Il germanofilo contrito

Il prof. Pio Foà ha portato al pubblico dell’Università popolare la buona novella. La sua anima che fino al 24 maggio 1915 era afflitta da un morboso movimento pendolare, ha in quel giorno riacquistato la sua verticalità. Sia lodato il dio dei cristiani e quello d’Israele che tante grazie hanno elargito, poiché, siccome l’anima di Pio Foà è universale, è il prototipo delle anime italiane, è tutta l’Italia che non pendoleggia piú e si è verticalizzata.

Pio Foà è vecchio, ed è scienziato. La sua giovinezza ha coinciso con la primavera della patria. Ha sentito dagli spalti di Padova rimbombare il lontano cannone di Solferino, ha visto Milano piena di calzoni rossi dei soldati francesi, ha letto nelle bozze date alla procura austriaca i libri di Michelet e di Victor Hugo che l’editore Daelli veniva gettando in pasto alla gioventú affamata di liberalismo e di sacri principî dell’89. Allora il pendolo segnava: Francia. La sua maturità di studioso si è affermata dopo il ’70. Sorgeva l’astro radioso e trionfante della nuova Germania. L’edifizio del nuovo Stato italiano scricchiolava in tutta la sua ossatura. Pauperismo, analfabetismo, ricordi tragici di Custoza e Lissa. Dogali, Abba-Garima, Adua, Triplice Alleanza, Germania e Austria sono le dande che sorreggono il neonato e lo avviano per le ubertose convalli della prosperità. Lo scienziato che vent’anni prima attendeva con ansia la pubblicazione dell’Histoire de France di Michelet o dell’Uomo che ride, attende ora l’arrivo del commesso viaggiatore tedesco che gli porta a basso prezzo e con pagamento a respiro gli strumenti di lavoro che gli permetteranno di dotare il suo laboratorio e di lavorare; attende che un editore di Lipsia o di Dresda gli stampi le sue monografie con abbondanza di tavole cromolitografiche, e non solo non gli domandi un indennizzo, ma addirittura gli mandi buona moneta di ricompensa. Il pendolo irresistibilmente si polarizza da un altro lato e attinge un nuovo nome: Germania. Scoppia la conflagrazione: il pendolo perde la testa, le oscillazioni diventano pazzesche, turbinose, insomma l’anima è ormai un’anima in pena. Il processo di individualizzazione incomincia, per essere precisi, in una stazione ferroviaria; probabilmente svizzera. Inglesi, francesi, tedeschi, austriaci la circondano, e bussano alla sua porticina d’ingresso. Essa pone prima fuori una modesta insegna: per ora non si affitta; è la dichiarazione di neutralità. Il processo si accentua: neutralità vigile e armata, e finalmente raggiunge l’apice: sacro egoismo. Ormai la verticalità è quasi raggiunta: il 24 maggio il fato è compiuto. L’anima è diventata una psiche, che non si lascia piú trasportare dai movimenti cardiaci (sic) e si riscalda e trae solo commozione dall’oratoria belga, che la convince i tedeschi essere realmente dei barbari ormai rivelatisi in tutta la loro orridezza. Una gita al fronte italiano conferma la psiche nelle sue nuove convinzioni, e allora il bandierone sventola sul mastio del castello ormai solido e incrollabile.

Cosí Pio Foà ha tessuto la storia intima della sua anima. Storia artificiosa e puerile, perché basata su dei presupposti vaghi e poco seri. Invero Pio Foà non ha convinto e non ha commosso nessuno: la grande facilità con la quale egli si è successivamente adagiato nelle varie formule escogitate dal bolso machiavellismo nostrale, dimostra che egli stesso è ancora un bambino che ha bisogno di dande per reggersi sulle gambucce malferme, e per non commettere spropositi che potrebbero diminuire la sua buona fama di patriotta vigile ed armato e sacrosantamente egoista.

(22 marzo 1910).