La censura

La censura ha intieramente imbiancato la nota di ieri. La censura continua a svolgere il suo compito, quantunque l’esercito nemico non minacci piú i «pingui campi» e l’onore delle donne, quantunque sia in modo assoluto escluso, anche dal punto di vista del piú angusto reazionario, che la discussione delle idee possa aprire i confini all’invasione. La censura continua e noi non ce ne meravigliamo, poiché nel nostro paese essa non ha mai rappresentato una misura provvisoria e contingente di difesa della «salute pubblica», ma è stata un metodo di governo, il metodo necessario dello Stato italiano, poliziesco, protezionista, antiliberale.

Gli italiani mancano di fantasia (l’immaginazione e lo scapricciamento non sono fantasia): essi riescono a comprendere che altri Stati non sono democratici, perché l’unico giornale che leggono ne sottolinea gli atti e le misure reazionarie; non concepiscono che lo Stato di cui sono parte e che anche solo costituzionalmente potrebbero trasformare, è la negazione della democrazia; Giolitti rimane per molti un liberale democratico. Questi italiani hanno l’immaginazione superficiale impressionata dalle «spiritose» interruzioni del parlamentare furbo e imbroglione, e non ricordano invece che Giolitti ha tolto agli italiani la libertà di tenere comizi pubblici (ha cioè soppresso la libertà di parola e di propaganda orale, eccetto che in tempo di elezioni), non pensano che Giolitti rappresentava al potere le cricche piú reazionarie degli agrari e dei siderurgici. Orlando e Nitti sono per gli italiani «uomini che parlano»; gli italiani non riescono a vedere in loro gli «uomini che operano», appunto perché mancano di fantasia, perché sono incapaci a ricreare «drammaticamente» un’azione permanente, in ciò che ha di essenziale, in quanto trasforma la realtà e la rivolge a particolari fini. Gli italiani, il popolo italiano può arrivare anche, per la suggestione dell’unico giornale che legge, a gioire perché una minoranza è perseguitata, non può parlare, non può far conoscere le sue idee e i suoi fini; il popolo italiano non ha fantasia, perché non concepisce che la sua gioia è per un proprio male, perché esso tutto è escluso da quelle idee, dal conoscimento di quei fini, perché è, per lui, ritenuto un’accolta di scimmie urlatrici senza criterio, senza inibizione volontaria, che si escludono quell’idea e quei fini dalla pubblica discussione.

La censura è il metodo di governo dello Stato italiano rimasto paterno e dispotico sotto la superficiale vernice dell’enfasi democratica. I socialisti devono sempre cercare di spiegare gli avvenimenti e le azioni politiche; essi devono farlo perché hanno una dottrina e devono diffondere le conclusioni alle quali arrivano, perché sono i soli democratici, perché aspirano all’instaurazione della sola democrazia storicamente necessaria ed efficiente: la democrazia sociale. Lo Stato italiano è paterno e dispotico, perché rappresenta cricche particolari e non una classe; esso è la negazione della democrazia liberale perché la volontà dei cittadini conta zero, perché i cittadini non possono avere una volontà concreta, perché lo Stato impedisce che questa volontà sorga, inibendo la discussione, impedendo l’arrivo dei giornali stranieri, anche dei paesi alleati dove pur vige la censura. La censura continua a imperversare, e ciò avviene perché le cricche che ci governano vogliono instaurare anche esplicitamente un governo dispotico, vogliono annullare lo Statuto e le altre garanzie di libertà e di sviluppo delle forze storiche nuove.

(4 novembre 1918).