Il privilegio del diabete

L’occhiuta tutela del doganiere vi ha sempre detto: chi usa saccarina è un delinquente. L’alto senno dei giudici ha sempre stabilito: chi usa la saccarina deve andare in galera. La sapienza ermetica della scienza ha concluso: la saccarina è un veleno. Le tre baionette fieramente inastate, dei tre corazzieri dello Stato, sono rimaste sempre puntate contro la gola dell’italiano. E la gola dell’italiano ha avuto orrore della saccarina, ha ripudiato la saccarina; e il cittadino italiano, nel suo civismo, ha condannato due volte il contrabbandiere: come frodatore del fisco, come untore della peste saccarinica. L’Italia era tutta una Verbicaro: la scienza aveva ridotta l’Italia tutta una Verbicaro, aveva rinchiuso il regno d’Italia in barriere piú salde che non siano i reticolati del confine, le barriere dello sproposito e della superstizione. Per sapere che la saccarina era innocua bisognava, nella Verbicaro-Italia, essere diabetici. La conoscenza della verità scientifica era in funzione del diabete, del maggior o minor numero di diabetici che aveva la ventura di accogliere nel suo seno la popolazione italiana.

Tutte le mele fradice degli orti italici [due righe e mezzo censurate] furono scagliate sugli scienziati tedeschi. Pfui, gli scienziati tedeschi. Pfui, la scienza tedesca asservita al militarismo prussiano. La scienza italiana è povera, ma onesta; è misera, non ha i laboratori, i gabinetti, i seminari della scienza tedesca, ma è disinteressata. La scienza italiana è fiera della sua indipendenza morale. Ripone solo nella ricerca della verità oggettiva lo scopo della sua esistenza, della sua attività. La scienza italiana non è ancella del militarismo aggressivo, è ancella del fisco. Si preoccupa del pareggio del bilancio statale. Riceve la parola d’ordine dai contabili del ministero delle finanze. Non pubblica manifesti collettivi per proclamare il buon diritto della nazione in armi; si accontenta per venti, trent’anni di seminare l’odio per la polverina, la paura degli untori.

Ora che il fisco deve rivendere lo zucchero sottocosto; ora che la mancanza dello zucchero irrita anche la proverbiale pazienza del contribuente italiano, e minaccia disordini, e rompe qualche vetro; ora la scienza italiana scopre che «gli esperimenti clinici e di laboratorio sulla saccarina, ed il largo uso che in altri Stati si fa di tale prodotto, escludono che esso sia di danno all’organismo». E cerca di disfare il lavorio già fatto, e fa pompa della sua funzione educativa sulle masse, e agita la fiaccola disperditrice delle tenebre e della superstizione. Il diabete: la malattia dell’organismo individuale; la carestia: la malattia dell’organismo sociale; senza di esse la scienza italiana non può rivelar tutta la verità. Una parte di essa deve rimanere nascosta nelle pieghe della coscienza scientifica perché il fisco non sia danneggiato, perché il contrabbandiere ucciso dal moschetto della guardia al confine, non appaia come chi libera dalla carestia, ma come l’appestato micidiale. C’è da persuadersi che l’unica opera sincera prodotta dalla scienza italiana sia il capitolo di un libro di Gina Lombroso: Elogio della malattia. Pfui, anche per la scienza italiana.

(23 gennaio 1917).