Avendo letto nel «Momento» come i due cinquantenari che i cattolici si accingono a celebrare (la consacrazione della chiesa, o meglio, del tempio di Maria Ausiliatrice, e la prima Messa, con M maiuscolo, di don Albera) facciano esultare tutto il mondo pur nelle piú lontane ed inospitabili terre, dove la immancabile luce della fede è da pochi anni arrivata, a suon di trombe e di timballi, a dissipare le non meno immancabili tenebre dell’idolatria; avendo letto inoltre sempre nel «Momento» come la «stessa violenza della guerra è vinta, poiché anche uomini di paesi fra loro nemici, oggi tendono con uguale pensiero di riconoscenza verso l’insigne tempio di Maria Ausiliatrice, si stringono con uguale affetto attorno alla mite, serafica, figura di don Albera»; avendo letto tutto ciò io mi sono trovato a riflettere sulla grandezza inaudita di avvenimenti ai quali la volgar gente non avrebbe dato alcuna attenzione, sulle vibrazioni mondiali di avvenimenti che finiscono, si riassumono e si esprimono anch’essi, come tanti altri, in un banchetto e in numerosi e bene innaffiati brindisi.
Ed ho continuato a riflettere; e il cinquantenario della prima Messa di don Albera mi è apparso in tutta la sua grandezza simbolica. E siccome nelle grandezze simboliche ricerco sempre le grandezze di «cosa» su cui poggiano, la mia mano, quasi inconsapevolmente, ha preso la matita, la matita, ubbidendo a riflessi inconsci della psiche, è corsa sulla carta, ed ha avuto in cifre la grandezza assoluta del cinquantenario della prima Messa.
Cinquanta anni: 18 262, computando i dodici anni bisestili: 18 262 messe, e quindi 18 262 ostie consacrate che il mite e serafico don Albera ha ieraticamente introdotte nella pura bocca perché fossero, attraverso il santissimo gorgozzule, trasportate nel purissimo stomaco.
Ed ho visto tutta la bianca distesa di queste 18 262 ostie, messe in fila, come le briciole della fiaba, per guidare il mite e serafico don Albera attraverso gli sterpeti della tentazione e il pauroso bosco del peccato: se ogni ostia ha il diametro di cinque centimetri, sono 913 metri e dieci centimetri di ostia consacrata che si allungano in sempiterna tenia. Ed ho visto le 18 262 ostie saldarsi insieme e formare un bianco mantello, e il mite e serafico don Albera ricoprirsi del bianco mantello per presentarsi al tribunale di Giosafat, e uno stuolo di splendidi cherubini sorreggere i lembi, poiché il bianco mantello misura trentacinque metri quadrati, nonché 893175 centimetri quadrati e rotti. E quindi, apoteosi finale, ho visto il mite e serafico don Albera ingrandirsi, ingrandirsi, e appoggiato a un bianco baculo procedere verso l’orizzonte, là dove pare che nella lontana nebulosità la terra si confonda col cielo e gli eletti debbano sconfinare senza che i doganieri diano l’allarme e i campanelli delle reti squillino. Era avvenuto che le 18 262 ostie si erano sovrapposte l’una all’altra, elevandosi in un obelisco alto sei metri e il mite e serafico don Albera aveva dell’obelisco fatto bordone al suo fatale andare laggiú, laggiú…
Cosí ebbi una misura concreta della grandezza di questo cinquantenario, compresi che il «Momento» non esagerava, e mi chinai, reverente, dinanzi al mite e serafico erede spirituale di don Bosco.
(10 giugno 1918).