7 Lettere 181 – 210

181.

23 febbraio 1931

Carissima Tatiana,

non so in che tono hai scritto alla Libreria per informare (secondo la mia avvertenza di 15 giorni fa) che fino a quel giorno non avevo ancora ricevuto le riviste; spero però che non avrai scritto in tono irritato e sdegnato, come apparirebbe da una tua cartolina. A me pare che il servizio non sia fatto male, anche se di tanto in tanto succede qualche incidente e che non sia il caso di pensar male dei tedeschi, che poi non c’entrano nulla, perché il direttore della Libreria è un italiano e i proprietari sono svizzeri italianizzati. Tu forse non sai che in un certo periodo della storia culturale italiana, il commercio librario è stato un quasi monopolio di intraprenditori svizzeri, che hanno reso grandi servizi specialmente a Milano e a Torino: esempio classico è il vecchissimo Hoepli che ha volgarizzato le scienze e le arti coi suoi diffusissimi manuali. – Pochi giorni dopo averti scritto l’accenno, ho ricevuto tutto l’arretrato puntualmente; ti sarei grato perciò se volessi ancora scrivere al direttore della Libreria per avvertirlo e ringraziarlo, e fargli magari dimenticare qualche tua espressione vivace precedente. Puoi tutt’al piú ricordargli che io sono in carcere e che pertanto tutte le pubblicazioni che mi giungono, prima di essermi consegnate, devono essere controllate, timbrate e firmate dal Direttore della Casa di Pena; sarebbe perciò desiderabile che non giungessero insieme decine e decine di pezzi per non costringere a una soverchia perdita di pazienza. Mi pare che proprio due anni fa giunsero in una volta 78 pezzi, ciò che domandò 78 timbrate e 78 firme, un vero tour de force, come vedi. Siccome ho visto che sono già uscite le Prospettive Economiche del prof. Giorgio Mortara, vorrei che ricordassi che mi siano spedite; cosí desidererei avere anche la novità del senatore Benedetto Croce Etica e Politica, pubblicata dal Laterza di Bari, e il «Calendario Atlante De Agostini per il 1931». – Ho ricevuto a suo tempo la Vita di Dante del prof. Umberto Cosmo che Piero riteneva dovesse interessarmi. Devo dire che ne ho tratto meno soddisfazione di quanto credessi, per varie ragioni, ma specialmente perché ho avuto l’impressione che la personalità scientifica e morale del Cosmo abbia subito un certo processo di sfacimento. Deve essere diventato terribilmente religioso nel senso positivo della parola, cioè deve aver subito (certo in modo sincero e non snobistico e carrieristico) la crisi che si verifica, pare, in molti intellettuali universitari dopo la creazione dell’Università del Sacro Cuore, crisi che raddoppierebbe e triplicherebbe se venissero aperte altre Università cattoliche, con molte altre cattedre per i neo-convertiti dall’idealismo crociano e gentiliano. La prima volta che ti capita, domanda a Piero informazioni. Io ricordo ancora, in primo anno di Università, una accanita discussione tra il Cosmo, che sostituiva Arturo Graf nell’insegnamento della Letteratura Italiana, e uno studente del Canton Ticino, Pietro Gerosa, fanatico rosminiano e agostiniano a proposito del giudizio dato dal De Sanctis su Cesare Cantú. Il Gerosa era incrollabile nel sostenere che il giudizio negativo del De Sanctis era dovuto a settarismo politico e religioso, perché il Cantú era cattolicissimo e repubblicano-federalista (neoguelfo) mentre il De Sanctis era hegeliano e monarchico-unitario (è vero però che il Cantú fu nominato senatore del Regno, ciò che dimostra che il suo repubblicanismo federalista era per lo meno superficiale) – e il povero prof. Cosmo invano cercò di persuaderlo che il De Sanctis era uno scienziato imparziale e oggettivo. Per il Gerosa, che aveva tempra da inquisitore, anche il Cosmo era un diabolico hegeliano, intinto della stessa pece infernale del De Sanctis e non esitava a sostenerlo apertamente con ampie citazioni del Rosmini e di S. Agostino. Un anno fa circa ho visto che il Cosmo e il Gerosa hanno compilato insieme una antologia di scrittori latini cristiani dei primi secoli, ciò che mi ha fatto ritenere che Hegel abbia capitolato dinanzi a S. Agostino, attraverso Dante e specialmente S. Francesco, di cui il Cosmo è sempre stato un grande studioso. Tuttavia quando vidi il Cosmo, l’ultima volta, nel maggio 1922 (egli era allora segretario o consigliere all’Ambasciata italiana di Berlino), egli ancora insistette perché io scrivessi uno studio sul Machiavelli e il machiavellismo; era una sua idea fissa, fin dal 1917, che io dovessi scrivere uno studio sul Machiavelli, e me lo ricordava a ogni occasione, sebbene Machiavelli non vada molto d’accordo con S. Francesco e S. Agostino. D’altronde serbo del Cosmo un ricordo pieno di affetto e direi di venerazione, se questa parola non avesse un significato che non si adegua ai miei sentimenti; era e credo sia tuttora di una grande sincerità e dirittura morale con molte striature di quella ingenuità nativa che è propria dei grandi eruditi e studiosi. Ricorderò sempre il nostro incontro del 22 nell’androne maestoso dell’Ambasciata italiana a Berlino. Nel novembre 1920 avevo scritto contro il Cosmo un articolo violentissimo e crudele come si riesce a scriverne solo in certi momenti critici della lotta politica; seppi che egli si mise a piangere come un bambino e stette chiuso in casa per alcuni giorni. I nostri rapporti personalmente cordiali di maestro ed ex allievo si ruppero. Quando nel 22 il solenne guardiaportone dell’Ambasciata si degnò di telefonare al Cosmo, nel suo gabinetto diplomatico, che un certo Gramsci desiderava essere ricevuto, rimase sbalordito, nel suo animo protocollare, quando il Cosmo scese di corsa le scale e mi si precipitò addosso inondandomi di lacrime e di barba, e dicendo a ogni momento: «Tu capisci perché! Tu capisci perché!». Era in preda a una commozione che mi sbalordí, ma mi fece capire quanto dolore gli avessi procurato nel 1920 e come egli intendesse l’amicizia per i suoi allievi di scuola. Vedi quanti ricordi mi ha fatto nascere questa Vita di Dante e l’accenno di Piero (che, del resto, mi fu presentato la prima volta proprio dal prof. Cosmo). È vero che ora per me il passato ha una grande importanza, come unica cosa certa nella mia vita, a differenza del presente e dell’avvenire che sono fuori della mia volontà e non mi appartengono. – Cara, vorrei che tu mi dessi delle informazioni e delle spiegazioni chiare su questo argomento: – nell’attuale momento dell’arte chirurgica, si può fare l’operazione per estirpare il colon discendente? oppure, cosa si può fare per rimediare a una tale infermità? L’operazione è facile o difficile? Si può fare anche se il paziente è molto malandato di salute, se cioè egli soffre di tubercolosi (ghiandolare) e di sifilide ereditaria di grado leggero e di eruzioni cutanee permanenti dovute al guasto di tutto l’apparato digerente? Ti prego di informarti bene e di rispondermi in modo molto perspicuo perché io possa comprendere ed essere, a mia volta, in grado di spiegare perspicuamente. – Il tempo qui continua a essere pessimo: piove abbondantemente notte e giorno e quando non piove infuria un vento violentissimo. Proprio ti prego di non pensare neanche a metterti in viaggio e di essere meno staticamente ottimista sulle tue condizioni di salute. Devi essere ottimista, certo, ma dinamicamente, cioè essere certa che ti rafforzerai e potrai permanentemente conservare le tue forze, se però lotterai sempre contro te stessa e la tua passività, se non crederai che ormai tutto è fatto ecc. ecc. – Non ho piú ricevuto lettere da casa: Carlo non ha risposto alla mia ultima né alcuno mi ha mandato notizie sulla mamma e sulle sue condizioni di salute. Vuoi tu scrivere un biglietto in questo senso a mia madre coi miei saluti e l’assicurazione che io sto bene? Ti abbraccio teneramente.

Antonio


182.

9 marzo 1931

Carissima Tatiana,

ho ricevuto ieri la tua lettera, che mi ha un po’ rassicurato. Ero circa da venti giorni senza notizie e ciò mi angosciava un po’. Non so giudicare con esattezza, dalla tua descrizione, (per la mia assoluta incompetenza) l’entità del tuo male: capisco solo che deve essere stato molto doloroso. Mi pare però che ciò che scrivi conferma la mia convinzione che devi avere ancora molta cura della tua salute e non abbandonarti a un ottimismo facilone e superficiale.

Non è esatto che io abbia perduto fiducia nei medicamenti, come tu scrivi. Sarebbe una fanciullaggine. Mi sono accorto che nelle condizioni generali in cui mi trovo, i medicamenti (ricostituenti) non solo sono di effetto nullo, ma mi procurano un incremento di disturbi. Seguo una dieta molto rigida, ma tuttavia i disturbi viscerali aumentano e diventano sempre piú dolorosi. Quando giunsi a Turi soffrivo specialmente di stomaco, cioè ero soggetto a vomiti frequenti, ecc. mentre invece non soffrivo agli intestini. Da circa un anno, i disturbi di stomaco sono quasi completamente passati, ma sono sopraggiunte le complicazioni intestinali. Secondo me esse sono strettamente collegate con l’insonnia; osservo che se mi risveglio d’improvviso, dopo mezz’ora vengono i dolori viscerali acuti, cioè mi pare che il risveglio interrompa la digestione e quindi provochi i disturbi. Se per qualche notte dormo un po’ tranquillo, queste complicazioni si attenuano. Ho smesso di prendere il Benzofosfan perché ho sperimentato che portava a nuove complicazioni, ecc. Non credere che non mi sia dato da fare per assicurarmi la possibilità di un sonno piú tranquillo, ma non sono riuscito a ottenere nulla. Adesso ho la gastrite cronica (o gastrite significa solo fenomeno dello stomaco? e bisogna usare qualche altro termine?) e ogni innovazione mi fa esitare: preferisco non far nulla, piuttosto. Non sono fatalista: io credo che l’ossigeno possa ravvivare i polmoni, ma sono persuaso che inalare l’ossigeno a uno che ha la cassa toracica serrata in un busto di ferro serva a ben poco e possa nuocere piuttosto che giovare.

Aspetto tue notizie ancora piú favorevoli. Ti abbraccio teneramente.

Antonio


183.

20 marzo 1931

Carissima Giulia,

Tania mi ha trasmesso due fotografie dei bimbi, tutta una serie di rilievi molto interessanti sulla loro vita e il loro carattere fatti dalla nonna e qualche informazione sulle tue condizioni di salute. Mi ha trasmesso anche un «pimpò» di Delio, con un apparato critico ermeneutico. Io non sono riuscito a interpretare nulla per conto mio. Vorrei scrivere una lettera direttamente ai bimbi, ma non so come fare. Scrivere solo per ringraziarli della loro grande lettera mi pare troppo poco. Ci dovrebbe essere tra me e loro un intermediario di buona volontà e questo potresti essere tu sola, ma non mi pare che tu ti senta in grado di farlo; te ne ho scritto parecchie volte, inutilmente, perché non vi hai neppure accennato. Spero che tra breve sii in condizioni tali da potermi scrivere. Ti abbraccio teneramente con Delio e Giuliano

Antonio


184.

23 marzo 1931

Carissima Tatiana,

ti ringrazio di aver pensato di spedire il telegramma a mia madre per il suo onomastico. Io, già per la seconda volta, me ne ero dimenticato e ci pensai solo dopo il 19 marzo. La mamma sarà molto contenta nel ricevere gli auguri a mio nome.

Mi pare che la mia precedente lettera ti abbia fatto molto fantasticare su tutte le possibili malattie viscerali che potrebbero affliggermi. Meno male che io ancora non mi sono lasciato conquistare dalla mentalità carceraria, altrimenti non mi sarei piú levato dal letto e mi sarei persuaso di avere realmente tutti i malanni da te enumerati. Spero che tu nella tua vita non abbia piú ad avere corrispondenza con carcerati; li faresti suicidare per paura delle malattie e delle sofferenze per misteriosi malanni non riconosciuti dalla proterva cattiva volontà dei sanitari. Questa realmente è la mentalità comune dei carcerati: essi leggono con molta attenzione tutti gli articoli che trattano di malattie e si fanno arrivare trattati e «Medici di se stessi» o «Cure d’urgenza» e finiscono con lo scoprire di avere 300 o 400 malattie almeno, di cui sentono in se stessi i sintomi. C’è della gente cosí curiosa (anche tra i politici) che ingoiano tutte le cartine o i medicamenti rifiutati dai loro compagni di cella, persuasi che quelle medicine non possono che far loro bene perché certamente essi soffrono delle malattie che quelle medicine allevieranno e cureranno. Queste fissazioni giungono ad assurdi pittoreschi e maravigliosi; ho conosciuto un politico che si era fatto arrivare un trattato di Ostetricia e non certo per sadismo, ma perché, egli diceva, in una occasione della sua vita, aveva dovuto assistere d’urgenza una partoriente e da quando si trovava in carcere era ossessionato dal senso di responsabilità sentito allora e perciò riteneva doveroso farsi una cultura in proposito. – Dunque io non credo di avere nessuna delle malattie da te enumerate, ma solamente una forma di atonia viscerale che diventa dolorosa quando non dormo e quando il tempo è umido: quando posso mutare i cibi, infatti, essa passa completamente e cosí si attenua quando dormo o fa tempo secco. – Non metterti in testa di mandarmi il «gioddu» o qualcosa di simile perché non saprei che farmene. Se poi tu credi che sia facile preparare il «gioddu», che veramente al mio paese chiamano «mezzoradu», (cioè latte migliorato: «gioddu» è parola sassarese che capiscono solo in un angolo molto piccolo della Sardegna) ti sbagli di grosso: tanto è difficile che nel continente lo preparano solo degli specialisti bulgari e lo chiamano infatti «Yogurt» o latte bulgaro; quello che vendono a Roma è addirittura repugnante in confronto di quello che preparano i pastori sardi. Ti assicuro che nelle mie condizioni non c’è niente né di allarmante né di grave, tutt’altro: da una diecina di giorni non ho piú avuto dolori e si è attenuato anche il mal di capo.

