Dimostrazioni

Infiltratevi in una qualsiasi delle sparute dimostrazioni che in queste radiose giornate vanno di caffè in caffè. Cercate di far tacere i vostri sentimenti per capire; immergetevi, come consiglia Bergson, nel fiume della realtà perché diventiate parte del tutto, e scocchi cosí la scintilla divina dell’intuizione. Ahimè, non trovate realtà in cui immergervi, vi accorgete che non esiste affatto un tutto. Non c’è stoffa per tagliare, non potete neppure dir male, perché non c’è niente da dire. Non un grido che uscendo spontaneo dalle gole significhi che un sentimento solo accomuna questa ibrida accozzaglia che si è venuta raccogliendo dai marciapiedi, dai caffè, dai portici. Non c’è neppure una processione, perché manca il santo da celebrare; non è una sfida, perché troppi questurini vigilano l’integrità dei dorsi e delle guance dei camminanti. Non è niente che abbia un qualsiasi valore storico o sociale. È tutt’al piú irrequietezza fisiologica, ma non affermazione di un’idea.

All’angolo di via Roma e piazza San Carlo un passero scappa dalle mani di un monello col filo ancor legato alla gamba. Il filo rimane preso ad una guglia e l’uccellino svolazza terrificato, impigliandosi sempre piú. I passanti si fermano col naso in aria, si addensano, formano alla folla, per quella curiosità ingenua ed epidemica, che è propria solo degli sfaccendati della città. I tram, le carrozze si fermano, finché i vigili non impongono di circolare e rimandano gli sfaccendati nei caffè, sotto i portici, sui marciapiedi. I giornali dànno una notizia; essa deve essere importante, dicono i portinai, perché riempie pagine e pagine. Si formano i capannelli, si forma una processione e si fa la via Crucis: caffè, piazze, monumenti, un po’ di musica, un po’ di urli e di fischi, di evviva e di abbasso, e poi si va a centellinare la granata. È uno dei tanti atteggiamenti dell’oziosità cittadina, è uno dei tanti svaghi gratis della vita cittadina. «Siamo in parecchi, dunque si fa la dimostrazione», dice ognuno come il marchese Colombi diceva: «Io sono il presidente, dunque suono il campanello». Ma la dimostrazione non è oziosità, non è curiosità. È manifestazione di forza, è presa di possesso delle vie cittadine, che non appartengono piú a tutti, ma solo a chi ha saputo conquistarsele senza l’aiuto delle pance fasciate dei delegati. È urlo di conquista, non abbiosciamento soddisfatto su una bella notizia di cronaca, è tensione spasmodica di tutta una folla che gomito a gomito sente pulsare in sé i sentimenti, i voleri di tutti gli altri. E sbocca in un pugilato, in una barricata, lascia dei segni sanguinosi sul suo passaggio, non finisce al caffè dinanzi al bicchiere della bibita rinfrescante. Ma essa è suscitata dalle idee, dai fatti anche, che si sono inquadrati in una idea. E in queste dimostrazioni non brillano idee, né coscienze, né carattere.

(12 agosto 1916).