La patria al Maffei

Domenica al Maffei. Gli altri ritrovi in questo giorno sacro al riposo e al divertimento sono stipati di pubblico, e non è davvero piacevole rischiare le costole e tuffarsi in una atmosfera discretamente satura di indefinibili odori umani per annoiarsi a una produzione seria, o quasi. Al Maffei si respira e si sentono delle porcheriole che ormai non fanno arrossire neppure le educande, e una musichetta che concilia le riflessioni piú rosee sulla vita degli uomini. Le donnine sul palcoscenico sono piú o meno piacenti e solleticanti, lo spirito è piú o meno di buona lega, ma di domenica ci si può accontentare anche di questo poco pur di cacciare la malinconia della festa che serve solo a far mettere in mostra tutte le piccole vanità della mediocrità cittadina.

Piú malinconica di noi pare sia la divetta che è stata salutata dalla scrosciante salve di fischi che le bocche proletarie hanno fatto gioiosamente risuonare. Camicetta rossa, fascia bianca, sottanina verde e… gambette rosa. Italia da oleografia, truccatura di patriottismo che in questi tempi difficili può anche riuscire a far dimenticare la voce sgangherata e le forme ormai stanche nella violenta luce della ribalta. E i fischi sono proletari, ma non perciò meno patriottici; eppure alcuni protestano contro la protesta. Questi alcuni che consentono al tricolore di coprire il contrabbando di una qualsiasi sgualdrinella, sono magari gli stessi che dicono di voler salvare la bandiera dal letamaio metaforico degli antimilitaristi ex polledri, sorrisi sarcastici della vita quotidiana. Il tricolore, simbolo della Patria che domanda per il Moloch belligero il sacrificio della vita ai cittadini, è difeso da quegli stessi proletari che tutti accusano di antipatriottismo e di «ben vengano i tedeschi». Ma non fa meraviglia. Solo chi è abituato a prendere sul serio certi simboli e certe affermazioni, possiede la sensibilità necessaria quando ad essi si fa vituperio e oltraggio. Chi vede nella politica e nella storia solo la fiera, la coreografia, il corteo rutilante di colori e di decorazioni e rimbombante di discorsi che puzzano di lucerna accademica, come può sentire tutto il grottesco di questi appaiamenti: Maffei e Patria, tricolore e gambette rosee della divetta che stona l’ultima sciocchezzuola birichina dei boulevards? Non abbiamo assistito tempo fa ad un tentativo di applauso alla Marsigliese cantata in una delle pochade dove piú viene diffamata la Francia nel suo esercito, nelle sue donne, nei suoi costumi, che non sono né migliori né peggiori di quelli di tutto il resto del mondo? Ebbene noi, se qualcuna di queste bestioline del piacere gorgheggiasse un nostro inno per strapparci il soldino e l’applauso, e la borghesia protestasse, saremmo d’accordo e ci uniremmo nella salve dei fischi con tutta la forza dei nostri polmoni.

(9 febbraio 1916).