Introduzione

La tesi principale del presente lavoro è che i racconti di finzione abbiano un ruolo precipuo nell’opera di Primo Levi e, inoltre, che tramite di essi egli elabori ed articoli quel passaggio «dalla testimonianza all’etica» messo in evidenza da Robert Gordon (Primo Levi: le virtù dell’uomo normale). L’impegno etico di Levi è sostenuto da varie forme discorsive e il mio lavoro è volto a valutare la specificità di tre elementi che contraddistinguono i racconti presi in esame: (i) il loro carattere di fiction, (ii) la costruzione di simboli con una funzione etica, (iii) la presenza di elementi mitici. All’interno del corpus di finzione il campo d’indagine è delimitato dalla presenza di elementi mitici ed è nel contesto di tale scenario che analizzo le scelte retoriche dell’autore: la costruzione di figure e i luoghi dell’inventio, le tecniche narrative utilizzate e i temi affrontati, gli effetti estetici e cognitivi, nonché la convergenza di queste istanze in funzione di un impegno etico. La presenza di miti nelle opere dell’autore è un tema che è stato affrontato solo marginalmente dalla critica, e nessuno si è mai occupato del mito come chiave di accesso all’etica di Primo Levi. Si è insistito, invece, su aspetti giustamente ineludibili della sua esperienza e della sua scrittura: l’internamento ad Auschwitz, il lavoro in laboratorio e il rapporto con il pensiero scientifico. L’obiettivo principale del mio lavoro, dunque, è quello di concentrarmi sulle tracce mitiche presenti nelle opere con l’intento di valorizzare un aspetto spesso trascurato della poetica di Primo Levi: la funzione dell’invenzione fantastica accanto alla scrittura autobiografica, e in particolare la valenza etica che essa può avere.

Nel titolo scelto per la mia proposta ermeneutica sono menzionati i cardini dell’argomentazione che sviluppo nei vari capitoli. Il termine «trappole morali» è stato usato da Levi per differenziare i suoi primi racconti di finzione dalla produzione precedente, legata esclusivamente al ruolo di testimone; nel risvolto di copertina della prima edizione di Storie naturali, infatti, l’autore avverte il pubblico di avere scritto «un volume di racconti-scherzo, di trappole morali, magari divertenti ma distaccate, fredde» (1966, OI 1434-35). L’enigmaticità di questa affermazione mi ha spinto a voler capire come siano costruiti dei racconti che sotto un’apparenza scherzosa e divertente portano il lettore ad una riflessione morale inaspettata. Inoltre, mi chiedo: è il riso provocato dal contrasto tra l’aspetto evasivo e quello edificante del discorso ad essere distaccato e freddo, oppure sono le riflessioni morali dell’autore ad essere astratte e distanti dall’emotività del vissuto quotidiano? Mi sono posto queste domande analizzando ogni racconto e le risposte trovate sono varie e ambigue; è certo però che i racconti di Levi sono dispositivi narrativi che vogliono stimolare una riflessione etica.

La finzione letteraria è uno degli strumenti utilizzati per costruire le “trappole” ed è questo il secondo tema che guida le mie riflessioni. Principalmente mi occupo del valore etico della fiction ma ciò non sarebbe possibile se ad essa non fosse attribuito un ruolo epistemologico e gnoseologico importante. L’invenzione fantastica è una prassi che contribuisce all’organizzazione delle esperienze vissute e alla costruzione di senso, e grazie alla libertà creativa consentita dalla letteratura è possibile avanzare proposte etiche durante i processi creativi di formazione e comprensione del reale. Anzi, la mia tesi è che nell’opera di Levi le risorse della fiction siano fondamentali per il passaggio dalla testimonianza all’etica e che questo passaggio avvenga principalmente tramite la costruzione di simboli, ossia di figure retoriche che presentano una stratificazione di senso notevole ed hanno una grande forza comunicativa. È grazie alla densità semiotica dei simboli che Levi può presentare la propria etica in forma narrativa senza correre eccessivi rischi di semplificazione – esplorando ambiguità e dilemmi della condizione umana – e la riconoscibilità dei simboli scelti, accanto agli effetti estetici e cognitivi della scrittura letteraria, contribuisce ad una condivisione efficace.

