11 Lettere 301 – 330

301.

10 ottobre 1932

Carissimo Delio,

ho saputo che sei stato al mare e che hai visto delle cose bellissime. Vorrei che tu mi scrivessi una lettera per descrivermi queste bellezze. E poi, hai conosciuto qualche nuovo essere vivente? Vicino al mare c’è tutto un brulichio di esseri: granchiolini, meduse, stelle marine ecc. Molto tempo fa ti avevo promesso di scriverti alcune storie sugli animali che ho conosciuto io da bambino, ma poi non ho potuto. Adesso proverò a raccontartene qualcuna: – 1° Per esempio, la storia della volpe e del polledrino. Pare che la volpe sappia quando deve nascere un polledrino, e sta all’agguato. E la cavallina sa che la volpe è in agguato. Perciò, appena il polledrino nasce, la madre si mette a correre in circolo intorno al piccolo che non può muoversi e scappare se qualche animale selvatico lo assale. Eppure si vedono qualche volta, per le strade della Sardegna, dei cavalli senza coda e senza orecchie. Perché? Perché appena nati, la volpe, in un modo o in un altro, è riuscita ad avvicinarsi e ha mangiato loro la coda e le orecchie ancora molli molli. Quando io ero bambino uno di questi cavalli serviva a un vecchio venditore di olio, di candele, e di petrolio, che andava da villaggio in villaggio a vendere la sua merce (non c’era allora cooperative né altri modi di distribuire la merce), ma di domenica, perché i monelli non gli dessero la baia, il venditore metteva al suo cavallo coda finta e orecchie finte. – 2° Ora ti racconterò come ho visto la volpe la prima volta. Coi miei fratellini andai un giorno in un campo di una zia dove erano due grandissime querce e qualche albero da frutta; dovevamo fare la raccolta delle ghiande per dare da mangiare a un maialino. Il campo non era lontano dal paese, ma tuttavia tutto era deserto intorno e si doveva scendere in una valle. Appena entrati nel campo, ecco che sotto un albero era tranquillamente seduta una grossa volpe, con la bella coda eretta come una bandiera. Non si spaventò per nulla; ci mostrò i denti, ma sembrava che ridesse, non che minacciasse. Noi bambini eravamo in collera che la volpe non avesse paura di noi; proprio non aveva paura. Le tirammo dei sassi, ma essa si scostava appena e poi ricominciava a guardarci beffarda e sorniona. Ci mettevamo dei bastoni alla spalla e facevamo tutti insieme: bum! come fosse una fucilata, ma la volpe ci mostrava i denti senza scomodarsi troppo. D’un tratto si sentí una fucilata sul serio, sparata da qualcuno nei dintorni. Solo allora la volpe dette un balzo e scappò rapidamente. Mi pare di vederla ancora, tutta gialla, correre come un lampo su un muretto, sempre con la coda eretta e sparire in un macchione. Carissimo Delio, raccontami ora dei tuoi viaggi e delle novità che hai visto. Ti bacio insieme con Giuliano e a mamma Julca.

Antonio


302.

17 ottobre 1932

Carissima Tania,

ho ricevuto la tua raccomandata dell’11 con la lettera di Giulia e le tre fotografie; ho ricevuto anche la tua cartolina della stessa data. C’è una grande differenza tra la lettera e la cartolina. Ma forse, in fondo, sei tu che hai ragione. Certo è che ho attraversato alcune settimane di una vera frenesia nevrastenica, di una ossessione continua e spasmodica che non mi ha lasciato un momento di quiete. Né mi è ancora passato, né credo sia per passarmi troppo presto e facilmente. Mi ha però abbattuto, mi ha tolto ogni volontà di reagire e di resistere, e in un certo senso mi ha calmato, spezzando un altro po’ delle forze che mi rimangono. Ti domando scusa delle sciocchezze che ti ho scritto. Credo che non mi capiterà piú un fatto della stessa specie. Del resto, come tu scrivi nella cartolina, non ci sarà piú occasione a simili attriti. –

Anche a me sono piaciute le fotografie ultime. Mi pare che finalmente si possa avere una idea concreta della personalità di Giuliano. Il dizionario amministrativo che hai acquistato non è quello da me indicato: credo anche che tra i due ci sia molta differenza sia di valore che di contenuto. Il dizionario dell’Astengo è un semplice repertorio di quistioni amministrative moderne riflettenti l’organizzazione statale italiana di prima della guerra, utile per i burocratici, per gli studenti universitari ecc. Il dizionario da me indicato è del Rezasco, ed è quasi un classico; riguarda la lingua italiana storica e politica non solo odierna, ma di tutta la lingua italiana nel suo svolgimento. È necessario a chi voglia leggere gli scrittori di storia, di cronache, di scienza politica e comprendere i documenti storico-giuridici-amministrativi della storia italiana nelle sue varie fasi e nell’uso locale. Non credo si trovi facilmente sulle bancherelle di libri usati e deve avere un valore abbastanza elevato. Gli altri due libri erano la Storia della Letteratura italiana di Francesco De Sanctis, e quella di Vittorio Rossi. L’opera del De Sanctis è ormai di dominio pubblico; l’edizione critica è stata pubblicata dal Laterza di Bari e costa molto, ma l’edizione dei Treves di Milano con note di Paolo Arcari è buonissima e costa poco. L’opera del Rossi è un manuale scolastico (in tre volumetti, edita dal Vallardi di Milano) che è ottimo e si può trovare forse facilmente anche di seconda mano, nelle bancarelle, ma occorre stare accorti di non acquistare una edizione troppo vecchia.

Ti abbraccio affettuosamente

Antonio


303.

17 ottobre 1932

Carissima Grazietta,

la cartolina di Mea del 9 ha un po’ calmato l’impressione che mi aveva fatto la tua lettera del 7. Intanto però non ho avuto piú notizie. Ti prego di volermi mandare una cartolina ogni due o tre giorni. Sebbene Carlo mi avesse scritto qualche tempo fa per avvertirmi del suo viaggio a Ghilarza e mi avesse messo in guardia contro il tuo pessimismo e allarmismo esagerati, la tua lettera mi ha fatto l’impressione che si tratti di cosa molto seria e molto pericolosa. Cara Grazietta, tu sai che io non sono mai stato molto espansivo con nessuno. Vorrei perciò che tu non ti ingannassi né sui miei sentimenti né sulla forza di essi. L’idea che la mamma può essere moribonda mentre io non posso saperne nulla di preciso e non posso piú rivederla, mi ossessiona e mi perseguita in ogni momento, notte e giorno. La ricordo nei suoi momenti di maggiore energia e forza, rivedo nitidamente tanti quadri della nostra vita famigliare di un tempo, e non riesco a persuadermi che possa essere ridotta come tu scrivi e che ella stessa senta di stare per lasciarci. Non so neppure se tu potrai farle sentire quanto io le ho voluto bene sempre e come una delle maggiori amarezze della mia vita, e che ha avuto tanta efficacia nel formare il mio carattere, sia proprio stato il vedere come la sua esistenza non avesse mai requie, come la sua vita fosse priva di soddisfazioni e di pace duratura. Scrivimi subito. Ti abbraccio fraternamente.

Antonio


304.

24 ottobre 1932

Carissima Tania,

ti sarò molto grato se vorrai scrivere a mia sorella Grazietta, che ho ricevuto la sua lettera del 19 in cui mi rassicura sulle condizioni di salute di mia madre. Il 7 mi aveva scritto per comunicarmi che la mamma era moribonda, che già le aveva fatto le ultime raccomandazioni e che non c’era piú nessuna speranza. Ora mi scrive che la mamma si è rimessa e che il medico ha detto che potrà vivere ancora parecchi anni, data la sua forza eccezionale; che mangia con appetito. La povera Grazietta è tutta spiacente di avermi dato un tale allarme, ma si capisce che anche essa deve essere molto giú per le fatiche sopportate in questi ultimi tempi. – Vorrei ancora, se non ti dispiace, che avvertissi la libreria che non ho ricevuto il fascicolo di settembre dei «Problemi del Lavoro» cosí come non ho ricevuto i Colloqui con Mussolini del Ludwig e il volume della Banca Commerciale. Ho invece ricevuto il volume del prefetto Mori sulla Mafia e il volume sui Braccianti della Val Padana.

Ti abbraccio.

Antonio


305.

24 ottobre 1932

Carissima Iulca,

ho ricevuto le tue lettere del 5 e del 12 ottobre, con la letterina di Julik e le tre fotografie, che mi sono piaciute molto. Mi pare che sia la prima volta che riesco a rendermi conto della persona fisica di Giuliano, quantunque le fotografie non siano tecnicamente soddisfacenti. E Giuliano mi pare sia un bambino assai bello anche oggettivamente: ciò appare, a mio gusto, specialmente dove egli è ritratto in gruppo, vicino a te, che invece sei venuta molto male. Sono contento che egli abbia voluto scrivermi; non so cosa rispondergli, per ciò che riguarda la mia fotografia. Forse tu hai una mia fotografia? È vero che da allora sono molto cambiato, e mi sembra sia ingannare il bambino dargli una fotografia di dieci anni fa. Adesso ho molti capelli bianchi e la mancanza dei denti deve aver molto modificato i miei lineamenti (non posso giudicare esattamente, perché da 4 anni e mezzo non mi sono visto nello specchio e proprio in questi anni mi devo essere molto modificato). Mi ha interessato ciò che hai scritto di Delio scolaro, della sua serietà interiore che non è disgiunta da un certo amore per l’allegria. Sento con molto pungente rammarico l’essere stato privato della partecipazione allo sviluppo della personalità e della vita dei due bambini; eppure io diventavo subito amico dei bambini e riuscivo a interessarli. Ricordo sempre una nipotina della mia padrona di casa a Roma; aveva 4 anni e aveva un nome molto difficile, preso dall’onomastica turca. Non riusciva ad aprir la porta della mia camera, dove si avvicinava di soppiatto perché la nonna le aveva detto che non bisognava disturbarmi, perché scrivevo sempre. Bussava piano piano, timidamente e quando io domandavo: «Chi è?» rispondeva: «Stlivi? Vuoi giocare?», poi entrava, offriva la guancia da baciare, e voleva le facessi gli uccellini o dei quadri bizzarri ottenuti da gocce di inchiostro lanciate a caso sulla carta. Carissima, ti abbraccio forte.

Antonio


306.

Caro Julik,

ho ricevuto la tua lettera e la cartolina illustrata coi gattini. Mi maraviglio che tu e Delca non abbiate ancora pensato a fare un abat-jour per la lampadina elettrica. Con cinquanta centimetri di filo d’ottone o di ferro sottile e con qualche pezzo di stoffa a colori o anche con della carta oleata, si può fare un abat-jour comodissimo, in modo che la luce non stanchi troppo gli occhi. L’abat-jour può essere completo, perché tutta la luce sia attutita, o parziale e mobile in modo da dirigere l’ombra dove si crede piú opportuno. Ho ricevuto anche alcune tue fotografie, e vorrei sapere che esercizi sai fare sulla spalliera svedese (cosí almeno si chiama in italiano), dove sei arrampicato insieme coi tuoi amici. Ti bacia il tuo babbo.


307.

31 ottobre 1932

Carissima Tania,

ho ricevuto due tue cartoline del 23 e del 26. Ti ringrazio delle tue parole affettuose. Per ciò che riguarda la mia salute, spero di migliorare e di rimettermi un po’, sebbene ancora mi senta debole e anche adesso che scrivo mi tremi un po’ la mano. Ho dovuto prendere un leggero sonnifero – il «Sedormit» Roche – che ha interrotto una serie di notti completamente insonni che mi avevano ridotto in condizioni disastrose. Puoi giudicare da queste cifre: quando ero in libertà pesavo 55 kg., quando sono giunto a Turi pesavo 50 kg. ed ero già molto mal messo perché da un mese soffrivo del «fuoco di S. Antonio» che mi aveva aperto in tutto il fianco una piaga larga due dita, senza che nei dodici giorni di viaggio potessi medicarmi e neanche fasciarmi. Qui ero migliorato e 8 mesi fa circa pesavo nuovamente 55 kg. Ripesatomi qualche giorno fa pesavo 50 kg. ma vestito e colle scarpe, sí che si può dire che ho calato in 6.7 mesi circa 7 kg. Ho incominciato a fare da 6 giorni delle punture di «Valero-Fosfer Wassermann» consigliatomi dal medico e spero che mi facciano bene. Ma in questi ultimi mesi ho dovuto fare molte spese per medicinali: nel mese di ottobre 86 lire, nel settembre piú di 60 ecc., sicché tutti i miei piani finanziari sono saltati per aria. Spero che tu vorrai aiutarmi come nel passato e ti ringrazio delle tue recenti profferte. – In questi giorni corrono molte voci, talvolta strampalate, su prossimi provvedimenti governativi di indulto o di amnistia, per i condannati politici. Qualcheduno dice addirittura che per i condannati per fatti successi prima della formazione del Tribunale Speciale la amnistia sarebbe completa, sicché io potrei pensare di andare in libertà (o meglio al confino) tra qualche settimana al massimo. Ma se ti devo dire la verità, queste notizie mi lasciano piuttosto scettico, e indifferente. Ci sarebbe da scrivere un capitolo molto interessante sul come si deformano le notizie in carcere attraverso il filtro dei desideri personali. In questo caso credo che ci sia qualcosa di vero, che cioè un provvedimento di indulto sia politicamente giustificato e utile al governo, ma sulla misura ho i miei dubbi. È vero che quando ti giungerà questa mia lettera, le cose saranno forse già decise e pubblicate, ma voglio scriverti perché non ti faccia tu stessa troppe illusioni; ho osservato che sono i famigliari che montano la testa ai carcerati, facendo credere di avere fonti di informazione ultrasicure e autentiche al 100/100; ti devo ringraziare di non aver mai partecipato a questa frenesia. Ti abbraccio.

