I capintesta della Manonera antisocialista (o antibolscevica) sono gelosi della rinomanza di Pietro Balocco. I giornali borghesi, non esclusa la «Gazzetta del Popolo», dedicano colonne e colonne allo squartatore di banchieri, e invece non si occupano mai della fervida attività della Manonera. Di piú: quando i giornali borghesi non possono fare a meno di notare un qualche strepitoso intervento a banchetti, a ricevimenti, a cortei e altre simili sublimi manifestazioni di vita politica democratica, essi non hanno il senso della gerarchia; fanno il nome di picciotti, qualche volta dei guappi, mai però dànno il dovuto spazio alla presentazione dei capintesta, e specialmente del capo dei capi.
E cosí il «Ciccio Capuccio» della Manonera antibolscevica torinese riempie gli organi della Manonera antibolscevica nazionale coi suoi gemiti, coi suoi patetici lamenti; e cosí rivela candidamente la molla della attività sociale.
La Manonera è un momento della concorrenza individuale propria della società borghese. La società borghese è un moto perpetuo, è una rotazione continua di individui, di ceti, di quattrini, di patrimoni. La Manonera è la fabbrica dei servitori della borghesia, servitori che si allenano, che si mettono in vetrina, che millantano un credito illimitato. I borghesi sono placidi, pacifici, ma ammirano la violenza quando è utile alla loro dominazione. I servitori si dichiarano disposti a usare la violenza per difendere la borghesia: si armano, arroncigliano i baffi, grugniscono fieramente, arruolano volontari per una «Guardia bianca» che sappia opporsi ai perversi tentativi bolscevichi, inscenano spettacolosi «gesti» con bandiere nere, pugnali e altri arnesi massonici, ma domandano subito una ricompensa. Subito, perché sanno che la festa non può durare molto, perché la stagione di Dionisio volge al suo termine. Piú tardi la concorrenza diventerà difficile: i concorrenti diventeranno folla e il criterio di scelta sarà il concorso per esami o per titoli d’anzianità. La Manonera domanda oggi pubblicità per i suoi capintesta: la pubblicità è la chiave del successo commerciale rapido; i concorsi sono pericolosi. Bisogna farsi un nome, come che sia; bisogna imporsi alla «piazza». Cosí nasce il «balocchismo», praxis della Manonera. Le signore borghesi hanno sempre dimostrato una grande ammirazione per gli squartatori: bisogna sedurre con lo stesso incanto i signori borghesi. Il «balocchismo» diventerà sociale, sarà disinteressato nei suoi fini immediati. I bolscevichi non offrono ricco bottino, ma la borghesia pagherà lei i suoi servitori, dando rinomanza a dei tapinelli delle professioni liberali, e con la rinomanza il modo di allargare la sfera della attività «commerciale». È nella tradizione di tutte le «onorate» società, di tutti i fenomeni di brigantaggio: i piú illustri briganti degli annali giudiziari italiani hanno potuto, spesso per decine d’anni, sfuggire alla giustizia punitiva perché protetti dai grandi proprietari che se ne facevano degli amici e degli strumenti nella lotta di classe contro il proletariato agricolo. La Manonera politica socializza la funzione: la maggioranza tende all’espropriazione democratica, essa inscena il terrore bianco, millantando di poter impedire che la storia abbia il suo corso.
(27 novembre 1915).