Prometeo, il Golem, Lilít e il centauro: sono questi i simboli di cui mi occupo; figure che ritornano in molti racconti e che grazie alla loro origine mitica sono una porta d’accesso ad un universo di significati antropologicamente pregnante, arricchitosi nel corso di varie elaborazioni storiche. In alcuni racconti la presenza del mito è palese, in altri è un’enciclopedia evocata, ossia un’ipotesi interpretativa suggerita dall’opera e che ho voluto seguire più a fondo costruendo un percorso ermeneutico. Inoltre, al di là del loro valore simbolico, queste narrazioni tradizionali offrono a Levi forme che egli utilizza con varie funzioni, per creare diversi effetti retorici e al servizio di varie riflessioni sulla condizione umana, a volte indugiando sulla creazione dell’uomo, altre volte sul dolore, sul lavoro creativo, sui rapporti interpersonali o sulla morte. Nelle raccolte Storie naturali, Vizio di forma e Lilít e altri racconti, così come anche nelle storie scritte negli ultimi anni di vita, è evidente l’intento di Levi di servirsi dei miti per dare forza alle proprie narrazioni: egli non solo ama giocare coi miti tradizionali ma ne crea anche di alternativi, facendo convergere tradizioni diverse. I racconti esibiscono infatti un’intertestualità mitica notevole che si articola in vari modi: nelle diverse elaborazioni del tema della creazione; nell’utilizzo di stili, tecniche narrative e figure retoriche mutuate da miti greci ed ebraici; e nel propugnare il valore fondativo della narrazione per la società contemporanea, affermando la necessità di interrogarsi su questioni esistenziali ed etiche.

I miti più ricorrenti sono accomunati da un tema che è centrale in ognuno di essi: la creazione. Questo assume connotazioni differenti in ciascun mito, così come è diverso il ruolo che può avere in ciascuna delle narrazioni leviane in cui i miti sono ripresi. La creazione è un tema, un mitologema ed un processo; il mio intento è quello di esplorare la rete di relazioni che si viene a istituire fra istanze della creazione, narrazioni mitiche e racconti leviani, prestando particolare attenzione alle questioni etiche emergenti da queste interazioni.
Il presente lavoro è suddiviso in cinque capitoli: i primi due hanno un carattere maggiormente teorico e servono a rendere espliciti la prospettiva ermeneutica e gli strumenti metodologici utilizzati nell’analisi; i restanti tre si focalizzano ciascuno su un mito e ne mostrano la rilevanza per la retorica dell’autore. In accordo con l’intento che ha dato avvio alla ricerca, la struttura dei capitoli vuole rendere giustizia alla fiction di Levi, pertanto ho raggruppato le osservazioni sui testi in paragrafi monografici dedicati ai racconti, in modo che si possa valutare nell’insieme l’organizzazione retorica e la densità semiotica di ciascuna opera. Ogni capitolo è introdotto da una sezione adibita ad inquadrare il ruolo del mito preso in considerazione nel più ampio discorso sulle narrazioni mitiche come strumento etico, mentre le osservazioni sui racconti puntano a mostrare come tale funzione etica sia esemplificata nella narrazione. In questo modo ho voluto perseguire un bilanciamento fra teoria e analisi, a mio avviso entrambe necessarie per valorizzare la fiction leviana con la sicurezza di una solida base argomentativa che mi permetta di correlare questa istanza espressiva alle altre forme e funzioni individuabili nelle opere.

Nell’analisi ho cercato di seguire i processi di costruzione di senso guidati dalla progressione dei racconti, e in alcuni casi mi sono trovato in disaccordo con interpretazioni ampiamente accettate da altri critici. Nel bene e nel male, ciò è in parte dovuto alla esplicita volontà di svincolare le opere analizzate da una prassi ermeneutica che, a mio avviso, è troppo fortemente influenzata dalla scrittura di testimonianza di Levi; ma è dovuto anche al fatto che la mia proposta di lettura prende in considerazione racconti spesso trascurati dalla critica, e che gettano una luce diversa su temi e questioni affrontati anche in altre opere più commentate. In particolare, tramite collegamenti intertestuali ed enciclopedici – ad enciclopedie mitiche ma anche ad un’enciclopedia leviana della creazione – ho voluto contestualizzare i racconti all’interno di proposte ermeneutiche già avanzate da altri, ma anche considerarli nella loro autonomia e in quanto tasselli di un discorso etico più ampio che si alimenta e arricchisce di tutte le esemplificazioni finzionali.

Nel capitolo 1, Testimonianza, etica e fiction, chiarisco l’importanza di riconoscere nella scrittura di Levi un passaggio dalla testimonianza all’etica, un momento che segna la volontà dell’autore di volgere il proprio sguardo al futuro, avendo fiducia nelle capacità dell’uomo di costruire una società migliore. La libertà creativa offerta dalla fiction ha un ruolo fondamentale in questo passaggio, in quanto téchne che si combina e compenetra con gli strumenti etici e gnoseologici offerti dal pensiero scientifico e dalla manualità artigiana, due esperienze cardine nella biografia di Levi. In particolare, ritengo che tramite l’invenzione fantastica egli riesca a trovare delle forme efficaci per condividere le proprie riflessioni sulle questioni etiche che lo interessano. Questi sono simboli, formazioni di compromesso permeate da una tensione dovuta al dialogo costruttivo fra istanze molteplici e talvolta contraddittorie; sono figure con un alto valore espressivo utili nella costruzione di un’etica.

