e certo, troppo esigente, voi; ambedue, spesso, ribelli alle esigenze: innamorati e intanto diffidenti, disdegnosi, chi sa, forse disprezzanti l’uno dell’altro; gelosi e infidi; con un mondo spirituale ora complicato e spaventoso, ora semplice e tormentoso; capaci di ogni sacrificio, ma capaci anche di rinfacciarlo brutalmente e crudelmente; con un passato tumultuoso, ambedue, tumultuoso e risorgente, ahimè, a ogni crisi amorosa; con un dubbio avvenire, senza fede, sovra tutto, senza fede nè in noi, nè nell’amore…
– Questo, formava il vostro sgomento? – gridò, lui.
– Sì – disse lei, piano.
Un minuto di silenzio.
– E come avete vinto questa paura? – egli chiese, rompendo il silenzio.
– Come voi avete vinto il vostro dubbio.
– Cioè?
– Pensando che, infine, vi è una fatalità che lega segretamente le persone che si debbono amare, che si debbono appartenere; e che dopo aver lungamente combattuto, invano, questa fatalità, era ben dolce lasciarvisi andare, senza resistenza, senza forza, oramai, più. Sentendo che vale la pena di rischiare tutte le infelicità, tutti i dolori per un poco di amore, con quella tale persona, tanto desiderata, tanto invocata; sentendo che non si deve morire, senz’aver gustato a quel tale amore che si è troppo sognato e troppo respinto.
– È vero, è vero – egli disse.
– Non avete voi superato il vostro profondo e insistente dubbio, sul vostro amore, proprio per questo?
– Sì.
– Così ho superata la mia paura – confermò lei.

*
* *

Ma le parole sincere che essi avevano pronunziate, stavano fra loro, nell’aria, intorno a loro nelle loro menti, nei loro cuori: quello che non si erano mai detto, ora lo sapevano. E altre parole più intime, più cocenti, anche più sincere, le più sincere fra tutte, quelle che stanno chiuse nell’intimo del cuore, che sono la verità istessa dell’anima, il grido ultimo, essi intravedevano, in una rivelazione indistinta, ma dolorosa. E il silenzio fra loro si fece tragico; e si fece tragicamente lungo, ognuno di essi assorbito dal proprio pensiero, da una agitazione muta ed estrema. Forse in quell’assorbimento, ognuno si pentiva di aver parlato, ognuno s’incolpava di aver dichiarato il segreto del proprio spirito, tristemente e inanemente; ma le parole erano state dette, avevano vibrato nella voce, avevano ondeggiato nell’aria, ognuno le aveva udito palpitare nel proprio cervello. Impossibile tornare indietro. Ella fu, che interruppe, per la prima, il silenzio: e la sua voce la scosse, come mai udita; ed egli fu scosso da quella voce, come inaspettata.
– Voi, mi amate? – ella domandò.
Egli non rispose: pensava.
– Mi amaste? mi amate? – richiese, ella, subito.
– Non so – egli disse.
– Non potete saperlo?
– Non posso.
– Non potete esser più forte del vostro dubbio?
– No. E voi, mi amate?
– Forse – ella disse, – ma non debbo amarvi.
– Non osate?
– Non oso.
Ancora, il silenzio.
– Addio, dunque, Massimo.
– Addio, Maria.