La Checca

La Checca cattolica sorride ineffabilmente soddisfatta: «La va benone! Uomini, voi abusate della vita: ponete come fine alla vita il piacere, non volete riconoscere autorità esterne alla vostra volontà individualmente capricciosa, che vi conduce all’abisso. Uomini, soffrite: non piú teatri, non piú cinematografi, non piú caffè concerto e caffè senza concerto; non piú vellicamenti ai sensi vostri: le orecchie non si diletteranno ai suoni, gli occhi non inseguiranno le immagini proterve tentanti di creare la bellezza con gli atteggiamenti plastici delle forme umane; la fantasia muore, deve morire, in tutte le sue forme di vita, ignobili e alte, oscene e rutilanti di creazione: essa è il male, è il piacere, è il peccato, è l’umanità in quanto si distingue essenzialmente dalle altre manifestazioni della vita biologica. La va benone: soffrite, o uomini. Il fantasma della morte incomba, unica preoccupazione, assillo mordente, su di voi: la paura dell’agguato vi umilii, pieghi la vostra cervice. La società si sfasci, sia ridotta alle nuda ossa del suo scheletro elementare: gli individui che si sfuggono, che si evitano perché l’uno vede nell’altro il pericolo, il nemico, la tentazione».

Cosí gode la Checca cattolica, cosí trionfa la Checca cattolica. Il suo ideale è lo sfacelo, è la sofferenza, è l’umiliazione dell’umanità. La va bene, per lei; la morale ha vinto, il peccato è stato inabissato e l’arcangelo fiammeggiante per l’occasione si è impersonato nel prefetto, e la spada diamantina è stata la penna del burocrate che ha steso i decreti di chiusura. La va bene; i mariti sono rientrati al focolare legittimo ad ora lecita; la gioventù ha evitato i bagordi delle notti di tempo di guerra; l’epidemia infuria: viva l’epidemia moralizzatrice; viva la morte che la fa andar bene.

Il male è stato punito. Sí, ma anche il bene è stato stroncato, il bene che è la vita fervida, che è l’attività. Non si può uccidere il male senza uccidere il bene; essi sono inscindibili come la luce e il buio, essi sono concetti relativi, che si continuano, e ognuno dei due prende valore dall’altro. La Checca, la pettegola comare cattolica, non comprende queste cose: essa odia la vita, non il male, e odia la vita degli altri, perché gliene sfugge il dominio, perché la vita non vuole essere schiava dei fantasmi del passato cosí come dei padroni del presente.

Ma la sua esaltazione del morbo micidiale non trova piú le animule tremule. L’incanto è rotto, i fantasmi si dileguano. Progrediscono i crociati zeelandesi e australiani nella liberazione dagli infedeli delle terre che furono teatro dei miti cristiani, e le coscienze non esultano, non trabocca la gioia: l’incanto è spezzato. L’avvento della libertà si è documentato negli spiriti. Cosí la morte non è piú larva dell’inconoscibile, che aleggiando desti il furore mistico ruggente nelle vie e nelle chiese. Non è il piacere il suo scopo, ma non è neppure la purificazione per l’oltretomba. È la purificazione per la vita stessa, che si raggiunge con l’attività creatrice di benessere per dare alla virtú e al dovere il modo di realizzarsi, per tramandare ai venturi condizioni meno laboriose e affaticanti di purificazione. Non è il male nella bellezza, anche se essa cerca la sua espressione in forme ignobili e artificiose; non è il male nelle coscienze cadute originalmente nel peccato, ma è un riflesso dell’esterno, è un riflesso della lotta ineguale, del privilegio ammorbante, attraverso cui si è costretti passare come ad un roveto ardente. E la liberazione è nella lotta stessa, nell’attività creatrice che sfalda e sblocca il passato millenario, nella forza potente che picchia e urta la muraglia del carcere per abbatterla e far entrare la luce.

Ma la Checca stride di gioia per la peste, per la morte che umilia. La lotta e la forza sono per la comare cattolica invenzioni diaboliche.

(9 ottobre 1918).