Giochi di parole

Non è lecito confondere Enrico Corradini con la plebe dei suoi seguaci. C’è in lui un elemento di grandezza, sia pure essa la grandezza del retore. Sentire i suoi discorsi magniloquenti, accompagnati da gesti, ampi e teatrali, ritmati su periodi rotondi che paiono chiusi in una solenne armatura come le ferree lasse delle canzoni di gesta, procura per lo meno lo stesso piacere che l’ascoltare le recite di un grande attore. Il pubblico esce di teatro un po’ intontito con un gran vuoto nel cervello, ma sorridente, perché i sensi sono stati appagati, e l’organismo è tutto invaso da piacevoli sensazioni sonore, ottenute è vero (ma ciò poco importa) con l’assopimento dello spirito.

Unico spunto ideologico (un periodo in tutto) è stato l’accenno alle nazioni proletarie. «Le rivoluzioni internazionali avvengono per le nazioni giovani per lo stesso fine per cui le rivoluzioni nazionali (la parola piú appropriata sarebbe interne, ma bisogna concedere qualcosa alla letteratura) avvengono per le classi giovani, perché quelle, come queste, se ne approfittino per raggiungere la loro meta, o approssimarsene». È, questa di Corradini, una confessione (un’ombra di confessione, perché non fu mai sviluppata e organata) che è un pallido riflesso del marxismo. Si cerca di far rientrare la politica internazionale degli Stati entro gli stessi schemi che Marx aveva rivelato per la lotta di classe. Si cerca cosí di ritrovare anche per la borghesia un punto d’appoggio morale per le sue velleità aggressive: rendere queste logiche, portate dalla riflessione piú che dalle necessità contingenti della storia. Ma Corradini non è andato oltre l’enunciazione scheletrica della sua formula. Ogni tentativo di sviluppo lo porterebbe a contraddizioni e antitesi stridenti. Per non uscire dalla materia del suo discorso (glorificare la guerra dell’Italia), sarebbe difficile far rientrare la Francia e l’Inghilterra fra le nazioni proletarie, e tuttavia esse sono a fianco dell’Italia, che dovrebbe esserlo, e contro la Germania, che ha, a detta del Corradini, scatenato la rivoluzione. L’Italia, insomma, sarebbe proletaria, ma farebbe la crumira (per usare il frasario), pur facendo la rivoluzione. Labirinto di parole vuote di senso, perché vuota di senso è la costruzione del Corradini, impasto di vecchie concezioni positivistiche (nazioni giovani e vecchie, come gli alberi o le bestie) e di barlumi di idee nuove (lotta di classe, antitesi sociali e nazionale, vigor di vita, unica giustificazione morale, ecc.)

Classe giovane e nazione giovane non possono sussistere insieme entro lo stesso confine geografico. L’una dovrebbe escludere l’altra, perché non può immaginarsi una nazione giovane senza una borghesia giovane, e questa con un proletariato vecchio. Il gioco di parole che risulta solo dall’accostare insieme i termini in questione, è un riflesso del vuoto del cervello che i termini ha creato. E Corradini sa creare molte e sonore parole, ma esse non bastano a colmare il vuoto del suo cervello.

(26 maggio 1916).