Antonio


308.

31 ottobre 1932

Carissima Grazietta,

ho ricevuto la tua lettera del 19 con le notizie rassicuranti sulla salute di mammà. Comprendo il tuo stato d’animo quando mi hai scritto la lettera precedente e non c’è niente da scusare. Certo sono rimasto atterrito dalle tue prime notizie, tanto piú che mi sentivo poco bene io stesso ed ero portato a vedere tutto catastroficamente. Sono tanto piú lieto oggi per le notizie buone rassicuranti. Devi tenerti sana anche tu, perché dovrai lavorare molto; perciò ti prego di curarti e di averti attenzione. Va bene che anche noi siamo una branca dei Corrias e quindi un po’ corriazzos, ma mi pare che siamo un po’ degenerati; eppoi la nostra generazione ha attraversato tempi molto duri, e noi specialmente. Saremmo capaci di fare ciò che ha fato la mamma trentacinque anni fa? Di porsi lei sola, povera donna, contro una terribile bufera e di salvare sette figli? Certo la sua vita è stata esemplare per noi e ci ha mostrato quanto valga la pertinacia per superare difficoltà che sembravano insuperabili anche a uomini di grande fibra. Ti abbraccio fraternamente, con tutti e specialmente colla mamma.

Antonio


309.

9 novembre 1932

Carissima Tania,

avevo già scritto domenica una lettera per te con la parte per Giulia, ma ho pregato di poter rifare la lettera perché essa era troppo influenzata da un telegramma inviatomi da Carlo che rendeva credibili le voci strampalate che circolavano tra i carcerati. Oggi ho potuto avere comunicazione del decreto di amnistia e indulto e mi pare che la lettera precedente, quantunque non troppo ottimista oggettivamente, non possa rispecchiare una reale valutazione delle cose. Carlo mi aveva telegrafato cosí: «Appreso concessione amnistia ti sono vicino pregoti telegrafarmi necessità mia presenza o altro». Come vedi, avrei dovuto credere di essere sul punto di essere liberato; ti scrissi quasi convinto che ci sarebbe stata almeno una tale diminuzione di pena da permettere di considerare il futuro meno oscuramente. Dopo aver letto il decreto non so piú cosa pensare. Le questioni sono cosí complesse che solo il Tribunale Speciale può decidere con conoscenza di causa se io debba avere un qualsiasi indulto, anche minimo. In ogni caso, anche nel piú favorevole, non mi pare che le mie prospettive per l’avvenire possano mutare di molto. Non ho risposto a Carlo per telegramma e non gli risponderò. Prego te di scrivergli, rimproverandolo; sono quasi convinto che egli abbia telegrafato anche alla mamma, dandole una forte scossa e una delusione troppo acerba. Io non ho nessuna voglia di scrivergli. Non che sia in collera con lui per il telegramma, ma perché non so da che parte prenderlo. Mi aveva fatto delle promesse, mi aveva assicurato di prendere con me un atteggiamento diverso da quello che aveva seguito fino all’ultimo colloquio, ma poi non ha mantenuto nulla, è ricaduto in uno strano modo di procedere che mi irrita in sommo grado. Credo che il suo telegramma sia appunto una manifestazione di questa sua bizzarra condotta a strappi e a sbalzi che è la meno indicata per i rapporti con un carcerato di poca salute che ha sempre i nervi scoperti a vivo e deve già lottare ogni momento per non lasciarsi schiacciare dalla realtà immediata perché possa avere riserve per i casi non necessari.

– Carissima, dopo il 2 non ho piú ricevuto tue notizie. Devi a quest’ora aver ricevuto la mia scorsa lettera in cui ti pregavo di mandarmi qualche soldo, perché alla fine del mese mi troverò con pochissime lire e ho sempre paura di dover comprare nuove medicine. Avevo dimenticato di scriverti che ti sarei grato se potessi mandarmi qualche paio di calze di lana e qualcuna di quelle sopracalze che una volta ti ho molto lodato per la loro robustezza. Le calze, ti prego, debbono essere molto resistenti anche se rozze e grossolane: devono proprio essere calze da contadino. Oggi non ho proprio voglia di riscrivere la lettera per Giulia. Sono snervato molto. In queste ultime settimane c’è stato un accumularsi di fatti tutti tali da rovinarmi la salute; la lettera di Grazietta, l’attrito con te che mi ha molto scosso (piú di quanto tu forse possa immaginare) e tutti questi garbugli di Carlo, che incontrandosi con altre circostanze, mi hanno realmente fatto credere per sette od otto ore, che potevo essere liberato. Fra qualche giorno ne riderò, ma ancora non sono completamente padrone dei miei nervi.

Ti abbraccio teneramente.

Antonio


310.

14 novembre 1932

Carissima Tania,

proprio stamane ho ricevuto il tuo vaglia dell’11 e ti ringrazio di tutto cuore. Ero preoccupato perché la tua ultima cartolina era del 2; inoltre nella lettera precedente scrivevi che mi avresti mandato una fotografia che non giunse. Ancora: in tutti questi giorni non ricevetti posta da nessuno. Non ho neanche piú ricevuto le riviste dalla Libreria (forse Carlo, nella sua sciocchezza, può aver avvertito di non fare piú spedizioni, ritenendomi già libero). Ero quindi molto preoccupato e ciò ha rinforzato in me un certo modo di pensare e mi ha fatto decidere a scrivertene. Non devi fermarti all’apparenza strana di ciò che ti scriverò e non devi credermi matto o leggero, o irresponsabile. Cercherò di giustificare il mio punto di vista, per quanto mi è possibile, ma devi partire dal concetto che ho altri argomenti oltre quelli che ti esporrò, argomenti che, per ragioni di varie specie, non posso scriverti per lettera e forse non ti direi neanche a voce. È difficile incominciare, ma proverò. Ecco. Ho saputo qualche tempo fa che parecchie donne, che avevano il marito in carcere, condannato a pene alte, si sono ritenute sciolte da ogni vincolo morale e hanno cercato di costruirsi una vita nuova. Il fatto è avvenuto (a quanto si riferisce) per iniziativa unilaterale. Può essere giudicato diversamente, da diversi punti di vista. Può essere biasimato, può essere spiegato e anche giustificato. Personalmente, dopo averci pensato su, io ho finito con lo spiegarlo e anche col giustificarlo. Ma se ciò avvenisse per accordo bilaterale, non sarebbe ancor piú giustificato? Naturalmente non voglio dire che sia una cosa semplice, che si possa fare senza dolore e senza contrasti profondamente laceranti. Ma, anche in queste condizioni, si può fare, se ci si persuade che si debba fare. In fondo, si rabbrividisce quando si pensa che in India le mogli dovevano morire quando moriva il marito, e non si pensa che il fatto si verifica, in forme meno immediatamente violente, anche nella nostra civiltà. Perché un essere vivo deve rimanere legato a un morto o quasi? Mi pare che quelli della generazione che si è consolidata moralmente prima della guerra, pensino con una vecchia mentalità in queste faccende, e che la generazione nuova, piú rapida nelle sue decisioni e meno ingombrata da sentimenti di una data specie, abbia ragione. Come dico, la cosa non è semplice, occorre uno strappo violento, una lacerazione dolorosa, occorre prevedere, dopo la decisione, un certo periodo di rimorsi, di pentimenti, una oscillazione, ma in fondo, si può prevedere che ciò può essere superato e che si può creare una vita nuova. Espongo a te la quistione, credi, con molta persuasione, perché tu la comunichi a Giulia, oppure mi consigli di comunicargliela io direttamente. È una cosa molto, molto seria; ci ho pensato da molto tempo, forse dal primo giorno che sono stato arrestato, in forme diverse, scherzosamente prima, poi con maggiore serietà e approfondimenti. Ho anche pensato che ciò poteva sembrare un gesto, molto romantico. Ho anche pensato che ciò poteva anche sembrare una furberia, una specie di ricatto sentimentale (come dire? ti offro questo, apposta perché tu sia schiacciato dalla mia magnanimità e sii costretto a rifiutare) – ho pensato infine che il modo migliore dovrebbe esser quello di mettere senz’altro in esecuzione unilateralmente la cosa, troncando ogni rapporto, creando unilateralmente un fatto compiuto. Questo ultimo caso mi ha molto tormentato, ma non sono stato e non sarò mai capace di affrontarlo. Cosí risolto il rapporto, Giulia avrebbe un doppio gravame, perché perderebbe ogni stima per me (ciò che non sarebbe senza conseguenze sulla stima che ella deve avere per se stessa) senza che fosse evitato il dolore. Il dolore non può essere evitato, ma può essere circoscritto e possono essere circoscritte altre conseguenze di carattere morale e intellettuale. È necessario che l’iniziativa parta da me, questo è sicuro; che non se ne nasconda la conseguenza necessaria, per affrontarla con tutte le forze del proprio essere. Io penso, che Giulia, pur non essendo piú una giovinetta, possa ancora crearsi liberamente una nuova fase di vita. In ogni modo, può, violentemente, sia pure, dare un nuovo indirizzo alla sua esistenza. E tutta una serie di quistioni coordinate, verrebbero risolte. Io rientrerei nel mio guscio «sardo». Non voglio dire che non soffrirei. Ma ogni giorno che passa mi rende sempre piú insensibile e adattabile. Potrei sopportare. Mi abituerei. Ho già acquistato in molta parte la «carcerite» e in questi ultimi giorni mi sono accorto di essere, da questo punto di vista, piú avanzato di quanto pensavo. D’altronde non ho ancora perduto abbastanza di sensibilità per non essere ancora in grado di comprendere certe cose. Forse fra un anno sarò completamente cambiato, non avrò piú neanche la capacità di sentire quello che ancora oggi sento, sarò caduto nell’egoismo piú grossolano e animalesco. Tu devi essere, in questo caso, di una grande forza d’animo e devi essere assolutamente imparziale. Devi pensare a ciò che ti ho scritto con molta freddezza, pensando all’avvenire di Giulia e alla sua vita. Non so come deciderai di fare. Ti avverto che non scriverò a Giulia prima di aver ricevuto una tua risposta. So di darti una responsabilità gravosa, ma sono sicuro che tu puoi sostenerla. Puoi scrivere a Giulia direttamente, o comunicarle questa mia lettera integralmente o in parte.

Antonio


311.

21 novembre 1932

Carissima Tania,

ho ricevuto questa settimana tre cartoline e una lettera; ho ricevuto, a suo tempo, la tua raccomandata del 29 ottobre con la lettera di Giulia. Pochi minuti fa mi è stato comunicato l’arrivo del «campione senza valori» da te inviato, contenente le due sopracalze e la borsa per il tabacco. Attendo la lettera che mi annunzi, in cui intendi rispondere alla mia precedente; gli accenni che fai però, non mi soddisfano per nulla. Non capisco cosa significhi che il mio «sentire è inadeguato alle circostanze». Intanto non si tratta di «sentire», nel senso immediato della parola, ma di qualcosa che tiene conto di una larga prospettiva e in cui è difficile scindere il sentimento dalla ragione. È un sentire, certo, ma le premesse al sentimento non sono impulsi emozionali o passioni istintive, ma una lunga meditazione fatta con tutta calma e freddezza. Ma è meglio attendere la tua lettera. – Forse sarà bene che tu, senza fretta però, ti informi presso la cancelleria del Tribunale Speciale per sapere se e come il decreto di amnistia e indulto sia stato o sarà applicato nel mio caso. Come ti ho già scritto, la semplice lettura del decreto non è sufficiente per comprendere l’applicazione effettiva. I casi possono essere parecchi. Nella ipotesi piú favorevole, secondo i miei calcoli, che possono essere però sbagliati, io potrei beneficiare di otto anni, cioè la pena da fare sarebbe ridotta a 5 anni e due mesi (da oggi). Infatti io sono stato condannato con sei capi d’imputazione, a sei pene che cumulate hanno dato un totale di 20 anni, 4 mesi e 5 giorni, oltre la multa (che non calcolo per semplificare, ma che conterebbe perché non condonata in nessun modo); di queste sei pene, quattro dovrebbero cadere, o per amnistia o per indulto, completamente, perché inferiori a tre anni. Rimangono una condanna a 15 anni di reclusione e una a 10 anni di detenzione: dai 15, 5 anni di indulto, con rimanenza di 10; dai 10 di detenzione, 3 anni di indulto piú un anno per il precedente indulto, rimanenza 6; nel cumulo la detenzione viene ridotta a un terzo per equipararla alla reclusione, e poiché della seconda condanna si applica solo la metà, si avrebbe la riduzione a un anno, cioè a un totale di 11 anni di reclusione, di cui ho già scontato 6 anni meno due mesi. Non son sicuro però che il calcolo sia esatto, perché mi intendo poco di queste questioni. Se questa ipotesi fosse reale, la mia condizione giuridica sarebbe abbastanza mutata, perché, astrattamente almeno, chi deve scontare solo un terzo della pena, può essere (astrattamente) liberato condizionalmente. Forse ti sarà possibile ottenere queste informazioni «oggettivamente» cioè, a puro titolo informativo. Ti prego di non aggiungerci niente di tuo e di non fare castelli in aria o proposte di nessun genere. Quando ti scrissi la scorsa lettera, questi calcoli li avevo già fatti e tuttavia non mi hanno impressionato per nulla. Ti abbraccio

Antonio


312.

