Il prof. Pietro Romano, presidente del Fascio di tutte le forze interventiste torinesi, da martedì mattina si dibatte nelle strette di un angoscioso problema. Essere o non essere? Fascio o sfascio? Il prof. Pietro Romano è un filosofo, quantunque mai i suoi profondi pensamenti siano riusciti a imporsi alla considerazione dei giudici dei concorsi. Perciò cerca una coerenza fra le diverse sue attività. Come patriota persegue l’ideale della reintegrazione dell’Italia nei suoi naturali confini, come presidente vuole fasciare i nuovi rampolli che ubbidiscono ai suoi cenni presidenziali. Persegue l’unificazione, vuole un focolare. Non c’è famiglia senza focolare, non c’è fascio senza unità, senza contemporaneità di atti, di pensieri, di deliberazioni, ottenuta intorno ad un focolare unico, senza che, in un certo momento, il fascio possa essere imbracciato dai littori, e portato a spasso, per farne ammirare la ben rilucente scure. Il prof. Romano deve, da martedì mattina, risolvere un problema angoscioso quanto quello dei sionisti che si propongono di ridare una patria agli ebrei. Il prof. Romano deve, da martedì mattina, risolvere un problema angoscioso quanto quello di una madre afflitta da numerosa nonché chiassosa prole, cui i padroni di casa si rifiutano di affittare appartamenti. Essere o non essere? Fascio o sfascio? Realtà o vanità? Il prof. Romano ha bussato angosciosamente a tutti gli usci. Si presenta umilmente, cerca nascondere la sua figliolanza; non darà fastidi, non disturberà i vicini, non imbratterà i muri di scarabocchi, il pavimento sarà rispettato. Egli condurrà con sé solo persone serie; niente donne, niente gazzarre: vuol adunare una assemblea di professori, professori che si propongono di discutere i loro interessi di categoria, senza strilli, come è buona abitudine degli ottimi professori italiani. La sua umiltà rassicura: la società operaia «La libertà» concede la sua sala. Il problema sembra risolto. Lo sfascio sarà fascio. Ci sarà il focolare. Ci sarà l’unità. Il littore imbraccerà le verghe strettamente unite con in cima la ben rilucente scure. Lunedì sera il prof. Romano presiede, può far girare i suoi occhi di pio bove sulla massa dei suoi benamati furlotti. Giovedì ci sarà nuova assemblea intorno al focolare. Ma lo sfratto arriva fulmineo: non si vogliono famiglie con troppi bambini. Il chiasso è indesiderabile. Il fascio è di nuovo sfascio. Il prof. Romano deve ricominciare la sua via crucis in traccia del regno di Sion. Essere o non essere?
Gli anarchici del Fascio si ricordano del passato, vorrebbero dar nuovo lustro alle consuetudini libertarie. Propongono la piazza d’armi, l’assemblea al chiaro di luna, pittoresca come le assemblee dei guerrieri barbarici che approvavano scuotendo le lunghe barbe e le pesanti alabarde. E il prof. Pietro Romano fa il sopraluogo, e piú umilmente ricomincia la via crucis. Piazza d’armi è occupata: il commissario dei consumi ha preceduto gli anarchici, e i teneri rampolli della nuova forza del fronte interno sono di già sbucati fuori dal grembo della madre terra, matrigna solo per il prof. Romano e i suoi furlotti.
(22 giugno 1917).