La scuola e il giardino

La scuola e il giardino stanno di fronte. Quando il sole non era ancora stato divorato da chissà che mostro e illuminava il giardino, ora chiuso e deserto, gli scolaretti uscivano di scuola e prima di andare a casa si precipitavano nel giardino a far mezz’ora di gazzarra.

Il giardino era dunque la continuazione della scuola. Osservazione che non è superflua, perché nel discutere di problemi scolastici noi ci dimentichiamo sempre di questa continuazione e ci lamentiamo e rimproveriamo alla scuola una infinità di difetti che sono nelle continuazioni, nella vita sociale, nell’ambiente che accoglie gli scolaretti subito dopo usciti di scuola: la famiglia, la strada, il giardino.

Il giardino era aperto qualche giorno fa, il sole lo illuminava. Gli scolaretti vi si precipitarono, ma non fecero gazzarra: uno spettacolo li attrasse, interessante per loro senza dubbio, perché si disposero a una certa distanza, muti, attenti: gioco nuovo, mai visto forse. Su una panca un giovanotto di una trentina di anni, bruno, ricciuto, col cappello alla guappa, sedeva accanto a una balia asciutta; e si agitava, e si lisciava la pancia e allargava le braccia tutto sorridente, e ogni tanto prendeva la mano della ragazza, con l’espressione mimetica che Angelo Musco pone nelle commedie siciliane. Gli scolaretti guardavano, attenti. La continuazione della scuola era evidentemente piú interessante per loro della scuola stessa. I bambini hanno una logica propria, si sa, e filano dei ragionamenti di una coerenza spaventosa. Alle undici del mattino, quando la città non ha ancora smesso il lavoro antimeridiano, vedere nell’aiuola un giovanotto robusto e sano, dall’aspetto non di signore che vive di rendita, fare i gesti, li stessi gesti press’a poco che fanno i cani quando la mamma dice di non guardare e accelera il passo, è spettacolo di una teatralità gratuita da non perdere per tutto l’oro del mondo.

Qualche passante si ferma anch’egli a guardare, e sorride, come sogliono sorridere gli sciocchi che non pensano alle continuazioni di cui sopra. Qualche altro lascia sfuggire interiezioni poco ortodosse, aretinesche. Uno brontola, domanda perché nessuna guardia intervenga. «Ecco, gli dico, nessuna guardia può intervenire, e il giovanotto non si dà per inteso della curiosità malsana che riesce a destare, appunto perché egli è sicuro che nessuna guardia interverrà. Se ella, signore, prendesse sul serio la sua qualità di cittadino, corresponsabile della particolare forma di civiltà in cui viviamo e vivremo, e intervenisse, quel giovanotto lo condurrebbe al vicino commissariato e la farebbe mettere dentro per oltraggio ad agente nell’esplicazione delle sue funzioni: io sarei in piú condannato per disfattismo. Ella chissà cosa crede faccia quel giovanotto: corruzione, ecc., ebbene, no: egli fa la guardia ai disfattisti di corso Siccardi»

(16 aprile 1918).