Invece Carlo mi ha informato che tu non hai per nulla messo un ordine nella tua vita materiale: che mangi quando ti capita e talvolta te ne dimentichi ecc. Questa mi pare una cattiva azione da parte tua, poiché ti eri impegnata a regolare la tua alimentazione in modo da costituire una riserva di forze fisiche che ti permettesse di far il viaggio fino a Mosca. Io avevo creduto alle tue promesse e adesso mi dispiace di averti creduto; vuol dire che sono stato ingenuo, ingenuo come uno dei primi poeti italiani che ha scritto:

Molte sono le femmine che hanno dura la testa

Ma l’uomo con parabole le dimina e ammonesta.

Altro che parole: ci vorrebbe qualche «bellissimo kurbasc» come diceva sempre un beduino confinato a Ustica quando mi parlava dei suoi rapporti con le mogli e le donne della sua kabila.

Non so se puoi uscire di casa per fare delle commissioni. Desidererei che ti recassi presso la «Anonima Romana Editrice» Via Virgilio 16 (ho controllato una pubblicazione piú recente e ora si chiama «Anonima Romana Editoriale» ed è in Via Alessandro Farnese 2) e informarti se è possibile avere i n. 4 (aprile) e 10. 11. 12 (ottobre, novembre, dicembre) del «Leonardo» (anno 1927) rivista che allora si pubblicava per conto della Fondazione Leonardo, in seguito fusasi con l’Istituto di Cultura Fascista. Vorrei anche sapere se esiste una collezione completa di questo stesso «Leonardo» dell’anno 1926 e quanto costa. – Io avevo a Roma tutti i numeri della rivista fino all’ottobre 1928. Tu mi hai mandato la collez. completa del 25, ma solo il 1° fascicolo del 26. Dell’annata 27 ad Ustica mi hanno perduto i quattro numeri che mi mancano. Le annate successive le ho complete. Vorrei completare la collezione perché essa costituisce il repertorio di cultura generale meglio fatto di questi ultimi anni. Ha pubblicato, per esempio, tutta una serie di rassegne sulle attività scientifiche nei primi 25 anni del secolo, scritte da specialisti, che sono molto utili e anzi indispensabili. Ti prego però di non rivolgerti alla Libreria per questa ricerca: se si può ottenere qualche cosa, lo si può fare personalmente, non per corrispondenza. Se ti è piú comodo (io non ricordo l’ubicazione delle vie) potresti rivolgerti al tipografo Riccardo Garroni, Via Franc. De Sanctis 9, che ha stampato queste riviste e che forse ne conserva in magazzino le rese. Se riuscirai a trovarmi queste riviste te ne sarò molto grato. Però non devi affaticarti e fare delle camminate se non quando sarai in grado di farlo. Ti abbraccio teneramente.

Antonio

Ti ringrazio per ciò che mi ha portato Carlo: immagino che tu avrai molto contribuito nella scelta ecc.


185.

28 marzo 1931

Carissimo Carlo,

ho ricevuto appena una tua cartolina illustrata del 16 marzo, mentre aspettavo una tua lettera. Per le ragioni che ti ho detto a voce durante il colloquio, vorrei che, almeno in questi primi mesi della tua residenza a Milano, mi scrivessi un po’ spesso sulla tua vita e su come te la passi. Avvertimi anche se hai passato alla Libreria la commissione dei tre libri che avevo incaricato Tatiana di trasmettere. Ti ricordo i titoli perché non ci sia errore: – 1° Calendario-atlante De Agostini per il 1931 – 2° G. Mortara, Prospettive economiche per il 1931 – Editrice l’Università Bocconi – Milano – 3° Ben. Croce, Etica e Politica – Bari, Laterza, 1931. – Tatiana mi ha scritto tutta disillusa per non aver ricevuto da te notizie sul colloquio ecc.; ti prego di scriverle a lungo, ma credo che tu l’abbia già fatto. Cordialmente

Antonio

Se passi dalla Libreria ti prego di avvertire cortesemente il direttore (che mi pare si chiami Mannosi) che abbastanza spesso sono saltati dei numeri di riviste, specialmente dell’«Italia letteraria» e del «Marzocco». Cosí è stato saltato il n. 11 (del 13 marzo) del «Manchester Guardian Weekly» che pregherei di procurarmi perché voglio farne la collezione. Prega questo signore di essere un po’ paziente per le mie richieste, ricordandogli che sono in carcere e perciò, per esempio, un numero del «Marzocco» o dell’«Italia letteraria» che conteneva articoli in continuazione e che non ricevo, diventa una piccola tragedia. Tragedia da carcerato, va bene, ma per cui ecc. ecc. Saluti.

30 marzo

Ancora un piccolo incidente di cui ti prego di avvertire il direttore della Libreria. Proprio oggi, in una rivista giunta nel plico, era scivolato un foglietto, che non ho naturalmente potuto vedere, ma che mi è sembrato, cosí all’ingrosso, come appartenente a uno dei block-notes in cui i commessi prendono appunto delle commissioni dei clienti. La cosa è molto spiacevole per me e ti raccomando di pregare il direttore perché avverta l’incaricato dei plichi perché fatti simili non si ripetano. È vero che nulla mi viene consegnato senza che prima abbia subito la piú accurata verifica, cosa per cui incidenti simili hanno un valore relativo. Tuttavia, io, come la moglie di Cesare, non voglio neppure essere sospettato. Ho tenuto finora, in quattro anni e mezzo, un contegno il piú corretto possibile, e solo ciò mi ha evitato, se non dei guai grossi, almeno dei dispiaceri che potevano essere abbastanza noiosi. L’ultimo di questi dispiaceri potevo averlo proprio a Turi nel novembre 1928 e fu evitato appunto solo perché la Direzione della Casa di Pena poté, in tutta coscienza, dimostrare che io ero tassativamente estraneo a un episodio successo poco prima nel Carcere di Bari; il commissario di polizia venuto da Bari per interrogarmi e tradurmi a Bari rinunziò anche all’interrogatorio formale. Caro Carlo, ti prego di spiegare bene la quistione al direttore della Libreria, perché non si indispettisca per questa seccatura extra-commerciale. Ma si tratta per me di cosa molto importante, tanto importante, che per mantenere rigidamente la mia condotta di assoluta correttezza nell’uniformarmi alle necessità del carcere, mi sono urtato con altri detenuti e ho rotto dei rapporti personali. Saluti.

Antonio


186.

7 aprile 1931

Carissima Tatiana,

devo rispondere a una serie di quistioni che mi hai posto: 1° ho ricevuto il tuo pacco alla vigilia di Pasqua e ti ringrazio tanto per il tuo affetto premuroso. Adesso ho un mucchio di cose che mi basteranno per alcuni mesi. – 2° Carlo mi ha scritto una cartolina il 16 marzo e poi più nulla. – 3° Ho ricevuto il discorso del senatore Gentile; era proprio pubblicato nel fascicolo di dicembre dell’«Educazione Fascista». – 4° I numeri del «Leonardo» che ti ho incaricato di ricercare sono proprio del 1927 e mi sono stati perduti proprio ad Ustica dove la rivista continuò ad arrivare dopo la mia partenza, col permesso della Direzione della Colonia, e fu consegnata ai miei amici rimasti, che mi avevano promesso di mandarmi tutti i numeri alla fine dell’anno. Cosí il tuo scrupolo-indovinello è eliminato. – 5° Vorrei sapere quale edizione del Principe di Machiavelli hai letto o stai leggendo. Io ne ho qui due esemplari, ma ambedue sono ormai antiquati per la pubblicazione dell’edizione critica fatta qualche anno fa dal prof. Mario Casella che ha corretto molte scorrettezze ed errori delle stampe tradizionali. – 6° Non mi fa maraviglia che le conferenze del professor Bodrero sulla filosofia greca ti abbiano interessato poco. Egli è professore di storia della filosofia in non so ora quale Università (un tempo era a Padova), ma non è né un filosofo né uno storico: è un erudito filologo capace di far discorsi di tipo umanistico-retorico. Recentemente ho letto un suo articolo sull’Odissea di Omero che ha fatto vacillare anche questa persuasione dell’essere il Bodrero un buon filologo, poiché egli scopriva che l’aver fatto la guerra è un tratto che abilita a comprendere l’Odissea; io dubito che un Senegalese, per aver fatto la guerra, possa comprendere meglio Omero. D’altronde, il Bodrero dimentica che Ulisse, secondo la leggenda, fu un renitente alla leva e una specie di autolesionista, poiché, dinanzi alla commissione militare andata ad Itaca per prelevarlo, si finse pazzo (non autolesionista, correggo, ma simulatore per essere riformato). – 7° Nella quistione del gioddu non si tratta di patriottismo sardesco né di campanilismo. Infatti tutti i pastori primitivi preparano il latte in questo modo. Si tratta del fatto che il gioddu o yoghurt non si può spedire né mantenere a lungo senza che si guasti, caseificandosi. E c’è anche un’altra ragione importantissima: pare che sia necessaria una certa dose di sporcizia nel pastore e nell’ambiente perché il gioddu riesca genuino. Questo elemento non si può fissare matematicamente ed è un peccato, perché le dame pastorelle altrimenti cercherebbero, come snob, di essere sporchette. E ancora: la sporcizia necessaria deve essere autentica sporcizia, di quella genuina naturale spontanea, di quella che fa puzzare il pastore proprio come il caprone. Come vedi la quistione è complessa ed è meglio che tu rinunzi a far l’Amarillidi e la Cloe in un quadretto arcadico.

Cara Tania, la tua lettera mi ha molto interessato e mi ha fatto piacere. Hai fatto molto bene a non rifarla. Perché poi? Se ti appassioni, vuol dire che c’è in te molta vitalità e molto ardore. Alcune tue considerazioni veramente non le ho ben capite, come questa: «Forse si dovrebbe vivere sempre al di fuori del proprio io per poter gustare la vita con la maggior intensità?», perché non so immaginare come si possa vivere fuori del proprio io, dato che esista un io identificabile una volta per sempre e non si tratti della propria personalità in continuo movimento, cosa per cui si è continuamente fuori del proprio io e continuamente dentro. Per me la quistione si è molto semplificata e sono diventato, nella mia altissima saggezza, molto indulgente. A parte lo scherzo, ho pensato molto alle quistioni alle quali accenni e che ti appassionano e ho finito col convincermi che la colpa di molte cose è proprio mia. Dico colpa, perché non so trovare altra parola. Forse è vero che esiste una forma di egoismo in cui si cade inconsciamente. Non mi pare si tratti delle forme solite di egoismo. Per esempio non mi pare si tratti dell’egoismo piú comune, quello che consiste nel far servire gli altri da strumento per il proprio benessere e la propria felicità; in questo senso non mi pare di essere stato mai egoista perché credo di aver dato, in tutta la mia vita, almeno quanto ho ricevuto. Ma c’è una quistione: il dare e l’avere sono in pareggio come contabilità generale, ma sono in pareggio come singole partite individuali? Quando si è legata la propria vita ad un fine e si concentra in questo tutta la somma delle proprie energie e tutta la volontà, non è immancabile che alcune o molte o sia pure una sola delle partite individuali rimanga scoperta? Non sempre ci si pensa e perciò ad un certo punto si paga. Si scopre magari che si può sembrare egoisti proprio a quelli cui meno si era pensato di poterlo sembrare. E si scopre l’origine dell’errore che è la debolezza, la debolezza di non avere saputo osare di restare soli, di non crearsi legami, affezioni, rapporti ecc. Giunti a questo punto è certo che solo l’indulgenza può dare la tranquillità o una certa tranquillità che non sia la completa apatia e indifferenza e lasci qualche spiraglio per il futuro. Davvero: spesso io risalgo a tutto il corso della mia vita e mi pare di essere proprio come Renzo Tramaglino alla fine dei Promessi Sposi, cioè di poter fare un inventario e poter dire: ho imparato a non fare questo, a non fare quest’altro ecc. (sebbene questa somma di apprendimenti mi giovi assai poco). Sono rimasto senza scrivere a mia madre qualche anno (almeno due anni di seguito) e ho imparato che è doloroso non ricevere lettere (ma probabilmente se fossi libero ricadrei in questi stessi mancamenti o non li giudicherei tali o non ci rifletterei addirittura) e cosí via. Insomma: sono già vecchio del carcere di 4 anni e 5 mesi e spero tra qualche altro anno di essere completamente imbalsamato: mi spiegherò tutto, di ogni fatto troverò che non poteva non succedere, mi spiegherò e troverò che le mie spiegazioni sono assolutamente incontrovertibili. Finirò col persuadermi che il meglio di tutto sarebbe non pensare piú, non ricevere di fuori nessun incitamento a pensare e quindi non scrivere piú a nessuno e mettere da parte le lettere ricevute senza leggerle ecc. ecc. Ma forse non avverrà nulla di tutto questo e avrò solo ottenuto di farti imbronciare e stare di malumore per qualche tempo, ciò che significherà che tu sei fuori del tuo io e che il mio io, ospite sgradevole, ne ha preso il posto.

Carissima Tatiana, non arrabbiarti se ti prendo un po’ in giro scherzosamente. Ti voglio molto bene e ti abbraccio affettuosamente.

Antonio


187.

