5. Ulteriori considerazioni sul self-publishing

5.1. La forza del passaparola

 

Riprendendo l’opinione del giornalista Manlio Cammarata, errata sarebbe la considerazione per cui l’autopubblicazione digitale possa essere del tutto “disintermediata”. L’assenza di un editore infatti non ha come diretta conseguenza l’assenza di qualsiasi disintermediazione tra l’autore e il pubblico, poiché con i libri autopubblicati (in riferimento soprattutto al formato elettronico) l’intermediatore non scompare, ma diviene un altro. Si sposta anche il momento il cui il libro viene “scelto”: nel caso dell’editoria tradizionale questo passaggio avviene a monte, nel momento in cui il “manoscritto” arriva nelle mani dell’editore, che quindi decide se pubblicare o meno il lavoro, mentre nel processo dell’autopubblicazione il libro viene pubblicato senza il veto di alcuno, ma sarà poi in un secondo momento che avverrà la cernita. L’operazione di selezione quindi, avverrà tramite la rete, che diventa così lo strumento di mediazione (che quindi non scompare) tra l’autore e il lettore, a partire dal momento in cui il libro viene pubblicato (e non precedentemente la pubblicazione). Quindi, come scrive Cammarata, «se con l’autopubblicazione il ruolo dell’editore viene assorbito dall’autore, la rete dei lettori (tramite il passaparola on line, i social network, i siti specializzati e soprattutto i distributori) assume, tra le altre, anche la funzione di recensore critico e promotore delle opere».[1]
Ma in che modo questo avviene? La rete per sua stessa natura, ha sviluppato dei “meccanismi di feedback” utili all’utente per salvaguardarsi dai “pericoli” che il web può celare, siano essi acquisti non sicuri, truffe, ma anche fruizione di materiale di scarsa qualità. Come teorizza Chris Dellarocas, professore di sistemi informatici presso la Boston University[2], si tratta di una sorta di «sistematizzazione del passaparola», che altro non è che un’antica soluzione a un problema di sempre delle società, ovvero la trasparenza della buona condotta nelle comunità in cui i membri hanno un interesse di breve periodo. La rete del passaparola infatti, sarebbe capace di mantenere la cooperazione senza ricorrere alle istituzioni, macchinose e onerose. Oggi con internet, questo meccanismo sempre esistito, è reso di gran lunga più efficace, grazie agli strumenti propri del mezzo, ovvero il numero dei partecipanti al “passaparola”, che è reso accessibile a milioni di persone a costi bassissimi[3]. Riportando le parole stesse di Dellarocas, «ragionevolmente, la grandissima dimensione dei meccanismi di feedback basati su internet li renderà istituzioni potentissime negli ambienti in cui i tradizionali network del passaparola erano considerati inefficaci».
Giuseppe Granieri da parte sua sostiene che la blogosfera funziona come un gigantesco “word-of-mouth network”, poiché «i network sono a disposizione di tutti. Il nostro comportamento rimane pubblico e consultabile, vincolato all’identità che abbiamo deciso di adottare. La reputazione [di ogni blog e blogger, all’interno del sistema della blogosfera] ha un risultato misurabile in link che puntano a quel determinato blog. I link sono quindi il “servizio” che gli porta attenzione. Così in rete si può decidere di “fare i propri comodi”, ottenendo nel breve periodo la soddisfazione e magari un’enorme quantità di attenzione, ma presto si verrebbe esclusi da i giochi, oppure si può decidere di “accettare le regole” e ottenere così un vantaggio di lunga durata, ovvero la sopravvivenza nel sistema. Il rispetto delle regole consiste semplicemente nel comportarsi secondo quanto chiesto dalla comunità, e nel caso specifico della blogosfera quindi seguire la politica del linking, rispettare il tema della discussione, non essere offensivi ecc.»[4]. Questo meccanismo di feedback si può trasportare al mondo dei libri autopubblicati, soprattutto per quanto riguarda il momento della scelta da parte del lettore. Quando un utente si rivolge a una libreria digitale per ricercare un libro da acquistare, prima di decidere per un titolo piuttosto che per un altro, può lasciarsi guidare dai giudizi altrui, oppure (tramite funzioni di solito presenti in quasi tutte le librerie on line) farsi un’opinione anche in base a quali altri libri hanno comprato gli acquirenti di un determinato titolo. Le valutazioni su uno specifico prodotto si dimostrano molto influenti per la decisione di acquisto di altri, e due esempi possono testimoniarlo esemplarmente: a causa (o grazie) a un temporaneo difetto nel sistema di Amazon, molti scrittori di fama sono stati colti nell’operazione di inserire (credendo di essere celati dietro uno pseudonimo) recensioni positive sui loro libri o negative su quelli dei rivali. O ancora, la curiosa vicenda che vede un lettore, Francis McInerney, citato nei ringraziamenti dei libri di Dan Brown come uno degli artefici del successo del libro.

