Il golia, o dello spirito

Vorrei scrivere un trattatello sullo «spirito» in genere e sullo «spirito» contemporaneo italiano in ispecie. Vorrei seguire nella trattazione il metodo che in geometria è il piú efficace: la dimostrazione per assurdo. Ho già, su un bel foglio di carta bianca, scritto il titolo del futuro capolavoro: Il Golia, ossia dello spirito. Ma mi manca qualche cosa, ed è di ciò che voglio appunto parlare nella speranza che un munifico Mecenate voglia sovvenirmi coi suoi quattrini per aiutare, in me, le patrie lettere.

Golia è un nome ed un programma. Golia è una entità geometrica, ed una entità spirituale. Per meglio dire: è diventata entità spirituale perché è stata prima entità geometrica. Golia era il piú alto dei filistei: Golia era, geometricamente, uguale a due o tre filistei sovrapposti. Il Medioevo tedesco ha fatto di Golia un’antitesi del filisteismo ed ha creato i goliardi: l’intelligenza contro la volgarità, contro la banalità, la rozzezza, l’ignoranza, dei filistei. La differenziazione geometrica è diventata differenziazione spirituale.

Ma i goliardi non sono i Golia. Golia rimane sempre filisteo, anzi il piú grosso, il piú voluminoso, il piú rappresentativo dei filistei. Rimane, non il gigante Nazir, il puro e consacrato al sacrificio, Sansone che non esita a morire egli stesso per distruggere il bestiame umano, crapulone e impuro, del popolo di filistei, ma la grossa bestia che soccombe per il colpo di sasso dell’agile e intelligente fromboliere, dell’uomo che è molto spirito in poca carne, molto cervello in piccolo corpo. Ma la grossa bestia filistea approfitta delle grosse bestialità degli altri uomini; il bue grasso è sempre l’ideale della Filiste moderna. Un torinese, un pittore tarpato, ha la ventura della vastità geometrica: egli diventa il bue grasso alla moda. La grossa bestia filistea rinviene dalla botta dell’agile e intelligente fromboliere; Golia si rialza. Come grande e massiccio! Il crapulone e impuro bestione umano accompagna coi «glu, glu» disgustosi della sua gola ricolma di rutti, il procedere goffo del rinato Golia. È la sintesi e l’esasperazione geometrica della sua rozzezza, della sua volgarità, della sua piatta banalità, il rinato Golia: sia posto sugli altari il rinato bue grasso. La tradizione di Casimiro Teja sia deturpata dai pupazzi di Golia: lo spirito sottile, leggero, la matita corrosiva di Casimiro Teja si affila alla lama smussata dai biglietti da dieci lire: il ventre si nutre di biglietti di banca, e non si accontenta piú di idee, di sincerità. Perde l’epigramma, è vero, ma il filisteo non è capace di epigrammi; è senza angoli il filisteo, perché gli angoli urtano troppe persone, e impediscono il giro delle cedole bancarie: il ventre non ha angoli che quando è semivuoto e comunica alla matita qualcuno dei suoi urli e dei suoi lancinanti stimoli a vuoto. Il filisteo dall’ampia cubatura geometrica protegge il bestiame della sua tribú, e si adagia comodamente alla mentalità della sua tribú, come il feto nel ventre materno, perché il cordone ombelicale porti il solito fiotto nutriente di sangue mestruale.

Ecco perché aspetto il contributo disinteressato di un ricchissimo Mecenate. Il mio trattatello platonico Il Golia, ossia dello spirito, è una dimostrazione per assurdo. È necessaria, per la mia dimostrazione, la riproduzione integrale della piatta volgarità di Golia, pupazzettata. Quale Mecenate vuole, per amore delle patrie lettere, ingozzare il ventre di Golia di biglietti da dieci lire, perché il mio capolavoro acquisti la massima efficacia possibile?

(13 marzo 1917).