Nel «tempio» della Sapienza

Stanno avvenendo, in questi giorni, non a torto chiamati rivoluzionari, delle trasformazioni curiose. Scompaiono gli dèi, precipitano gli idoli, tramontano gli ideali, le parole stesse stanno cambiando di valore e di significato. Non eravate soliti anche voi sentir dire che l’università, il luogo dove si forma la mente della gioventú che domani sarà classe di governo, è un «tempio»? Il tempio della scienza. Il tempio aperto alla universale adorazione di questa dea solenne, che voi certo ricordate, nelle vecchie allegorie accademiche, figurata come matrona dall’aspetto maestoso, dallo sguardo sereno e severo, sprezzatrice delle turbe profane, tendente una mano alla giustizia e l’altra alla libertà, dee sorelle. Ahimè! non vi accada di entrare nel cortile dell’Università di Torino, se ancora nutrite nel vostro pensiero queste generose illusioni; non vi accada di entrare a cercare, nel recinto del sacro tempio, i segni della sovranità della severa classica dea.

La nostra università è ancora un tempio? Sí, soltanto se alla parola si dà un significato un pochino diverso da quello primitivo. È diventata, la nostra università, qualcosa di meno pagano di un tempio: la solennità si è perduta, si è perduto anche il raccoglimento che potrebbe fare del tempio una chiesa. È rimasto, del tempio e della chiesa, il lato sordido, volgare, bottegaio; la nostra università non è piú un tempio, è una sacrestia. Sulle colonne voi potete vedere, affissi col permesso delle autorità scolastiche, gli annunzi delle messe, delle penitenze, delle comunioni, dei rosari e dei sacri uffici. È una tappezzeria di nuovo genere, che non stona poi troppo, accanto agli avvisi dell’umile e onesto commercio dei libri usati, delle dispense, delle dissertazioni di laurea e delle camere ammobiliate. Vero è che le autorità le quali hanno permesso l’affissione degli avvisi di sacrestia hanno vietato a un gruppo di giovani studenti animati da sensi di libertà e di giustizia di dare pubblicità nei locali universitari al manifesto e agli atti di un circolo studentesco socialista. Ma che volete? I tempi sono cattivi. Tante nuove divinità ribelli sono in giro che anche la vecchia classica dea Sapienza sente il dovere di correre ai ripari, e perde un po’ della sua serenità severa, e raccoglie al seno le mani che prima porgeva alle dee sorelle: Giustizia e Libertà.

Le mani congiunte in atto di devozione stringono la coroncina del rosario, le labbra biascicano giaculatorie, gli occhi si volgono compunti al cielo. La serena classica dea Sapienza non è piú quella, è diventata anch’essa paolotta, è diventata una figlia di Maria… E anche i suoi sacerdoti hanno dimesso gli abiti curiali e gli atteggiamenti liberi e solenni e sono diventati dei sacrestani, sí, anche se ieri erano democratici e massoni…

Ciò che avviene nella nostra università non deve del resto stupire. Ciò fa parte di un piano, di un piano prestabilito che di giorno in giorno sempre piú si viene palesando. Si dà l’assalto alla scuola come agli altri organismi dello Stato, si fa un’opera di invasione continua, ordinata e metodica. E lo Stato è impotente a difendersi. La paura degli uni lo fa precipitare nelle braccia degli altri, la famosa coscienza educativa dello Stato liberale non esiste piú che nei discorsi dei pedagogisti massoni convertiti alla sacrestia, la scuola si rivela sempre piú organo essa pure del dominio di classe e di una classe che non può piú dominare che con l’appoggio di quelli che erano ieri i suoi piú acri nemici. Sono cose che è bene siano conosciute dagli operai, in molti dei quali permane un sentimento di venerazione cieca, di feticismo quasi per la scienza borghese e per i suoi organi; gli operai debbono sapere che da quella parte non esiste piú che illusione, che organi nuovi di cultura e di educazione, vivi e vitali, tocca a loro di crearli.

(7 marzo 1920).