 

5.2 Il self-publishing visto dagli scrittori affermati

 

Quale sia l’atteggiamento degli scrittori “tradizionali” a proposito del self-publishing non è molto difficile da immaginare.
Giorgio Vasta, che ha pubblicato Il tempo materiale per minimum fax nel 2008 e Spaesamento per Laterza nel 2010 e insegna narrativa presso diversi istituti, tra cui la scuola Holden e lo IED di Torino, si dice stupito e preoccupato da quanto stia accadendo nel mondo dell’editoria: «Mi sembra che l’editoria italiana si stia confrontando con un bisogno strutturale di cambiamento, una metamorfosi nel corso della quale si rischia però di abdicare definitivamente a una funzione che continuo a considerare cardine, vale a dire il fare filtro, il farsi carico di svolgere una regia culturale. In altri termini, la sensazione è che il self-publishing sollevi tutti – editori e lettori – da un comportamento, quello che si concretizza appunto nella scelta (un comportamento che ha una sua raffinatezza interna, una sua complessità, e che ha un valore strettamente politico)». Il ragionamento di Vasta poi passa a considerazioni più ampie, e aggiunge che «non credo che quanto stiamo vedendo accadere sia un fenomeno circoscrivibile al solo ambito editoriale e penso invece che sia in atto un mutamento ampio e diffuso, trasversale e profondo, una rottura paradigmatica che probabilmente riusciamo a riconoscere e descrivere con maggiore cognizione di causa in editoria ma che è fondamentalmente una metamorfosi socioculturale. A essere in discussione sono una serie di presupposti (e di metodologie) che per tanto tempo abbiamo considerato legittimi e in sé significativi: l’idea cioè che la pubblicazione di un libro fosse legata alla scelta operata da qualcuno che si incaricava di ‘filtrare’. Una scelta di volta in volta opinabile, è chiaro, ma una scelta che secondo me ha un senso perché rimanda a un criterio dialettico. Ovvero […] a definire il profilo di una casa editrice, il suo stile, la sua visione del mondo, la sua strategia culturale, è il confronto dialettico tra i sì e i no, tra ciò che una determinata casa editrice decide di pubblicare e ciò che invece sceglie di non pubblicare. Questo confronto dialettico, che può esprimersi anche nella forma di un fertilissimo conflitto, è un patrimonio da salvaguardare. Un metodo, appunto, che non riesco a considerare obsoleto». Prosegue sostenendo che «quello che sta invece accadendo è uno sbriciolamento di questo criterio. L’attuale articolazione del self-publishing sta determinando una percezione dei ‘no’ come guasto inammissibile, come torto inaccettabile, la violazione di un diritto che niente e nessuno dovrebbe permettersi di compromettere. I sì, a questo punto, tutt’altro che essere una possibilità – ciò che accade quando tramite studio e competenza un editore decide di pubblicare un testo – si trasformano in una merce acquistabile. Perché la vera regola del self-publishing è la transazione economica. Il sottotesto taciuto del claim di Ilmiolibro.it – ‘Se l’hai scritto, va stampato’ – è: “Se l’hai scritto – e sei disponibile a pagare, ovvero ad acquistare un sì – va stampato”. Citando la canzone, il sottotesto complessivo di questo self-publishing potrebbe dunque essere ‘nessuno mi può giudicare’. In sostanza, e ancora cercando di riflettere sul senso – a volte palese altre volte meno immediato – di questo fenomeno, è come se la pura e semplice azione fisica della scrittura (‘Se l’hai scritto…’) generasse da sé, automaticamente, per riflesso, le ragioni di una pubblicazione (‘… va stampato’: è vero che il termine usato è ‘stampato’ e che la pubblicazione, implicando la distribuzione, è un’altra cosa, ma la mia impressione è che il termine ‘stampato’ confidi proprio nella ingenuità degli interlocutori ai quali si rivolge, nella loro disponibilità a immaginarsi ‘pubblicati’ nonostante non si sia avuto accesso ad altro che a una operazione tipografica; credo che il cuore di questo self-publishing si dia proprio in un complesso di piccole mistificazioni e nell’allucinazione di realtà che ne discende)». Il punto secondo Vasta, è quindi proprio il valore che ha il “si”, e il fatto che con questo tipo di self-publishing l’assenso sia diventato una merce, e abbia quindi un costo. «Il