Nel capitolo 2, Miti e creazione, definisco in che modo i miti siano considerabili luoghi dell’inventio: sorgenti da cui Levi trae materiale per costruire i propri simboli o enciclopedie evocate dai racconti. Preciso inoltre quali forme e funzioni delle narrazioni mitiche vengano riprese ed elaborate nei racconti, e come i mitologemi alla base dei miti possano essere trasformati nei contesti di finzione. Tra le varie configurazioni possibili fra mitologemi, miti e racconti novecenteschi il tema della creazione emerge come una costante interessante nella retorica dell’autore: è presente in tutti i miti considerati, è una questione centrale nella riflessione sulla condizione umana, ed è anche un ponte a due vie tra etica e fiction, perché la creatività è una virtù celebrata come strumento etico con cui costruire un mondo migliore ma anche arte con cui comunicare un’etica della complessità.

Nel capitolo 3, Prometeo, introduco il mito che offre il maggior numero di spunti di riflessione sulla retorica e sull’etica di Levi. La vicenda del titano e la sua figura eroica presentano molti aspetti che vengono sfruttati per affrontare questioni come la necessità di un uso responsabile dell’ingegno e della tecnica, l’utilitarismo etico, la possibilità di sperare nel futuro. Nell’analisi dei vari racconti mostro come questi e altri temi cari alla proposta etica dell’autore trovino un ricco bacino di immagini e forme retoriche nel mito di Prometeo, soprattutto per quanto concerne la facoltà creativa dell’uomo, intesa sia come costruzione dell’ambiente in cui viviamo sia come costruzione di identità tramite azioni e discorsi. I punti di contatto fra questo mito e i racconti sono molti e, in sintesi, si può affermare che ne emerge un Prometeo ambiguo, con molti aspetti positivi ma con altrettante zone d’ombra su cui è necessario riflettere per evitare di incorrere in «vizi di forma».

Il capitolo 4, Il Golem, si ricollega al precedente ed è dedicato ad esplorare due conseguenze dell’abilità poietica dell’uomo. Levi riesce infatti a trasformare questa leggenda ebraica in una risorsa sorprendentemente efficace per riflettere sulla società contemporanea, illustrando come i processi di tecnicizzazione influenzino i rapporti fra le persone e come sia ormai diventato necessario confrontarsi con l’idea che gli artefatti tecnologici che creiamo presentano un grado di auto-organizzazione che sfugge alla nostra capacità di comprensione. Da un lato, quindi, la storia del Golem ci ricorda che ogni etica deve essere costruita socialmente per non risultare troppo rigida, dall’altro ci invita a tenere conto del ruolo della tecnica come principio di organizzazione sociale che retroagisce in modo imprevedibile sulle nostre azioni.

Nel capitolo 5, Lilít, approfondisco la riflessione sull’aspetto sociale dell’etica, dedicando particolare attenzione al dialogo come forma di relazione tra individui. I racconti che orbitano intorno a questo mito, infatti, esemplificano situazioni in cui, in modi diversi, ad un principio dominante ne viene opposto uno antitetico. Levi riconosce che la vita di ognuno è segnata da tensioni dovute a desideri in conflitto: Lilít è un simbolo che ribadisce la vanità di voler imporre regole universali e mette in scena le opposizioni tra femminile e maschile, corpo e mente, irrazionale e razionale. Ciò che si impone all’attenzione del lettore è la necessità del riconoscimento dell’Altro e dell’impegno nel dialogo per evitare sofferenze inutili, comportamenti insensati e moralismi poco lungimiranti.

Nella conclusione, A proposito di ibridi e centauri, metto in relazione il simbolo prediletto da Levi con le figure mitiche considerate nei capitoli precedenti. Il risultato è un panorama in cui il centauro è senza dubbio il protagonista ma la sua portata simbolica viene anche ridimensionata alla luce delle possibilità di senso offerte da Prometeo, il Golem e Lilít. La forza del mito del centauro è alimentata da una ricca tradizione ed è attualizzata dalla vicenda biografica dell’autore, ma il suo limite è che, esemplificando il conflitto come una tensione incarnata, non riesce a rendere conto del pluralismo prospettico avvocato dall’etica di Levi, perlomeno non con la stessa forza con cui lo fanno il mito del Golem e quello di Lilít.
I riferimenti bibliografici alle opere di Levi sono indicati con le abbreviazioni in uso fra la critica (cfr. la bibliografia). Le date fra parentesi riportano l’anno di composizione o quello di prima pubblicazione, informazioni recuperate da Belpoliti (Note ai testi) e Scarpa (Notes on the Texts); nei casi in cui il racconto sia stato edito in versioni differenti sono riportate le relative date.