21 novembre 1932

Carissima Grazietta,

ho ricevuto la tua lettera del 12, con le tue impressioni sulle notizie che si sono diffuse a proposito del decreto di amnistia. Non posso valutare la necessità che avete avuto di far credere alla mamma che io sarei stato liberato, con tutte le complicazioni di dover inventare i miei viaggi ecc. Informami bene di tutto questo, perché possa regolarmi. Ti dico la verità: queste forme di inganno, anche agli ammalati, mi ripugnano, perché credo che alla fine dei conti, produrranno o possono produrre dei guai peggiori di quelli che si erano voluti evitare inizialmente. In ogni modo, ti prego di scrivermi molto chiaramente e per disteso. Non sono in grado di informarti quali conseguenze esatte avrà nei miei riguardi il decreto; può darsi che le mie condizioni rimangano immutate e può darsi che la pena da scontare sia ridotta a 5 anni e 2 mesi. Ma anche se dovesse essere cosí, non mi pare che il cambiamento sia grande; 13 anni o 5 anni per me sono la stessa cosa, perché si tratta sempre di un periodo di tempo nel quale non si può fare nessun calcolo. Ti abbraccio con tutti di casa e specialmente la mamma.

Antonio


313.

28 novembre 1932

Carissima Tania,

ho ricevuto le tue lettere del 21 e del 23. Attendo con una certa impazienza le tue osservazioni e la tua risoluzione a proposito della mia lettera del 14: forse fai bene a pensarci su con molta ponderazione, perché io conto molto sul tuo aiuto per persuadere Giulia ad accettare il mio punto di vista. Ho ricevuto gli effetti di lana che mi hai spedito e ti ringrazio molto. Ma perché anche questa volta non ti sei attenuta a quanto io ti avevo scritto? La maglia che mi hai mandato non mi è affatto necessaria, da questo lato sono fornito per molti anni. Ho ancora un pullover nuovissimo, che non ho mai toccato e che magari sarà rovinato dalle tarme; la nuova maglia a giacchetta andrà a raggiungerlo. Anche le mutande e la camiciola non erano urgenti. Sarebbe stato meglio qualche paio di calze in piú, e di meno costo. Vedo che nonostante tutto, non sono riuscito e certo non riuscirò mai a persuaderti di fare solo come io ti scrivo. Le tue opinioni al mio riguardo non cambieranno e non riuscirai mai a comprendere cosa sia la vita del carcere e le sue necessità. Del resto è una curiosa pretesa la mia, non è vero? Forse è meglio che tu non comprenda e non riesca a immaginare. Ho letto con attenzione il brano che hai riportato nella tua lettera del 21 a proposito del decreto di amnistia e indulto. Il mio caso è simile giuridicamente (a prescindere dalla gravità della pena che era piú alta nel mio caso), ma mi pare che in quel brano l’ipotesi sia posta come ultrafavorevole, perché, secondo il mio calcolo, l’interessato dovrebbe ancora scontare 2 anni e due mesi e non 17 mesi, cosí come io dovrei ancora scontare 5 anni e 2 mesi circa. Infatti nel mio caso il decreto è piú favorevole perché io dovrei avere 5 anni di indulto per i 15 anni di reclusione, mentre l’altro solo 3 anni su 10 anni. Ma, come ti scrissi, questi calcoli sono ipotetici, perché il Tribunale Speciale ha metodi suoi propri nel calcolare il cumulo giuridico. Non so se già hai potuto informarti in proposito. La cosa è interessante, perché, come già ti scrissi, quando si è già arrivati al punto che non rimanga piú di un terzo della pena da scontare e questo non sia superiore ai 5 anni, secondo il nuovo Codice si può astrattamente ottenere la liberazione condizionale. Se i miei calcoli sono esatti e altre condizioni si verificano che ancora mi sono ignote (la quistione del confino, di cui si parla appunto nel brano da te riportato) tra qualche mese mi troverei appunto nelle condizioni domandate dal Codice. Se cosí fosse, ti pregherei di fare un viaggio a Turi per esporti un mio progetto. Certo non te lo scriverei, perché quando ti scrivo qualche cosa per lettera, tu fai di tua iniziativa dei passi che invece di giovarmi mi nuociono e peggiorano le mie condizioni (contro la tua volontà, certo, ma questo ha praticamente poca importanza, perché contano i risultati reali e non le intenzioni da cui si è mossi).

Ti abbraccio affettuosamente

Antonio


314.

28 novembre 1932

Carissima Iulca,

ho ricevuto le tue lettere del 22 ottobre e del 15 novembre. Quindici giorni fa (o forse anche prima) avevo risposto a quella del 22 ottobre, ma poi fui costretto a mutare tutta l’impostazione della lettera e perciò dovetti tralasciare. Ti avevo scritto tutta una variazione sul «cominciare» o «ricominciare», perché mi era sembrato che tu ti trovassi esitante, disorientata in questo momento della tua esistenza. Ma di questo argomento dovrò occuparmi fra qualche tempo, quando mi sarò messo d’accordo con Tania che mi ha fatto un po’ di ostruzionismo e mi lascia in sospeso. – Ho letto con interesse le tue osservazioni sullo specchio e su Iulik che ama guardarsi, ma il mio interesse fu cagionato da ciò che il tuo ragionamento è ingenuamente e candidamente «donnesco». Proprio la quintessenza della femminilità. Perché vedere nello specchio solo un mezzo di narcisismo è solo proprio delle donne. Io ho sempre avuto uno specchio; e come avrei altrimenti potuto farmi la barba? Le tue osservazioni sono sbagliate da cima a fondo e indicano un modo di ragionare arretrato, anacronistico e… terribilmente pericoloso. Col tuo stesso stato d’animo, negativo e puramente reattivo a certe degenerazioni psicologiche, l’operaio rompe la macchina, l’impiegato raffazzona le sue pratiche ecc. Mi pare che non ci sia niente di male (anzi) se Iulik non vuole le calze bucate. Perché lasciare i buchi nelle calze, se è possibile fare il rammendo? Mi pare che tu confonda i mezzi con il fine, non sappia conformare i mezzi ai fini, cioè non sappia quali siano i tuoi fini pratici, immediati, disposti in catena in modo da passare da un anello all’altro progressivamente. C’è sempre un fondo «ginevrino» nel tuo animo e questo fondo è la causa di una parte cospicua del tuo disagio psichico, e quindi anche dei tuoi dolori fisici. C’è qualcosa di contradditorio nel tuo intimo, una lacerazione, che non riesci a rimarginare, tra teoria e pratica, tra cosciente e istintivo. Lo credi? Ma non è poi troppo grave e del resto, proprio per questo sei… Iulca e non Mascia o Valia. Avrei dovuto io aiutarti a conoscerti meglio, a superare queste contraddizioni. Mah! Ci penso spesso a tutto ciò che avrei potuto e dovuto fare e non ho fatto. Forse è vero che sono stato troppo «egoista» e ho vissuto piú di sensazioni estetiche che non di obblighi morali. Forse sono stato troppo «italiano» nel senso intellettuale della parola e perciò ho avuto tante simpatie per… Leonardo e per il Rinascimento. Credo adesso di essermi… riformato, di aver conciliato nel mio animo Rinascimento e Riforma, per impiegare questi due termini che mi pare simboleggino bene ogni movimento in grande delle civiltà. Ma quante sciocchezze ti scrivo! Mi sono piaciute le notizie su Iulik e su Delio. Quanta varietà tra i due! Eppure credo che essi finiranno con l’integrarsi, sviluppandosi insieme, educandosi reciprocamente… sotto la tua guida. Ma tu dai loro un indirizzo? Come partecipi alla loro formazione? Quante cose vorrei sapere che forse non saprò mai! Ti abbraccio.

Antonio

Carissimi Delca e Iulik vi abbraccia e bacia tanto tanto il vostro babbo.


315.

5 dicembre 1932

Carissima Tania,

ho ricevuto la tua cartolina del 30 novembre e la lettera del 2. Mi dispiace molto che tu sia stata ammalata e che ancora non ti sei rimessa. Ma perché non me ne hai accennato? Mi duole pensare che, non sapendo del tuo male, possa aver contribuito (come certamente è avvenuto) a renderti piú nervosa e preoccupata, ad aggravare quindi il male stesso. Penso che mi affermi la verità dicendo che stai già meglio, perciò ti scrivo certe cose. In ogni modo devi proprio convincerti che nascondermi certi fatti è peggio che annunciarli subito; nascono delle complicazioni che aumentano il dispiacere e lasciano una traccia permanente di dubbio angoscioso che altre cose siano ancora ignote e nuovi dispiaceri incombano sulla testa. Cara Tania ti prego con tutto il cuore di non voler discutere, analizzare, cercare di confutare la mia lettera del 14 novembre. Mi sembrerebbe di essere vivisezionato come una cavia. Capisco benissimo che tu potresti rispondere ad ogni punto di essa, come quattro e quattro fa otto. Ma ti prego di credere che anche io so le quattro operazioni e la tavola pitagorica. Non si tratta quindi della maggiore o minore facilità a trovare delle controargomentazioni ai miei argomenti. Non si tratta neppure di ciò che io abbia bisogno di espressioni affettuose, di essere consolato, di essere accarezzato. Queste cose sono belle e buone, ma nel caso specifico sono fuori luogo e apparirebbero (devo dirlo francamente) convenzionali come un complimento d’obbligo. Ti prego perciò di non entrare in discussione. Una cosa sola devi rispondermi: sei disposta a renderti tu interprete presso Giulia di ciò che ti ho scritto, o lo ritieni impossibile? Un sí o un no, ecco ciò che desidero sapere. Ogni contorno di discussione mi dispiacerebbe immensamente. Si tratta di un’operazione chirurgica, in un certo senso di una decapitazione, è giustificata solo se eseguita con un taglio netto, deciso; altrimenti diventerebbe un supplizio cinese. Avrei desiderato che tu mi avessi risposto subito; non l’hai potuto fare. Pazienza. Ora però non devi girare il coltello nella piaga.

Permetti che ti dica una verità dolorosa. Spesso chi vuole consolare, essere affettuoso ecc. è in realtà il piú feroce dei tormentatori. Anche nell’«affetto» bisogna essere soprattutto «intelligenti». Tra breve saremo nel 1933; una nuova fase della mia vita carceraria è già incominciata. Ebbene bisogna che ti parli proprio francamente. Poiché io non metto neanche in dubbio il tuo affetto per me (è questa una premessa sempre presente al mio spirito, anche quando non vi accenno e mi pare sia inutile accennarlo, come sarebbe ricordare sempre che la mamma o Giulia mi vogliono bene) e ormai penso che la mia lettera del 14 nov. rimarrà per ora senza conseguenze decisive, ti voglio dire che proprio il tuo atteggiamento deve mutare in alcuni punti. Credi che non voglio fare recriminazioni (che sarebbero stolte), ma ti voglio fare ricordare un episodio di qualche anno fa che forse hai dimenticato e al quale mi pare allora non hai riflettuto abbastanza per trarne norma di condotta. Ricordi che nel 1928, quando ero nel giudiziario di Milano, ricevetti una lettera di un «amico» che era all’estero. Ricordi che ti parlai di questa lettera molto «strana» e ti riferii che il giudice istruttore, dopo avermela consegnata, aggiunge testualmente: «onorevole Gramsci, lei ha degli amici che certamente desiderano che lei rimanga un pezzo in galera». Tu stessa mi riferisti un altro giudizio dato su questa stessa lettera, giudizio che culminava nell’aggettivo «criminale». Ebbene, questa lettera era estremamente «affettuosa» verso di me, pareva scritta per la sollecitudine impaziente di «consolarmi», di incoraggiarmi ecc. Eppure sia il giudizio del giudice istruttore che l’altro da te riferito, oggettivamente erano esatti. Dunque si può commettere un atto criminale volendo fare del bene, dunque qualcheduno volendoti fare del bene può invece aver ribadito le tue catene? Pare di sí, a giudizio del giudice istruttore del Tribunale Militare Territoriale di Milano, giudizio che, come ti consta, ha coinciso con quello di un altro che era agli antipodi. E giustamente, perché, leggendomi alcuni brani della lettera, il giudice mi fece osservare che essa poteva essere (a parte il resto) anche immediatamente catastrofica per me e tale non era solo perché non si voleva infierire, perché si preferiva lasciare correre. Si trattò di un atto scellerato, o di una leggerezza irresponsabile? È difficile dirlo. Può darsi l’uno e l’altro caso insieme; può darsi che chi scrisse fosse solo irresponsabilmente stupido e qualche altro, meno stupido, lo abbia indotto a scrivere. Ma è inutile rompersi il capo su tali quistioni. Rimane il fatto obiettivo che ha il suo significato.

Cara Tania ti ho già detto che è incominciata una terza fase della mia vita di carcerato. La prima fase è andata dal mio arresto all’arrivo di quella lettera famigerata: fino a quel momento esistevano delle probabilità (certo solo delle probabilità, ma cosa si può domandare di piú) a una svolta della vita diversa da quella che invece poi si verificò; quelle probabilità furono distrutte e poteva ancora capitare di peggio. La seconda fase va da quel momento ai primi del novembre scorso. Esistevano ancora delle possibilità (non piú probabilità, solo possibilità, ma anche le possibilità non sono preziose e non bisogna cercare di ghermirle?) e anche esse furono perdute, ti assicuro, non per colpa mia, ma perché non si volle dare ascolto a ciò che io avevo indicato a tempo opportuno. Questo lo devo a Carlo e alla sua scempiaggine fatua (non mi riferisco al telegramma, che è una sciocchezza secondaria). Ma tu perché non sei venuta a Turi nel 1932, come avevi promesso dai primi di gennaio? Se non avessi promesso e io non avessi contato sulla promessa, ti avrei scritto di venire. Ti ho detto che non voglio recriminare. Voglio solo che il passato serva almeno di ammaestramento per questo terzo periodo, perché non si ripetano gli errori, le manchevolezze del passato. Questa terza fase che incomincia è la piú dura e la piú difficile da superare. Perciò, ti prego, non fare nulla senza il mio consenso, non ascoltare nessun consiglio che mi riguardi, fa solamente e «letteralmente» ciò che io ti potrò indicare. Questa convinzione ti ho voluto infondere con questa mia lunga tiritera: che non bastano le intenzioni buone e affettuose, ma che occorre molto altro prima di prendere una decisione che non riguardi solo se stessi: occorre prima di tutto il consenso esplicito dell’interessato su cui ricadranno le conseguenze disastrose che non sempre si sa prevedere. Ti abbraccio

Antonio


316.