self-publishing sostituisce tout court il criterio del filtro (opinabile, lo ripeto, ma necessario) con una pura e semplice transazione economica. Descrive l’accesso a quella similpubblicazione come una liberatoria democratizzazione dell’autorialità, cercando però di non far notare che il criterio regolatore è esclusivamente economico. Al posto di un confronto dialettico, al posto di una scelta determinata da una visione del mondo, subentra un esborso. Lo ‘scrittore’ si fa editore nonché cliente, i ruoli diventano indistinguibili e si costruisce un pastone indifferenziato che nella sostanza garantisce tutti rimandando l’assunzione di questi ruoli non a un lavoro intellettuale (allo studio e alla competenza a cui mi riferivo prima) ma a una capacità d’acquisto». Vasta infatti non demonizza l’idea generale di self-publishing, perché «esiste una pratica di self-publishing che ha una portata realmente critica, una capacità di messa in discussione della pratica editoriale tradizionale, una vera e propria dimensione politica», mai il modello di self-publishing che si sta diffondendo all’interno delle più grandi case editrici e sulle piattaforme, che «allude (in modo intenzionalmente vago) ai limiti dell’editoria tradizionale (limiti che esistono, che sono sempre più evidenti, che andrebbero affrontati e risolti: nessuna difesa da parte mia delle pratiche editoriali attuali, soltanto fortissimi dubbi sul fatto che il self-publishing sia l’antidoto che risolverà a monte limiti e storture), saltando a piè pari il problema: il fatto che le logiche culturali della scelta siano costrette a essere subalterne al ritorno economico».
L’opinione di Paolo Sortino, autore del romanzo Elisabeth, pubblicato da Einaudi nel 2011, non si discosta da quella dei suoi colleghi, sostenendo che se gli editori tradizionali avvallassero il modello di self-publishing che sta prendendo piede, altro non farebbero che ridurre il loro ruolo «a quello di tipografi, e a quel punto i loro cataloghi somiglierebbero più alla brochure di un negozio di sanitari». Egli considera l’atto di autopubblicarsi come un prendere sopravvento da parte dell’individuo, che si sottrae così al giudizio di un sistema comune, e quindi alla giustizia. Infine lo scrittore invoca coerenza, concludendo che «anche là dove il self-publishing avesse senso, questo certamente dovrebbe configurarsi quale alternativa reale all’editoria; dovrebbe essere il risultato di una scelta chiara da parte di uno scrittore: o si decide di pubblicare in modo tradizionale, felici di passare per quel giudizio, oppure se ne prendono le distanze radicalmente, abbandonando la speranza di avere un marchio in copertina».
Posizione decisamente opposta a riguardo della pratica del self-publishing digitale assume colui che può definirsi il “guru” di tale attività in casa nostra, Mauro Sandrini. Egli non nasce autore di narrativa come i casi precedenti, e per questo si è ritenuto importante riportare la sua opinione, in quanto il punto di vista assunto non è quello di chi è già inserito nel mondo dell’editoria tradizionale e, a torto o a ragione, fatica a guardare la questione da un punto di vista esterno. Mauro Sandrini ha trasformato la sua passione iniziale per i libri tradizionali, in passione per il loro formato elettronico, l’e-book, al quale ha anche dedicato un libro, dal titolo Elogio dell’e-book, edito da Homeless Book, il quale vanta recensioni positive dalle personalità più in vista del mondo dell’editoria digitale, tra cui Gino Roncaglia, che a proposito scrive: «Nell’Elogio degli e-book Mauro Sandrini descrive una delle ragioni più interessanti che possono spingere all’autopubblicazione: il passaggio dalla vendita del libro-prodotto all’idea del libro-incontro, svincolato dalle logiche di mercato, in grado di aprire uno spazio di interazione diretta fra autore e lettore». Il più recente progetto di Sandrini è quello della “Self-publishing School”, in collaborazione con l’UniPrCo-Lab dell’Università di Parma, presentato attraverso un convegno on line aperto il 18 dicembre 2012. Le domande, i dubbi, le questioni che si possono sollevare riguardo la pratica del self-publishing potrebbero essere innumerevoli, ma intanto Sandrini cerca di dare una risposta a qualche punto fondamentale.