20 marzo 1931

Carissima Tatiana,

ho ricevuto le due fotografie e il manoscritto di Delio. Non ne ho capito proprio nulla e mi pare inesplicabile che egli incominci a scrivere dalla destra alla sinistra e non dalla sinistra alla destra; sono contento che scriva con le mani, è già qualche cosa. Se gli fosse saltato in testa di incominciare a scrivere coi piedi sarebbe stato molto peggio, certamente. Poiché gli Arabi, i Turchi che non hanno accettato le riforme di Kemal, i Persiani, e forse anche altri popoli, scrivono da destra a sinistra, la cosa non mi pare molto seria e pericolosa; quando Delio imparerà il Persiano, il Turco e l’Arabo, l’aver imparato a scrivere da destra a sinistra gli sarà molto utile. Una cosa sola mi colpisce; che ci sia stata troppo poca logica nel sistema. Perché, da bambino piú piccolo, averlo costretto ad abituarsi a vestire come gli altri? Perché non avere lasciato libera la sua personalità anche nel modo di abbigliarsi e averlo tirato su secondo un conformismo meccanico? Sarebbe stato meglio lasciargli intorno gli oggetti d’uso e poi aspettare che egli scegliesse spontaneamente: i calzoncini in testa, le scarpe nelle mani, i guanti nei piedi ecc.; o meglio ancora, bisognava mettergli vicino abiti da maschietto e da femminuccia e lasciargli libertà di scelta. Non ti pare? – Le due fotografie mi sono piaciute, specialmente perché danno due momenti molto espressivi della fisionomia di Giuliano; l’effetto che fa l’espressione di Delio, che era debole e malaticcio, è corretta dalle fotografie successive prese a Soci. – Formato 4 × 6 in fotografia credo significhi semplicemente 4 centimetri per 6 centimetri, almeno in Italia e dove è usato il sistema metrico decimale. – Ho letto Michaël, cane da circo, di Jack London; mi pare che artisticamente sia insignificante: è un libro di propaganda della società non so se contro la vivisezione o per la protezione degli animali; avevo a Roma Jerry delle isole, che era molto bello, mi pare di ricordare. In ogni caso, le due storie di cani del London migliori sono Zanna bianca e Il richiamo della foresta; dato il successo di queste storie, il London ha poi scritto troppo sui cani, senza freschezza e senza spontaneità. – Il riso tostato non mi serve a nulla; ne ho fatto cuocere un po’ il giorno di Pasqua e fino a Natale non avrò occasione di adoperarlo, se pure potrò ancora adoperarlo. – Carlo non mi ha ancora scritto; anche da Ghilarza non mi hanno piú scritto; in questi ultimi 20 giorni ho ricevuto solo le tue lettere. – Ho letto qualche cosa sulla psicanalisi, articoli di rivista specialmente; a Roma mi aveva imprestato da leggere qualcosa Rambelinsky sull’argomento. Leggerò volentieri il libro del Freud che Piero ti ha indicato: puoi richiederlo. È possibile che Giulia si avvantaggi di una cura psicanalitica, se la sua malattia ha origini puramente nervose. Io poi credo che piú della psicanalisi conti il medico curante; il vecchio Lombroso, sulla base della psichiatria tradizionale, otteneva risultati sorprendenti che io credo erano dovuti piú alla sua capacità di medico che alla teoria scientifica (astratta). Il suo prestigio scientifico era tale, che molti ammalati, dopo la prima visita e senza aver iniziato cura alcuna, si sentivano già molto meglio, riacquistavano fiducia in se stessi e finivano rapidamente col ristabilirsi. È possibile che la psicanalisi sia piú concreta della vecchia psichiatria o almeno costringa i medici a studiare piú concretamente i singoli ammalati, cioè a vedere l’ammalato e non la «malattia»; per il resto Freud ha fatto come Lombroso, cioè ha voluto fare una filosofia generale di alcuni criteri empirici di osservazione, ma ciò importa poco. Ti abbraccio affettuosamente.

Antonio


188.

4 maggio 1931

Carissima Tania,

ho ricevuto la collezione della rivista «Leonardo». Sono molto contento di averla avuta e ti ringrazio cordialmente delle fatiche che avrai sopportato per procurarla. Non so spiegarmi la ragione per cui hai mandato un telegramma alla Direzione del carcere domandando informazioni sulla mia salute. Ho pensato che sia circolata qualche voce sul conto mio, come è avvenuto altre volte; se fosse stato cosí, tu dovresti ormai essere avvertita e non credere a simili fonti leggendarie. Credo di averti avvisato altre volte che non bisogna credere nulla a ciò che raccontano le famiglie dei carcerati o che, in ogni caso, ha origine carceraria. Tu non immagini neppure quali strane deformazioni e ridicolose esagerazioni subiscono le cose piú semplici e ovvie; il ricordo del tempo di guerra dà appena una pallida idea di questo processo di creazione fantastica e di deduzioni romanzesche e puerili. Nel caso mio, niente di reale può aver determinato delle amplificazioni, perché non sono stato male, anzi, da qualche settimana, dormo abbastanza e quindi mi sento meglio del solito. Sono stato preoccupato perché tu non mi scrivevi e non ti nascondo che, quando ho saputo del tuo telegramma, mi sono un po’ incollerito; perché non scrivere a me, anche una cartolina illustrata, invece di mandare questo telegramma? – Ho ricevuto la tua cartolina del 30 aprile e la lettera di Giulia col tuo biglietto; la lettera di Giulia è molto graziosa, ti pare? mi è piaciuto molto l’aneddoto della «lingua delia», ma di tali lettere bisognerebbe riceverne almeno una ogni quindici giorni. Mi è piaciuta molto anche la tua cartolina. Veramente, mi piace molto come scrive Giulia e come scrivi tu qualche volta; mi piace forse perché è proprio l’opposto del mio modo di scrivere. Voi avete una grande spontaneità, che si sente come tale anche nella forma immediata. Prima di venire in carcere io scrivevo pochissimo e se si eccettuano le lettere che ho scritto a Giulia in quel tempo, credo di non aver scritto mai piú di tre lettere all’anno. Da quando sono in carcere, l’abitudine di controllare ogni parola che dico con chiunque e la ripugnanza che mi ossessiona per la pubblicità delle lettere, si riflette anche nello scrivere a voi; è una cosa invincibile, che spesso falsifica tutto il tono di ciò che scrivo. – Cara Tania, ho rotto gli occhiali e non ne ho di ricambio. Poiché non ho rotto i cristalli, ma la montatura, ho rimediato alla bella meglio, legando e accomodando i due pezzi, ma le lenti non sono piú a fuoco e mi danno fastidio alla vista. Ti sarò gratissimo se vorrai mandarmene degli altri: devono essere in simili-tartaruga (cioè in celluloide), la misura è 3 diottrie. Ti prego di mandarmi degli occhiali di poco prezzo; essi sono transitorii, nel senso che per avere gli occhiali proprio adatti, dovrei farmi misurare esattamente il grado di miopia. In realtà li porto piú che altro per avere meno mal di testa, sebbene sia persuaso che molta parte della miopia è dovuta proprio al mal di testa, con azione reciproca. Carlo non mi ha ancora scritto; se hai il suo indirizzo scrivigli che il suo modo di fare mi ha molto addolorato; non scrive neanche alla mamma, quantunque sappia le sue condizioni di salute. Ti abbraccio

Antonio

Spedisci la sua parte a mia sorella Teresina.


189.

4 maggio 1931

Carissima Teresina,

ho ricevuto la tua lettera del 28 aprile. Credo che tu e Grazietta vi siete completamente sbagliate sul significato delle osservazioni da me fatte a proposito di Mea. In primo luogo, io ho conosciuto Mea solo nel ’24, quando aveva pochi anni e non sono certo in grado di giudicare le sue qualità e la saldezza di queste qualità. In secondo luogo e in generale, io evito sempre di valutare chiunque fondandomi su ciò che si suole chiamare «intelligenza», «bontà naturale», «prontezza di spirito», ecc., perché so che tali valutazioni hanno ben scarsa portata e sono ingannevoli. Piú di tutte queste cose mi pare importante la «forza di volontà», l’amore per la disciplina e per il lavoro, la costanza nei propositi, e in questo giudizio tengo conto, piú che del bambino, di quelli che lo guidano e che hanno il dovere di fargli acquistare tali abitudini, senza mortificare la sua spontaneità. L’opinione che mi sono formata, dalle parole di Nannaro e di Carlo, è appunto questa: che in Mea voi tutti trascurate di sollecitare l’acquisizione di queste qualità solide e fondamentali per il suo avvenire, non pensando che più tardi il compito sarà più difficile e forse impossibile. Mi pare che dimentichiate che oggi nel nostro paese all’attività femminile sono fatte condizioni molto sfavorevoli fin dalle prime scuole, come per esempio l’esclusione delle giovinette da molte borse di studio ecc, per cui è necessario nella concorrenza che le donne abbiano qualità superiori a quelle domandate ai maschi e una maggior dose di tenacia e di perseveranza. È evidente che le mie osservazioni erano rivolte non a Mea, ma a chi la educa e la dirige; in questo caso piú che mai mi pare che sia l’educatore che deve essere educato. Ho letto con interesse la lettera ad Ali Camun che mi hai inviato; mi ha fatto piacere constatare che non ci sono errori d’ortografia. Per il resto non mi pare gran cosa: è una raccolta di luoghi comuni, e non ho trovato nulla di originale e di fresco: non ho trovato neanche nulla di infantile, di ingenuo all’infuori dell’assenza di logica e dell’abbondanza di contraddizioni. Che sia gloriosa la storia di una regione che ha sempre appartenuto a molti dominatori e che non ha mai avuto una storia propria, non lo diceva neanche il maestro cavalier Pietro Sotgiu, quando ci faceva cantare: «Fulminar la superba Aragona, – t’han veduto le attonite genti, – rinnovar gli obliati portenti – del romano e del greco valor». A noi, ricordo, non riusciva di immaginare queste «genti attonite» per l’eroismo del marchese di Zuri: piuttosto piaceva Pasquale Tolu e anche Derosas che sentivamo piú «sardi» anche della grande Eleonora. Immagino che Ali Camun penserà poco ai vecchi Faraoni e ammirerà di piú qualche «brigante» moderno, che ha sterminato i soldati inglesi che opprimevano il suo paese.

Cara Teresina, ti auguro la miglior salute per i tuoi bambini: mandami altre notizie sull’incidente capitato a papà, che spero non abbia avuto una scossa psicologica troppo forte. Abbraccio tutti di casa, specialmente la mamma.

Antonio

Carlo non ha ancora scritto da Milano.


190.

18 maggio 1931

Carissima Tania,

ho ricevuto gli occhiali; essi vanno benissimo. Ti ringrazio della tua premura. Continuo però ad essere persuaso che sarebbe stato sufficiente spendere molto meno. Gli occhiali di cui ho rotto la montatura mi costarono 48 lire; furono comprati nel dicembre 1926 al carcere di Palermo, quando viaggiavo in traduzione per Ustica. Poiché la ditta Viganò garantisce la montatura fino a 3 anni, appare che questi occhiali da 48 lire hanno fatto un discreto servizio; né essi sono da buttar via, perché le lenti sono intatte e forse sarà sufficiente per restaurarli una applicazione di metallo all’inforcatura. Ricevo in questo momento la tua lettera del 15 maggio e la lettera di Giulia. Avrei desiderato che tu mi avessi scritto le tue impressioni sulla lettera di Giulia. A me è ancora difficile orientarmi. Un nucleo positivo mi pare possa essere identificato: che cioè Giulia abbia acquistato una certa fiducia in se stessa e nelle sue proprie forze, ma questa fiducia non sarà di carattere puramente intellettuale e razionale, cioè poco profonda? Mi pare che il carattere intellettualistico del suo stato d’animo sia troppo evidente, che cioè il momento «analitico» non sia diventato ancora forza vitale, impulso volitivo. Ciò che rassicura un po’ è che Giulia, come la maggioranza dei russi contemporanei, ha una grande fede nella scienza, e intendo una fede di carattere quasi religioso, ciò che noi occidentali abbiamo avuto alla fine del secolo scorso e poi abbiamo perduto attraverso la critica della filosofia piú moderna e specialmente attraverso il disastro della democrazia politica. Anche la scienza è stata sottoposta a «critica» ed è stata limitata. Non avrei mai creduto che a Turi si potesse trovare qualcuno che potesse dire qualcosa di intelligente, come pare sia capitato a te. Del resto sarà poi stato cosí intelligente, ciò che ti è stato detto? Mi pare che non sia difficile trovare formule splendide di vita, difficile è però vivere. Ho letto recentemente che nell’Europa moderna solo qualche italiano e qualche spagnuolo hanno ancora conservato il gusto della vita: è anche possibile, sebbene si tratti di affermazioni generiche che difficilmente potrebbero essere provate. Qualche volta si tratta di equivoci abbastanza comici. Una volta ebbi una discussione curiosa con Clara Zetkin che appunto ammirava gli italiani per il loro gusto di vivere e credeva di trovarne una sottile prova nel fatto che gli italiani dicono: «felice notte» e non «notte tranquilla» come i russi o «buona notte» come i tedeschi ecc. Che i tedeschi, i russi e anche i francesi non pensino a «notti felici» è possibile, ma gli italiani parlano anche di «viaggio felice» e di «affari felicemente riusciti», ciò che diminuisce il valore sintomatico di «felice»; d’altronde i napoletani di una donna bella dicono che è «buona», senza malizia certamente, perché «bella» è proprio un piú antico «bonula». Insomma mi pare che le formule di vita, sia espresse a parola, sia che risultino dai costumi di un popolo, hanno un solo valore: di servire di incitamento o di giustificazione per chi ha solo delle velleità, per fare diventare volontà concreta queste velleità: la vita reale non può essere mai determinata da suggerimenti ambientali o da formule, ma nasce da radici interiori. – Nel caso di Giulia è giusto il suggerimento di «sgomitolarsi», cioè di cercare in se stessa le sue forze e le sue ragioni di vita, cioè di non essere timida e non lasciarsi sopraffare e specialmente di non porre alla propria vita fini irrealizzabili o troppo difficili. E mi pare che questo suggerimento sia giusto anche per… te, che qualche volta pensi si debba o si possa uscire dal proprio io per realizzare la vita. – Mi domandi se devi proprio scrivere a Carlo come ti ho detto: mi pare di non averti detto niente di spaventevole. Carlo da quando è stato a Turi non mi ha ancora scritto (solo una cartolina illustrata il 16 marzo, né so il suo indirizzo); ciò mi dispiace molto, perché credo di indovinare le ragioni del suo mutismo, che dovrebbero offendermi, se non sapessi chi è Carlo.

Ti abbraccio.

Antonio


191.