12 dicembre 1932

Carissima Tania,

in questi ultimi dieci giorni non ho ricevuto nessuno tuo scritto. L’ultima tua lettera ricevuta era del 2 e la ricevetti prima dello scorso lunedí. Non so perché manco di tue notizie: può darsi si tratti di un ritardo postale, ma può anche darsi che tu non abbia potuto scrivere per ragioni di salute e ciò mi preoccupa e mi dispiace assai. Carissima, ti prego proprio di cuore di scrivermi almeno una volta per settimana, anche una semplice cartolina illustrata. È vero che spesso mi scrivi anche piú di una volta, ma ciò che piú importa, nelle mie condizioni psichiche e anche fisiche, è specialmente la «regolarità». – Mi consigli di scrivere io stesso a Giulia per darle notizie del recente decreto di indulto e amnistia. Avrei già seguito volentieri il tuo consiglio, ma cosa potrei scriverle di preciso e determinato? Come ti ho già accennato altre volte, io, non so nulla in proposito. Posso fare delle ipotesi molto vaghe e di carattere puramente arbitrario, che vanno ai due estremi opposti: 1° il decreto può non concernermi neppure, cioè la mia situazione giuridica può darsi sia rimasta immutata (ipotesi estrema piú pessimista); 2° per il decreto, può darsi che la mia pena sia ridotta a 5 anni (ipotesi estrema piú ottimista) con determinate modificazioni generali della situazione giuridica stessa in rapporto a ciò che il nuovo Codice stabilisce a proposito della liberazione condizionale. Tra questi estremi sono possibili ipotesi intermedie. Come vedi, personalmente brancolo nel buio. Di solito, quando viene concessa amnistia e indulto, dopo un certo tempo, si comunica ufficialmente all’interessato le variazioni che ne sono conseguite nella sua posizione, cioè la nuova data ufficiale e legale della sua liberazione. Questa comunicazione può tardare anche di quattro o cinque mesi. Ma l’assenza di una comunicazione ufficiale non significa di per sé che l’amnistia o l’indulto non debbano essere legalmente applicati; può trattarsi di una dimenticanza, di un disguido ecc. Ecco perché talvolta l’interessato deve fare istanza domandando l’applicazione. Come vedi la quistione è complessa. Nel mio caso, potrei ancora rimanere qualche mese all’oscuro di ciò che mi riguarda. Perciò ti scrissi una volta, qualche settimana fa, di volere, senza fretta, recarti alla Cancelleria del Tribunale Speciale per avere informazioni. Naturalmente in queste cose l’opera del legale non ha importanza alcuna. Può darsi che il cancelliere stesso non sappia nulla nel caso concreto personale dei singoli condannati, perché è ovvio pensare che il Tribunale proceda allo spoglio delle pratiche in ordine di urgenza e lasci per ultime le pratiche di quei condannati ai quali, anche se l’indulto è applicabile, rimane ancora una lunga pena da scontare. Ma il cancelliere è almeno probabile sappia se in questi casi il decreto sarà applicato o no, dato che condannati nella stessa condizione generale, ma con meno quantità di pena, possono avere già usufruito del beneficio ed essere stati liberati. Credo di essermi spiegato: nel mio caso personale importa sapere, in mancanza di altre precisazioni, se addirittura ho o no diritto al beneficio. La misura del beneficio stesso, per ora e per qualche tempo, può essere non fissata. In assenza di questa preliminare informazione, non potrei decentemente neppure fare istanza di applicazione. Non credere che io voglia sollecitarti a uscire di casa e a strapazzarti per avere queste informazioni. Ti ho già scritto che non c’è fretta. Le settimane e anche i mesi in queste cose non contano (almeno non contano per me, purtroppo!). Ciò che conta è l’esattezza, la precisione, la certezza della notizia. I si dice, i pare ecc., non hanno importanza, o hanno solo una importanza negativa, debilitante, di logoramento. È questa una norma di condotta di cui vorrei infonderti il massimo di convincimento: niente fretta, niente impulsività; niente sentimentalismi emotivi. Per ogni iniziativa, prima della risoluzione, occorre aver fissato tutti i fattori positivi di successo e aver eliminato tutti i fattori negativi o di insuccesso. In certe condizioni il fattore tempo, guadagno di tempo ecc., in quanto impedisce di avere una visione realistica di questi dati fondamentali, è causa precipua di insuccesso. Il senso comune ha sintetizzato questa esperienza nel proverbio popolare: «la gatta frettolosa fa i gattini ciechi». – È stato comunicato che per le feste di Natale si può ricevere «un» pacco dalla famiglia. Penso che tu avrai pensato di mandarmi qualche cosa. A mio giudizio, potresti fare a meno di mandarmi il pacco e di riservare i soldi per altri bisogni. Se proprio vuoi che io riceva qualche cosa da te per Natale, data la possibilità concessa, ti prego di essere molto parca e limitata. Se proprio vuoi, mandami pochissima roba, e molto semplice. Se vuoi sapere i miei desideri, eccoli: un po’ di panettone e, se è possibile, qualche vasetto di quell’estratto concentrato di brodo vegetale che una volta mi mandasti. Ti prego di credere che non voglio fare complimenti; non digerisco quasi nulla e non posso masticare nulla. Forse puoi aggiungere una piccola bottiglia di qualche amaro stomatico. Non saprei dire neppur io: Ferro-China o qualcosa del genere. Ma ti voglio assicurare che se anche non mi mandi nulla, ma solo i tuoi saluti, io sarò contento lo stesso, o forse anche piú. – Ti sarò grato se vorrai scrivere alla Libreria che non ho ricevuto i fascicoli del mese di ottobre delle due riviste: «Leonardo» e «La Nuova Italia». Carissima, spesse volte, dopo aver scritto sia a te che a Giulia, e ripensando a ciò che ho scritto e specialmente al modo e al tono del mio scrivere, penso che vi debbo annoiare molto con le mie arie da pedagogo pedante. Come vedi, me ne accorgo anch’io di questo tono. Ma non posso scrivere in modo diverso. Ogni mia lettera, credi, è il risultato di una serie complessa di sforzi di volontà e di atti di autocontrollo che non possono non comporsi in una forma che a me stesso pare ridicola. Tante volte sento un grande dispetto per quanto ho scritto e per il modo con cui l’ho scritto. Devo aver pazienza. Abbi pazienza anche tu e voglimi bene lo stesso. Ti abbraccio affettuosamente.

Antonio


317.

13 dicembre 1932

Carissima Grazietta,

ho ricevuto la tua lettera del 9 e ti ringrazio delle notizie che mi dai. Scrivo a te ma puoi dire alla mamma che ho scritto a lei in occasione delle feste di Natale per farle tanti auguri di nuova salute e di felicità. Fai molto bene a preoccuparti specialmente della sua tranquillità d’animo. Puoi assicurarla che io sono sempre forte e sereno e affronto tutte le avversità con animo sicuro e tranquillo. Le dirai che anche lei deve essere forte come sempre è stata nel passato e che cosí sicuramente ci rivedremo tutti insieme figli e nipoti e lei potrà davvero dire di non essersi sacrificata invano, di aver speso la vita utilmente dando esempio costante di energia e di costanza irremovibile anche nei peggiori momenti. Proprio devi tanto incoraggiarla in mio nome e farle sentire come se io le fossi vicino e cosí Nannaro e Carlo e Mario. Carissima Grazietta, fai bene a scrivermi sempre qualche cosa sulla tua vita e su quella degli altri di casa. Sono veramente contento che Franco sia un fanciullo tanto distinto e promettente. Perché non mi hai scritto nulla di Mea?

Devi scusarmi se non sempre ti scrivo a lungo. Non so proprio cosa dire, perché la mia vita è sempre uguale e monotona e non mi succede mai nulla, come puoi immaginare. Prima almeno fantasticavo, creavo nel cervello novelle e romanzi, creavo personaggi immaginari con una loro vita, con loro avventure, con drammi fantastici ecc. ecc. Ti ricordi come da bambini ricordavo tante storie e ne inventavo per conto mio? Ma adesso si vede che ho perduto questa capacità e perciò, se non mi succede nulla nella vita reale, non mi succede neanche nulla nella vita della fantasia. E cosí non so cosa scriverti. Anche a te e agli altri di casa tanti auguri per le feste. Ti abbraccio

Antonio


318.

19 dicembre 1932

Carissima Tania,

ti ringrazio tanto della tua fotografia, che mi è piaciuta molto anche se un po’ confusa e ondeggiante. Sono stato molto felice di leggere la bella lettera della tua mamma e ti ringrazio di aver pensato a comunicarmela: essa rischiara molti lati della vita dei nostri cari che dagli scritti di Giulia rimangono completamente in ombra. Poche osservazioni su alcuni punti della tua lettera che mi riguardano. Non credo che tu non «possa fare a meno di offenderti e anche addolorarti profondamente» per ciò che ti ho scritto a proposito dei tuoi annunzi di venire a Turi nel 1932, annunzi che mi hanno fatto, giustificatamente, astenere dallo scriverti io, pregandoti di venire. Il mio modo di operare e (se non quello di sentire) quello almeno di esprimere i miei sentimenti, deve essere «razionale» e anzi «razionalizzato»; deve escludere anche le cose inutili e non solo quelle che io ritenga (dopo aver ponderato) positivamente dannose. Le cose inutili possono contenere una dannosità latente che mi può sfuggire e cerco perciò di evitarle. L’esperienza di sei anni mi ha mostrato che solo per aver operato cosí, ho potuto resistere e durare fino ad oggi. Tu capisci che è diverso il contraccolpo di un male inevitabile, fuori della propria volontà e controllo e quello di un male che noi stessi abbiamo contribuito a suscitare od aggravare per la nostra insipienza, trascuratezza, avventatezza ecc. Parlo del contraccolpo psicologico, s’intende, che spesso in carcere è piú disastroso di quello materiale e fisiologico. Le tue promesse rendevano inutile una mia insistenza. D’altronde devi ricordare ancora che proprio nel gennaio 1932, quando non venisti dopo le prime promesse, io mi lamentai con te, pregandoti di evitare di far promesse che non eri sicura di mantenere, ma di annunziare i fatti quando essi erano decisi e già in via di esecuzione. Ti assicuro di non voler recriminare sul passato, ma devi capire che quando, dopo queste spiegazioni, mi annunziasti nuovamente di voler venire, ritenni inutile ogni richiamo che poteva spingerti a credere a una urgenza immediata e a partire anche se non eri in condizioni di salute propizie. Nell’attesa trascorse il tempo utile e il tuo viaggio poteva rimandarsi senza rimpianto, perché ormai privo del significato che io gli davo. Ora ti prego di non agitarti per queste cose; ormai il passato è passato e occorre sempre pensare all’avvenire. Quando avrò le notizie che tu mi manderai e avrò potuto orientarmi ulteriormente, ti scriverò io stesso. In ogni modo sarà, nell’ipotesi favorevole, fra qualche mese; non c’è nessuna premura e il viaggio devi cercare di farlo nelle condizioni migliori per la tua salute.

Ti voglio ora domandare un consiglio medico. Ho avuto una ripresa di insonnia organica; sono stato cinque notti di seguito senza chiudere occhio. Ti ho già scritto di aver preso un prodotto «Roche», leggermente ipnotico, il «Sedormit», che ha avuto scarsi risultati. Credo proprio di non poter piú evitare l’uso di un qualche sonnifero e ti domando quale può essere meno dannoso all’organismo, ma sia tale da permettermi di fare una cura ricostituente che rinforzi l’organismo stesso. Ho già fatto 42 punture di Valero-Fosfer Wassermann, ma l’insonnia mi indebolisce e rende quasi sterile la cura. Tuttavia un certo giovamento l’ho avuto, tanto vero che nonostante l’insonnia prolungata, posso scrivere con una certa facilità; sono stordito e debole, ma non come sono stato altre volte e ho poca emicrania. Ti abbraccio teneramente

Antonio


319.