 

Esiste il problema sulla qualità dell’autopubblicazione? È necessario e possibile porre un filtro di qualità al self-publishing? Se sì, in che modo?

 

Più che di “problema” parlerei di “tema”. Un problema è qualcosa che ammette una soluzione, ma poiché nel caso di cui stiamo parlando la soluzione non esiste, non si dà neppure il problema. Non è solo un gioco di parole. Il tema della qualità editoriale è importante in generale, non solo nell’ambito del self-publishing. È sufficiente fare un giro in libreria per toccare con mano come fra i tanti, troppi, testi pubblicati da editori piccoli e grandi, la qualità editoriale è al massimo un’appendice del processo di produzione del libro. Nel mondo editoriale il criterio di qualità imperante è il mercato: non importa cosa e chi si legge, non importa neppure che si legga in effetti, quel che importa è soltanto che l’ “oggetto libro” sia venduto. Con il self-publishing, evidentemente, la disponibilità di titoli aumenterà in modo esponenziale, ma questo implica due effetti fra loro antitetici:
1. La maggior parte dei libri che saranno pubblicati in self-publishing (ma anche degli altri) non verrà letta per niente. Per cui, occuparsi della qualità di qualcosa che non viene letto è, appunto, un falso problema.
2. Quei pochi libri che riusciranno a emergere lo faranno perché saranno effettivamente letti, e sottoposti al giudizio trasparente dei lettori che ne parlano in rete con le più varie modalità. La qualità, ancora una volta, sarà quindi una proprietà emergente del processo e determinata dal mercato, ma questa volta un mercato di lettori e non di soli compratori di “oggetti libro”.

 

Quali sono i mezzi più efficienti per riuscire a diffondere un’opera autopubblicata?

 

Prendersi la responsabilità del processo. Gli autori, a parte poche eccezioni, non l’hanno mai fatto e l’hanno sempre delegato agli editori. Con il self-publishing un autore deve comprendere nella sua attività, accanto alla scrittura, lo sforzo e il tempo per la promozione. Come? Attraverso un’attività formativa su tecniche di marketing che abbiano funzionato in altri settori e applicandole in questo, nuovissimo, degli e-book. Perché il fenomeno del self-publishing è indissolubilmente legato agli e-book, i tentativi di autoeditoria preesistenti, infatti, non avevano accesso a sistemi distributivi globali, cosa che invece gli e-book consentono, così come consentono di applicare sistemi di marketing innovativi e efficaci.