18 maggio 1931

Carissima Giulia,

ho ricevuto la tua lettera dell’8 maggio. Qualche giorno fa ho anche ricevuto una tua lettera del luglio 1930, dove parli della lingua «delia» (non so se ricordi ancora). La tua lettera ultima mi ha reso molto felice. Certamente si capisce subito, leggendola, che sei molto cambiata, che sei piú forte e piú «ordinata». Molte tue lettere precedenti sentivano lo sforzo, c’era in esse qualcosa di imbarazzato (ma forse questa non è la parola esatta), e poi (devo dirlo, anche se ti farò ridere) formicolavano di errori e di storture di lingua italiana, ciò che dimostrava una certa torbidezza nella concezione e ideazione e una notevole debolezza della memoria. Questa lettera invece è proprio limpida e senza… neanche un errore. In questo caso, dunque, è soddisfatto non solo il mio senso… grammaticale, ma anche il mio senso «antonio». Penso davvero che non ti maraviglierai se ti… rivelo che le tue lettere sono da me considerate anche da un punto di vista grammaticale; in ogni caso ciò significa che anche la grammatica è una frazione della vita. Devo dire però che ciò mi avviene specialmente da qualche anno, da quando cioè cerco di estrarre dalle tue poche lettere tutto il succo che è possibile, analizzandole da ogni punto di vista: esse erano molto brevi, e in gran parte si ripetevano. Mi dava l’impressione che scrivermi ti costasse un grande sforzo e che forse sarebbe stato meglio che io ti proponessi di non scrivermi piú, per evitarti una pena faticosa (le notizie sulla tua salute mi sono state date col contagoccie e credo che ancora oggi io non so esattamente quanto tu sia stata male e tanto meno le diagnosi fatte dai medici; dalla tua lettera appare che si è parlato persino di epilessia, ciò che è sorprendente e dimostra solo, secondo me, un eccesso di sottigliezza scientifica). Mi pare che questa tua lettera inizi un nuovo periodo nei nostri rapporti e di ciò sono molto felice, perché bisogna che ti confessi che avevo già cominciato a «raggomitolarmi» per conto mio e stavo diventando piú irsuto di un porcospino. Ora sarai tu che dovrai aiutarmi a ritornare a galla un pochino. Ma forse ciò avverrà automaticamente. È certo che da qualche tempo mi sentivo molto depresso, a forza di rimuginare tanti piccoli episodi del passato. Perché non è poi vero che tu sola fossi passiva. Ricordo, per esempio, che una volta ci fu una quasi scenata della «terribile signora Ciccone», come diceva Delio, che io avevo previsto. Tu dicesti allora che, avendola prevista, avrei dovuto impormi a te e che una tale imposizione ti avrebbe fatto piacere o qualcosa di simile; insomma volevi dire che non era giusto che qualche volta (quando sapevo di aver ragione) io non ti facessi sentire la mia volontà. Ricordo che questo tuo parlare mi fece molta impressione (eravamo però negli ultimi giorni della tua permanenza a Roma) e mi fece riflettere. Ciò significava giustamente che il cosí detto rispetto della personalità altrui talvolta diventa una forma di «estetismo» per cosí dire, cioè l’«altro» diventa un «oggetto» talvolta, proprio quando si crede che piú si abbia rispetto per la sua soggettività. In conclusione: il mondo è grande e terribile e complicato, e noi stiamo diventando di una saggezza che diventerà proverbiale. Almeno io credo di essere ormai diventato piú saggio di Lao-tse, che quando nacque, aveva già il sapere e la compostezza di un uomo di 80 anni; credo di aver dimenticato completamente a tirar sassi e ad acchiappar lucertole. Delio e Giuliano sanno poi tirare i sassi lontano, farli zufolare, farli rimbalzare quattro e cinque volte nell’acqua? Mi dispiace di non aver potuto insegnar loro tutte queste abilità e altre ancora. Credo che da questo punto di vista essi siano stati tirati su un po’ troppo da femminucce.

Ti abbraccio teneramente.

Antonio


192.

1 giugno 1931

Carissima Tatiana,

ho ricevuto la tua raccomandata del 28 maggio. Questa volta la missiva di Delio ha un carattere realmente conclusivo. I caratteri sono abbastanza fermi e personali; la forma asseverativa e aforistica del messaggio mi pare anche molto importante se il messaggio è stato realmente pensato da lui spontaneamente e originalmente e non è il ricordo di una frase udita e imparata a memoria. Avrebbe importanza anche in questo caso, perché anche lo scegliere ciò che è degno di ricordo e di essere ripetuto ha importanza alla sua età, ma un po’ meno, ti pare? D’altronde a sei anni e mezzo (o sette tra breve), si può veramente concepire che tra la vita che sorge e l’altra vita c’è una grande differenza, dico, si può concepirlo originalmente e spontaneamente? Perciò anche se Delio avesse ripetuto una frase sentita e ne avesse istintivamente afferrato una parte del significato, sarebbe molto interessante. I capelli mi pare diano già ragione alla mia tesi, che tanto faceva indispettire Giulia (o Genia), che cioè il biondo con l’età sarebbe diventato sempre piú castagno-bruno; sono già diventati molto meno biondi di cinque anni fa, con questo in piú, che in me, per esempio, e anche nei miei fratelli e sorelle, dal biondo chiassoso si passava al fulvo rame e poi al castagno, mentre in Delio non c’è nulla di fulvo mediterraneo; si vede che l’influsso di Giulia ha modificato l’evoluzione con tappe originali. Non ti pare che il colore attuale si avvicini al colore dei tuoi capelli? Però non ne sono certo. – Non ho ben capito ciò che hai scritto a proposito delle mie lettere. È possibile che non sempre il loro contenuto corrisponda a ciò che tu ti attenderesti in relazione alle lettere tue. Non sempre rileggo le tue lettere quando scrivo, e non sempre mi piace rispondere con puntualità protocollare, esaurendo cioè tutti gli «oggetti». Devo scrivere in fretta, in un’ora e mezzo, dalla mezza alle due, e non sempre ho voglia di scrivere proprio in quel momento. Però da qualche tempo tu mi scrivi molto meno di prima; se ti decidessi a scrivere le quattro o cinque che sarebbero necessarie per rispondere a ognuna delle mie sarebbe una bella cosa per me. Anche da casa non mi hanno piú scritto da un mese almeno. La mamma non può scrivere e le mie sorelle hanno molto da fare; del resto conosco la loro vita per averla condivisa per abbastanza tempo e immagino come si svolgeranno le cose. Ogni giorno la mamma si lamenterà perché nessuno mi scrive e quindi neanch’io scrivo: tutti prometteranno di scrivere il… giorno dopo, ma ognuno penserà che lo farà l’altro e cosí le cose andranno avanti per un pezzo. È una vita abbastanza curiosa, un po’ alla cinese, e mi ricordo perfettamente che cosí facevo anch’io. Puoi tu scrivere un biglietto alla mamma, inviandole le mie notizie e i miei saluti? Sarà molto contenta. Le puoi scrivere che sto abbastanza bene come al solito e che desidero loro notizie e notizie di Carlo.

Carissima, ti abbraccio

Antonio


193.

 

1 giugno 1931

 

Carissima Giulia,

Tania mi ha trasmesso l’«epistola» di Delio (adopero la parola piú letteraria) con la dichiarazione del suo amore per i racconti di Puskin e per quelli che si riferiscono alla vita giovanile. Mi è piaciuta molto e vorrei sapere se questa espressione l’ha pensata Delio spontaneamente o se si tratta di una reminiscenza letteraria. Vedo anche con una certa sorpresa che adesso tu non ti spaventi delle tendenze letterarie di Delio; mi pare che una volta eri persuasa che le sue tendenze fossero piuttosto da… ingegnere che da poeta, mentre ora prevedi che egli leggerà Dante addirittura con amore. Io spero che ciò non avverrà mai, pur essendo molto contento che a Delio piaccia Puškin e tutto ciò che si riferisce alla vita creativa che sbozzola le sue prime forme. D’altronde, chi legge Dante con amore? I professori rimminchioniti che si fanno delle religioni di un qualche poeta o scrittore e ne celebrano degli strani riti filologici. Io penso che una persona intelligente e moderna deve leggere i classici in generale con un certo «distacco», cioè solo per i loro valori estetici, mentre l’«amore» implica adesione al contenuto ideologico della poesia; si ama il «proprio» poeta, si «ammira» l’artista «in generale». L’ammirazione estetica può essere accompagnata da un certo disprezzo «civile», come nel caso di Marx per Goethe. Dunque sono contento che Delio ami le opere di fantasia e fantastichi anche per conto proprio; non credo che perciò egli non possa diventare lo stesso un grande «ingegnere» costruttore di grattacieli o di centrali elettriche, anzi. Puoi domandare a Delio, da parte mia, quale dei racconti di Puškin ami di piú; io veramente ne conosco solo due: Il galletto d’oro e Il pescatore. Conosco poi la storia della «catinella» col cuscino che salta come un ranocchio, il lenzuolo che vola via, la candela che va balzelloni a nascondersi sotto la stufa ecc., ma non è di Puškin. Te ne ricordi? Sai che ne ricordo ancora a memoria delle decine di versi? Vorrei raccontare a Delio una novella del mio paese che mi pare interessante. Te la riassumo e tu gliela svolgerai, a lui e a Giuliano. – Un bambino dorme. C’è un bricco di latte pronto per il suo risveglio. Un topo si beve il latte. Il bambino, non avendo il latte, strilla e la mamma strilla. Il topo disperato si batte la testa contro il muro, ma si accorge che non serve a nulla e corre dalla capra per avere del latte. La capra gli darà il latte se avrà l’erba da mangiare. Il topo va dalla campagna per l’erba e la campagna arida vuole acqua. Il topo va dalla fontana. La fontana è stata rovinata dalla guerra e l’acqua si disperde: vuole il mastro muratore che la riatti. Il topo va dal mastro muratore: vuole le pietre. Il topo va dalla montagna e avviene un sublime dialogo tra il topo e la montagna che è stata disboscata dagli speculatori e mostra dappertutto le sue ossa senza terra. Il topo racconta tutta la storia e promette che il bambino cresciuto ripianterà pini, quercie, castagni, ecc. Cosí la montagna dà le pietre ecc. e il bimbo ha tanto latte che si lava anche col latte. Cresce, pianta gli alberi, tutto muta; spariscono le ossa della montagna sotto nuovo humus, la precipitazione atmosferica ridiventa regolare perché gli alberi trattengono i vapori e impediscono ai torrenti di devastare la pianura ecc. Insomma il topo concepisce una vera e propria piatilietca. È una novella propria di un paese rovinato dal disboscamento. Carissima Giulia, devi proprio raccontare questa novella e poi comunicarmi le impressioni dei bimbi. Ti abbraccio teneramente.

Antonio


194.

15 giugno 1931

Carissima mamma,

ho ricevuto la lettera che mi hai scritto con la mano di Teresina. Mi pare che devi spesso scrivermi cosí; io ho sentito nella lettera tutto il tuo spirito e il tuo modo di ragionare; era proprio una tua lettera e non una lettera di Teresina. Sai cosa mi è tornato alla memoria? Proprio mi è riapparso chiaramente il ricordo quando ero in prima o in seconda elementare e tu mi correggevi i compiti: ricordo perfettamente che non riuscivo mai a ricordare che «uccello» si scrive con due c e questo errore tu me lo hai corretto almeno dieci volte. Dunque se ci hai aiutato a imparare a scrivere (e prima ci avevi insegnato molte poesie a memoria; io ricordo ancora Rataplan e l’altra «Lungo i clivi della Loira – che qual nastro argentato – corre via per cento miglia – un bel suolo avventurato») è giusto che uno di noi ti serva da mano per scrivere quando non sei abbastanza forte. Scommetto che il ricordo di Rataplan e della canzone della Loira ti faranno sorridere. Eppure ricordo anche quanto ammirassi (dovevo avere quattro o cinque anni) la tua abilità nell’imitare sul tavolo il rullo del tamburo, quando declamavi Rataplan. Del resto tu non puoi immaginare quante cose io ricordo in cui tu appari sempre come una forza benefica e piena di tenerezza per noi. Se ci pensi bene tutte le quistioni dell’anima e dell’immortalità dell’anima e del paradiso e dell’inferno non sono poi in fondo che un modo di vedere questo semplice fatto: che ogni nostra azione si trasmette negli altri secondo il suo valore, di bene e di male, passa di padre in figlio, da una generazione all’altra in un movimento perpetuo. Poiché tutti i ricordi che noi abbiamo di te sono di bontà e di forza e tu hai dato le tue forze per tirarci su, ciò significa che tu sei già da allora, nell’unico paradiso reale che esista, che per una madre penso sia il cuore dei propri figli. Vedi cosa ti ho scritto? Del resto non devi pensare che io voglia offendere le tue opinioni religiose e poi penso che tu sei d’accordo con me piú di quanto non pare. Di’ a Teresina che aspetto l’altra lettera che mi ha promesso. Ti abbraccio teneramente con tutti di casa.

Antonio


195.

15 giugno 1931

Carissima Tatiana,

non ho saputo finora nulla del pacco che mi hai annunziato nelle tue ultime lettere. Sono possibili diverse spiegazioni: 1° il pacco è andato smarrito; 2° il pacco è giunto ma può essere stato respinto al mittente. Questa seconda spiegazione non deve maravigliarti e sembrarti impossibile. È vero che molto tempo fa ti era stato detto che si potevano inviare pacchi per i giorni di Pasqua, Statuto, Natale e questa possibilità teoricamente credo che esista ancora, ma il passaggio dalla potenza all’atto è concessione discrezionale, cioè che può essere anche ritirato in ogni momento. Del resto se il pacco è stato respinto, quando riceverai questa lettera dovrebbe già esserti stato riconsegnato; se non hai ricevuto nulla, sarà bene che sporga un reclamo all’ufficio postale, perché vorrebbe dire che c’è stato smarrimento. – Mi hai anche scritto che avevi intenzione di spedirmi l’Oblomov – testo originale e traduzione – il testo originale dell’Infanzia e Adolescenza di Tolstoi e il Principe del Machiavelli nell’edizione Casella; – devi sospendere ogni spedizione di tali libri e di qualsiasi altro, perché ora si possono ricevere libri solo se inviati direttamente dalle Librerie. I testi originali di Gonciarov e Tolstoi (con la traduzione dell’Oblomov; la traduzione del Tolstoi la posseggo) devi però conservarli; se sarà il caso, tra qualche tempo, ti indicherò io ciò che potrai fare in proposito. – I tuoi accenni al vecchio Isacco mi hanno fatto ricordare che da qualche tempo volevo farti una domanda che all’atto dello scrivere mi è finora sempre sfuggita dalla memoria. Un paio di mesi fa mi è stata data la notizia che la signorina Lydia si sarebbe suicidata nel Tevere molto tempo fa. È proprio vero? Se fosse vero si comprende che il vecchio Isacco abbia finito di perdere la testa e sarebbe da compiangere. La notizia mi era sembrata da accogliere con ogni cauzione (come tutte le notizie che circolano in carcere) perché ricordavo come la Lydia fosse una giovinetta seria e studiosa e anche molto modesta. – Cara Tatiana, io non ti ho mai detto che il marito di Margherita avesse mai avuto una qualsiasi ragione di esserne geloso: ti ho detto solamente che era geloso e che questo fatto mi pareva un tratto che diminuiva la sua forza di carattere e le sue capacità di lavorare, niente altro. A me non è mai constato che avesse ragione di essere geloso, dato che ci siano ragioni di essere gelosi (le ragioni di tal genere sarebbero poi ragioni di separarsi, non di essere gelosi). Ecco un fatto che dimostra come siano vane tutte le caratteristiche unitarie della popolazione di un paese: i Sardi, che passano per essere meridionali, non sono «gelosi» come si dice dei Siciliani o dei Calabresi. I reati di sangue per gelosia sono rarissimi, mentre sono frequenti i reati contro i seduttori delle ragazze; i contadini si dividono pacificamente se non vanno d’accordo o la moglie infedele è solamente cacciata di casa: spesso avviene che e il marito e la moglie divisi di fatto si accoppiino di nuovo con altra donna e altro uomo dello stesso villaggio. È vero che in molti paesi della Sardegna esisteva prima della guerra (adesso non so piú) l’unione di prova, cioè la coppia si sposava solo dopo aver avuto un figlio; in caso di infecondità ognuno ridiventava libero (ciò era tollerato dalla Chiesa). Vedi che differenza nel campo sessuale che pure ha tanta importanza nelle caratteristiche delle cosí dette «anime» nazionali? Ti abbraccio teneramente.