19 dicembre 1932

Carissima Iulca,

ho ricevuto la tua lettera del 2. Da quanto mi scrive Tania, pare che tu invece non abbia ricevuto alcune mie lettere (una, per esempio, diretta a Delio). Non mi dispiace troppo, a dire il vero, che avvenga qualche dispersione; ma, purtroppo, esse non possono che avvenire casualmente, non certo intelligentemente. Voglio dire che dopo aver scritto alcune lettere ne provo io stesso dispetto, tanto mi accorgo di aver assunto un tono pedantesco, che deve essere per te comico spesse volte. Ciò dipende da molte circostanze legate alle mie condizioni di vita, ad alcuni avvenimenti dei passati anni e anche al fatto che nelle tue lettere ci sono pochi spunti che provochino una risposta. Sei troppo astratta e generica, mentre io avrei bisogno di maggiore concretezza. Ho perduto molta capacità d’immaginazione, ho perduto la maggior parte dei contatti col flusso della vita reale; i miei ricordi, sebbene vivaci, sono ormai vecchi di sei anni, ma quanto non sarà mutato in questi sei anni? Non posso che essere «anacronistico» in tutto; e allora, come avviene sempre, mi rifugio nella pedanteria e nel fare predicatorio, perché voglio pur dire qualche cosa e fingere di aiutarti, non potendoti effettivamente aiutare a superare la fase attuale della tua esistenza, che mi pare quella di un convalescente che fa mille progetti di attività e non sa da dove incominciare. Ciò mi fa credere che anche in te c’è qualcosa di anacronistico, che anche per te, sia pure in forma molto diversa dalla mia, è avvenuto che per qualche anno sei rimasta ai margini del flusso di vita e non sai come immergerti di nuovo (o credi di non sapere, mentre forse non ti accorgi di aver già da un pezzo ricominciato a lavorare). Una volta ti consigliai di riprendere la musica, come io ricomincerei i miei studi di filologia. Poiché lo studio della musica è stato il punto di partenza delle tue esperienze, pensavo che ritornando ad esso avresti rivissuto il passato, con una maggiore coscienza critica, e avresti ripreso le tappe della tua esistenza, non per ripeterle meccanicamente, ma per ripercorrerle intensamente e collaudare l’anello spezzato della catena (dato che ci sia un anello spezzato). Non so se tu hai capito in questo senso il mio consiglio, o vi hai visto solo un consiglio rivolto a dare un riempitivo qualunque a quello che tu chiami lo stato d’inerzia in cui ti trovi da troppo tempo. Spesse volte avviene che ritornando alle proprie esperienze passate, con tutto l’arricchimento posteriore, si facciano delle scoperte interessanti, ci si accorga di aver leggermente deviato dalla linea che avrebbe permesso una maggior esplicazione delle proprie forze e quindi un contributo maggiore nel collaborare allo sviluppo delle forze storiche vitali; ma la leggera deviazione iniziale è diventata sempre maggiore e ha mortificato la propria personalità e rettificarla potrebbe significare una ripresa piú normale, piú fruttuosa, piú ricca di valori. Come vedi anche queste sono osservazioni astratte, generiche necessariamente. Del resto informami esattamente del tuo nuovo tentativo di cura. Sono contento che i bambini quest’autunno siano rimasti immuni da malattie stagionali, e sono anche contento… che tu abbia scritto con la mia penna. (Ma bada che è necessario riempirla con l’inchiostro fluido delle stilografiche e non con quello comune che fa deposito e intasa i canalicoli di defluenza). Ti abbraccio, cara, coi nostri bimbi.

Antonio


320.

26 dicembre 1932

Carissima Tania,

ho ricevuto il pacco natalizio da Ghilarza e il tuo pacchetto con le calze di lana. Ho visto che nel pacco di mamma è intervenuta a tempo la tua iniziativa, perché esso era proprio confezionato di mio gusto. Ti prego di scrivere tu a Teresina, avvisando che il pacco è giunto a tempo, che tutto era in buonissimo stato e di mio massimo gradimento e che ringrazio di cuore; io scriverò la settimana ventura per conto mio. Ringrazio anche te del tuo ricordo e della tua cura. Le calze vanno bene perché sono di lana, ma perché un gusto cosí fantastico e… dispendioso? Carissima, non adirarti per la mia pedanteria, ma ti prego di essere piú pratica e terra terra. Capisco che «essere pratici» è un termine generico e vago; per una donna la praticità è diversa che per un uomo, in carcere è diversa che in libertà ecc, e in realtà ogni individuo ha la sua praticità, cioè rende le sue condizioni di vita piú conformi al piú facile svolgimento della sua attività principale e del fine che piú gli sta a cuore. Nel caso delle calze per un carcerato, però, esistono delle condizioni generali che ormai avresti dovuto apprendere; esse si rompono facilmente nel piede per la grossolanità delle scarpe, e perciò non devono essere lunghe al ginocchio, ma invece piuttosto basse alla caviglia, in modo da poterle buttar via, senza buttar via mezzo metro di gambale. Si possono avere dei gambali indipendenti dalle calze, non ti pare? Ogni tuo paio di calze corrisponde per materiale a tre paia utili. Qualche volta io stesso ho staccato il pedalino dal gambale, ma ho fatto dei pasticci, ho disfatto male le maglie, ho rovinato la lana ecc. Tu hai delle idee molto curiose; io credo che tu sei sempre persuasa che: 1° faccio dei complimenti; 2° che manco di praticità. Ti assicuro che sbagli completamente; non faccio complimenti, sebbene mi dispiaccia di far fare spese gravose e inutili; sono «praticissimo», ma certo di una mia particolare praticità personale, che è buona per me e non per altri. Credo di essere pratico appunto perché capisco che oltre certi limiti la praticità è affare personale.

Ho ricevuto due tue cartoline e una tua lettera, e in tutte e tre, a pezzi e bocconi, mi parli dell’applicazione nei miei riguardi del decreto di amnistia e indulto. Non sono riuscito a distinguere quanto, nelle tue spiegazioni, è «ufficiale», cioè corrisponde a informazioni certe avute alla cancelleria del Tribunale Speciale, e quanto è tua ipotesi o tua polemica contro le mie ipotesi. Mi pare che sia ufficiale e certo: 1° che ho beneficiato del decreto; 2° che la pena complessiva è ridotta a 12 anni e 4 mesi, cioè che devo ancora scontare (da oggi, 26 dicembre 1932) 6 anni, 4 mesi e 25 giorni, ma se sono certo del primo punto categoricamente, non altrettanto certo sono del 2° perché le tue espressioni non sono categoriche. Mi pare, poi, che i tuoi calcoli per spiegare la riduzione non siano ufficiali e certi, ma ipotesi tue o di qualche tuo conoscente. Bisognerà dunque che attenda il comunicato ufficiale per farmi un’opinione ragionevole. In ogni modo, dato che debba ancora scontare 6 anni, 4 mesi e 25 giorni, è escluso che possa godere del diritto (astratto) alla libertà condizionale, perché occorre non dover scontare piú di 5 anni. Sarò nelle condizioni volute dalla legge solo fra un anno, 4 mesi e 25 giorni. Ciò è pacifico. – Quando nelle lettere scorse ti esponevo la mia ipotesi, insistevo nel dire che essa era la piú favorevole e che altre se ne potevano fare, poiché mi mancavano molti elementi nel calcolo e perché, ragione principale, il metodo seguito dal Tribunale Speciale nel calcolare i cumuli è piú elastico (e può essere piú benevolo) degli altri Tribunali. Nel caso mio, se una Corte d’assise avesse calcolato il cumulo secondo la lettera del Codice Zanardelli, la condanna invece di 20 anni e 4 mesi sarebbe stata di qualche anno in piú. Certo il Tribunale Speciale non fa ciò a caso e senza uno scopo ben preciso (o almeno faceva, nel primo periodo della sua esistenza, quando giudicava in base al vecchio Codice). (Ti avverto che possiedo il nuovo Codice, e che pertanto non devi farmene mandare un nuovo esemplare). – Mi domandi se desidero un certo libro di Calvin Hoover; non importano i miei desideri. Non farlo mandare. Non ho invece ricevuto il volume Movimento economico italiano della Banca Commerciale (del 1932) che ho domandato parecchie volte. Forse è anche già uscito l’Almanacco Letterario dell’editore Bompiani, che ho sempre ricevuto gli scorsi anni verso questo tempo. Vorrei anche avere un calendarietto per il 1933, ma non fare come l’anno scorso (cioè quest’anno 1932), quando mi hai mandato un notes-calendario che è calcolato come un quaderno: è possibile avere un calendario-cartoncino, il piú semplice possibile, di un solo foglio-cartoncino, senza spazi bianchi? Ecco tutto.

Forse ti è stata comunicata la risposta alla tua istanza per la visita del prof. Arcangeli. Non me ne hai accennato, ma non vorrei che, annunziandomi una tua venuta a Turi, intendessi venire insieme con l’Arcangeli. Ti prego di seguire tassativamente le mie indicazioni. Non desidero assolutamente che il prof. Arcangeli venga a visitarmi in questo tempo. Desidero prima parlare con te. Spero che non ti sia impegnata con l’Arcangeli prima di avvertirmi. Ti prego di non cercare in nessun modo di forzare la mia volontà con fatti compiuti. Bada che sono deciso a tutto, anche a rifiutare di farmi visitare e anche a non andare al colloquio con te, se tu credessi di farmi deflettere. Non sono più in grado di sopportare una crisi come quella del settembre scorso. Cara Tatiana, io ti sono molto grato per tutto quello che hai fatto e continui a fare per me. Ma ci sono dei casi in cui spezzerei tutto, anche a costo di rovinarmi definitivamente. Ti prego di essere molto cauta in queste cose. Mi sono rimesso un po’, ma sono ancora costretto a tirare innanzi col bromuro e con una infinita pazienza. Che ha un limite fisiologico oltre che psicologico.

– Dopo aver parlato con te, e non c’è fretta, dato che l’ipotesi da me fatta astrattamente non si è verificata, si potrà anche pensare a una visita medica che io anzi ritengo utile, ma a suo tempo. Dunque, non annunziarmi vagamente un tuo arrivo. Quando ti sarai rimessa e la stagione sarà piú propizia, verrai senz’altro e non dovrai annunziarmi propositi vaghi, che mi tengono eccitato e nervoso, ma una data precisa. Ti prego di non ripetere ciò che è avvenuto nel 1932, per un anno intero. Spero che ti persuaderai che per me si tratta di cose molto serie. Se veramente, come sono persuaso, vuoi essermi utile e non giocare a fare della «beneficienza» da consolatrix afflictorum, devi fare solo ciò che io ti indico e non di piú, per qualsiasi ragione. Ti prego di rassicurarmi subito a questo proposito (cioè della visita del prof. Arcangeli) e di disimpegnarti in ogni modo se, per disgraziato caso, ti fossi già impegnata senza avvertirmi. Credi che sono persuaso di avere ragione.

Ti abbraccio affettuosamente

Antonio


321.

2 gennaio 1933

Carissima Tania,

ho ricevuto poco fa la tua lettera e la cartolina degli ultimi giorni dell’anno. Ti ringrazio degli auguri e li ricambio, aggiungendo quelli per la tua festa del 12 gennaio; mi sono ricordato a tempo che Santa Tatiana è il 12 gennaio. Sono contento delle tue assicurazioni a proposito del prof. Arcangeli. È possibile che io abbia addosso un po’ di spirito di persecuzione, ma la tua canzonatura non mi pare molto giusta, perché ho sofferto molto e mi è rimasto un nervosismo che non riesco a vincere. Ti ho scritto in quel modo perché mi è stato comunicato che la tua istanza è stata accolta favorevolmente, cioè è stato concesso che il prof. Arcangeli venga a visitarmi. Poiché la stessa comunicazione deve esserti stata fatta da qualche tempo (cosí almeno ho pensato, dato che l’istanza era tua) e tu non me ne hai mai accennato, mi è venuta una certa smania e il dubbio che tu volessi farmi una sorpresa che sarebbe stata molto sgradita. – Non ti ho mai scritto di fissare «a me» una data per una tua venuta a Turi; solo ti ho scritto di non accennare vagamente alla possibilità, ma di parlarmene solo quando ti sarai decisa concretamente. – Cosí non mi pare abbia tu ragione a proposito delle tue informazioni sul decreto d’amnistia e indulto. Me ne hai scritto a pezzi e bocconi, a tre riprese. La prima volta hai detto di essere stata presso il Trib. Speciale, ma scrivevi in modo curioso; dicevi che la mia ipotesi piú favorevole si era verificata, anzi ti dicevi «orgogliosa» che io mi fossi mostrato tanto «intelligente», mentre la realtà era ben diversa, poiché invece di 5 anni (mia ipotesi piú favorevole) mi rimaneva da fare 6 anni e 4 mesi. La seconda volta, seguendo un tuo ordine di idee che mi era ignoto, facesti degli accenni incomprensibili di per se stessi. Finalmente una terza volta mi esponesti una analisi dettagliata, che però non era presentata come obbiettiva, ma come polemica alle mie precedenti lettere. In conclusione non ne ho capito nulla, eccetto che la condanna è stata ridotta a 12 anni e 4 mesi e cioè che devo ancora scontare 6 anni, 4 mesi e 17 giorni. Capisco che ciò non dimostra da parte mia quella intelligenza di cui ti sentivi orgogliosa, ma tuttavia è la nuda e cruda verità, a mia grande vergogna e disdoro. Riflettendo a queste tue lettere e al modo molto artistico e originale con cui dai le informazioni, ho finito con l’ammirare lo stile burocratico, nella sua sobria secchezza e nel suo formalismo pedantesco: – Oggetto: tale – Si comunica che ecc. ecc. 1°, 2°, 3°, ecc. Ti assicuro che non ho aspettato la mezzanotte del 31 dicembre per aver l’impressione di entrare nell’anno nuovo. L’anno vecchio non era precisamente pieno di ricordi piacevoli per me; è stato l’anno piú brutto che ho passato in carcere. Né l’anno nuovo si presentava con prospettive allettanti. Se l’anno 32 è stato brutto mi pare che il 33 debba essere peggiore. Sono logorato e nello stesso tempo le gravezze vanno aumentando; il rapporto tra le forze disponibili e lo sforzo da sostenere è ancora peggiorato. Tuttavia non sono demoralizzato, anzi la mia volontà trae alimento proprio dal realismo con cui analizzo gli elementi della mia esistenza e resistenza.

Ti abbraccio affettuosamente

Antonio

A proposito del prof. Arcangeli voglio che tu ti persuada che io non escludo (anzi) una sua visita, ma che solo desidero scegliere io il momento piú opportuno e utile. Perciò informami esattamente della risposta data alla tua istanza.


322.