 

In che senso il self-publishing può rappresentare un’esperienza di democrazia?

 

Non è detto che il self-publishing sia necessariamente democratico. Gli strumenti per la manipolazione in circolazione sono troppi per non pensare che verranno utilizzati anche in questo ambito. Resta comunque un fatto: con gli e-book e il self-publishing ogni autore ha accesso diretto agli scaffali di tutte le librerie online in Italia e nel mondo. Questa è una novità assoluta che non ha precedenti. Ed è di fatto una innovazione di democrazia. Anche se non garantisce, ovviamente, a tutti la possibilità di avere milioni di lettori, come un certo tipo di propaganda (soprattutto di matrice anglosassone) cerca di far credere.

 

Secondo quale criterio un self-publisher dovrebbe stabilire per il prezzo della sua opera?

 

Non esiste un criterio, ne esistono molti. Il principale è che il prezzo dovrebbe essere equivalente al massimo che i suoi lettori sono disposti a pagare per acquistare il libro in questione. Per cercare di individuarlo sono necessari tre elementi: tempo, strumenti statistici e la voglia di sperimentare.

 

Secondo la sua opinione, la figura dell’editor è importante al fine della buona riuscita di un’opera?

 

No, non penso sia importante. Penso sia determinante. E che ogni self-publisher “serio” dovrebbe investire al massimo delle sue possibilità economiche per cercare di affidare la propria opera ai migliori editor in circolazione (che sono difficilissimi da trovare!). L’editing della propria opera, insieme a un piano di marketing acuto, sono ciò che fa la differenza tra un self-publisher che si rispetti e un dilettante.

 

Non pensa che alcune piattaforme di self-publishing presenti in Italia siano solo la trasposizione online della pratica delle pubblicazioni a pagamento?

 

Penso che ciò sia vero in Italia e non solo. Il fatto è che “quella roba lì” anche se si presenta con l’etichetta di self-publishing perché è di moda, non è altro che editoria a pagamento. Il self-publishing è un fenomeno sociale che va ben oltre la vanity press e, forse, anche oltre l’immagine dell’editoria per come ce la siamo immaginata finora.

 

5.3 Perché il self-publishing

 

È opinione condivisa che il principale motivo che porta a pubblicare un libro bypassando l’editore sia il rifiuto ripetuto dei manoscritti da parte delle case editrici. Infatti la maggior parte degli aspiranti scrittori si arrendono al self-publishing solo dopo aver tentato lungamente e invano la tradizionale trafila dei numerosi invii del proprio lavoro alle case editrici.
Ma si assiste sempre più di frequente a un fenomeno che non riguarda gli aspiranti scrittori, bensì coloro che possono vantare una fama non indifferente nel campo della letteratura e decidono di compiere il percorso opposto: dai contratti milionari con le case editrici più prestigiose decidono di adottare la pratica del self-publishing. La ragione principale che spinge a intraprendere questa percorso al contrario è la questione sulla percentuale dei diritti d’autore, che nel caso di contratti con le case editrici è molto esigua.
Un nome da citare a proposito di questo fenomeno è quello di Barri Eisler, scrittore statunitense di best seller, che ha rinunciato all’anticipo di mezzo milione di dollari offertogli dalla St. Martin’s Press, una delle più grandi case editrici americane, per preferire la via del self-publishing. Intervistato da Joe Konrath[5], egli spiega che non necessitando al momento dell’anticipo sulla pubblicazione, ha preferito “la gallina all’uovo”, ovvero rinunciare al compenso subito per investire su maggiori guadagni a lungo termine. Così ha deciso di pubblicare il suo romanzo The Detachment in proprio, motivando la scelta in termini di introiti economici, calcolati nel dettaglio. Lo scrittore ha semplicemente preferito royalty al 70% da subito, piuttosto che royalty al 14,5% solo dopo aver superato la soglia dell’anticipo di 500.000 dollari. Ha considerato estremamente vantaggiosa la prima opzione, soprattutto grazie alla consapevolezza di riuscire a scalare le classifiche grazie alla fama già acquisita, e per questo ha deciso l’ha preferita.

