Il morbo spagnolo

Febbre dei tre giorni, febbre da pappataci. Espressioni non popolari, che non hanno avuto fortuna. In Francia hanno trovato l’aggettivo appropriato: grippe (influenza) spagnola; e i giornali italiani hanno accettato l’aggettivo: «Si ha da Berlino che l’ambasciatore di Turchia, Hakki Pascià, è morto per la malattia spagnola».

I medici-giornalisti hanno dissertato: la malattia non è nuova negli annali della scienza e della esperienza umana. Ma i medici-giornalisti non hanno saputo dar ragione del perché il morbo sia diventato epidemico, e abbia, in breve tempo, infuriato in tutti i paesi europei. È sempre esistito, ma in quanto spazio di terreno, e in quante vittime? E perché, proprio in questi ultimi mesi, ha dilagato, intensificando la sua malignità, fino ad avere degli influssi sul processo degli avvenimenti storici, ritardando da una parte e facendo anticipare dall’altra offensive o controffensive?

Se la malattia è sempre esistita, sono cambiate le condizioni per la sua diffusione, sono cambiati gli uomini e la loro resistenza al male. La malattia è in dipendenza dalla guerra; perciò ha avuto fortuna l’aggettivo… spagnola.

L’aggettivo è un amuleto, è un esorcismo. L’aggettivo «neutrale» allontana dalla fantasia ogni preoccupazione paurosa, ogni dubbio disfattista.

Il morbo non fa vittime (Hakki Pascià ne è morto, ma egli era un turco, e inoltre abitava in Germania). Il morbo è piú che altro una seccatura. Ma l’estensione che ha assunto, il suo diffondersi irresistibile da paese a paese ha una grandiosità, ha una imponenza che fa assomigliarlo a una forza naturale, elementare, contro cui nulla può la volontà degli uomini.

La potenzialità di resistenza umana si è dimostrata incredibile in questi ultimi quattro anni. La sofferenza, il dolore, la privazione, sono state inghiottite, sia pure con un singhiozzo: la compagine ha resistito, è sembrata invulnerabile.

Questo morbo ha intaccato la fiducia. È apparso e si è fulmineamente diffuso, oltre ogni barriera e ogni previsione igienica. Un avviso? Un sintomo? Una minaccia dell’inconoscibile destino agli uomini che tendono troppo l’arco della vita? Si rimedia con l’aggettivo. Il morbo è «spagnolo»: viene dal paese della neutralità, non è intrinsecamente legato con le condizioni nuove di resistenza fisiologica create dalla guerra.

Eppoi: sapete benissimo che la rivoluzione ha suscitato in Russia il colera…

(1° agosto 1918).