Historia magistra vitae

Avevamo quasi quasi finito per credere alla serietà degli storici ed alla loro esattezza. Tanti volumi, saggi e contributi, tanto minuzioso, paziente esame dei fatti piú remoti e piú insignificanti, non potevano non impressionare favorevolmente, e dinanzi alla serie interminabile di volumi che ci descrivevano con la massima precisione le vicende di una battaglia punico-romana, d’una lotta elettorale greca, o gli amori omosessuali di un imperatore qualsiasi, il volto dei profani rimaneva attonito e credevamo, credevamo fiduciosamente. Ma ahimé, la storia oggi la fanno i giornali, e i giornalisti hanno rovinato anche il mestiere degli storici. In un altro periodo, nel quale sia possibile, piú calmi e meno premuti dall’affannoso precipitare degli avvenimenti, riandare la storia che oggi viviamo e sorriderne, quale magnifico tema per un elogio della menzogna! Ma quale terribile manifestazione della impossibilità di conoscere la verità vera anche dei fatti piú noti e piú prossimi! La storia documentata delle nostre epoche non vale in verità piú delle leggende e dei miti che di bocca in bocca, di generazione in generazione si tramandavano i popoli antichi che non avevano scrittura, né biblioteche e non conoscevano il metodo moderno critico e positivo.

Due giorni or sono un quotidiano torinese annunciava seriamente che «gli austriaci fuggono cosí in fretta che neppure la cavalleria russa può raggiungerli…» Ed è di ieri la fantasmagogica storia di Issa Borlettinaz, un capobanda albanese che in due o tre mesi la «Stampa» riuscí a far marciare per i turchi contro i serbi, per questi contro quelli e, dopo averlo ammazzato e fatto risuscitare, a spedirlo in guerra a fianco dei greci contro i serbi. Ed ai giornali fanno degno riscontro i libri. Nell’Italie en guerre, pubblicato in questi giorni da Henri Charriaut in una biblioteca di filosofia scientifica, edita a Parigi dal Flammarion (e mi assicurano che autore e editore passano in Francia per persone serie), ho letto delle storielle graziosissime sui socialisti italiani e sul nostro contegno.

Naturalmente la storia del periodo precedente l’intervento italiano, quella delle giornate di maggio, l’esame delle tendenze e del contegno dei vari partiti politici, è fatta nel solito modo partigiano e stupido. Ma vi sono dei particolari semplicemente buffi. Turati avrebbe detto a suoi colleghi della direzione del partito: «Quanto il Kaiser e Francesco Giuseppe vi hanno pagato?» «Il socialista Südekum arrivò a Roma con le mani piene per ampie distribuzioni…» «Il settarismo dei discorsi di Claudio Treves fece ribrezzo anche a dei neutralisti e a dei socialisti». E non poteva mancare l’accenno ai marchi tedeschi: «Il Partito socialista rifiutò le 200 000 lire (di Greulich) — e questo gesto lo onora — ma tutti sono convinti in Italia che la manna germanica non fu da molti sdegnata». E si citano dei fatti e si fanno dei nomi. Un collaboratore del «Correspondent» ha raccontato: «Da molto tempo numerose organizzazioni operaie di tendenza rivoluzionaria sono sostenute finanziariamente da possenti sindacati socialisti tedeschi. Si tratta specialmente delle Federazioni dei muratori e dei metallurgici, i segretariati delle quali ricevono importanti sussidi da oltre Reno».

Oh Buozzi, Colombino e Quaglino, rivoluzionari e pagati dai tedeschi! Chi vi conosce piú.

E riportando un brano del nostro «Grido» commemorante il compagno Marchetti, caduto in guerra, il bravo autore commette qualche leggera svista. Diceva l’articolo: «partí con la sua fede». Traduce: «il était parti avec foi».

Ed in seguito: «L’avvocato Caldara, il sindaco socialista di Milano, proclamò il suo accordo con Mussolini».

Ed ancora: «A Roma l’Unione socialista approvò Mussolini».

Cosí si scrive, oggi, la storia. La quale, come insegnano Cicerone e la pedagogia sperimentale, è «la maestra della vita».

(24 giugno 1916)