 
5.3.1 Perché si, perché no
 

Nel bene o nel male, l’emergere di nuovi modelli editoriali ha creato una condizione radicalmente diversa rispetto a quella tradizionale. Ciò comporta alcuni vantaggi e alcuni svantaggi.
Non si può negare che con l’emergere del self-publishing digitale, l’offerta dei titoli in circolazione sia divenuta estremamente più ampia ed eterogenea. Ma il risvolto negativo della maggiore offerta sul mercato è l’iper-abbondanza dei testi in circolazione, che porta con sé degli aspetti negativi. Risulta infatti scoraggiante per un lettore ricercare un buon testo su un determinato argomento, poiché se non si sa bene dove reperire ciò che si cerca, con buona probabilità si verrà distratti da un surplus di informazione e materiale, con scarse probabilità di rendere efficace la cernita.
Problema di rilevante importanza è anche quello dell’attendibilità delle informazioni sui testi, che dovrebbero essere d’ausilio al lettore nella scelta da compiere. Come si è visto, non è raro che le uniche recensioni reperibili su un testo provengano dal pugno del suo stesso autore, che è interessato alla pubblicizzazione e alla vendita del suo prodotto, e per questo non sono da considerarsi attendibili. Si è parlato anche del fenomeno delle recensioni dietro pagamento, elemento anch’esso di “depistaggio”. Si comincia così ad affacciare la necessità di strumenti di supporto al lettore nella ricerca del libro “giusto”, di ciò che si stava cercando.
Oltre a questi inconvenienti di carattere maggiormente pratico, un punto messo in rilievo dal romanziere scozzese Ewan Morrison è quello sull’eventuale pericolo della scomparsa della figura dello scrittore di professione. Ripercorrendo il suo pensiero, egli ipotizza un futuro in cui i libri verranno scritti da esordienti, da collettivi, da specialisti e da quei pochi che si sono già affermati come autori di best-seller nell’era del libro di carta. Il motivo che supporta il suo ragionamento dovrebbe essere cercato da una parte nel fatto che oramai tutte le industrie che si sono digitalizzate hanno dovuto abbassare i prezzi dei loro prodotti quasi fino a zero, dall’altro negli anticipi degli editori, che già sono stati di molto ridotti e verranno sempre più a diminuire col passare del tempo (secondo la rivista Bookseller[6], nel Regno Unito sono già scesi dell’80%). Il risultato, secondo l’ipotesi di Morrison, sarà un numero esorbitante di aspiranti scrittori che si auto pubblicano, e una manciata di scrittori affermati su cui gli editori continueranno a puntare. Quindi scomparirà lo “scrittore via di mezzo”, quello su cui investire, che magari, come Don Delillo, vendono poco per i primi sei libri e poi vengono candidati per il permio Pulitzer con il settimo.
Ma quali sono i vantaggi e gli svantaggi pratici che riguardano l’autore che decide di auto pubblicarsi? Per dare una risposta a questa domanda, bisogna tenere in conto alcuni elementi, tra cui:

 

