Coincidenze e conseguenze

I giornali a grande tiratura sono sull’orlo dell’abisso. Un giornale che abbia una tiratura media di centomila copie, deve registrare nel suo bilancio un deficit annuale di lire 250 000. Gli alti prezzi della carta divorano i soldini degli abbonati e della rivendita spicciola. È il «Mattino» di Napoli che lancia il grido d’allarme, e con l’esperienza che gli viene dalla pratica diuturna spiega come i giornali riescano a colmare questo deficit enorme solo a scapito della loro indipendenza, legandosi cioè ai grandi fornitori, che hanno bisogno del silenzio e degli amichevoli soffietti per varare i loro affari. «Il recente caso della Società Alta Italia, la cui condotta finanziaria, in cosí evidente contrasto con le leggi da necessitare un decreto luogotenenziale apposito, ha tuttavia trovato scarsa eco nella stampa, salvo rare eccezioni, è un esempio tipico». Cosí il «Mattino», cui bisogna prestar fede in questo caso, perché parla di cose che conosce a fondo, molto a fondo.

Io tiro subito le conseguenze, come è mio costume, e mi pongo in traccia delle coincidenze, come mi ha insegnato doversi fare un maestro del giornalismo pedemontano. Lo scandalo dell’«Alta Italia» ha avuto luogo a Torino, è un fatto di cronaca torinese. Cinque giornali si occupano di questa cronaca: l’«Avanti!», la «Stampa», il «Momento», il «Giornale» di Carlo Minetto, e la «Gazzetta del Popolo» di Delfino Orsi. La notizia dello scioglimento dell’«Alta Italia» è data dalla «Stampa» il giorno 26 agosto, nelle ultime di cronaca, in caratteri vistosi, ma senza commenti polemici. Il 28 successivo l’«Avanti!» in un capocronaca divulga il significato truffaldino dell’atto compiuto dalla società, e le sue ragioni sono cosí chiare, e il suo richiamo al decreto sui dividendi è cosí giustificato, che l’on. Grosso-Campana presenta subito al ministero competente una interrogazione in proposito. L’interrogazione è comunicata ai giornali cittadini il 30 agosto e viene pubblicata il 31 con commenti poco benevoli per l’«Alta Italia» dall’«Avanti!», dal «Momento» e dalla «Stampa».

Il 4 settembre la Stefani annunzia il decreto nuovo che dichiara soggette a sequestro quelle società commerciali che, con scioglimenti prematuri e con altri sotterfugi, cerchino eludere le disposizioni sulla limitazione dei dividendi. Intanto il fatto scandaloso non era avvenuto né per il «Giornale» di Carlo Minetto, né per la «Gazzetta del Popolo» di Delfino Orsi. I due giornali non pubblicarono la notizia dello scioglimento, non trovarono lo spazio per dar luogo all’interrogazione dell’on. Grosso-Campana. Incominciarono a sentir rumore solo il 4 settembre, di fronte al comunicato della Stefani, ma neppure il 4 settembre la «Gazzetta del Popolo» di Delfino Orsi fece il nome dell’«Alta Italia», sebbene, con la solita faccia tosta delle donne di marciapiede, commentasse il decreto, dichiarandolo opportuno, ed aggiungesse: «Abbiamo a suo tempo segnalato questo ripiego troppo evidente (artificiosi aumenti di capitali, ecc.); ma non si adottò allora alcun provvedimento». Cosí l’onesto giornale di Delfino Orsi, degnamente accoppiato con quello di Carlo Minetto, salvava la faccia, alla moda cinese. E l’11 settembre cambiava formato, aumentando le sue colonne ed il suo spazio, malgrado il deficit di 250 000 lire annue dei giornali di media tiratura.

Fatta questa parziale cronistoria dello svolgersi dello scandalo «Alta Italia», rileggiamo il «Mattino» e riflettiamo sull’esempio tipico che il giornale napoletano, cosí profondo in materia di indipendenza giornalistica, porta a suffragare il suo grido d’allarme. E traiamo dai fatti le conseguenze logiche, e notiamo le coincidenze di date, di giornali, di nomi. E ci sorgono dei dubbi tremendi. Temiamo che la logica e la mania di dedurre ci conducano troppo lungi. Che sia possibile…? Non vogliamo credere… Ma i fatti sono quelli. Allora noi ci rivolgiamo a Delfino Orsi, commendatore bavarese, che non ha ancora rimandato indietro l’onorificenza al nemico, e che si diletta di coincidenze, perché veda di trovare un’altra risposta alle domande angosciose che da qualche giorno rivolgiamo a noi stessi. Ne saremmo infinitamente lieti.

(20 settembre 1916).