2 gennaio 1933

Carissima Teresina,

ho ricevuto la tua lettera del 23 dicembre. Il pacco di Natale, come già credo vi abbia informato Tatiana, è giunto in tempo e in perfetto ordine. Ho trovato tutto molto buono e fresco. Una volta tanto ho riprovato un po’ di gusto a mangiare qualche boccone. Soffro molto agli intestini, in parte perché non posso masticare neanche il pane, in parte per altre ragioni connesse al regime carcerario; sono costretto a mangiare con lo stesso gusto che si prova inghiottendo i medicinali disgustosi. Il pacco mi ha ridato un po’ del gusto di mangiare qualcosa di gradito e saporoso. Assicura perciò mammà che ho molto gustato tutto e che ne sono stato molto contento. Mi dispiace che ti sei rivolta a Carlo per quell’estratto vegetale che avevo accennato a Tatiana. Ti voglio informare che Carlo si è comportato e sta comportandosi con me in modo molto bizzarro e curioso, che mi dispiace assai. Credevo che dopo il colloquio dei primi mesi dell’anno scorso, che ricorderai, ci fossimo spiegati a sufficienza e fossimo d’accordo. Ma io non riesco a capire il suo modo di pensare e di operare. Ai primi di novembre, dopo che non mi scriveva dal giugno, mi arriva un telegramma in cui mi annunzia che sono stato amnistiato e che andrò in libertà fra giorni. Mi domanda se deve venire a Turi per abbracciarmi libero e altre sciocchezze del genere, che però sul momento mi fecero una certa impressione dato che non avevo nessuna notizia e potevo credere che egli fosse una persona seria e responsabile. D’altronde in quei giorni ero molto depresso e indebolito, ricorderai che poco prima Grazietta mi aveva scritto una lettera catastrofica sulle condizioni di mammà. Dopo questo telegramma sorprendente, Carlo non ha ritenuto necessario scrivermi per cercare di darmi qualche spiegazione. Ti prego di non rivolgerti a lui per ciò che mi riguarda e di non domandargli nulla per me. Io gli avevo domandato solo di scrivermi qualche volta, di mantenersi in contatto epistolare con me, magari di scrivermi solo qualche cartolina illustrata. Mi ha fatto tante promesse in questo senso, ha affermato di capire perfettamente perché io gli domandavo questo. Poi non ne ha fatto nulla, non solo, ma in preda all’isterismo sciocco per non aver mantenuto la promessa fatta, mi ha mandato quello stupido telegramma. È meglio che non si occupi piú di me e che almeno mi lasci tranquillo. Mi dispiace di averti dovuto scrivere queste cose, ma desidero che Carlo non creda che io mi sono rivolto a lui attraverso la tua persona e la tua richiesta. Ti assicuro che sono veramente disgustato e offeso del modo di operare di Carlo e che mi pesa enormemente di non potergli restituire i soldi che nel passato egli mi ha inviato. Scusa questo sfogo. Abbraccia tanto per me tutti di casa, coi tuoi bambini.

Antonio


323.

9 gennaio 1933

Carissima Tania,

ho ricevuto la tua cartolina del 2 e il vaglia del 3. Ti ringrazio di tutto cuore. Spero anch’io, questo mese, di spendere meno per medicine perché mi sento un po’ meglio. Nel mese di dicembre le spese da me fatte sono state esattamente di L. 122,05 cosí composte: per medicine L. 60,70, quasi la metà; per la posta L. 8,80; per generi di consumo L. 52,55 di cui 15,08 per tabacco, 1 lira per fiammiferi, e 0,88 per cartine; per vitto ho speso esattamente L. 37,47. Come vedi sono già riuscito a limitare molto il consumo del tabacco propriamente detto; credo che se si considera la quantità del tabacco ne consumo oggi solo 1/15 di quanto ne consumavo in libertà e se si considera la spesa, spendo oggi da 1/10 a un undicesimo di ciò che spendevo allora. È ancora troppo, secondo me, ma credi che è molto difficile estirpare completamente un’abitudine così inveterata e radicata. Le mie condizioni di salute sono un po’ migliorate, sebbene abbia l’impressione di essere ancora un po’ diminuito di peso. Di fatto sono riuscito ancora a diminuire il gonfiore del ventre, e quindi a digerire un po’ meglio, ma posso mangiare poco e i disturbi non sono spariti del tutto. Dormo qualche ora ogni notte, ma non piú di 3 ore e ½ e purché prenda le compresse di «Sedormit Roche»; non sono perciò mai riposato e molto spesso mi pare di essere come sospeso per aria, senza equilibrio fisico, nelle condizioni che si ha quando viene la vertigine e il capogiro o quando si è ubriachi. Tuttavia mi sento meglio e ho molto meno mal di capo. Soffro di piú il freddo e, cosa notevole, ho avuto dei geloni alle orecchie, mentre nel passato non ho mai sofferto di geloni, neanche da bambino, a differenza dei miei fratelli che, ricordo molto bene, in certi giorni avevano i piedi e le mani scorticati a sangue. Ecco le notizie piú complete sulla mia salute. – Come avrai capito dalla precedente lettera, la tua istanza del 15 settembre ha fatto regolarmente la sua strada. Essa è stata esaminata molto per tempo, poiché già nel mese di ottobre io ero stato visitato dal sanitario del carcere che doveva dare il suo parere (così almeno credo), ed ultimamente la pratica ha avuto un termine, perché mi è stato comunicato che l’istanza era stata accolta favorevolmente. Poiché la comunicazione mi è stata fatta con un certo ritardo, io pensavo che tu fossi stata già informata, poiché l’istanza era mossa da te. Quindi quella certa preoccupazione. In ogni modo tutto ciò ti avrebbe dovuto dimostrare che la tua fretta inconsiderata non serviva a nulla, ma aveva il solo risultato di mettere me nell’imbarazzo e in una falsa posizione.

A proposito di quanto mi hai scritto sull’applicazione nei miei riguardi del decreto di amnistia, ti sarei grato se volessi, presso qualche competente, procurarti alcune informazioni che mi sarebbero utili nel caso che la declaratoria del Tribunale Speciale coincida davvero con quanto mi hai scritto (o io ho capito dal tuo scritto). Ti riassumo la quistione così come io l’ho capita dai tuoi scritti. – 1° Sarebbe stata applicata l’amnistia a quattro pene minori di tre anni. 2° Dedotte queste pene minori, sarebbero rimaste in piedi due pene, una a 15 anni di reclusione e una a 10 anni di detenzione. 3° Fatto il conguaglio della detenzione alla reclusione, la pena totale sarebbe risultata di 18 anni e 4 mesi. 4° Da questo totale sarebbe stato detratto un anno per l’indulto del 1930 e 5 anni per l’indulto recente e così si avrebbe l’attuale cifra di 12 anni e 4 mesi. – Se ho capito esattamente e se le tue informazioni sono esatte, avrei da osservare qualche cosa e su questo qualche cosa appunto vorrei il parere di un competente. Appare che i computi e le applicazioni dei decreti sono stati fatti secondo le norme del nuovo Codice. Ma io sono stato condannato col vecchio Codice e credo sia norma osservata che in questi casi si applica la legge piú favorevole all’interessato. Nel mio caso, mi pare che dovrebbero applicarsi, nel computo delle pene restate in piedi dopo l’applicazione dell’amnistia, le norme del vecchio Codice sul cumulo giuridico, e così mi consta che abbiano fatto i tribunali ordinari e le Corti d’Appello. Applicando queste norme è vero che invece di 1 anno, godrei solo di 4 mesi per il precedente indulto, ma ciò sarebbe compensato abbondantemente dalle norme del cumulo, poiché (se non sbaglio) la pena complessiva, dopo la caduta dei reati minori per la amnistia, sarebbe di 16 anni e 8 mesi (15 anni piú la metà della seconda pena) di cui, dopo la detrazione di 4 mesi per l’indulto del 1930 e di 5 anni per l’indulto recente, rimarrebbero da scontare 11 anni e 4 mesi e non 12 e 4 mesi. Se questo mio ragionamento è esatto, come credo, rimarrebbe la quistione dei poteri eccezionali del Tribunale Speciale, che però non credo possano arrivare fino a derogare dal principio generale che si deve applicare la legge piú favorevole, e rimarrebbe la quistione che alle decisioni del Tribunale Speciale non c’è appello altro che per ricorso di revisione. Ma nelle questioni di applicazioni di amnistie e indulti vige lo stesso principio del non appello? O il Consiglio di revisione funziona anche per tali quistioni? – Credo che da ciò che ho scritto risultino chiaramente le informazioni che desidero avere. Nel computo fatto dal Tribunale Speciale, le norme del nuovo Codice mi hanno avvantaggiato di 8 mesi per l’applicazione dell’indulto del 1930, ma le norme del vecchio Codice risultano in definitiva piú favorevoli per il meccanismo del cumulo giuridico, e quindi avrei il diritto di domandare che tali norme mi siano applicate, anche se ciò deve portare all’applicazione di solo 4 mesi per l’indulto del 1930 (perché non credo che si possa domandare che siano applicati tutti e due in quanto volta a volta siano piú favorevoli). Ti prego di essere esatta nelle risposte che potrai mandarmi e di distinguere la parte polemica dalla parte «oggettiva». Io so di intendermi poco di queste sottigliezze procedurali e sono disposto ad ammettere di aver sbagliato: non importa perciò cercare di convincermi che ho sbagliato, se ho sbagliato, con lunghi ragionamenti. Vorrei avere nozioni precise e categoriche, in quanto sono possibili in tale materia, e consigli di competenti su ciò che si può fare, dato che ci sia qualcosa da fare. Ti abbraccio teneramente.

Antonio


324.

16 gennaio 1933

Carissima Iulca,

da un pezzo non ricevo tue lettere (l’ultima era datata del 2 dicembre). Avant’ieri ho avuto un colloquio con Tania, che è venuta a visitarmi; non ci vedevamo da due anni e mezzo. Come puoi immaginare, ciò mi ha fatto molto contento e ha rotto la terribile monotonia della mia vita. – Nei giorni scorsi ho letto per caso alcuni estratti di un «Diario» giovanile di Cesare Lombroso e vi ho trovato qualche spunto che si connette a ciò che tu hai osservato a proposito di Giuliano e del suo guardarsi allo specchio. Scrive il Lombroso: «Mi ricordo benissimo dell’epoca in cui vidi me stesso nello specchio e mi accorsi della mia presenza – mi destò la piú viva curiosità. Ero tra i 4 e 6 anni». Il Lombroso distingue nella sua vita giovanile l’epoca in cui si accorse del suo esistere come persona fisica e quella in cui si accorse della sua persona psichica (a 16 anni) e mi pare che la distinzione sia giusta e che abbia la sua importanza. Non credi che anche per Giuliano si tratti di un fatto analogo? che egli, cioè, abbia cominciato in modo piú concreto a pensare alla sua esistenza, alla sua personalità e che ciò lo spinga a guardarsi di tanto in tanto nello specchio, quasi per assicurarsi di essere lo stesso o per vedere se in qualcosa ha cambiato? Hai mai osservato come i grandi non riescano più a ricordarsi del loro essere stati bambini e quindi difficilmente comprendano il modo di pensare e le reazioni che avvengono nella psiche dei bambini con cui devono trattare? Perciò non sempre riescono a rendersi conto di determinati atteggiamenti dei piccoli. Ciò forse è ancora reso piú complicato dalla differenza dei sessi; cioè una mamma comprende meno bene i maschietti e viceversa. Scrivimi qualche cosa a questo proposito; ciò mi interessa molto. – Tania mi ha detto che sarebbe bene che io ti scriva qualche cosa delle modificazioni avvenute nella mia posizione «giuridico-carceraria» dopo il decreto di amnistia e indulto del novembre scorso. Ecco di che si tratta. Prima di questo decreto io avevo da scontare ancora 13 anni di carcere (a partire dal 19 di questo mese); dopo il decreto questo tempo è notevolmente diminuito. Non ho ancora avuto nessuna comunicazione ufficiale in proposito; pare però che il termine sia ridotto a 6 anni e 4 mesi, sebbene la mia opinione sia che esso, ai termini della legge con la quale sono stato condannato, debba essere ridotto a 5 anni e 4 mesi. In ogni modo la cosa che può essere interessante è questa: che quando si viene a trovarsi in queste condizioni generali (piú precisamente, quando, oltre alle altre condizioni, si ha da scontare non piú di 5 anni) si può domandare (si ha il diritto astratto di domandare) la liberazione condizionale (cioè una condizione di libertà vigilata dalla polizia). Non so se tutto questo possa interessarti molto. Io penso cosí: che siccome una persona normale non può fare progetti e prospettive oltre i 3 anni, ogni termine di tempo che superi i 3 anni praticamente equivale all’infinito. Ma forse esagero e i 6 anni di carcere già scontati hanno contribuito a immeschinirmi, a limitarmi gli orizzonti. In ogni modo i fatti obbiettivi sono cosí come ho scritto. Può anche darsi che essi finiscano con l’essere piú importanti di quanto io possa pensare, poiché nell’avvenire si può pensare che le probabilità favorevoli e quelle sfavorevoli si equilibrino. Carissima Iulca, ti abbraccio forte forte.

Antonio


325.

Carissimi Delio e Giuliano, non mi avete piú scritto, perché?, da tanto tempo. Non so piú nulla degli esseri viventi di Delio, del suo fringuello, dei pesciolini. E poi: Delio ha ricevuto il libro di Pinocchio? Gli sono piaciute le illustrazioni? Corrispondono esse all’imagine che egli si era fatto del burattino? E a Giuliano piace la storia di Pinocchio? Quali sono ora i centri del vostro interesse sia a scuola che in casa? Scrivetemi tante cose, tutt’e due. Vi abbraccio tanto e vi faccio tante carezze.

Antonio


326.