  • Visibilità: un autore che decide di intraprendere la strada del self-publishing, soprattutto se si tratta di un nome sconosciuto, deve considerare che, nonostante i vari servizi, soprattutto quelli che puntano più al formato cartaceo, garantiscano la distribuzione nelle librerie, ciò non corrisponde a una visibilità del titolo negli scaffali, ma neanche a un’effettiva presenza fisica dello stesso. Come abbondantemente analizzato in precedenza, il servzio che in realtà viene offerto è la “disponibilità” in libreria, ovvero la possibilità da parte di un eventuale lettore interessato al titolo di ordinarlo in libreria e ritirarlo successivamente alla richiesta. A nessun autore auto pubblicato sarà quindi offerta la possibilità di stimolare la curiosità di un lettore che si aggira tra gli scaffali della libreria, che in Italia è ancora il maggior canale di vendita dei libri. La visibilità dell’opera nelle vetrine fisiche, o semplicemente tra gli scaffali, è un’opportunità che, anche se non sempre, viene garantita unicamente dalle case editrici, che per ora rimangono gli unici organi a possedere i mezzi economici per investire su questo tipo di distribuzione. Quindi un autore esordiente, per sperare di avere la minima possibilità di venire a galla nel mare dei nomi autopubblicati, deve ricorrere necessariamente a tutta quella serie di operazioni che sono state raggruppate sotto il nome di “self-branding”.
  • Qualità dell’opera: Altro elemento da sottolineare nel processo dell’autopubblicazione, è l’assenza del contributo di quelle figure professionali che partecipano nel dare all’opera una compiutezza, una forma definitiva, che, tramite l’esperienza e la competenza, riescono a rendere l’opera in bozza un vero e proprio prodotto editoriale di qualità. Il marchio di una casa editrice apposto su un’opera, infatti, è anche garanzia di tutta una serie di processi a cui il manoscritto o le bozze iniziali sono state sottoposte. I refusi sono solo il sintomo più palese che si riscontra nei titoli autopubblicati, ma a un occhio più esperto risulta evidente anche l’assenza del “labor limae” dell’editor, la mancanza di un’impaginazione professionale ecc. Ma bisogna considerare anche che si diffondono sempre più delle figure che offrono quegli stessi servizi svolti generalmente dalle case editrici ma come free-lancer. È possibile quindi per un autore esordiente che decida di auto pubblicarsi, affiancarsi ad alcuni professionisti che svolgano dietro retribuzione il compito dell’editor, del correttore di bozze, di grafico per la copertina e così via. Questo può essere considerato un valida possibilità per togliere alla propria opera la patina “grezza”, e condurla con l’aiuto di esterni verso un livello maggiormente professionale. È da notare che, d’altronde, anche i più strenui sostenitori dell’autopubblicazione non negano l’importanza del contributo di professionisti, come lo stesso Sandrini, che ritiene determinante la figura dell’editor e sostiene, come si è visto precedentemente, che «ogni self-publisher “serio” dovrebbe investire al massimo delle sue possibilità economiche per cercare di affidare la propria opera ai migliori editor in circolazione. L’editing della propria opera insieme a un piano di marketing acuto sono ciò che fa la differenza tra un self-publisher che si rispetti e un dilettante». D’altro canto bisogna ribadire che non è affatto scontato che una casa editrice, soprattutto se parliamo di editoria a pagamento, garantisca un serio lavoro di miglioramento sull’opera. Questo dipende di volta in volta da quanto l’editore decide di investire su un determinato titolo o autore, e molte volte accade che tale lavoro non venga svolto al meglio.
  • Il prezzo è un altro fattore fondamentale. Il costo dell’opera autopubblicata viene deciso dall’autore stesso, elemento di notevole importanza se si considera che in questo modo l’autore è in potenza libero di raggiungere ogni canale desiderato: nessuno impedisce di cedere la propria opera gratuitamente, o a un prezzo irrisorio, come quello più diffuso per gli e-book di 99 centesimi, e agevolare così in teoria una diffusione più ampia dell’opera. Lo dimostrano i casi degli scrittori del Million Kindle Club analizzati in precedenza, che hanno raggiunto il milione di copie vendute anche grazie all’esiguo prezzo di lancio dei propri titoli elettronici.
  • Uno dei vantaggi più rilevanti, se non il maggiore, della pratica del self-publishing è la questione sui diritti d’autore che, come si è già visto, non vengono mai ceduti, perciò in qualsiasi momento l’autore può decidere di ritirare l’opera dal commercio, di autopubblicare tramite un’altra piattaforma o di pubblicare con un editore tradizionale, quindi non essere vincolati in alcun modo a terzi.

