È avvenuto ciò che doveva avvenire. Quelli che Enrico Leone ha chiamato «socialisti verbali», nei quali cioè il socialismo era solo una veste retorica, un’abitudine oratoria e non una formazione nuova del carattere, un accumularsi di esperienze nuove che imprimono alla vita una traiettoria nuova, appena rientrati nei ranghi (e doveva essere una cosa provvisoria, a sentirli dire) ci si sono trovati a meraviglia, si sono adagiati integralmente in essi. Unica loro giustificazione è l’ignoranza; non conoscevano la società borghese, ecco tutto, e perciò si dicevano sovversivi. Non avevano scelto il socialismo dopo un coscienzioso e libero esame delle due visioni della vita. Gli erano caduti a ridosso, se ne erano fatti un vestito che aveva una certa pretensione snobistica, e cosí vivevano, finché il fatto bruto della guerra, solleticando certi strati piú profondi della loro coscienza, inconsci perché non volontari, perché presi fatalmente dal mondo circostante, non li rimise nelle rotaie tradizionali. Per dirla con un esempio volgare, essi sono simili a quei tanti anarchici e repubblicani, tali solo perché retoricamente si immaginano i re e i principi come una accolta di mostri coronati, di mandrilli sempre in fregola, di assassini irresponsabili, ma che quando si imbattono in un re o in un principe reale concreto, e lo trovano su per giú simile agli altri uomini, né peggiore né migliore degli altri insomma, fulmineamente si convertono e diventano i paladini piú tenaci del governo dell’uno.
Leggere, per credere, l’articolo che l’avv. Polledro ha scritto per presentare ai torinesi la delegazione del governo russo. Ma non ricordiamo all’avvocato gli scritti di altri tempi sullo knut, sull’autocrazia, sulla Siberia, ecc. Tempo perduto: l’avvocato ha ricevuto il sacro crisma, l’ispirazione della santa colomba, e non conviene mai discutere con gli ispirati. Probabilmente, anzi senza dubbio, il suo nuovo modo di vedere le cose di Russia ha la stessa solida base del modo di vedere di ieri: retorica, retorica, colorita diversamente, ma sempre la stessa mala bestia e mala suaditrice. Piuttosto, vale la pena di notare una sua espressione che dimostra come non la Russia di ieri sia venuta a Polledro, ma viceversa: «L’opinione pubblica russa saprà, meglio illuminata e sorretta, reagire contro le suggestioni di certa insana e intemperante propaganda panserba; nella quale è invero difficile sceverare quanta parte vi (sic) abbia la interessata e subdola seminagione di zizzania degli agenti dell’Austria…» Conosciamo una sola corrente dell’opinione pubblica italiana che ragioni a questo modo: quella nazionalista, che ha come esponente Attilio Tomaro. Naturalmente il Tomaro, che è conseguente (ma anche Polledro in un’altra fase della sua conversione diverrà conseguente), afferma che date le premesse assiomatiche di artificiosità e austriacantismo di un irredentismo serbocroato nell’Adriatico, questo dovrà da parte dell’Italia essere represso senza pietà e senza sentimentalismi. E Bevione, da parte sua, aveva incominciato, nelle stesse colonne nelle quali collabora ora l’ex herveista Polledro, una campagna di quelle che solo Bevione sa fare con l’improntitudine e la faccia fresca che sono sue doti specifiche, nella quale le idee del Tomaro venivano divulgate e rese popolari. Polledro dà la sua sanzione. Necessaria? Affatto, e perciò piú significativa come sintomo di stato d’animo. Dei borghesi, dei conservatori, come Giuseppe Prezzolini, si sono opposti a questa campagna antiliberale, squisitamente austriaca nelle sue vedute. Dei nazionalisti stessi l’hanno chiamata aberrante e pericolosa per le sorti della futura buona intesa fra italiani e slavi. La stessa sollevazione irlandese, esempio pratico di ciò che potrebbe essere domani lo stato d’animo della enorme maggioranza slava della Dalmazia, se i Tomaro e i Polledro prevalessero, ha trovato in un conservatore, Meuccio Ruini (per i moventi ideali almeno), il suo difensore, il difensore che non esitò a bollare di semplicismo coloro che nei casi di Dublino non videro che marchi tedeschi. Prezzolini, Salvemini, Ruini e gli altri sono interventisti, dunque con essi potrebbe andar d’accordo Polledro. Perché ha scelto questa altra via adunque? Evidentemente è il Polledro d’oggi che è andato verso la Russia d’ieri, la Russia dello zar, dello knut, della Siberia (Pantelleria e Ponza equivalgono a Tobolsk e agli Urali); e perciò con tanta sufficienza egli parla di insania e di intemperanza.
(2 giugno 1916).