Antonio


196.

29 giugno 1931

Carissima mamma,

ho ricevuto una lettera di Grazietta che mi dà notizie dell’esito brillante degli esami dati da Mea a Cagliari. Sono molto contento e faccio tanti complimenti a Mea. Sperò che Mea mi scriverà ella stessa per descrivermi minutamente questi esami e per dirmi le sue impressioni su Cagliari. Io sono da tanto tempo fuori circolazione, che non so nemmeno quale carattere e quale scopo abbiano questi esami di ammissione che si dànno prima della licenza elementare. Immagino che siano esami di Stato per l’ammissione alle scuole medie, istituiti con lo scopo precipuo di far pagare delle forti tasse e quindi rendere piú difficile ai ragazzi poveri di avviarsi agli studi. Vorrei fare a Mea un qualche piccolo regalo e vedrò di farlo; possiedo una scatola di pastelli e dei quadernetti di carta da disegno che Tatiana mi ha mandato qualche anno fa pensando che i carceri coltivino le attitudini artistiche dei galeotti; la prima volta che spedirò dei libri metterò nel collo questi oggetti e cosí Mea si ricorderà di me. (Non mi hai mai scritto se il collo di libri che ho consegnato a Carlo nel mese di marzo scorso e che Carlo doveva spedire per ferrovia, è giunto a destinazione). Teresina non ha ancora scritto la lettera che mi aveva annunziato.

Ho ricevuto notizie abbastanza recenti da Giulia e dai piccini. Anche Delio ha cercato di scrivere una lettera (non lo hanno mai indotto a imparare a scrivere, ma hanno lasciato che egli imparasse per conto suo, spinto dal suo solo desiderio; pare che cosí abbiano voluto anche i medici perché il bambino è nervoso e non si vuole appassionarlo troppo precocemente al lavoro intellettuale). Stanno abbastanza bene; in questi giorni devono essere partiti da Mosca per andare qualche tempo in campagna.

Fammi sapere spesso tue notizie. Spero davvero, come scrive Grazietta, che adesso tu stia meglio.

Ti abbraccio affettuosamente con tutti.

Antonio


197.

29 giugno 1931

Carissima Tatiana,

in questi 15 giorni mi hai scritto solo una cartolina. Troppo poco, troppo poco! Bisogna che protesti molto energicamente, perché altrimenti la cosa diventerà abitudinaria o avverrà ancor peggio, cioè tu non mi scriverai neanche piú ogni quindici giorni. Perciò la pura protesta non è sufficiente e se ancora tu mi scriverai cosí poco, io per rappresaglia ti scriverò ancor meno: è questa la sola rappresaglia che purtroppo mi rimane possibile.

Il pacco è giunto e qualche cosa mi è stata anche già consegnata. Ho saputo che il pacco era giunto due giorni dopo che avevo scritto la lettera; cercai di riaverla per aggiungervi una nota ma non mi fu concesso. Ti ringrazio di cuore. C’è stata qualche difficoltà, perché il giorno dello Statuto non è una festa famosa come Natale o Pasqua; del resto devi ricordare che io sono stato condannato proprio il lunedí successivo all’80° anniversario dello Statuto: è una coincidenza degna di ricordo, data la mia qualità di deputato al Parlamento Nazionale arrestato nell’integrità delle mie funzioni.

Ho ricevuto già da un pezzo i 3 volumi delle Oeuvres phylosophiques di Marx che sono tradotte in modo scelleratissimo. Delle Oeuvres politiques ho ricevuto solo due volumi che non so a quali numeri d’ordine corrispondano perché non li ho in cella in questo momento: uno è dedicato a lord Palmerston e deve essere intitolato proprio Palmerston, l’altro non ha un titolo unico (deve essere proprio l’8° tomo delle opere politiche) e contiene tre brevi serie di scritti: una sull’esercito inglese durante la guerra di Crimea, una sul generale Espartero e la politica spagnola nei primi anni del decennio 1850-1860 e una sulla presa di Kars durante la guerra di Crimea. Con queste indicazioni Piero può vedere quali volumi mi mancano.

Dell’epistolario non ho ricevuto nessun tomo (in questa collezione Costes). Puoi scrivere a Piero che faccio rapidi progressi nella lettura dell’inglese; mi riesce molto piú facile del tedesco. Leggo abbastanza rapidamente, sebbene il dizionarietto che ho sia insufficiente e manchi di molti termini tecnici o piú legati all’uso corrente. L’estratto dell’«Economist» sul piano quinquennale l’ho letto in due o tre giorni e credo non mi sia sfuggita neanche un’espressione.

Accenni alla possibilità di un tuo viaggio a Turi. Io te lo sconsiglio. Scrivi che non ti «pare nemmeno giusto» di aver lasciato passare tanto tempo senza vedermi. Credo che la giustizia non entra per nulla nella quistione. E non pensare neanche che io pensi di essere dimenticato ecc. Se vuoi farmi un vero piacere non devi venire (non perché io non sia contento di vederti, si capisce).

Attendo tutte le lettere arretrate che avevi promesso di scrivere nel numero di 4.5 ogni 15 giorni. Ti abbraccio teneramente

Antonio


198.

13 luglio 1931

Carissima Tatiana,

ti faccio tanti auguri per l’operazione che devi subire in questi giorni. Spero che al momento in cui ti giungerà questa mia lettera tutto sia finito felicemente; potresti mandarmi un telegramma? Devo dirti che non ho ancora capito bene il disturbo da cui sei stata afflitta. Me ne hai accennato parecchie volte, ma sempre in modo vago e fuggevole; la tua attenzione era attratta piú dal modo di comportarsi dei medici verso la tua malattia che dalla malattia stessa, mentre a me premeva piú conoscere esattamente le tue condizioni di salute che l’atteggiamento dei medici verso le tue diagnosi. Spero che non avrai preso sul serio e non ti sarai afflitta per la minaccia scherzosa che ti avevo fatto di non scrivere piú se non avessi ricevuto 4-5 tue lettere ogni quindici giorni. Si trattava di un modo di far pressione sulla tua volontà per indurti a scrivermi piú spesso: se avessi saputo che soffrivi di emicranie e di altri disturbi per la malattia, non avrei ricorso a questo espediente. Sai la novità? D’ora in avanti potrò scrivere ogni settimana invece che ogni 15 giorni. Veramente non so come potrò utilizzare questa maggiore possibilità; quanto piú passa il tempo tanto piú ho meno volontà di scrivere. Mi pare che ogni giorno si spezzi un nuovo filo dei miei legami col mondo del passato e che sia sempre più difficile riannodare tanti fili strappati. Credo che il mio carattere personale, cioè l’insieme dei modi in cui ero abituato a reagire e a entrare in rapporto col mondo ambiente, sia molto cambiato, tanto che io stesso, per aver subito il processo lentamente, non riesco a rendermene conto in misura esatta. Del resto questo stesso processo l’ho subito già due o tre volte nel periodo precarcerario. – In ogni caso tutto questo importa poco; rimane l’acquisizione positiva del poter scrivere ogni lunedí che è molto importante. Accanto a questa positività c’è stata una negatività. I soldi del libretto esistenti al 30 giugno sono stati bloccati in questo modo: il 20 per 100 è stato accantonato e non può essere speso in modo alcuno; il restante 80% può essere speso solo per comprare generi alimentari. Non si può spendere nulla di questa somma per tabacco o altre cosette che potrebbero essere necessarie; credo che solo per via dello stato di forza maggiore si può spendere per affrancare le lettere. Per queste spese non alimentari occorre ricevere nuovi soldi dalla famiglia. Al 30 giugno io possedevo L. 368,93; di esse L. 73,78 sono state accantonate come «massa» che dovrebbe essere la base di formazione di una somma di 500 lire da avere disponibili al momento del termine della condanna; sono rimaste L. 295,15 per le spese in generi alimentari. Da parecchi giorni non posso fumare e questa brusca interruzione di una abitudine radicata come una seconda natura mi dà una certa agitazione nervosa. Appena sarai nelle condizioni di poterlo fare, ti prego perciò di essere tanto buona da spedirmi una piccola somma, non piú di 50 lire, che mi permetta di tentare di smettere di fumare con un processo un po’ più graduato. Da qualche mese mi ero realmente proposto di cercare di disintossicare il mio organismo dal fumo e avevo raggiunto un certo successo. Credo che nel mese di giugno ero già arrivato a ridurre il fumo a 1/3 da quello che consumavo ancora nei primi mesi del mio arrivo a Turi e a 1/5 da quello che consumavo in libertà. – Come vedi, non ti lascio tranquilla con le mie esigenze da carcerato nemmeno mentre ti trovi in clinica per subire un atto operatorio. Gli è che voglio credere, come mi hai scritto, che si tratta di una cosa noiosa ma non grave. Carissima Tatiana, attendo con ansia le prossime notizie tue; sarà proprio bene che mi informi con un telegramma o con una cartolina espresso.

Ti abbraccio teneramente e ti faccio tante carezze per le noie dolorose dell’atto operatorio

Antonio


199.

20 luglio 1931

Carissima Tatiana,

come vedi, inizio la corrispondenza settimanale e non piú quindicinale, ma non ho nessunissima voglia di scrivere. Del resto, ciò dipende anche da ragioni fisiologiche; il caldo è atroce certi giorni, dormo poco, sono dominato da una grande svogliatezza; anche il leggere non mi attrae. Come dicono in Sardegna, giro nella cella come una mosca che non sa dove morire. – Penso che fino a sabato, o forse anche a domenica, hai dovuto restare in clinica, perché non ho ricevuto ancora tue notizie. Spero che tutto sia andato bene e che ti sia liberata dal tuo malessere. Ti abbraccio teneramente

Antonio


200.

20 luglio 1931

Carissima Teresina,

non ho ancora ricevuto risposta a due mie lettere alla mamma. Questa volta il vostro silenzio mi impressiona. Dalle ultime lettere ricevute appariva che negli ultimi tempi le condizioni di salute della mamma erano troppo oscillanti. Fate molto male a lasciarmi cosí in ansia per tanto tempo. Mi rivolgo a te e ti prego proprio di cuore di volermi sinceramente informare di tutto, anche con poche parole. Ti abbraccio affettuosamente.

Antonio


201.

27 luglio 1931

Carissima Tatiana,

da un accenno contenuto nella tua cartolina del 21 luglio ho potuto capire che l’atto operatorio da te subito è stato molto piú complesso e doloroso di quanto tu non mi avessi fatto credere. Sono tanto piú contento che tutto sia andato bene. Che il tuo comportamento sia stato ottimo dinanzi alla sofferenza, lo credo senza fatica; sono persino portato a credere che talora tu abbia una specie di gusto sportivo nel dimostrarti forte anche quando la dimostrazione potrebbe essere evitata. Ho ricevuto il tuo vaglia e ti ringrazio di gran cuore. Puoi scrivere a Piero che leggo sistematicamente le due pubblicazioni inglesi che ricevo e che spero di fare dei progressi molto rapidi nell’apprendimento della lingua. È vero che da qualche mese soffro molto di smemoratezza. Non ho piú avuto da un pezzo delle forti emicranie come nel passato (emicranie che chiamerei «assolute»), ma in contraccambio mi risento di piú, relativamente, di uno stato permanente che può essere indicato riassuntivamente come uno svaporamento di cervello; stanchezza diffusa, sbalordimento, incapacità di concentrare l’attenzione, rilassatezza della memoria ecc. Sarà bene che non mi spediscano piú delle nuove riviste, come è stato fatto in questi ultimi tempi. Di una sola desidererei continuare la lettura: si tratta della rassegna di bibliografia di sociologia pubblicata dalla casa editrice Marcel Rivière intitolata «La Critique Sociale» di cui ho ricevuto il primo numero del marzo 1931 e che esce solo sei volte all’anno. Non è molto ben fatta ed è anzi un segno di decadenza che una casa editrice giustamente accreditata come quella del Rivière pubblichi uno zibaldone cosí disordinato e senza indirizzo scientifico serio; tuttavia, per avere una rivista bibliografica francese, e dato che è poco ingombrante e non molto costosa, desidero averla. Puoi scriverlo a Piero. Desidererei anche avere il recente fascicolo della «Rivista di diritto penitenziario» che pubblica il nuovo Regolamento carcerario. Questa rivista esce a Roma ed è stampata alle Mantellate; il fascicolo costa solo 8 lire. Se tu puoi uscire e desideri spedirmelo direttamente, puoi trovare o procurarti il fascicolo presso qualche libreria di scienze giuridiche (non credo che si possa trovare presso qualunque libreria). Se lo commissioni da Sperling e Kupfer ricordati di precisare che si tratta del fascicolo che contiene il nuovo Regolamento carcerario. – Carissima, ti darò ancora qualche fastidio, per il momento in cui potrai muoverti e girare per Roma: – 1° sarà bene spedirmi un po’ di carta e buste per la corrispondenza; credo che il deposito sia quasi esaurito. – 2° desidererei che tu mi spedissi una decina di scatole di fiammiferi svedesi e una decina di buste di cartine per sigarette. – Ho atteso una tua lunga lettera, secondo promessa fatta; fino a questo momento (1½ p. m. del 27 luglio) non l’ho ricevuta. Devi scrivermi a lungo davvero, descrivendomi per benino le tue condizioni di salute, senza menare il can per l’aia a proposito dei medici o di altre cose accessorie; voglio notizie positive, concrete e non considerazioni personali. Ricordati che sono stato direttore di giornale quotidiano e quindi ho una certa competenza in materia. Quando un reporter invece di portare notizie, divaga prolissamente, ciò significa che ha perduto il tempo al caffè invece di lavorare a informarsi; nel caso tuo, che non sei un reporter, significa che si vuol nascondere qualche cosa. Ti abbraccio teneramente

Antonio


202.