 

5.4 La casa editrice guarda al self-publishing

 

Come ha cercato di mettere in luce questo lavoro, il self-publishing è una realtà che non può essere più ignorata dal mondo dell’editoria classica. Ed è proprio in questo contesto che alcune case editrici tradizionali stanno cercando di aprire uno spazio che non le releghi al di fuori di un fenomeno che sta assumendo sempre più importanza. Per quanto riguarda l’estero, si è già portato l’esempio della Penguin books.

 

5.4.1 Mondadori e Scrivo.me

 

Non si può dire che il gruppo editoriale Mondadori stia vivendo passivamente la trasformazione che il self-publishing sta apportando nel mondo editoriale. Da una parte, ha portato in Italia la versione italiana del self-publishing di Kobo, Writing Life, e dall’altra ha affidato allo stimato editor Edoardo Brugnatelli, ideatore dell’innovativa collana “Strade blu”, la realizzazione della piattaforma Scrivo.me, che si presenta come una “palestra” per gli aspiranti scrittori. Si tratta in sostanza di una community in cui tutti gli utenti – autori e aspiranti tali, ma anche solo semplici curiosi – potranno discutere tra loro e giovare del consiglio degli esperti (le professionalità messe a disposizione da chi lavora con il Gruppo), con il fine di assistere gli autori nella creazione di opere di qualità. Tramite varie rubriche è infatti possibile approfondire gli aspetti più variegati che riguardano il libro, da quelli prettamente tecnici come il formato del testo digitale e l’impaginazione a consigli sulla promozione. Non solo, perché nella sezione “salotto” è possibile partecipare a discussioni dal gusto puramente letterario, leggendo critiche e recensioni ma anche unendosi ai dibattiti.

 

5.4.2 Newton Compton e i self-publishers

 

Anche la Newton Compton non ignora il fenomeno, anzi, ed è proprio dal mare dell’autopubblicazione che ha pescato alcuni libri da pubblicare. Quello di Anna Premoli è stato uno dei nomi fortunati; scrittrice per diletto, la Premoli decide di autopubblicare il romanzo al quale si dedica nel poco tempo libero a disposizione, senza mai aver pensato di sottoporre i suoi lavori ad alcun editore. Decide di sfruttare la nuova opportunità presentata in campo editoriale, e auto pubblica il suo Come inciampare sul principe azzurro tramite la piattaforma Narcissus. Il suo ebook raggiunge in poco tempo le opere in vetta alla classifica di vendita di e-book, con 50.000 copie, e viene subito notato da Raffaello Avanzini, amministratore delegato di Newton Compton, che intanto insieme alla sua squadra è in cerca, tra i vari portali, di scrittori che abbiano raggiunto un discreto successo tramite la vendita di ebook. Così propone alla Premoli la pubblicazione dell’edizione cartacea del suo secondo romanzo, Ti prego lasciati odiare, uscito nel 2013.
Sempre dallo scouting di Newton Compton tra i self-publishers – facendo riferimento soprattuto alla piattaforma Narcissus – viene fuori un altro scrittore esordiente, G. L. Barone, con il libro La cospirazione degli illuminati degno di portare il marchio Newton Compton. Il romanzo esce nel maggio 2013, e diventa best seller nazionale per il suo genere, tanto da far meritare in breve all’autore l’appellativo di “Dan Brown” italiano.


  1. http://www.tabulas.it/selfpublishing/aps_ezs.htm
  2. Chrysanthos Dellarocas, The digitization of word-of-mouth: promise and challenges of online feedback mechanism
  3. Giuseppe Granieri, Blog generation, Laterza, 2009.
  4. Ivi.
  5. http://www.jakonrath.com/
  6. http://www.thebookseller.com/