Anfibio

Il direttore della «Gazzetta del Popolo» porta nel suo nome proprio le caratteristiche della sua personalità. È un anfibio. Né bestia di mare, né bestia di terra, ma il prodotto di un incrocio, che gli ha dato il sangue a temperatura sotto zero degli acquatici e il cervello da ippopotamo.

La commissione formatasi fra gli azionisti dell’Esposizione ha mandato ai giornali un comunicato invitante i possessori d’azioni a dare i loro nomi e il loro appoggio per un’agitazione collettiva, che costringa la commissione esecutiva, di infausta memoria, a rendere di pubblica ragione i famosi conti. Tutti i giornali l’hanno pubblicato; il prof. Delfino Orsi, da quel signore di carattere e di diamantina dirittura morale che si è sempre dimostrato, l’ha rabbiosamente buttato nel cestino.

Questi direttori della «Gazzetta» sono veramente sfortunati. Nel 1869 certo Giuseppe Beghelli accusava Giovanni Botero, glorioso precursore e fustigatore feroce dei tedescofili d’allora, dei preti antipatrioti e delle spie austriache, di essere stato egli stesso una spia, poiché nel 1864, quando le strade di Torino furono insanguinate dal piombo sabaudo, avrebbe denunciato al principe di Carignano che alcuni suoi amici, piú accesi degli altri, avevano deciso di dar fuoco al parlamento subalpino. E l’accusa del Beghelli era sostenuta da una terribile lettera di Domenico Narratore, che l’insospettabile «Unità italiana» diceva «onestissimo patriota e valoroso soldato delle patrie battaglie».

Delfino Orsi, il succedaneo, il fustigatore, veramente non troppo feroce, dell’immoralità giolittiana e del pericoloso nemico interno, viene accusato di aver dato fuoco ai… portafogli degli azionisti dell’Esposizione, di aver male amministrato, di aver sperperato i denari affidati alla sua fede di presunto galantuomo. Ma Botero querelò il suo accusatore; Delfino cestina e rimane muto come un… pesce. Ohibò! noi non ce l’abbiamo a male. Ma con una spilla acuminata vogliamo fissare bene in vetrina questo grazioso esemplare della zoologia politicante ed esibirlo all’ammirazione dei nostri lettori. Signori, questi è quel tale che scrisse contro il ministro Tedesco che tardò due anni a rendere i conti libici e presentò una contabilità arruffata e disorientatrice per fare perdere la bussola ai suoi critici. Quel tale che ha combattuto gli zuccherieri perché presentavano dei bilanci falsi e volevano far credere di far lavorare i loro operai un numero di ore triplo di quello reale. Quel tale che mette sempre in vista le atroci malefatte di tutti i parroci ingravidatori di serve e ogni luridume dei suoi avversari vuole sia messo bene in vista.

Ebbene costui ha fatto altrettanto e peggio: ha amministrato milioni, e non vuol rendere i conti; ha dilatato il bilancio della sua gestione quintuplicandolo, e non vuol dirne le ragioni; fa nascere il sospetto, documentato da una relazione governativa, d’aver sperperato, e vuole aspettare che una benefica prescrizione metta tutto in tacere. È direttore di un giornale e cestina gli appelli all’onestà e alle corrette norme amministrative. Signori, questo esemplare zoologico non è né un delfino né un orso, e non appartiene neppure al regno animale. È una sputacchiera: sputate, sputate pure, signori, la sua faccia di cartapecora non si aggrinzirà, e il suo sangue a temperatura sotto zero non arrossirà per lo sdegno, per la collera. Sputate, che rimangano i segni per il domani, quando il signore vorrà riprendere la sua parte di marionetta armata di randello per percuotere le altrui immoralità.

(18 marzo 1916).