La matrice

Raccontano i biografi di Caterina Sforza che quando il duca Valentino volle prendere d’assalto la città di Ravenna, per costringere la donna alla resa, applicò alle macchine d’assedio i figlioli di lei. Ma Caterina di sopra alle mura assisté impassibile allo strazio delle sue creature, e al duca che irrideva beffardo, ella, la madre, la donna castissima, fece un gesto plebeamente eroico. Con una mossa violenta scoprí gli organi del sesso, dicendo, che finché lei, la madre era viva, non doveva il nemico menare trionfo: perché chi aveva dato alla luce quei giovani, altri ne poteva creare e meglio vigorosi perché avrebbero succhiato col latte materno l’odio per gli assassini.

Prendiamo come simbolo il gesto plebeo di Caterina Sforza per il proletariato internazionalista. Lo stremato manipolo rimasto ancora fedele nel fondo del suo programma ideale, si vede stretto d’assedio, bersagliato dagli avversari. L’Internazionale si è vista amputare alcuni dei suoi figlioli piú vigorosi, ed essi sono diventate macchine guerresche per debellare la cittadella e le ultime ridotte dei refrattari. Dovrebbe la madre disperarsi per il tradimento, urlare la sua estrema maledizione, e disfarsi, ritornare nel nulla? Gli avversari attendono ciò ghignando beffardi, irridendo all’impotenza, all’esaurimento. Ma non è sincero il loro riso, la loro gioia si esaurisce in se stessa e non basta a tranquillarne le coscienze turbate. Perciò con odio si scagliano su ogni manifestazione internazionale che accenni ad una nuova ripresa feconda. Hanno visto che la matrice da cui sono generati tutti i movimenti proletari non è esaurita, che essa non può essere resa sterile da nessun chirurgo borghese.

[Sette righe censurate].

Zimmerwald, Kienthal acquistano un significato tremendo da tutto ciò. Segnano un solco profondo tra il passato e l’avvenire del nostro movimento. Ci siamo stretti piú dappresso gli uni agli altri, ci siamo contati e guardati negli occhi, resi piú profondi dallo strazio. E abbiamo acquistato la coscienza della nostra perenne giovinezza, della nostra inesauribile fecondità. A Zimmerwald e a Kienthal l’Internazionale ha mostrato alla borghesia delle nazioni in guerra, che appiccati alle macchine di distruzione le mostrava i suoi figli ieri cosí vigorosi, la sua matrice e le sue possibilità di ricrearsi la prole perduta. E a Borgo S. Paolo l’altro ieri il proletariato torinese ha acclamato unanime alla gran madre immortale, che sente vivere nella sua coscienza.

(23 giugno 1916).