Il porcellino di terra

È avvenuto per la guerra come quando in campagna si rovescia qualche grosso sasso, e si vedono scappare da tutte le parti certi animaletti biancastri velocissimi che s’incrociano da tutte le parti come ammattiti. La guerra ha fatto sbucar fuori tanta di quella gente nuova che ora si dimena in tutti i modi poiché la concorrenza è minore, e questa condizione di monopolio non può durare a lungo. Ne conosciamo uno di questi porcellini di terra. Prima della guerra, con le maniche di lustrina egli trascorreva la vita a catalogare carielli e cessi inglesi; e tra l’uno e l’altro intercalava dei formidabili articoli follaioli che dovevano ogni settimana mettere chissà che atroce paura nella persona del monarca: perché il nostro porcellino non aveva peli sulla lingua e non le mandava a dire le parole. Con quel suo aspetto di moschettiere del cesso inglese, con quegli occhi roteanti nell’orbita doveva essere una continua causa di timore fra i suoi colleghi in carielli e cessi inglesi. Perché da un anarchico che scriveva certe cose in quel certo modo, c’era da aspettarsi di tutto, persino che cercasse di ammazzare Francesco Giuseppe e Guglielmo. Ma invece, povero ragazzo, tutto si chiudeva lí, fra i cessi inglesi; l’anarchia si esauriva nelle parole feroci e nelle sgrammaticature abituali, e compiuto il suo dovere di riempitore di finche e di imitatore di Paolo Valera (imitatore dello stile, s’intende, non della voglia di andare in prigione), egli si toglieva la lustrina dalle maniche e ridiventava un modesto borghese bevitore di caffè-latte e di champagnini frappés. Con tali abitudini si capisce che i tumulti di piazza, gli scioperi, tutto il complesso del movimento operaio, insomma, gli sembrasse poco igienico da frequentare. Preferiva la chiacchiera del Mugna e lo studio di Torino sotterranea con documenti inediti e discoverte notevolissime.

Cosí il nostro porcellino di terra s’era fatta la sua capanna e il suo cuore, e prosperava sotto l’umido suo sasso, quando la guerra venne. Il porcellino perdette la testa, pensò meno ai suoi carielli e ai cessi inglesi e si buttò nella mischia con tutta l’audacia della sua verginità grammaticale e cerebrale. La luce del sole, lo spazio molto largo dà sempre alla testa dei porcellini di terra e fa loro perdere la tramontana. Corrono da tutte le parti freneticamente, si ubriacano di movimenti e di parole. Cosí avvenne al nostro: l’aver un giornale, un quotidiano, capite, su cui versare tutta la piena dello spirito eroico accumulato in tanti anni e fra tante teorie di carielli e di cessi inglesi, che gioia, che bella festa! Suvvia, buttiamo via la lustrina dalle maniche, diritti i baffi, perdio, come s’addice a tanto compito. Ha tante volte demolito il re documentando infamie e turpitudini da far drizzare i peli anche alle jene, ora documenta che Barberis ha sputato in un tram, orrore degli orrori, e domanda perciò alla questura che sia tagliata la testa al cittadino ex carrettiere. Be’! non par vero che tra i carielli e i cessi inglesi si possa succhiare nel sangue tanta ferocia. Peccato che essa non se la senta di misurarsi con quella dei cittadini di Francesco Giuseppe.

(1° febbraio 1916).