Pastorellerie

L’occhio dell’eminentissimo cardinale Agostino Richelmy, per grazia di Dio e della Santa Sede apostolica arcivescovo di Torino, s’è trovato quest’anno «in un gran numero di persone costernate e lacrimanti, che aspettano dal loro vescovo la parola del conforto». Benedetto occhio che si ostina a rimanere aperto, mentre l’altro si è già chiuso da un pezzo, lasciando cosí all’eminentissimo cardinale facoltà di vedere solo metà della vita, di non essere mai per un sí, o per un no, di tacere su una infinità di cose, di non dire ai fedeli che aspettano la parola decisiva che rischiari la loro coscienza, e dica loro se i pastori vogliono trarre il gregge all’abisso o all’eden di ogni dolcezza.

L’eminentissimo cardinale Richelmy deve essere, come si addice a un pastore di greggi, importante membro d’Arcadia. La sua pastorale è tutta una musica di agresti campanacci, il Gesú gli si trasforma tra le mani in un dilettevole giocattolo alla giapponese, buono per i perditempo: una scatoletta, e dentro un’altra scatoletta, e un’altra e un’altra ancora e finalmente il vuoto. Le persone costernate e lacrimanti aspettavano in fondo qualcosa che mitigasse la costernazione e le lacrime. Avevano ben diritto di aspettare che il loro pastore sceverasse dal cumulo di calcinacci del diroccato edifizio di Pietro le pagliuzze d’oro del conforto e della guida in questi tempi di atrocità e di miseria. Ahimè! L’arcade Richelmy ama le svenevolezze del madrigale; l’agnello di Dio è per lui un roseo agnellino infiocchettato di nastrini e ben agghindato di ricciolini, che bela amabilmente, senza che il suo belare diventi verbo di vita attuale, giudizio di cose attuali, norma d’azione attuale. «Come avremo cercato di conoscere i suoi desideri, di intendere i suoi insegnamenti, avremo trovato il riposo alle travagliate anime nostre». Ma dov’è il travaglio dell’anima dell’eminentissimo cardinale? Può essere travagliata un’anima di zucchero filato? Travaglio di arcade. Udite. Il cardinale Richelmy, mentre il suo occhio contempla lacrime e costernazioni per i fatti attuali, è tutto un dolore (oh! quanto lancinante!) per non avere preso parte all’ultima cena degli apostoli, o al succulento desinare delle nozze di Cana. Nessun altro rimpianto, nessun altro desiderio desta in lui la scorribanda melensa e incipriata attraverso la vita dell’«amabile» redentore, gli scritti del «nostro caro» Luca e del «dolcissimo» Gersenio. Aveva promesso di far godere «della presenza di Cristo, dei suoi insegnamenti, degli ineffabili suoi doni», ma si dimentica per istrada della promessa. Troppo pericoloso parlare di certe cose in questi momenti, quando la censura gratta a noi persino gli accenni alla pace contenuti nella messa che i cappellani militari devono pur pronunziare al fronte in cospetto dei guerrieri. «Sillaba di Dio non si cancella. La parola di Gesú è parola di Dio: beati i poveri di spirito… beati i puri di cuore… beati quelli che hanno fame e sete della giustizia… beati i pacifici… beati quelli che soffrono persecuzioni per amore della giustizia… Sii umile e pacifico e Gesù sarà teco». Questo dice, è vero, l’arcade lacrimoso; ma quanta zuppa per sí poco nutrimento; quanto sciroppo dolciastro per un granellino di vero evangelo, che può sentire di aloe e di mirra! Le persone costernate e lacrimanti sono ormai già addormentate (o in estasi, come si dice). «Gesú», che per un momento «si è allontanato dalla terra», ritorna, perché la sua lontananza potrebbe apportar lesione all’unione sacra: «Noi abbiamo Gesú in mezzo a noi». Gesú si è nuovamente incarnato; nell’Ente dei consumi, diretto dal nobile de Ferres, e nelle minestre dei frati: «non è forse Gesú che per mezzo dei suoi discepoli prediletti provvede ogni giorno al mantenimento dei poveri, all’educazione dei pargoli, al sollievo degli infermi, alla redenzione degli infelici negli ampli padiglioni della carità cristiana?» Gesú si è incarnato nel ministro che fa digiunare il venerdí anche i reprobi, e nel pittore Mauzan che ha dipinto l’affiche per il prestito nazionale: «Sottoscrivete al Credito italiano»; e specialmente nell’altro: «Sottoscrivete al Banco di Roma».

L’unico occhio rimasto aperto nella austera, ineffabile, serafica faccia dell’eminentissimo cardinale Richelmy, vede Gesú in ogni alberello del giardino arcadico che l’agreste campanaccio riempie del soave tintinnio. L’altro occhio rimane irrimediabilmente chiuso. E nel giardino arcadico, il nuovo ciclope di Dio suona l’arpa davidica. Come è tenero il concerto e come ineffabile. Possono piú domandarsi le pecorelle del gregge se il pastore le conduca all’abisso o all’eden?

(21 febbraio 1917).