Il progresso nello stradario

La commissione municipale per la denominazione delle vie si è messa sulla via del progresso. Armata di enciclopedia c di scure essa procede allo sventramento della vecchia Torino. Cadono i vecchi nomi, i nomi tradizionali della Torino popolare, che ricordano la vita fervida del vecchio comune medioevale, la fantasia esuberante e originale degli artigiani del Rinascimento meno enciclopedici, ma piú pratici e di buon gusto dei mercanti odierni. Si sostituiscono i nomi medaglia. Lo stradario diventa un medagliere. Tutta la paccottiglia della bassa erudizione si riversa nelle vie. I nomi sono suoni inerti, che non suscitano alcuna immagine di vita, che piombano nel fondo della coscienza materiale, morta, che non legano al passato, che strappano, con un atto violentemente illogico, i legami tradizionali tra l’uomo e la via. Lo stradario diventa un museo, un cimitero di illustri ignoti, povero ossame ammuffito e sbianchito dalla dimenticanza opportuna, perché meglio pone in rilievo chi veramente ha operato nella storia. La borghesia bottegaia non sa sostituire nulla di originale alla intensa vita spirituale del passato. La sua vita è la medaglia, la decorazione; stimolo, l’enciclopedia; metodo, il conguagliamento, l’appiattimento dei valori. La città degli artigiani era tutta impregnata della vita artigiana, in tutti i suoi aspetti, in tutte le sue manifestazioni, e perciò anche nel nome delle vie. Ogni nome era un brano di vita, era il ricordo di un momento di vita collettiva. Lo stradario era come un patrimonio comune di ricordi, di affetti, che univa piú strettamente i singoli coi vincoli della solidarietà del ricordo. La borghesia bottegaia ha distrutto questo patrimonio, senza riuscire a sostituirlo con qualcosa di ugualmente vivo. La cortigianeria aulica o la vanità vacua hanno preso il posto della fantasia ricreatrice. Tutti i principi, i regnanti, i ministri, i generali di casa Savoia hanno avuto la loro nicchia, sono stati imposti all’attenzione dei cittadini, che il loro ricordo vorrebbero riempire di soggetti piú degni. L’enciclopedia ha dato il resto. Cosmopoli è la città borghese, cioè una falsa internazionale, una falsa universalità: confusione di valori, regno dell’indistinto, caos disordinato ed antistorico. Michele Lessona è insigne e geniale come Leonardo da Vinci. Elvio Pertinace sembra piú degno di memoria dell’arte dei Carrozzai; un imbecille qualsiasi della storia romana sembra piú insigne di una forma di vita sociale che ha trasformato la storia. Spariscono le popolarissime vie della Zecca, dell’Ospedale, del Deposito, dei Carrozzai, dei Quartieri per i soliti nomi della convenzionalità monumentomaniaca, o per ricordare Quinto Agricola ed Elvio Pertinace. La rozzezza della cultura rigattiera soffoca i palpiti sopravissuti della vita del passato. Il borghese bottegaio armato di scure e di dizionario Melzi procede nelle vie del progresso. Cosmopoli incolore e insapore trionfa.

(1° giugno 1917).