Deformazioni

Sotto il sole che fa rinascere tutte le cose mortificate dall’inverno, osservo come immerso in letargo lo sciame gaietto delle bambine che sulla collina si sbizzarriscono in giochi senza senso, in strilli, in corse pazze, tutte liete di questo pomeriggio d’oro, lontano dalle stufe e dalle aule del paese che vede fiorire l’arancio, ma anche il fungo e la muffa. Osservo senza riflettere, per il piacere del quadro, dei colori, della città che amo vedere intensa ed attiva negli altri, specialmente quando meno sento di poterla vivere io in quel modo.

Ma deve essere arrivata l’ora regolamentare, perché due signore chiamano e mettono in colonna le bambine, in ordine… e un inno marziale si leva da quel coro di vocine acerbe e, con uno scalpitio di ben ritmati passi, lo sciame s’allontana. Sotto il sole che mi scioglie le rigidezze dei nervi, seguo sempre il vocio che s’allontana, sento cambiare il motivo della canzone, ma non il ritmo dei suoi versi marziali, e sorrido pensando agli eserciti di amazzoni pugnaci che la scuola vuole regalare alla nazione.

Non capisco perché delle bimbette di otto o nove anni debbano essere cosí violentemente costrette nell’abitudine fisica a camminare col passo dell’oca di Strasburgo, e nell’abitudine mentale a ripetere e ripetere le banalità che i poeti d’occasione credono sia dovere loro propinare anche agli scolaretti delle elementari.

Mi piace veder giocare i bimbi perché li so liberi nei loro atteggiamenti; non regole di gioco, non leggi d’onore; la fantasia loro si crea mondi fittizi che non hanno logica né codici, e li pone in azione. Ma, come nella favola di Oscar Wilde, c’è sempre qualcuno che intralcia, che impedisce che la loro vita si espanda. La maestra ordina il rango che intona i primi versi e sta attenta a che nessuno sgarri il passo o la nota. La maestra rappresenta la società media coi suoi pregiudizi e la sua aridità, con le vanità e le debolezze di tanta gente che vuole immischiare anche i bimbi alle manifestazioni di ogni fiera politica o religiosa e li fa levare alle cinque del mattino perché possano andare alla stazione per le onoranze a Salandra o al cimitero per un illustre estinto, e nel meglio dei loro giochi, mentre l’aria dolce, tiepida della campagna inviterebbe queste piccole vittime della città a rincorrersi sul margine delle siepi o a unirsi in piccoli gruppi per comunicarsi pensierini e velleità da passerotti, la maestra fa stringere la fila, le gambe devono sollevarsi diritte e compassate secondo un ritmo di parole convenzionalmente marziali e patriottiche per rientrare nel grigiume della vita, nel casone enorme, nella via pericolosa, nella scuola arida, fatta di meccanicità come appunto il passo di parata e le canzonette che si ripetono non per ciò che significano, ma per ciò che suonano…

(21 febbraio 1916).