La vita e la morte

Ma se vita
Sarà la nostra morte
Nella vita
Viviamo solo la morte

Sono versi di Carlo Michelstaedter, un goriziano uccisosi a ventitre anni perché non riuscí a porre d’accordo la pratica quotidiana coi principî della morale di Kant.

E rileggo la cronaca che racconta, e infiorandola di particolari e di aggettivi eroici, la morte dell’aviatore pugnante. Anch’esso è morto al fronte. Un fronte di guerra che è antico quanto l’uomo e deve spezzare non una cintura di fil di ferro e di casotti per doganieri, ma l’invisibile barriera fra il regno dello spirito e dell’intelligenza e quello delle forze brute naturali.

Noi siamo soliti vedere l’aeroplano, da quando la guerra è scoppiata, solo come strumento bellico e il pilota che lo guida come un professionista della distruzione e dell’insidia.

A me piace vederlo simbolicamente come la crisalide cantata da Michelstaedter: germe di vita futura, giovinezza di una maturità che egli non potrà finire perché nell’incertezza del suo attuale destino, la morte lo spia e lo coglie troppo spesso con una corrente d’aria, con la rigidezza dell’organismo che ancora non è riuscito a diventare continuazione dei nervi e dei muscoli che cercano dominarlo. Si è adattato alla guerra il meraviglioso strumento dominatore dell’aria, ma allo stesso modo si sono adattate tutte le cose e le forze della nostra civiltà. Ma il suo destino non è la guerra, perché esso è il superatore delle barriere e dei confini. Non piú distinzioni di montagne, di acque, di reticolati che scampanellano quando il contrabbandiere cerca scavalcarli, non nastri di binari senza possibilità di scarto e implacabilmente fissati sulla crosta terrestre dalla matita dell’ingegnere. L’aria non offre possibilità di confini scellerati e di poliziotti che vi frugano le valigie e vi domandano il passaporto. Essa è di tutti e per tutti, e abbraccia con le sue correnti colossali come in morbide braccia tutta l’umanità senza distinzioni di Stati e di colori. Il fragile involucro del dirigibile, le sottili nervature dell’aeroplano si adattano alla nuova esperienza, e la lotta per l’affermarsi di questa nuova vita miete vittime e domanda sacrifici cruenti come le precedenti ormai vittoriose, e sono i giovani, le energie in boccio, che sfioriscono piú rapidamente e piú spesso. Perciò i versi del giovane goriziano martellano con insistenza il cervello. La vita che diventa causa di morte, e la morte che creerà la nuova vita. Le crisalidi sono il simbolo piú vivo di questo momento della vita mondiale. Ma se per alcuni sorride il sacrificio perché per la loro morte si aggiunge un nuovo filo d’oro al bozzolo che domani sarà sgomitolato, per altri il dubbio corrodente avvelena gli ultimi istanti, perché il bozzolo conterrà fili d’oro, ma l’oro non sarà solo nell’immagine.

(2 aprile 1916).