È proprio necessario che Luigi Einaudi intensifichi la sua propaganda. È indispensabile che la borghesia acquisti una coscienza tributaria e non dia di sé miserevole spettacolo ad ogni nuovo aggravio. Proponiamo alla giunta di istituire una cattedra ambulante di predicazione tributaria e di assegnare l’alto ufficio agli scrittori dei giornali cittadini come Borgatta, Cabiati, Lissone sotto il severo patronato del direttore della «Riforma sociale». Perché siamo usciti dal Palazzo di Città profondamente disgustati e perplessi sui destini della patria, e vorremmo fosse posto termine alla gazzarra che si delinea indecorosa.
Lamenti, proteste, fischi per il modo col quale sono stati compilati i ruoli della tassa di famiglia. Nessuno è soddisfatto, tutti hanno subito ingiustizie potenti, soprusi indegni, e reclamano, e vogliono la crocifissione e la lapidazione degli impiegati. Nessuno naturalmente si preoccupa di far conoscere all’ufficio il suo reddito esatto, nessuno domanda di essere tassato per tutto il suo reddito. Si fa solo questione di relatività. Il conte tale, che tutti sanno… paga meno di me; la mia padrona di casa che ricava tanto, paga solamente… e cosí via. Perché i ruoli sono deficienti, perché qualche altolocato papavero è riuscito per diritto o per traverso a eludere il fisco, tutti vogliono tentare l’alea, e cercano trasformare in bancherelle da fiera, con contratti a tira e molla, gli sportelli degli uffici.
Perciò proponiamo le cattedre ambulanti. Gli ammiratori dell’Inghilterra possono trovare esempi giustificativi a bizzeffe. È troppo facile predicare dalle colonne dei giornali, senza esporsi a ricevere i torsi di cavolo degli insoddisfatti. La coscienza tributaria si plasma scendendo in mezzo ai catechizzandi, cercando di persuaderli delle verità nell’atto stesso in cui devono adempiere al loro dovere di contribuente. Questa gente che sbraita continuamente contro la demagogia socialista perché cerca rivoltare le masse contro lo Stato, che con una gragnuola di balzelli indiretti tartassa la miseria innumerevole, dovrebbe essa ora fare opera educatrice nella cerchia della classe borghese, perché questa demagogicamente non tenti scappatoie indegne. Dovrebbero cercare di fare opera affinché tutti questi protestanti si persuadano che i gettiti statali e comunali devono trovare la fonte piú redditizia nella ricchezza consolidata e non nel consumo e che è dovere di ogni buon borghese denunziare chi elude e non farsi forte del fatto che qualcuno froda per frodare a sua volta.
Ma quale dei moralisti tipo Einaudi osa arrivare fino alle estreme conseguenze dei suoi presupposti? Vorrà il comm. Alberto Geisser tradurre nella pratica della vita torinese, mediante la sua opera di consigliere comunale, la magnifica teoria della «Riforma sociale»? Quale degli amministratori tipo Rossi osa costringere almeno se stesso a dare tutto ciò che è morale dia all’erario? La coscienza tributaria della borghesia rimane sempre quella: gravare la mano indirettamente su tutti facendo abbassare il livello di vita generale, e lasciare immune la vera ricchezza, quella che avendo raggiunto un certo margine, non risente piú i contraccolpi degli avvenimenti e delle crisi.
La massa è troppo amorfa e policroma e si lascia tosare senza proteste efficaci, la ricchezza è ristretta a pochi, ed a questi è piú facile strillare, dar gomitate, ridurre gli sportelli degli uffici in mercato di vociatari che fanno il gioco del tira e molla. Dove si dimostra che la borghesia, anche nelle migliori delle ipotesi, non ha la capacità di tassare se stessa equamente, e come la coscienza tributaria non riusciranno a fargliela acquistare che gli amministratori socialisti, indagando ed imponendo senza la pietà di se stessi, di cui nessuna classe non riuscirà mai a spogliarsi.
(2 luglio 1916).