27 luglio 1931

Carissima Giulia,

fra qualche giorno Delio compirà i 7 anni e alla fine del mese Giuliano compirà 5 anni. Per Delio la data è importante, perché comunemente i 7 anni sono considerati una tappa importante nello sviluppo di una personalità. La Chiesa Cattolica, che indubbiamente è l’organismo mondiale che possiede la maggiore accumulazione di esperienze organizzative e propagandistiche, ha fissato ai 7 anni l’entrata solenne nella comunità religiosa con la prima comunione, e presuppone nel fanciullo la prima responsabilità per la scelta di una ideologia che dovrebbe imprimere un ricordo indelebile per tutta la vita. Non so se tu darai a questa festa di Delio un carattere particolare, che lasci nella sua memoria una traccia piú profonda e duratura delle altre ricorrenze annuali. Se Giuliano non avesse solo 5 anni e se non fosse impossibile, almeno entro certi limiti, distinguere tra Delio e Giuliano, crederei che questo sarebbe il momento di spiegare a Delio che io sono in carcere e il perché io sono in carcere. Credo che una tale spiegazione, unita al fatto che ormai lo si considera capace di un certo senso di responsabilità, farebbe in lui una grande impressione e segnerebbe indubbiamente una data nel suo sviluppo. Non so esattamente come tu pensi in proposito. Qualche volta mi pare che su questo argomento la pensiamo identicamente; altre volte mi pare che nella tua coscienza ci sia un certo dissidio non ancora composto: tu, cioè (a quanto mi pare talvolta), comprendi bene intellettualmente, teoricamente, di essere un elemento dello Stato e di avere il dovere, come tale, di rappresentare ed esercitare il potere di coercizione, in determinate sfere, per modificare molecolarmente la società e specialmente per rendere la generazione nascente preparata alla nuova vita (di compiere cioè in determinate sfere quell’azione che lo Stato compie in modo concentrato su tutta l’area sociale) – e lo sforzo molecolare non può teoricamente essere distinto dallo sforzo concentrato e universalizzato; – ma mi pare che praticamente non riesci a liberarti da certi abiti tradizionali che tengono legati alle concezioni spontaneiste e libertarie nello spiegare il sorgere e lo svilupparsi dei nuovi tipi di umanità che siano capaci di rappresentare le diverse fasi del processo storico. Cosí almeno mi pare, ma posso anche sbagliarmi. In ogni modo voglio che tu mi senta vicino a te e ai nostri bambini nei giorni in cui si ricorda loro che sono cresciuti di un anno, che sono sempre meno bambini e sempre piú uomini. Ti abbraccio teneramente

Antonio


203.

3 agosto 1931

Carissima Tatiana,

a me pare che tu abbia drammatizzato la mia espressione sui «fili strappati» e perciò voglio precisare meglio il mio attuale stato d’animo. Io ho la impressione, che si va sempre piú radicando e acquistando la forza di una convinzione, che il «mondo» delle mie relazioni affettive si sia ormai abituato all’idea che io sono in carcere. Ciò non avviene senza reciproca; anch’io mi sono abituato all’idea che gli altri si sono abituati ecc. e ciò appunto costituisce il mio stato d’animo. Ti ho scritto che nel passato ciò mi è avvenuto qualche altra volta (sebbene non con riferimento a carcere, naturalmente) ed è vero. Ma nel passato queste «rotture di fili» quasi mi riempivano di orgoglio, tanto che non solo non cercavo di evitarle, ma le promuovevo volontariamente. In realtà allora si trattava di fatti progressivi necessari per la formazione della mia personalità e la conquista della mia indipendenza; ciò appunto non poteva avvenire senza rompere una certa quantità di fili, poiché si trattava di mutare completamente il terreno su cui sviluppare la mia vita ulteriore. Oggi non è cosí, oggi si tratta di cose piú vitali; non essendoci da parte mia mutamento di terreno culturale, si tratta di sentirmi isolato nello stesso terreno che di per se stesso dovrebbe suscitare legami affettivi. Non credere che il sentimento di essere personalmente isolato mi getti nella disperazione o in qualunque altro stato d’animo da tragedia. Di fatto io non ho mai sentito bisogno di un apporto esteriore di forze morali per vivere fortemente la mia vita anche nelle peggiori condizioni; tanto meno oggi, quando io sento che le mie forze volitive hanno acquistato un piú alto grado di concretezza e di validità. Ma mentre nel passato, come ho detto, mi sentivo quasi orgoglioso di trovarmi isolato, ora invece sento tutta la meschinità, l’aridità, la grettezza di una vita che sia esclusivamente volontà. Questo è il mio attuale stato d’animo. – Mi pare che tu non abbia ricevuto, o abbia ricevuto con gran ritardo, una mia lettera di qualche settimana fa; si trattava di poche righe per te e di poche righe per mia sorella Teresina. Sai che non mi scrivono da casa da parecchio e non mi mandano notizie sulla salute della mamma? Sono molto preoccupato al riguardo. – Ho dato una prima scorsa all’articolo del principe Mirschi sulla teoria della storia e della storiografia e mi pare che si tratti di un saggio molto interessante e pregevole. Del Mirschi avevo letto qualche mese fa un saggio su Dostoievschi pubblicato in un numero unico della «Cultura» dedicato al Dostoievschi stesso. Anche questo saggio era molto acuto ed è sorprendente che il Mirschi si sia con tanta intelligenza e penetrazione impadronito di una parte almeno del nucleo centrale del materialismo storico. Mi pare che la sua posizione scientifica sia tanto piú degna di nota e di studio, in quanto egli si dimostra libero da certi pregiudizi e incrostazioni culturali che si erano venuti parassitariamente infiltrando nel campo degli studi di teoria della storia in conseguenza della grande popolarità goduta dal positivismo alla fine del secolo scorso e agli inizi dell’attuale. – Ho già ricevuto le Prospettive Economiche del Mortara; mi pare che il volume di quest’anno rappresenti una svolta nell’indirizzo finora dato dall’autore al suo annuario. La crisi economica con le sue incognite paurose deve aver contribuito a fissare il nuovo atteggiamento del Mortara; in ogni modo è scientificamente scandaloso un cambiamento cosí radicale da un anno all’altro. – Si può dire che ormai non ho più un vero programma di studi e di lavoro e naturalmente ciò doveva avvenire. Io mi ero proposto di riflettere su una certa serie di quistioni, ma doveva avvenire che a un certo punto queste riflessioni avrebbero dovuto passare alla fase di una documentazione e quindi ad una fase di lavoro e di elaborazione che domanda grandi biblioteche. Ciò non vuol dire che perda completamente il tempo, ma, ecco, non ho piú delle grandi curiosità in determinate direzioni generali, almeno per ora. Ti voglio dare un esempio: – uno degli argomenti che piú mi ha interessato in questi ultimi anni è stato quello di fissare alcuni aspetti caratteristici nella storia degli intellettuali italiani. Questo interesse nacque da una parte dal desiderio di approfondire il concetto di Stato e dall’altra parte di rendermi conto di alcuni aspetti dello sviluppo storico del popolo italiano. Pur restringendo alle linee essenziali la ricerca, essa rimane tuttavia formidabile. Bisogna necessariamente risalire all’Impero Romano e alla prima concentrazione di intellettuali «cosmopoliti» («imperiali») che esso determinò: studiare quindi la formazione dell’organizzazione chiericale cristiano-papale che dà all’eredità del cosmopolitismo intellettuale imperiale una forma castale europea ecc. ecc. Solo cosí, secondo me, si spiega che solo dopo il 700, cioè dopo l’inizio delle prime lotte tra Stato e Chiesa col giurisdizionalismo, si possa parlare di intellettuali italiani «nazionali»: fino allora, gli intellettuali italiani erano cosmopoliti, esercitarono una funzione universalistica (o per la Chiesa, o per l’Impero) anazionale, contribuirono a organizzare altri stati nazionali come tecnici e specialisti, offrirono «personale dirigente» a tutta l’Europa, e non si concentrarono come categoria nazionale, come gruppo specializzato di classi nazionali. – Come vedi questo argomento potrebbe dar luogo a tutta una serie di saggi, ma per ciò è necessaria tutta una ricerca erudita. – Cosí avviene per altre ricerche. Bisogna anche tener conto che l’abito di severa disciplina filologica, acquistato durante gli studi universitari, mi ha dato un’eccessiva, forse, provvista di scrupoli metodici. Da tutto ciò viene una difficoltà a indicare libri troppo specializzati. Del resto ti indico due volumi che desidero leggere: 1° Un trentennio di lotte politiche (1894-1922) del prof. De Viti De Marco, «Collezione meridionale» editrice, Roma; 2° Lucien Laurat, L’Accumulation du capital d’après R. Luxembourg, Paris, Rivière. – Ciò che scrivi a proposito del nuovo regolamento carcerario e della possibilità di fare delle traduzioni in carcere è progetto senza base; io non voglio impegnarmi a fare dei lavori continuativi, perché non sempre sono in grado di lavorare; del resto nelle case speciali l’obbligo di lavoro non credo neanche possa sussistere. Carissima, ho cercato di scriverti il piú a lungo che mi è stato possibile. Ti abbraccio teneramente.

Antonio


204.

10 agosto 1931

Carissima Tatiana,

ieri ho ricevuto le buste e la carta che mi hai spedito, con le altre cosette. La settimana ventura, dopo che sarà stata registrata, timbrata ecc. potrò scrivere nella tua carta. D’altronde oggi ho pochissima voglia di scrivere e realmente sono un po’ indisposto. Lunedí venturo ti descriverò per filo e per segno tutti i sintomi di questa indisposizione, dopo che avrò avuto piú tempo di osservarmi. Il caldo mi fa molto soffrire. Dormo pochissimo. Credi che possa riprendere per qualche tempo il Sedobrol? È da circa sei mesi che non ne prendo, mi pare. È vero che potrei farlo acquistare qui direttamente, ma ho osservato che non sempre i medicinali che si acquistano qui sono molto freschi ed il Sedobrol si deteriora facilmente. Di una altra cosa avrei bisogno: di avere un termometro per la temperatura. Spesso ho l’impressione di avere la temperatura o un po’ piú alta o un po’ piú bassa del normale. Qui la temperatura si può far prendere dall’infermiere, ma ci sono due elementi speciali nel caso mio: 1° ho l’impressione di avere la temperatura bassa nelle prime ore del mattino e naturalmente qui la temperatura vengono a prenderla al pomeriggio; 2° sarebbe bene avere un termometro preciso e rapido nel muoversi; i termometri «ufficiali» qui sono molto ordinari (ne ho rotto uno e me lo hanno fatto pagare 8 lire, qualche mese fa) e per giungere alla misura esatta impiegano 7.8 minuti, ciò che fa dubitare che siano molto precisi. – Carlo non mi ha scritto dal mese di marzo, cioè da quando è stato a Turi. Anche da Ghilarza non mi scrivono da un pezzo; non hanno risposto a 3 mie lettere. Tu sei il mio solo corrispondente da qualche mese, ma ho paura che se continui a fare esperimenti dietetici come quelli che mi descrivi nella tua lettera del 6 agosto, farai la fine del cavallo di monsignor Perrelli. Ma che ti salta in testa di inventare tante bizzarrie? Se tu stessa scrivi di mangiar poco, ciò significa che mangi quasi nulla. Da questo punto di vista, io mangio tutto ciò che mi passa il carcere; ho meno appetito, ma mangio lo stesso tutta la razione. – In una cartolina del 2 agosto accenni ad alcuni documenti che riguardano il mio processo (i ricorsi di Umberto) che l’avvocato (quale avvocato?) pensa sarebbe utile io vedessi. Perché l’avvocato, questo avvocato x non mi spedisce egli stesso questi documenti? Penso sia il modo piú semplice di fare le cose.

Ti abbraccio

Antonio


205.

17 agosto 1931

Carissima Tatiana,

ti ho accennato, la volta scorsa, a una certa indisposizione che mi tormentava. Te la voglio oggi descrivere il piú oggettivamente che mi sarà possibile e con tutti quei particolari che mi sembrano essenziali. Incominciò cosí: – all’una del mattino del 3 agosto, proprio 15 giorni fa, ebbi uno sbocco di sangue, all’improvviso. Non si trattò di una vera e propria emorragia continuata, di un flusso irresistibile come ho sentito descrivere da altri: sentivo un gorgoglio nel respirare come quando si ha del catarro, seguiva un colpo di tosse e la bocca si riempiva di sangue. La tosse non era violenta e neppure forte: proprio la tosse che viene quando si ha un qualcosa di estraneo in gola, a colpi isolati, senza accessi continuati e senza orgasmo. Ciò durò fino alle quattro circa e in questo frattempo cacciai fuori 250-300 grammi di sangue. In seguito non mi vennero piú boccate di sangue, ma ad intervalli del catarro con grumi di sangue. Il medico, dottor Cisternini, mi ordinò il «cloruro di calcio con adrenalina al millesimo» e disse che avrebbe sorvegliato il decorso del male. Il mercoledí, 5 agosto, il medico mi auscultò ed escluse che si trattasse di affezione ai bronchi; emise l’ipotesi che la febbre, che intanto si era manifestata, potesse essere di origine intestinale. Il catarro con grumi sanguigni (non molto abbondante né frequente) mi è durato fino a qualche giorno fa: da qualche giorno i grumi sono completamente spariti; anche se talvolta mi è venuto qualche accesso di tosse relativamente forte non ho sputato neanche catarro; si trattava quindi di tosse nervosa accidentale. – Ho avuto un sintomo che mi pare renda attendibile l’origine intestinale della febbre: verso il 5 o 6 agosto ho avuto un’espulsione nella pelle: l’avambraccio sinistro era completamente coperto di puntini rossi, cosí, ma meno, il collo e il petto verso sinistra, niente nel braccio destro. La febbre: ha un decorso irregolare e saltuario. Alle sei del mattino la temperatura è di 36.5 – 36.4 (un mattino 36.1), cresce fino a 37.4 verso le 11½, ritorna a 36.7 verso le due del pomeriggio e risale a 37.4 verso le 6.7. La temperatura non è mai salita oltre i 37.4. Da due sere la febbre continua anche nella prima notte, fino a mezzanotte e non mi lascia dormire: ho misurato la temperatura ieri sera alle 11, era 37.4. Mi addormentai un po’ dopo mezzanotte e stamane alle 6 la temperatura era 36.4. – Prima dello sbocco di sangue, avevo sofferto in modo eccezionale per il caldo della stagione e avevo avuto sudate eccezionali, specialmente di notte. Le grandi sudate notturne sono durate fino a 5-6 giorni fa, poi erano cessate: hanno ripreso, ma meno intensamente, nelle due sere che ho avuto la febbre della prima notte. – Credo di averti dato tutte le informazioni essenziali. Devo aggiungere che non mi sono indebolito in misura notevole e non ho subito nessun contraccolpo psichico. Finché sputai i grumi sanguigni, avevo sempre l’impressione nauseosa del dolciastro in bocca e mi pareva che ogni volta che tossivo dovesse ripetersi il sangue della prima volta; ma oggi (cioè da quando sono cessati gli sputi grumosi) anche questa impressione è sparita e perciò non credo che fosse puramente psichica. Ora tu potrai darmi tutti i consigli che riterrai opportuno. Come vedi, non c’è niente di preoccupante, quantunque, come dice il medico, occorra «sorvegliare».