30 gennaio 1933

Carissima Tania,

ho ricevuto le tue cartoline da Bari e da Napoli. A quest’ora spero che ti sarai già riposata del viaggio e che avrai ripreso la tua vita normale. Mi ha molto interessato, in una tua cartolina del 24, la raccomandazione che mi fai di «essere di buon umore» come ricetta all’enterocolite. Mi pare una raccomandazione molto utile, ma di difficile applicazione, almeno come programma prestabilito. Forse è necessario un intero trattato sul buon umore, che magari si potrebbe estrarre dal Candido di Voltaire opportunamente sistematizzato per tutti i casi spiacevoli della vita. È un vero peccato che le opere di Voltaire non siano permesse in carcere (almeno cosí credo) e specialmente è spiacevole che tutta la vita si debba trascorrere entro quattro strette mura, senza tutti gli svaghi che stimolano il buon umore. Del resto, hai ragione. Tutto sta nel paragonare la propria vita a qualche forma ancora peggiore e consolarsi con la relatività delle umane fortune. Quando avevo 8 o 9 anni ho avuto una esperienza che mi è ritornata chiaramente alla memoria leggendo il tuo consiglio. Conoscevo una famiglia di un villaggio vicino al mio, padre, madre e figlioli: erano piccoli proprietari ed esercivano una osteria. Gente energica, specialmente la donna. Sapevo (avevo sentito dire) che oltre ai figli noti e conosciuti, questa donna aveva un altro figlio che non si vedeva mai, del quale si parlava con sospiri come di una gran disgrazia per la madre, un idiota, un mostro, o giú di lí. Ricordo che mia madre accennava spesso a questa donna come ad una martire, che tanti sacrifizi faceva per questo suo figlio e tanti dolori sopportava. Una domenica mattina, verso le 10, io fui inviato da questa donna; dovevo consegnarle certi lavori di uncinetto e riscuotere dei denari. La trovai che chiudeva l’uscio di casa, vestita di festa per recarsi alla messa solenne: aveva una sporta sotto il braccio. Al vedermi esitò un poco, poi si decise. Mi disse di accompagnarla a un certo luogo e che al ritorno avrebbe preso in consegna i lavori e mi avrebbe consegnato i denari. Mi condusse fuori del paese, in un orticello ingombro di rottami e di calcinacci; in un angolo c’era una costruzione ad uso porcile, alta un metro e venti, senza finestre o sportelli, con solo una robusta porta d’ingresso. Aprí la porta e subito si sentí un mugolío bestiale; c’era dentro il suo figlio, un giovane di diciotto anni, di complessione molto robusta, che non poteva stare in piedi e perciò stava sempre seduto e saltellava sul sedere verso la porta, per quanto glielo consentiva una catena che lo stringeva alla cintola ed era assicurata a un anello infisso al muro. Era pieno di sozzura, solo gli occhi rosseggiavano come quelli di un animale notturno. La madre gli rovesciò in un truogolo di pietra il contenuto della sporta, del mangime misto di tutti gli avanzi di casa e riempí d’acqua un altro truogolo, poi chiuse e andammo via. Non dissi niente a mia madre di ciò che avevo visto, tanto ero rimasto impressionato e tanto ero persuaso che nessuno mi avrebbe creduto. Neanche quando sentii parlare ancora dei dolori di quella povera madre, intervenni per correggere l’impressione e parlare della disgrazia di quel povero relitto umano capitato con una madre simile. D’altronde, cosa poteva fare quella donna? – Come vedi, è possibile fare dei paragoni concreti e consolarsi alla maniera di Candido.

Non mi hai piú accennato al sonnifero che avevi promesso; io stesso mi dimenticai di ricordartelo all’ultimo colloquio. Scrivimene, perché almeno possa fare la domandina per acquistarlo.

Ti abbraccio affettuosamente.

Antonio


327.

30 gennaio 1933

Carissima Iulca,

ho ricevuto una tua lettera abbastanza lunga. Che Giuliano abbia proposto di mandarmi il suo primo dentino di latte perduto mi ha fatto molto piacere: mi pare che questo tratto mostri in modo concreto come egli senta un reale legame tra me e lui. Forse avresti fatto bene a mandarmi davvero il dentino, in modo che questa impressione si fosse ancor piú rinvigorita nel suo animo. Le notizie che mi mandi sui bambini mi interessano enormemente. Non so se le mie osservazioni sono sempre adeguate; forse no, perché, nonostante tutto, il mio giudizio non può non essere unilaterale. Tania mi ha trascritto una tua lettera a lei. Mi pare che tu, scrivendo a me, eviti di dirmi molte cose, forse per il timore di contristarmi, date le mie condizioni di carcerato. Credo che tu debba persuaderti che puoi avere con me tutta la franchezza possibile e non nascondermi nulla; perché non dovrebbe esserci tra noi il massimo di confidenza su tutto? Credi che non sia peggio il non sapere, il dubitare che si nasconde qualche cosa e quindi il non essere mai sicuro che il mio atteggiamento sia giusto? Cara Iulca, devi proprio scrivermi di te e delle tue condizioni di salute con tutta la precisione possibile, senza esitare per timore di abbattermi. Ciò che mi abbatterebbe solo potrebbe essere il sapere che tu non lotti per migliorare, per riacquistare le forze, e a ciò non credo. Sebbene l’avvenire sia ancora oscuro, non perciò bisogna rilassarsi. Io ho attraversato molti brutti momenti, mi sono sentito tante volte fisicamente debole e quasi stremato, però non ho mai ceduto alla debolezza fisica e per quanto è possibile dire in queste cose, non credo che cederò neanche d’ora in avanti. Eppure posso aiutarmi ben poco. Quanto piú mi accorgo di dover attraversare brutti momenti, di essere debole, di veder aggravarsi le difficoltà, tanto piú mi irrigidisco nella tensione di tutte le mie forze volitive. Qualche volta riepilogo questi anni passati, penso al passato e mi pare che se sei anni fa mi fossi prospettato di dover attraversare ciò che ho attraversato, non l’avrei creduto possibile, avrei giudicato di dovermi spezzare ad ogni momento. Proprio sei anni fa, sono passato, indovina? da Ravisindoli, in Abruzzo, che tu qualche volta hai ricordato per esserci stata in villeggiatura, d’estate. Ci sono passato chiuso in un vagone di metallo che era stato tutta la notte sotto la neve e io non avevo né soprabito, né maglia di lana e non potevo neanche muovermi perché bisognava stare seduti per la mancanza di spazio. Tremavo tutto come per la febbre, battevo i denti, e mi pareva di non essere in grado di finire il viaggio perché il cuore sarebbe gelato. Eppure sono trascorsi sei anni da allora e sono riuscito a cacciarmi di dosso quel freddo da ghiacciaia e se qualche volta mi tornano quei brividi (che un po’ mi sono rimasti nelle ossa) mi metto a ridere ricordando quel che allora pensavo e mi paiono fanciullaggini. Insomma, la tua lettera a Tania mi è sembrata troppo malinconica e tetra. Penso che anche tu sei molto piú forte di quanto tu stessa non pensi e che devi perciò ancora irrigidirti e tenderti tutta per superare la crisi che hai attraversato, in modo decisivo. Cara, vorrei aiutarti, ma spesso penso che nel passato, per non sapere esattamente come tu stavi, posso invece aver contribuito a farti ancora disperare. Scrivimi spesso; fa forza su te stessa e scrivimi piú spesso. Fa scrivere anche Delio e Giuliano. Su Delio ho letto una lettera di Genia a Tania, che in verità, mi è piaciuta poco. Dopo aver letto questa lettera, ciò che tu scrivi a proposito della maestra di Delio, e dei suoi errori di valutazione, non mi pare molto convincente. Mi pare che Delio viva in una atmosfera ideologica un po’ morbida e bizantina, che non lo aiuta a essere energico, ma piuttosto lo snerva e debilita. Voglio ancora scrivere a Delio qualche storia di animali viventi, ma ho paura di ripetere cose già scritte, perché adesso dimentico le cose molto facilmente. Ti abbraccio forte forte, cara.

Antonio


328.

6 febbraio 1933

Carissima Tania,

proprio questa mattina mi è stata comunicata la declaratoria del Tribunale Speciale. Dal documento ho finalmente tratto la convinzione che realmente sono state amnistiate le quattro condanne minori e la multa; sono rimaste valide le due prime condanne e le cosí dette pene accessorie (interdizione dei pubblici uffici e libertà vigilata per tre anni). Non appare come sia stato computato l’indulto per il matrimonio del principe ereditario; ad esso si fa solo un accenno generico. Date queste informazioni ufficiali mi pare possibile fare il ricorso e mi propongo di farlo appena avrò gli elementi giuridici di riferimento che ti ho chiesto in una precedente lettera e dei quali abbiamo anche parlato al colloquio: solo che adesso non ho piú bisogno della trascrizione di tutti quegli articoli che allora ti chiesi, ma solo di quelli riguardanti il cumulo giuridico, cosí come era stabilito nel vecchio Codice Zanardelli e cioè gli articoli 68-69 e 75. Carissima, sono mezzo abbrutito o forse completamente abbrutito per il non poter dormire e riposare la notte: in certi momenti mi pare di diventar pazzo. Perciò sono poco sicuro di me stesso e mi nascono dei dubbi, delle incertezze, degli svanimenti di memoria e di volontà. Ti scrivo questo per domandarti se non ritieni opportuno, per maggior sicurezza, di domandare il parere di un avvocato e di inviarmelo perché me ne possa servire nell’istanza di ricorso. Sai quanto mi dispiace di dare dei soldi agli avvocati e di farti spendere: devi anche tener conto che non tutti gli avvocati sono pratici di queste faccende. La cosa migliore sarebbe di poter parlare con qualche giudice di Corte d’Appello, dato che questa magistratura è spesso chiamata a risolvere tali quistioni: se attraverso i tuoi amici tu potessi avere la possibilità di una presentazione sarebbe cosa bellissima. Ti ho scritto già quale è il modo in cui secondo me bisogna porre la quistione e tu nel colloquio mi dicesti che la mia esposizione era chiarissima. In essa io però ragionavo partendo dal principio giuridico che si deve applicare la legge piú favorevole. Ora mi pare che il ricorso a questo principio giuridico sia cosa solo secondaria e subordinata. Il punto fondamentale mi pare che il calcolo delle pene (dopo sottratte quelle ammistiate) deve essere fatto secondo la legge in base alla quale è stata inflitta la condanna; il modo di calcolare le pene concorrenti è un elemento essenziale della legge e della sentenza, da cui non si può derogare. Il nuovo Codice non conosce il cumulo giuridico, ma solo la somma aritmetica delle pene concorrenti; l’applicazione di questo modo di calcolare potrebbe, in certi casi, avere la conseguenza che, dopo un’amnistia, la pena totale sarebbe aumentata invece che diminuita, cosa assurda evidentemente. Come ti ho anche riferito a voce, mi consta che le Corti d’Appello (ho visto una declaratoria della Corte d’Appello di Firenze) recentemente hanno appunto applicato le norme del cumulo giuridico del Codice Zanardelli per i condannati secondo questo Codice, dopo aver detratto le amnistie e gli indulti concessi col recente decreto. Ti prego, cara, di essere sollecita nel rispondermi su quanto ti domando (sollecita però non significa che debba aver fretta e trascurare qualche cosa).

Ho ricevuto due tue cartoline, una del 27 e l’altra del 30. Nella prima promettevi di trascrivermi una lettera di Giulia a te, ma non ho visto nulla ancora, (perché prometti? non ti pare che sia meglio non promettere del tutto e «fare» quando e appena si può? la promessa desta un’attesa che rimane inappagata e dà un tormento). Nella seconda cartolina mi fai alcune domande. 1° Il Quadro Nose (ma si scrive cosí? i nomi dei medicinali è bene scriverli con molta chiarezza, in modo che si possa scriverli all’occorrenza senza dar luogo ad equivoci) non l’ho avuto e non so quando e se potrò averlo. Appena ricevuta la tua cartolina mi sono informato (ho consegnato la cartolina stessa alla guardia d’infermeria perché la mostrasse al farmacista); prima mi è stato risposto che non era ancora giunto, sabato poi mi è stato detto che a Bari non l’hanno; non so se verrà fatto arrivare da qualche altro posto e quando potrà giungere. Ecco un esempio di ciò che ho cercato di farti comprendere al colloquio, ma che mi pare tu non abbia compreso bene. Io contavo su questo preparato per interrompere almeno la nuova crisi di nevrastenia che attraverso e poter avere un po’ di riposo. Invece chissà quanto dovrò aspettare e ti assicuro che mi indebolisco in modo crescente, con un ritmo giornaliero. 2° Per le altre domande che mi fai, mi riferisco a ciò che ti ho detto nelle righe precedenti. Lascia perdere tutte le cose senza importanza e fa come ti pare. Tanto piú che il mio parere in certi casi non conta nulla. Io non so cosa ti è stato detto in Direzione e se hai avuto l’autorizzazione di inviarmi l’Uroclasio e l’estratto vegetale. Da una tua precedente cartolina appare che tu dai importanza ai fattori psichici per il decorso di certe malattie e io non voglio contraddire, sebbene creda che questi fattori hanno importanza secondaria. Ma tu stessa non potrai negare che tali fattori sono positivi e negativi e che è molto difficile da stabilire quando uno stimolo debba essere giovevole e non viceversa. Ebbene tutti questi fatti: che ciò che è importante non si può avere, mentre per le cose secondarie, per cui tutto dovrebbe essere già deciso, si fanno tante quistioni, per finire poi magari col non aver nulla, sono tanti elementi psichici deprimenti; per me stanno diventando addirittura ossessionanti. Cosí ti ripeto che non ho bisogno di panciere di lana: la panciera mi darebbe solo fastidio durante la notte e so io se ho bisogno di avere altri fastidi oltre quelli che ho già. Non posso tenere addosso niente che in qualsiasi modo ostacoli la circolazione del sangue; ho dovuto togliere i legacci delle scarpe perché mi facevano gonfiare le vene del dorso del piede; non posso tenere le bretelle ecc. Carissima, ti prego proprio di non scrivermi più tutte queste cose inutili. Esse mi irritano; non riesco piú a essere paziente: è una cosa fisica che non riesco a dominare e per dominarmi devo fare uno sforzo che mi spossa in modo incredibile. Tu forse non hai mai fatto una esperienza psicologica che è questa: si soffre, per esempio, 100, di cui 99 è prodotto da cause di forza maggiore (chiamo forza maggiore quelle cause che non dipendono da noi o dai nostri cari) e 1 dai nostri cari. Ebbene quell’1 per cento finisce esso solo coll’ossessionare, col presentarsi sempre come la causa unica o maggiore. Forse avrai visto come degli ammalati, per essere stati spostati con un gesto brusco da uno della famiglia mentre stanno a letto, danno a quel gesto brusco un’importanza eccessiva, ed entrano in furore ecc. Ebbene, come vedi, io so ancora ragionare su me stesso e darmi una ragione delle cose; ciò non impedisce che in certi momenti anch’io entri in furore e mi dimentichi di questi elementi critici. Ti abbraccio affettuosamente

Antonio


329.

