L’ora del tempo e la dolce stagione in cui cade, per volere di Giove del fato o di qualche altra divinità meno incorporea, l’entrata in guerra dell’Italia, ha offerto spunti vari ai divi del nostro Parnaso. Giovanni Papini ha notato che il 24 maggio 1915 era un sabato, ed ha intitolato una sua raccolta di articoli d’occasione La paga del sabato con equivoca significazione. Gil Blas ha preferito essere meno minuziosamente pedante ed ha intitolato il suo zibaldone rivistaio Maggio sei tu…
La maggiolata, a dir il vero, è piú italianamente indigena, cosa per cui ci ha piú dilettosamente solleticati la rivista patriottarda, a base di doppi sensi porcaccioni e di sottilissima (come le astuzie di Bertoldo) satira politica, che la prosa agrodolce dello stizzoso onagro fiorentino. La messa in ridicolo, per esempio, dell’illustrissimo re di Grecia, è quanto di piú sottile e politicamente raffinato possa mai immaginarsi. Ma la madre Ellade bisogna che non sia troppo schizzinosa, e non faccia il broncio per cosí poco. Piuttosto mi meraviglio che non sia ancora saltato fuori nessun babau del fronte interno a protestare contro l’ignobile scempio a cui soggiace la nostra Italia.
Ricordate la formidabile polemica scatenatasi a proposito di un auto-corrispondente dell’«Idea nazionale», che attribuiva a una delle tante Zeitungen la boutade dei briganti calabresi e dei mandolinisti napoletani, e gli agili ricami che vi tesserono e che tutt’oggi tessono intorno tutti gli umoristi a corto di spirito? Ebbene, Gil Blas dev’essere un tedescofilo, un neutralista camuffato con la pelle del leone, e la sua maggiolata non può essere altro che uno svergognato tranello per far scivolare il delicato piedino dei mangiatori di panico. Ci fa meraviglia che proprio noi si debba essere i primi a trarlo alla gogna e che la sensibilità da educanda dei nostri franchi tiratori, i quali s’impennano per una innocentissima sinfonia di Wagner che non paga neppure i diritti d’autore, non abbia strillato, come deve fare ogni brava oca che custodisca il Campidoglio. Immaginate, infatti, che l’Italia nell’ultimo quadro viene raffigurata sotto la fattispecie di una folla di allegri chiassoni che ballano a suon di nacchere, di tamburelli e di odiosi mandolini!
Ma noi siamo piú longanimi di tutti gli sparafucili presi insieme. Ci fa schifo tanto la grottesca allusione italo-tedesca della reciproca fine ugoliniana, quando la sguaiata rappresentazione dell’Italia Karneval-Nation, coi cittadini che sulle pubbliche piazze si abbandonano alla piú sfrenata allegria, e trovano panglossiamente che questo è il migliore dei tempi possibili. Ma non abbiamo la malinconia di pretendere da una rivista la serietà di un quaresimale. Maggio, non sei tu il mese degli asini e delle chitarre sentimentali al chiaro di luna?
(10 maggio 1916).