Ho letto con molto interesse la lettera del prof. Cosmo che mi hai ricopiato. L’impressione è molto complessa. Mi dispiacerebbe molto se il prof. Cosmo avesse potuto anche lontanamente sospettare che io abbia potuto neanche pensare un giudizio su di lui che ponesse in dubbio la sua rettitudine, la dignità del suo carattere, il suo senso del dovere. Nelle ultime pagine della Vita di Dante pare che lo scrittore sia egli stesso un cattolico fervidamente credente. Avevo messo accanto questa impressione al fatto che il Cosmo insieme col Gerosa ha compilato un’antologia di scrittori latini dei primi secoli della Chiesa per una casa editrice cattolica e avevo pensato che il Cosmo si fosse convertito. Non avevo certo pensato che una tale conversione potesse avere niente di «opportunistico» e tanto meno di venale, come purtroppo è avvenuto per molti grandi intellettuali: lo stesso cattolicismo fervente del Gerosa, come ben ricordo, aveva piuttosto venature giansenistiche che venature gesuitiche. Tuttavia il fatto mi era dispiaciuto. Quando ero allievo del Cosmo in molte cose non ero d’accordo con lui, naturalmente, sebbene allora non avessi precisato la mia posizione e a parte l’affetto che mi legava a lui. Ma mi pareva che tanto io come il Cosmo come molti altri intellettuali del tempo (si può dire nei primi 15 anni del secolo) ci trovassimo in un terreno comune che era questo: partecipavamo in tutto o in parte al movimento di riforma morale e intellettuale promosso in Italia da Benedetto Croce, il cui primo punto era questo, che l’uomo moderno può e deve vivere senza religione e s’intende senza religione rivelata o positiva o mitologica o come altrimenti si vuol dire. Questo punto mi pare anche oggi il maggiore contributo alla cultura mondiale che abbiano dato gli intellettuali moderni italiani, mi pare una conquista civile che non deve essere perduta e perciò mi spiacque quel tono un po’ apologetico e mi entrò quel dubbio. Adesso mi spiacerebbe se il vecchio professore avesse egli sentito un dolore per causa mia, anche perché dalla sua lettera appare che egli è stato gravemente ammalato. Nonostante tutto, io spero di poterlo ancora rivedere e potere impegnare con lui qualcheduna di quelle lunghe discussioni che facevamo talvolta negli anni di guerra passeggiando di notte per le vie di Torino.

Carissima, ho ricevuto il regolamento carcerario e farò la pratica per poter leggere uno o piú giornali politici, se e come sarà concesso. Se concedono un solo giornale, mi pare che la scelta non possa non cadere sul «Corriere della Sera». Se concederanno piú giornali, sceglierò «La Stampa» e un giornale sindacale, «Il Lavoro» di Genova o il «Lavoro Fascista» di Roma oltre il «Corriere». Adesso non so come i giornali siano redatti e quali siano le caratteristiche peculiari di ognuno. Immagino che i giornali romani siano sempre i peggio fatti come nel passato. – Ho ricevuto le fotografie di Anna pochi momenti fa. Mi pare che stia molto meglio di quando io la vidi l’ultima volta, nel settembre od ottobre 1923; era allora molto magra, mi pare di ricordare. – Non devi credere che io mi privi di qualche cosa che potrei comprare al sopravitto; la realtà è che manca la merce da comprare. Frutta quest’anno ne hanno venduto poche volte e ogni volta l’ho comprata; il formaggio fresco da molto tempo non lo vendono piú. Il bettolino ha solo generi che io non posso mangiare proprio per i disturbi gastrici; il medico mi ha detto che non posso mangiare neanche il prosciutto. In modo tassativo mi attengo alle prescrizioni del medico, ma pur mangiando solo riso al burro, latte e uova non riesco tuttavia ad avere gli intestini a posto. – Ho ricevuto lettere da Ghilarza; sono stati tutti ammalati di febbri malariche. Come hai potuto pensare che io mi riferissi a mia madre scrivendo che molti si erano abituati all’idea che io sono in carcere? Mia madre non può scrivermi di sua mano e penso che ciò le dia un grande dispiacere. Una nipotina mi scrive che è disperata perché Carlo non scrive neanche a lei; bisognerebbe proprio fare una lavata di capo a Carlo e indurlo a mutare metodo. Ti abbraccio teneramente.

Antonio


206.

24 agosto 1931

Carissima mamma,

ho ricevuto le lettere di Mea, di Franco e di Teresina, con le informazioni sulla salute di tutti. Ma perché lasciarmi tanto tempo senza notizie? Anche con la febbre di malaria qualche riga si può scrivere e io mi accontenterò di qualche cartolina illustrata. Sto diventando vecchio anch’io, capisci? e quindi nervoso, piú irritabile e piú impaziente. Io faccio questo ragionamento: non si scrive a un carcerato o per indifferenza o per mancanza di immaginazione. Nel caso tuo e degli altri di casa non penso neanche si possa trattare di indifferenza. Penso piuttosto che si tratti di mancanza di immaginazione: non riuscite a rappresentarvi esattamente quale possa essere la vita del carcere e quale importanza essenziale abbia la corrispondenza, come riempia le giornate e dia ancora un certo sapore alla vita. Io non parlo mai dell’aspetto negativo della mia vita, prima di tutto perché non voglio essere compianto: ero un combattente che non ha avuto fortuna nella lotta immediata, e i combattenti non possono e non devono essere compianti, quando essi hanno lottato non perché costretti, ma perché cosí hanno essi stessi voluto consapevolmente. Ma ciò non vuol dire che l’aspetto negativo della mia vita carceraria non esista e non sia molto pesante e non possa almeno non essere aggravato dalle persone care. Del resto questo discorso non è rivolto a te, quanto a Teresina, a Grazietta, a Mea, che appunto potrebbe scrivermi almeno qualche cartolina.

Ho gustato molto la lettera di Franco e ho apprezzato i suoi cavallini, automobili, biciclette, ecc.: naturalmente, appena ciò mi sarà possibile, farò anche a lui un regalo per mostrargli che gli voglio bene e che sono sicuro che egli è un bravo e gentile ragazzino, anche se, come penso, qualche volta faccia delle monellerie. Spedirò a Mea la scatola dei pastelli, appena mi sarà possibile, ma non bisogna che Mea aspetti qualcosa di grandioso. Teresina non mi ha risposto a una domanda che le avevo fatto: se è arrivato il collo di libri e riviste che Carlo ha spedito da Turi il marzo scorso. Occorre che io sappia se questi libri e riviste vi danno fastidio, perché ne ho ancora decine e decine di chilogrammi da spedire, perché se devono andare dispersi tanto vale che, in parte almeno, li regali alla biblioteca del carcere. Naturalmente io penso che, in ogni modo, anche se danno incomodo nella ristrettezza di spazio di cui soffrite, essi potranno essere utili quando i bambini cresceranno; preparare loro una biblioteca familiare mi pare cosa importante. Teresina specialmente dovrebbe ricordare come si divoravano i libri nella nostra fanciullezza e come si soffrisse di non averne abbastanza a disposizione.

Ma come spieghi che la malaria infierisca tanto nel centro del paese? O si tratta solamente di voi? Io penso che gli attuali reggitori del Comune dovrebbero fare le fogne cosí come i loro predecessori hanno fatto l’acquedotto: acquedotto senza fogne non può non significare malaria diffusa dove la malaria era già allo stato sporadico. Insomma, prima le donne ghilarzesi erano brutte e ventrute per l’acqua cattiva, adesso saranno ancora piú brutte per la malaria; gli uomini faranno la cura intensiva del vino, immagino. Tanti abbracci affettuosi.

Antonio


207.

24 agosto 1931

Carissima Tatiana,

ho ricevuto i medicinali, il vaglia di 250 lire, le fotografie, il termometro ecc. Le fotografie che mi hai spedito erano tra le mie cose, eccetto quella della tua mamma. Mi ha fatto molto piacere riavere la fotografia dove Giulia si trova in gruppo, perché essa è dello stesso anno in cui ci siamo conosciuti: la fotografia è del luglio 22 e noi ci siamo conosciuti in settembre; il gruppo è costituito dal comitato per l’educazione artistica di Ivanovo e Giulia vi rappresentava la musica, ella era allora insegnante nel Liceo Musicale di Ivanovo, una cittadina tessile di 100.000 abitanti che anche negli anni della carestia aveva conservato il Liceo Musicale e possiede inoltre un Museo molto originale e in alcune sezioni veramente interessante. Figurati che, con grande dispiacere di Giulia, possiede anche alcune mummie egiziane tra molto altro bric-à-brac; ma interessante è certo l’insieme di oggetti orientali, fra cui la sciabola tempestata di gemme e il vestito di cerimonia dell’ultimo Khan di Khiva, sconfitto nel 20 da Frunze che era stato operaio tessile a Ivanovo e aveva spedito al Museo una parte delle spoglie di guerra. – Non so se hai ancora ricevuto la mia precedente lettera (vedo che talvolta, come mi scrivi, le lettere giungono con grande ritardo) in cui ti descrivevo la malattia che mi ha colpito. In questi ultimi giorni la febbre è calata; ieri sera la temperatura era 36.9 e in tutta la giornata non fu mai superiore, avantieri il massimo fu 37.2. I grumi di sangue non sono riapparsi; catarro non ne ho avuto né sanguigno né d’altra specie. Per due notti, qualche giorno fa, ho però avuto una gravezza molto pronunziata ai polmoni che non mi ha lasciato dormire e un certo dolore alle spalle che continua ancora un po’ attenuato. Mi sono io stesso sottoposto a una dieta, gli intestini funzionano meglio e quindi la febbre è caduta. Voglio appunto raggiungere questo scopo: di isolare il fenomeno bronco-polmonare, se esista, dalle complicazioni intestinali che dando la febbre, complicano le cose. La quistione che io però non so risolvere è questa: ammesso, per ipotesi, che avessi avuto l’inizio di una affezione bronco-polmonare, la febbre prodotta da ciò non determina essa stessa dei disturbi intestinali (dato che io soffrivo già da questo lato)? E allora che significato può avere la caduta della febbre? Ha un valore? Già prima soffrii di acuti disturbi intestinali senza perciò avere febbre (almeno in modo sensibile). Insomma, quale causa e quale origine può avere avuto l’emorragia di 3 settimane fa? ecc. Sarà bene che tu mi dia delle informazioni e dei consigli perché possa e sappia regolarmi. – Naturalmente sarò molto contento di avere qualche tua fotografia recente. Pensi che la khalavà, nonostante il suo potere ricostituente, non riscaldi troppo le viscere? Eppoi c’è in essa una certa quantità di farina di nocciole che non mi pare consigliabile. A che scopo servono le pastiglie di malto che mi hai inviato? Saranno ricostituenti anch’esse? Credo che non sia utile prendere tanti pasticci. – Sai che ho ricevuto dalla libreria una edizione dei Due Usseri di Tolstoi, col testo russo e la traduzione francese a lato; il testo è provvisto di tutti i segni diacritici per la pronunzia esatta e l’accentuazione. Quando avrò fatto maggiori progressi in inglese riprenderò a studiare il russo, almeno per non dimenticare ciò che ho già imparato. Le sopracalze non le ho ancora adoperate perché sto usando quelle precedenti: ho l’impressione, però, dopo averle viste, che esse si faranno consumare subito da questa qualità indiavolata di scarpe; invece le sopracalze precedenti resistono eroicamente. – Carissima, ti abbraccio teneramente

Antonio


208.

