Infinita è la saggezza dei popoli; infinita, come l’onnipotenza divina. Essa osserva tutto, commenta tutto, trova in ogni minimo avvenimento, in ogni piú banale rapporto tra uomo e uomo lo spunto per esercitare il suo acume, il suo senno, la sua ironia leggera o profonda.
E abbandona al vento della storia i foglietti sui quali sono scritte le massime universali che testimoniano di questo lavorio popolare, che ha con il mondo il suo inizio. E il caso vi fa svolazzare attorno al viso, dinanzi agli occhi, qualcuno di questi foglietti. Il caso è il migliore maestro di esperienze e lo stimolo piú efficace alla riflessione. Leggete dei libri interi dedicati alla sapienza, e non diventate saggi. Leggete dei libri interi incorniciati di auree massime, e queste ci fanno l’impressione di un bisaccia ricolma di foglie secche. Il caso vi mette innanzi la quarta pagina di un giornale della sera. C’è in essa tanto di sapienza, quanto ne può bastare al piú avido rosicchiatore di Minerva. La sciarada: la sapienza ermetica, per arrivare alla quale occorre possedere le sette chiavi del tempio salomonico, o l’apriti sesamo dei quaranta ladroni della caverna di Alí Babà. Il pensiero dell’uomo illustre, per esempio Arturo Graf, che seriamente, compostamente vi afferma che «l’insolenza nei grandi è odiosa, e nei piccoli è ridicola». C’è la dimostrazione attuale sulla necessità della guerra, di un modesto anonimo. Tre foglie morte. Che inutilmente battono alla soglia della coscienza, che inutilmente frusciano intorno. E invece la quarta vi attrae. È ancor verde la foglietta che forse si è staccata dall’adamitico albero del bene e del male. Cinque parole vi son scritte: cinque parole che messe cosí una dietro l’altra sembrano le piú banali, le piú stupide, le meno sapienti del mondo: «Chi ha bachi non dorma»… Ma perché dunque esse hanno questa virtù ricreatrice, che le impone alla nostra osservazione? Non sorridete: il pensiero maligno che si intravede nel vostro sorriso è privo di fondamento. Voi pensate che quel nome sostantivo sia pregnante, come dicono i grammatici, sia carico di tutti i succhi balsamici del simbolo, e voi pensate… Ma v’ingannate; in questo momento diventa verde anche la fogliuzza dell’uomo illustre; l’insolenza, ecc. Non vogliamo essere insolenti con certa gente; e come non esserlo, paragonando un essere pensante, una creatura che nella sua creta mortale conserva ancora il soffio della divinità, a un vilissimo giuanin che fa avvizzire il frutto saporoso? È proprio il caso che ha fatto sí che questo frutto modesto della sapienza dei popoli venisse a cadere ai nostri piedi proprio quando la nostra coscienza era piú acconciamente preparata a gustarlo, a farne strizzare il gocciolo utile della sua succosità. Pensate: a che è andata a badare la sapienza popolare. Solo ci nasce un dubbio: la sapienza popolare deve aver solo fatto la constatazione: chi ha bachi non dorme. Il popolo della «Gazzetta» ha energicamente sostituito all’indicativo presente, l’imperativo categorico: «non dorma!» Noi, che siamo proletari e siamo piú energici e d’azione, proponiamo un emendamento: chi ha bachi, prenda la santonina. E permettiamo a questo punto il sorriso. Perché è una realtà avvenuta che il proletariato, quando ha i bachi, prende la santonina.
(3 gennaio 1917).