13 febbraio 1933

Carissima Tania,

ho ricevuto due tue lettere e il Quadro Nox. Avrei voluto dedicare tutta questa mia lettera a rispondere alla tua del 3, poiché essa mi ha fatto molto pensare e mi ha convinto che devo essere con te molto piú franco (o forse è meglio dire «molto piú preciso») di quanto sia stato forse finora, ma la tua del 10 per la sua concretezza mi pare domandi una immediata risposta. Ciò che mi hai scritto a proposito della mia posizione giuridica e la proposta dell’istanza da fare al Tribunale Speciale mi ha molto interessato, come puoi immaginare. Ti farò ancora alcune osservazioni che sottoporrai all’avv. Piero e a quelli che scrivi possono occuparsi della mia quistione, con queste riserve. So bene che non mi intendo di queste cose e posso facilmente cadere in errore; le osservazioni che faccio non derivano da «sapienza giuridica», ma da analogie con fatti venuti a mia conoscenza o da giudizi espressi da uomini che io credevo competenti. Ho visto però che realmente esisteva un «mistero del cumulo giuridico» perché anche da avvocati rotti alla procedura ho sentito dare giudizi disparati. Se mi avessi comunicato gli articoli del Codice Zanardelli che riguardano questo «mistero» e che io non ricordo, ogni mio dubbio sarebbe sparito; ma non ho capito come neanche questa volta – nonostante che da qualche settimana tu mi abbia scritto di aver trascritto il testo – abbia creduto opportuno di copiarmeli e cosí metter fine alla questione. Sai? Mi viene in testa un aneddoto e voglio riferirtelo perché è divertente (non devi però offenderti). Molti anni fa fu promulgata la legge sui camposanti (che obbligava i Municipi a tenere i cimiteri a non meno di 500 metri dall’abitato) e il Ministero dell’Interno inviò una circolare a tutti i Sindaci, domandando a che distanza dall’abitato del Comune fosse il cimitero. Il Sindaco di Maracalagonis, che si è reso celebre anche per altri fatti, rispose che il cimitero era lontano dall’abitato un tiro di schioppo. Replica del Ministero che domanda maggiore precisione e nuova risposta: il cimitero è lontano un tiro di sasso lanciato da mano maestra. Il Ministero replica ancora e ottiene una nuova risposta: due voli di pernici in età matura e cosí via. Cosí mi pare questa questione del cumulo giuridico secondo il Codice Zanardelli. Come ripeto, io non sono un competente ma faccio osservare che nel Codice Zanardelli, a differenza del nuovo Codice, quando c’era concorso di pene nella stessa condanna (e non solo nella stessa condanna) «cumulo» indicava un modo di calcolo per cui la pena totale era sempre inferiore alla somma delle diverse pene (ciò s’intende dopo la omogeneizzazione delle pene stesse). Nel caso mio particolare le sei pene della condanna sommavano a 18 anni e 8 mesi di reclusione e 12 anni e 10 mesi di detenzione; ridotta la detenzione in reclusione (i 12 anni e 10 mesi diventano 4 anni, 3 mesi e 10 giorni) la somma sarebbe stata di 23 anni, 1 mese e 10 giorni, mentre invece, per il cumulo, fu di 20 anni, 4 mesi e 5 giorni. Come questo sia avvenuto, io non so, ma è avvenuto, ciò che mi fa credere che realmente esistesse una legge del cumulo; è possibile che nel caso specifico mio questa legge non fosse applicabile, non lo escludo, ma dalla tua lettera non appare. Come ti ho scritto altre volte, ho letto una declaratoria della Corte d’Appello di Firenze; si trattava di un detenuto che con sentenze diverse aveva avuto due condanne, una alla reclusione comune e una alla reclusione militare. Nella declaratoria la pena totale, dopo l’applicazione dell’indulto, era cosí calcolata: 1° riduzione della reclusione militare a reclusione comune, cioè diminuzione di un quinto della reclusione militare, 2° passaggio al cumulo per cui la reclusione militare ridotta di un quinto era ancora divisa per metà (per esempio 10 anni di reclusione comune e 5 anni di reclusione militare danno un cumulo di 12 anni). Questo esempio, tanto piú espressivo in quanto si tratta di due condanne diverse, mi fa credere che l’avv. Piero non abbia approfondito sufficientemente il «mistero». Un altro punto che nella tua lettera mi fa credere che io sono stato male inteso è questo: io ho parlato di credere che nel caso mio sia stata applicata la norma del nuovo Codice per il computo dell’indulto per le nozze del principe ereditario in quanto altrimenti la pena da scontare ancora sarebbe maggiore, poiché essendo in quel decreto d’indulto escluso l’articolo 252 dal beneficio, con l’applicazione delle norme del vecchio Codice avrei beneficiato solo di 4 mesi (1 anno di detenzione diviso 3) e non un anno, cioè invece di 12 anni e 4 mesi avrei ancora da scontare 13 anni e due mesi. – Ma vedo che la quistione si imbroglia sempre piú. Mi pare che, per avere una persuasione, sia necessario che io abbia dinanzi il testo degli articoli 68, 69 e 75 del Codice Zanardelli. Dopo aver letto questi articoli ed essermi persuaso che in questo terreno non ho da fare nessuna istanza di revisione dell’applicazione del decreto di amnistia, si potrà parlare di mettere in esecuzione la proposta che tu mi fai a nome dell’avvocato. In linea generale sono d’accordo e do la mia autorizzazione perché la pratica sia fatta. Mi pare anche che sia meglio che la pratica sia fatta direttamente dall’avvocato e non da me; tanto meglio se sarà possibile allegarvi un «parere per la verità» di un professore di diritto penale. Non so però cosa significhi «autorizzazione», cioè non so se sia necessaria un’autorizzazione legale ossia una procura. Carissima, ti confesso che tutte queste pratiche non mi ispirano molta fiducia, cioè che non credo si possa ottenere qualche cosa di positivo. Perché allora acconsento ad esse? È ciò che avrei voluto scriverti piú ampiamente come risposta alla tua lettera del 3, la quale, lo riconosco, è oggettivamente molto giusta per tanti aspetti. È vero; sono da qualche tempo, circa da un anno e mezzo, entrato in una fase della mia vita che, senza esagerazioni, posso definire catastrofica. Non riesco piú a reagire al male fisico e sento che le forze mi vengono sempre piú a mancare. D’altronde non voglio abbandonarmi alla corrente, cioè non voglio trascurare nulla che sia pure astrattamente possa offrire una possibilità di porre un termine a questo soffrire. Mi pare che se trascurassi qualche cosa, ciò, in un certo senso, equivarrebbe a un suicidio. Sono diventato pieno di contraddizioni, è vero, ma non fino al punto da non comprendere queste cose elementari. Non credere che esageri e non credere specialmente che le mie condizioni siano dovute a cause psichiche. Certo i riflessi psichici esistono e in qualche momento mi pare di diventar pazzo, ma le cause sono essenzialmente fisiche, perché le forze sono stremate. Ti dico questo perché capisco che ho bisogno anche della tua indulgenza: certe volte devo farti incollerire coi miei modi e le mie pretese. E te lo dico perché voglio che abbia l’impressione netta della gravità delle mie condizioni e ciò ti induca, per quanto sta in te, a non trascurare nulla di quanto abbiamo discorso durante il colloquio. Dalla tua lettera appare che hai avuto la possibilità di vedere subito l’avvocato Piero: ciò mi ha reso molto contento. Cara Tania, certe volte divento proprio come un bambino; mi verrebbe da piangere, tanto mi sento stremato e ho paura che mi venga il delirio. Non credevo che il fisico potesse avere cosí il sopravvento sulle forze morali, oppure avevo troppo presunto delle mie forze. Del resto ciò non deve impressionarti oltre misura: e non posso piú oltre nascondere questo stato di cose. Ti assicuro che ciò che ancora mi dà un po’ di forza è il pensiero che ho delle responsabilità verso Iulca e verso i bambini; altrimenti non lotterei neppure, tanto il vivere mi è diventato gravoso e odioso.

Ti abbraccio teneramente

Antonio

Ho riletto la lettera e mi sono accorto della puerilità della mia insistenza sul calcolo del cumulo. Sebbene, per mia soddisfazione, ti preghi ancora di trasmettermi il testo degli articoli relativi, è evidente che da questo lato non c’è niente da fare. Perciò autorizza pure l’avvocato a fare la pratica proposta, appena lo ritiene opportuno, dato che basti questa forma di autorizzazione. E ringrazialo tanto da parte mia. Cosí non ti ho ringraziato per il Quadro Nox. Carissima, ti prego proprio di essere indulgente con me.

Antonio


330.

20 febbraio 1933

Carissima Tania,

ho ricevuto il tuo biglietto del 12 con la copia degli articoli del Codice che ti avevo domandato. Cosí ho potuto leggere i testi e mi sono fatto un’idea chiara delle cose. Dirai che ciò avrei potuto fare da un pezzo, che cioè da un pezzo avrei potuto avere questa copia. E non avresti torto. Ma, a dirti il vero, questa copia la domandai da un pezzo, parecchi anni fa. Mi fu spedita la copia degli articoli del… Codice Militare e perciò lasciai cadere la cosa. Debbo darti una disillusione quanto agli effetti del Quadro Nox; ha servito come sedativo, ma come sonnifero non ha avuto nessun effetto. Debbo dire che il «Sedormid» Roche le prime volte mi ha fatto veramente dormire sebbene poi l’effetto sia andato svanendo fino ad essere quasi inerte. Il Quadro Nox invece non ha avuto effetto neppure la prima notte, altro che come sedativo, il che, a dire il vero, è qualcosa di per sé. – Permetti che ti dica come ciò che mi scrivi nel poscritto del tuo biglietto a proposito della lettera di Giulia sia poco chiaro e anche un po’ imbarazzato. Di questa lettera mi hai parlato in una cartolina del 27 gennaio e in termini molto chiari: «Ho ricevuto stasera una piccola lettera di Giulia, un foglietto solo, te la trascriverò domani». Mi pare difficile che potessi riferirti alla lettera trasmessami a Turi. Ma non importa. Mi sto persuadendo che non capisco piú nulla e che è inutile che mi rompa il capo ad arzigogolare. – Credo che avrai ricevuto la lettera in cui ho risposto a proposito del memoriale da inviare al Tribunale Speciale. Forse a quest’ora la pratica sarà già fatta. È forse bene che ti spieghi il mio atteggiamento a proposito di iniziative di questo genere, perché la domanda dell’avv. Piero sul desiderio di avere una mia esplicita autorizzazione mi fa credere che qualche spiegazione non è forse inutile. Io credo che sia necessaria la mia autorizzazione quando si tratta di iniziative le cui conseguenze non possono essere conosciute da chi non conosce il meccanismo (reale) della vita carceraria e inoltre quando si tratta di iniziative che presuppongono atteggiamenti di carattere politico-morale. Non sono tanto meschino da voler controffirmare ogni piccola cosa. In questo caso, per esempio, è evidente, che la mia autorizzazione è sottintesa per tutti quegli atti che possono essere necessari e che sono domandati dalla legge. Ti pare chiaro? Ti ho scritto che il Quadro Nox non ha avuto altra efficacia sul mio organismo che quella di un buon sedativo. Ho domandato al dottor Resta se poteva essere indicato un preparato apposito «Roche» il Sonnifen e mi ha detto che è un buon preparato. Solo che non è in vendita nella farmacia di Turi. Credi di potermene mandare almeno un campione? Il 90% del mio malessere viene dal non dormire; anche il dottor Resta è di questo parere. Egli mi ha detto che sia i disturbi cardiaci che i disturbi intestinali sono di origine nervosa, legati alla mancanza di riposo. Credo che sia vero, perché quando per una ragione o per l’altra riesco a dormire, è vero che digerisco meglio e non sento tante palpitazioni al cuore o altri disturbi. D’altronde il dottore esclude che abbia una malattia organica al cuore o ai polmoni che anch’essi certe notti mi dolgono. – Mi dispiace che anche questa volta non ti ho scritto che per lamentarmi e gemere e inoltre per domandarti delle medicine, cioè per spendere in cose odiose. A questo proposito ti prego di scrivermi se quando sei stata qui mi hai lasciato dei denari alla posta. Non ti ho ringraziato perché non ero sicuro. D’altronde in queste cose occorre essere precisi per evitare equivoci o ritardi. Qualche anno fa (cioè quando fosti qui insieme con mio fratello Gennaro) successe uno di questi equivoci che mi pare ci volle due mesi per correggere.

Carissima Tania, ti abbraccio teneramente e ti prego di essere indulgente per le mie seccaggini. Che io sia seccante e noioso me ne accorgo, ma dopo il fatto e non riesco ad evitare di esserlo di nuovo.

Antonio