31 agosto 1931

Carissima Tatiana,

l’ultima tua lettera che ho ricevuto (del 28 agosto) domanda una risposta troppo lunga perché possa essere contenuta in due facciate. Perciò lascerò per la prossima volta alcuni argomenti e cercherò di esaurirne oggi alcuni: 1° Il ritardo con cui ricevi le mie lettere da qualche tempo a questa parte. Intanto devi essere avvertita che da parecchio tempo io ho spedito le lettere solo al tuo indirizzo e cosí continuerò a fare per semplificare il controllo del regolare funzionamento della posta e tutte le lettere sono state da me sempre consegnate il lunedí. Mi hai scritto di aver ricevuto la lettera del 20 luglio insieme con quella del 3 agosto e di averle ricevute ambedue il 13 o 14 agosto, cioè rispettivamente dopo 25 e dopo 10 giorni. Per la lettera del 3 agosto posso dire questo: che avendo per caso incontrato la guardia incaricata il 6 agosto e avendole domandato se la lettera era partita, mi assicurò che era già partita. Credo utile che tu conservi le buste delle rispettive lettere e mi comunichi ogni volta la data di partenza del bollo di Turi: la cosa è piú importante per me di quanto tu possa immaginare e se tu mi darai l’informazione che ti domando mi permetterai di controllare certe induzioni che sto facendo a proposito della mia corrispondenza. – 2° Tu scrivi che io ho accennato al fatto che «il mondo delle mie relazioni si sia ormai abituato all’idea che io sono in carcere» nella lettera scritta il 3 agosto cioè immediatamente dopo che mi sono sentito male. Ciò mi dispiace assai, perché pare che le due cose sia[no] collegate. In realtà io avevo fatto l’accenno 15 giorni prima, almeno, e il 3 agosto rispondevo a una tua lettera di risposta appunto a quella mia affermazione. Quindi tra i due fatti non ci fu nessun collegamento. Ciò significa che hai preso la quistione un po’ alla leggera mentre essa è per me della massima importanza. Mi rincresce che tu abbia ricorso a questa gherminella avvocatesca, ciò che potrebbe indurmi a non accennare piú a certi miei stati d’animo. – 3° La mia indisposizione. La febbre non è piú salita a piú di 37,2 e solo per un periodo della giornata piú breve, cioè circa dalle 4 alle 7 del pomeriggio. Da quando ho cominciato a prendere il Sedobrol dormo un po’ di piú, sebbene mi senta istupidito per tutta la giornata. In generale sto molto meglio. Non ho piú avuto i forti dolori al petto che mi hanno fatto soffrire fino a 8 giorni fa; non ho piú avuto sputi sanguigni e neanche forti sudori. È vero anche che il tempo si è rinfrescato. La cura me la sono combinata da me stesso e cioè ho deciso di non mangiare pane per nulla ecc.: mangio 3 uova al burro e 2 litri di latte. […]. Quindici giorni fa ho fatto la domandina per avere un pollastro in brodo e quattro o cinque giorni dopo l’ho avuto; domani lo domanderò ancora e cosí ogni quindici giorni; domanderò anche di avere un kg di uva al giorno per fare la cura dell’uva e allora ridurrò il latte che io non ho mai digerito molto bene. Cosí spero di cacciare definitivamente la febbre e di ristabilire le funzioni intestinali. Prendo la Forgenina. Di Sedobrol ne prendo 3 cachets ogni sera (ne potrei prendere 5 ma preferisco tenermi a 3, visto che opera e tuttavia mi istupidisce). Cosí la quistione è finita. – 4° Libri e riviste. Proprio oggi è arrivato il libro inglese sulla Scienza al bivio. Vorrei avere il libro di Sir James Jeans L’Universo intorno a noi pubblicato recentemente da Laterza di Bari. Il Jeans era citato nell’articolo del Mirski. Anche il Treves ha pubblicato o sta per pubblicare un libro di fisica di uno scrittore inglese molto noto (non ho presente il nome, mi pare sia l’Eddigton) tradotto dal figlio del Gentile: il Jeans è un fisico puro, l’Eddigton invece accetta l’idealismo nella scienza. Sugli abbonamenti alle riviste ho scritto in una precedente lettera: ho scritto che avrei desiderato essere abbonato alla «Critique Sociale» pubbl. dall’ed. Rivière e stop. Ti abbraccio teneramente

Antonio


209.

31 agosto 1931

Carissima Giulia,

una delle cose che piú mi hanno interessato nella tua lettera dell’8-13 agosto è la notizia che Delio e Giuliano si occupano di acchiappare le rane. Qualche giorno fa ho visto citato in un articolo di rivista un giudizio di lady Astor sul modo come in Russia sono trattati i bambini (lady Astor accompagnò G. B. Shaw e lord Lothian nella loro recente escursione): a quanto pare dall’articolo, la sola critica che lady Astor muove al trattamento fatto ai bambini è questa: che i russi sono talmente ansiosi di tener puliti i bambini, che non lasciano loro neanche il tempo di insudiciarsi. Come vedi, questa illustre signora è spiritosa e epigrammatica, ma piú spiritoso è certamente lo scrittore dell’articolo, che alza disperatamente al cielo le sue braccia liberali ed esclama: «Cosa mai sarà di questi bambini quando essi saranno cresciuti abbastanza perché diventi impossibile costringerli a fare il bagno». Pare che egli pensi che una volta diventata impossibile la coercizione, i ragazzi non faranno altro che tuffarsi programmaticamente nel fango come reazione individuale-liberale all’autoritarismo di cui sono attualmente vittime. In ogni modo mi piace che Delio e Giuliano abbiano qualche opportunità di insudiciarsi acchiappando le rane. Vorrei sapere se si tratta o no di rane commestibili, ciò che darebbe alla loro attività di cacciatori un carattere pratico e utilitario da non disprezzarsi. Non so se tu vorrai prestarti perché probabilmente avrai contro le rane le stesse aristocratiche prevenzioni di lady Astor (gli inglesi chiamano sprezzantemente i francesi «mangiatori di rane»), ma dovresti insegnare ai bambini a distinguere le rane commestibili dalle altre: quelle commestibili hanno il ventre completamente bianco, mentre le altre hanno il ventre rossastro. Si possono prendere mettendo nella lenza invece dell’amo un pezzo di cencio rosso che esse addentano: bisogna avere un brocchetto e metterle dentro dopo avere tagliato loro con le forbici la testa e le zampe. Dopo averle scuoiate, si possono preparare in due modi: per fare del brodo squisito, e in questo caso dopo averle bollite a lungo coi soliti condimenti si passano allo staccio in modo che tutto passi nel brodo eccetto le ossa: oppure si friggono e si mangiano dorate e croccanti. In un caso e nell’altro sono un cibo molto saporito ma specialmente molto nutriente e di facile digestione. Penso che Delio e Giuliano potrebbero fin dall’attuale loro tenera età entrare nella storia della cultura russa introducendo questo nuovo alimento nel costume popolare e facendo cosí realizzare parecchi milioni di rubli di nuova ricchezza umana togliendola al monopolio dei corvi, delle cornacchie e delle serpi. – Ciò che mi scrivi della tua salute mi interessa molto, ma non so se continui ancora la cura psicanalitica. Poiché Freud osserva che i familiari sono uno degli ostacoli piú gravi alla cura col trattamento della psicanalisi, io non ho mai voluto insistere sull’argomento e non ci insisterò neanche ora. Del resto tu stessa hai ricordato come spesso io mi riferissi ad alcuni principi della psicanalisi nell’insistere perché tu ti sforzassi di «sgomitolare» la tua vera personalità. Io ero convinto che tu soffrissi di ciò che i psicanalisti credo chiamino «complesso di inferiorità» che porta alla sistematica repressione dei propri impulsi volitivi, cioè della propria personalità, e all’accettazione supina di una funzione subalterna nel decidere anche quando si ha la certezza di avere ragione, salvo di tanto in tanto ad avere degli scoppi di irritazione furiosa anche per cose trascurabili. Nell’ottobre 1922 quando fui a Ivanovo, un mattino, avendo trovato la porta aperta, entrai in casa vostra senza che nessuno se ne accorgesse e cosí potei sentire, senza che tu lo sapessi, uno di questi scoppi furiosi. Te ne parlai in seguito, osservando che la caratteristica del tuo carattere come «mite e dolce» avrebbe dovuto essere corretta alquanto perché talvolta diventavi un po’ «galletto».

Ti abbraccio teneramente.

Antonio


210.

7 settembre 1931

Carissima Tatiana,

ho saputo da Carlo che tu gli hai scritto una lettera sulla mia indisposizione in cui dimostravi di essere molto impressionata; anche il dottor Cisternini mi ha detto di aver ricevuto una lettera in cui ti mostravi impressionatissima. Questo mi ha fatto dispiacere, perché mi pare che non c’era una ragione di essere impressionata. Devi sapere che io sono morto una volta e poi sono resuscitato, ciò che dimostra che ho sempre avuto la pelle dura. Da bambino, a 4 anni, ho avuto delle emorragie per tre giorni di seguito, che mi avevano completamente dissanguato, accompagnate da convulsioni. Il medico mi aveva dato per morto e mia madre ha conservato fino al 914 circa la piccola bara e il vestitino speciale che dovevano servire per seppellirmi; una zia sosteneva che ero resuscitato quando lei mi unse i piedini con l’olio di una lampada dedicata a una madonna e perciò quando mi rifiutavo di compiere gli atti religiosi mi rimproverava aspramente ricordando che alla madonna dovevo la vita, cosa che mi impressionava poco, a dir la verità. Da allora in poi, quantunque non sia mai stato molto forte, non ho però piú avuto nessun grave malore, all’infuori degli esaurimenti nervosi e delle dispepsie. Non mi sono arrabbiato per la tua lettera arciscientifica perché essa mi ha semplicemente fatto sorridere e mi ha fatto ricordare una novella francese che non ti racconto perché tu davvero non ti arrabbi. Io ho sempre rispettato i medici e la medicina sebbene rispetti di piú i veterinari che guariscono animali che non parlano e non possono descrivere i sintomi del loro male; ciò li costringe ad essere molto accurati (gli animali costano denari, mentre gli uomini non costano nulla, mentre una parte degli uomini sono valori negativi) mentre i medici non sempre riflettono che la lingua serve agli uomini anche per dire bugie o per lo meno per esprimere impressioni fallaci. – Dunque, mi sono rimesso abbastanza (a proposito, non sono rimasto a letto mai neppure mezz’ora piú del solito e sono sempre andato al passeggio): la media della febbre è diminuita e piú di rado giunge a 37.2. Certo è legata (almeno empiricamente, non so se scientificamente) alla digestione. Per esempio, da qualche giorno, al mattino mangio 2 o 3 etti di uva; ebbene se appena levato ho la temperatura di 36.2, dopo mangiato l’uva la temperatura sale subito a 36.9. La mia impressione è che sto molto meglio e che mi rimetterò ben presto. – Vorrei rispondere qualche cosa alla tua lettera del 28 agosto, in cui accenni qualcosa al mio lavoro sugli «intellettuali italiani». Si capisce che hai parlato con Piero, perché certe cose può solo avertele dette lui. Ma la situazione era diversa. In dieci anni di giornalismo io ho scritto tante righe da poter costituire 15 o 20 volumi di 400 pp., ma essi erano scritti alla giornata e dovevano, secondo me, morire dopo la giornata. Mi sono sempre rifiutato di fare delle raccolte sia pure ristrette. Il prof. Cosmo voleva nel 18 che gli permettessi di fare una cernita di certi corsivi che scrivevo quotidianamente in un giornale di Torino; egli li avrebbe pubblicati con una prefazione molto benevola e molto onorevole per me, ma io non volli permettere. Nel novembre del 20 mi lasciai persuadere da Giuseppe Prezzolini a lasciar pubblicare dalla sua casa editrice una raccolta di articoli che in realtà erano stati scritti su un piano organico, ma nel gennaio del 21 preferii pagare le spese di una parte della composizione già fatta e ritirai il manoscritto. Ancora nel 24 l’on. Franco Ciarlantini mi propose di scrivere un libro sul movimento dell’«Ordine Nuovo» che egli avrebbe pubblicato in una sua collezione dove erano già usciti libri di Mac Donald, di Gomperz ecc., egli si impegnava a non mutare neanche una virgola e a non appiccicare al mio libro nessuna prefazione o postilla polemica. Avere pubblicato un libro da una casa editrice fascista in queste condizioni era molto allettante, pure rifiutai: forse, penso adesso, avrei fatto meglio ad accettare. Per Piero la questione era diversa; ogni suo scritto di scienza economica era molto apprezzato e iniziava lunghe discussioni nelle riviste specializzate. Ho letto in un articolo del senatore Einaudi che Piero sta preparando una edizione critica dell’economista inglese David Ricardo; l’Einaudi loda molto l’iniziativa e anch’io sono molto contento. Spero di essere capace di leggere correntemente l’inglese quando questa edizione sarà pubblicata e di poter leggere Ricardo nel testo originale. Lo studio che ho fatto sugli intellettuali è molto vasto come disegno e in realtà non credo che esistano in Italia libri su questo argomento. Esiste certo molto materiale erudito ma disperso in un numero infinito di riviste e archivi storici locali. D’altronde io estendo molto la nozione di intellettuale e non mi limito alla nozione corrente che si riferisce ai grandi intellettuali. Questo studio porta anche a certe determinazioni del concetto di Stato che di solito è inteso come Società politica (o dittatura, o apparato coercitivo per conformare la massa popolare secondo il tipo di produzione e l’economia di un momento dato) e non come un equilibrio della Società politica con la Società civile (o egemonia di un gruppo sociale sull’intiera società nazionale esercitata attraverso le organizzazioni cosí dette private, come la chiesa, i sindacati, le scuole ecc.) e appunto nella società civile specialmente operano gli intellettuali (Ben. Croce, per es., è una specie di papa laico ed è uno strumento efficacissimo di egemonia anche se volta per volta possa trovarsi in contrasto con questo o quel governo ecc.). Da questa concezione della funzione degli intellettuali, secondo me, viene illuminata la ragione o una delle ragioni della caduta dei Comuni medioevali, cioè del governo di una classe economica, che non seppe crearsi la propria categoria di intellettuali e quindi esercitare un’egemonia oltre che una dittatura; gli intellettuali italiani non avevano un carattere popolare-nazionale ma cosmopolita sul modello della Chiesa e a Leonardo era indifferente vendere al duca Valentino i disegni delle fortificazioni di Firenze. I Comuni furono dunque uno stato sindacalista, che non riuscí a superare questa fase e a diventare Stato integrale come indicava invano il Machiavelli che attraverso l’organizzazione dell’esercito voleva organizzare l’egemonia della città sulla campagna, e perciò si può chiamare il primo giacobino italiano (il secondo è stato Carlo Cattaneo ma con troppe chimere in testa). Cosí ne deriva che il Rinascimento deve essere considerato un movimento reazionario e repressivo in confronto dello sviluppo dei Comuni ecc. Ti faccio questi accenni per farti persuasa che ogni periodo della storia svoltasi in Italia, dall’Impero romano al Risorgimento, deve essere guardato da questo punto di vista monografico. Del resto, se avrò voglia e me lo permetteranno le superiori autorità, farò un prospetto della materia che dovrà essere di non meno di 50 pagine e te lo invierò; perché, naturalmente, sarei lieto di avere dei libri che mi aiutassero nel lavoro e mi eccitassero a pensare. Cosí pure in una delle prossime lettere ti riassumerò la materia di un saggio sul canto decimo dell’Inferno dantesco perché trasmetta il prospetto al prof. Cosmo il quale come specialista in danteria, mi saprà dire se ho fatto una falsa scoperta o se realmente meriti la pena di compilarne un contributo, una briccica da aggiungere ai milioni e milioni di tali note che sono state già scritte. Non credere che io non continui a studiare, o che mi avvilisca perché a un certo punto non posso condurre piú avanti le mie ricerche. Non ho ancora perduto una certa capacità inventiva nel senso che ogni cosa importante che leggo mi eccita a pensare: come potrei costruire un articolo su questo argomento? Immagino un cappello e una coda piccanti e una serie di argomenti irresistibili, secondo me, come tanti pugni in un occhio e cosí mi diverto da me stesso. Naturalmente non scrivo tali diavolerie: mi limito a scrivere di argomenti filologici e filosofici, di quelli per cui Heine scrisse: erano tanto noiosi che mi addormentai ma la noia fu tanta che mi costrinse a risvegliarmi. Ti abbraccio teneramente.

Antonio