I denari sono pochi

Come diceva Fanfulla a Barletta. I denari che Torino ha dato per la guerra son pochi. Ma guai a dirlo. I giornali cittadini salterebbero su subito a protestare e, con uno di quegli sgambetti contabili in cui sono tanto abili i giolittiani e gli altri, dimostrerebbero in modo lampante che Torino, in rapporto alla sua potenzialità economica, ha anche fatto troppo. Ma è inutile; i denari son pochi. Si sente che in Torino manca quello slancio, quell’amore appassionato, quella fede in un’idea che… fa vuotare i portafogli, che sveglia la facoltà inventiva e fa trovare il mezzo piú adeguato per rendere piú fruttifera che sia possibile un’iniziativa. Cosa si è fatto dalla nostra patriottica borghesia? Si è scocciato tremendamente il prossimo con uno stillicidio di signorine armate di fiori e di sorrisi piú o meno allettanti, si sono tirati fuori i piú frusti ferravecchi dell’oratoria di parata, si sono dati spettacoli che hanno fatto sbadigliare i pochi volenterosi, ma è stato inutile; i denari sono rimasti pochi, pochi… Solo la passione può suggerire certe cose. Può far capire che se si vuol far quattrini è necessario trovare qualcosa di nuovo, che i soliti impresari non possono offrire; che il mezzo piú adatto non è quello di fare degli spettacoli di beneficenza una superfetazione dei soliti spettacoli quotidiani, perché altrimenti gli industriali del divertimento, vedendosi fare la concorrenza, e in modo, per di piú, idiota, protestano e borbottano. Come è successo l’altro giorno a Torino. Il 3 doveva tenersi al Salone Ghersi una delle solite fiere, con esposizione dei versi di Arturo Foà, di signorine che avrebbero prestato gentilmente la loro opera, di film deamicisiane, e con la partecipazione di Dina Galli e di Amerigo Guasti. Si capisce che era su questi due ultimi che si contava per l’incasso. Ma all’ultimo momento patatrac: la società Suvini Zerboni pone il suo veto, e proibisce «in modo assoluto agli attori ed alle attrici di recitare fuori dei teatri». Ed è naturale ed industrialmente logico. Come era naturale e logico che a Milano, invece, gli attori e le attrici abbiano potuto dare la loro opera per una serata di beneficenza del genere, ma non della specie. Perché a Milano i giornalisti avevano organizzato uno spettacolo che nessun impresario avrebbe potuto dare, e che fruttò 13000 lire. A Torino si voleva semplicemente sfruttare il nome e la popolarità di due impiegati della ditta, e questa infine non ha accettato; e per incassare 13000 lire chissà quanti Fradeletto e quanti Doria dovranno ancora imbonire il pubblico.

Sicché… i denari rimangono pochi. I denari non bastano. E nessuno sa inventare il modo migliore per farli sborsare ai torinesi che pure tutte le sere affollano i ritrovi pubblici e per divertirsi ne spendono di denari, oh se ne spendono!

(6 gennaio 1916).