Nazionalismo economico

Esiste presso il 40° parallelo, un paesetto, de cuyo nombre non quiero acordarme, per non sollecitare il legittimo risentimento campanilistico, cosí come Michele Cervantes per la stessa ragione non volle ricordare il nome del paese natio di don Chisciotte, posto anch’esso presso lo stesso parallelo.

Il paesetto in questione è celebre, a cinquanta chilometri di raggio dal parafulmine del suo campanile, per gli l sempre raddoppiati (candella ecc.) e per il suo ferro.

Un giorno, nel tempo passato, gli abitanti s’accorsero, con grande rincrescimento, di essere tributari del ferro ai grossisti del capoluogo di provincia. Vollero energicamente provvedere. Uomini d’azione, gelosi del prestigio della loro patria (patria vi significa appunto paese natale) mandarono il fabbroferraio a comprare alcuni quintali di buoni chiodi, accompagnandolo di un agricoltore famoso per i solchi diritti tracciati dal suo aratro. E fu un’orgia di lavoro. I campi furono dissodati come mai si era fatto, e nella terra nera, soffice, i chiodi furono seminati, e la semina fu seguita da grandi feste dionisiache di tripudio per l’èra nuova iniziatasi nei fasti della patria. Non piú negozio di fichi secchi e zibibbo, di cacio e pellami, di sughero e nocciole, ma ferro, ferro. Quei buoni uomini non sapevano che Blanqui aveva detto: Chi ha ferro ha pane. Non sapevano della disputa per cerziorare se la massima dovesse ritenersi del solo Blanqui, o nella sua vaghezza fosse patrimonio anche di Tiburzi, di Tamerlano, di Guglielmo II e di Barabba. Eran lieti, e altro non domandavano.

E quando le prime acque compressero alquanto la terra arata, e punte arrugginite spuntarono, qua e là, nuove feste furono celebrate per i germogli tanto aspettati.

Oggi però gli abitanti del paese del ferro si sono scaltriti; hanno ripreso il commercio dei fichi secchi, del bestiame, dello zibibbo, del cacio; e quando passano, gridando la loro merce, per le strade dei finitimi villaggi, e un buontempone domanda loro scherzosamente: «Ebbene, e il ferro è cresciuto?», diventano scuri in volto e palpano il coltello rispondendo: «Eccone una foglia fresca, fresca». Perché quantunque scaltriti, sono ancora barbari e violenti.

Ma sono tutti scaltriti? Una colonia si è trasportata a Roma e vi ha fondato la scuola del «nazionalismo economico», e un discepolo della scuola romana è venuto a Torino a dirigere l’organo degli industriali piemontesi. Egli odia i fichi secchi, i limoni, i pomodori; vuole ferro, ferro, coltivare tutta l’Italia a ferro. L’esperienza del paesetto lungo il 40° parallelo non ha servito: l’Italia seminerà nuovi chiodi per ubbidire al vecchio adagio popolare.

(23 maggio 1918).