L’idea territoriale

Non trovo un altro aggettivo. La lingua italiana non ha un altro aggettivo, e anche questo fatto ha la sua significazione. Non si potrebbe tradurre in italiano né la parola, né il concetto che in francese suona déraciner, déracinement, nei libri — per esempio — di Maurizio Barrès. È questa un’idea storica, essenzialmente storica, che presuppone un lungo lavorio di penetrazione culturale, e non può diventare patrimonio delle coscienze per via di ragionamento, perché è un abito mentale, che si prende dalla collettività cosí come il linguaggio, come la fede. Non si tratta solo di sentirsi parte di un tutto sociale che si chiama Italia, o Francia, o Germania, formato di aggruppamenti umani che hanno oltre ai caratteri genericamente astratti di umanità, anche dei caratteri specifici nazionali, creatisi attraverso una differenziazione storica. Si tratta anche di sentire i confini territoriali di questo tutto; far sentire territorialmente la patria è il fine concreto che si propone l’educazione nazionalistica, la quale trova il momento psicologicamente piú adatto alla sua propaganda in tempo di guerra, quando il confine è diventato una cosa viva, che sanguina, è ferito, è lacerato dalla furia belluina della lotta di conquista.

Eppure si fa rimprovero ai socialisti di non vivere questa idea. Anche quelli che non credono alle idee innate, che non credono al principio naturale, che eguagliano perfettamente civiltà e storia, fanno torto ai socialisti di non avere un’idea territoriale della patria, della nazione. Ricadono nel vecchio pregiudizio evoluzionistico, per cui si immagina la storia come un succedersi ferreo di stadi successivi, attraverso i quali tutti gli uomini devono passare, se non vogliono diminuire la loro umanità. Dall’individuo alla famiglia, alla tribú, al campanile, al comune, e cosí via. La natura non fa salti, quindi i socialisti sono degli idolatri e l’internazionalismo è una mitologia putrida. Il cittadino deve avere un’idea territoriale se vuole essere perfettamente uomo, se vuole essere compiutamente se stesso.

Ma non c’è evoluzione, nelle idee. Le idee diventano, sí: ma diventano atto, se sono vitali, se cioè rappresentano una necessità. Non c’è passaggio da idea a idea; c’è sostituzione. Ogni formazione sociale nuova che s’affaccia al limitare della storia, porta con sé le idee che, diventando atto, serviranno a soddisfare le necessità della sua vita futura. Il proletariato non può vivere l’idea territoriale di patria, perché esso è senza storia, perché esso non ha mai partecipato alla vita politica, perché non ha tradizioni di una vita collettiva che esca fuori dalla cerchia del comune. È diventato essere politico attraverso il socialismo; nella sua coscienza il territorio non ha concretezza spirituale; la necessità nazionale non riecheggia in nessun ricordo di passione specifica, di dolori, di martiri specifici. La sua passione, i suoi dolori, i suoi martiri li ha avuti per un’altra idea, per la liberazione dell’uomo da ogni schiavitú, per la conquista di ogni possibilità all’uomo come tale, che non ha territorio, che non conosce limiti all’infuori delle inibizioni della sua coscienza. Per il socialismo l’uomo è cosí ritornato ai suoi caratteri generici: ecco perché parliamo tanto di umanità e vogliamo l’Internazionale.

(3 novembre 1916).