Piccole cose

In corso Duca di Genova, la sera. Nugoli di ragazzetti prendono d’assalto il palco di legno innalzato per i concerti serali, ne schiodano le assi, se le contendono rumorosamente, le distribuiscono sulle panche del corso, e si divertono a far l’altalena. I ragazzetti si propongono il fine naturalissimo e spiegabilissimo di giocare: ne trovano i mezzi adeguati a portata di mano, e giocano. Certo non si preoccupano di vedere se i mezzi, oltre che adeguati, siano anche economici, e se il gioco valga la candela. I cittadini non ragazzetti passeggiano indifferenti e osservano sorridendo. Basterebbe che uno di essi si accostasse, e dicesse poche parole perché il naturalissimo e spiegabilissimo desiderio dei ragazzi prendesse un altro indirizzo, perché il fine fosse raggiunto con dei mezzi piú economici. Ma i cittadini non ragazzetti rimangono indifferenti, non pensano neppure che sia opportuno il loro intervento. Viene danneggiato, è vero, un qualche cosa, che è patrimonio della collettività, che, per essere riparato, domanderà relazioni di ispettori, sopraluogo di periti, prospetti grafici di graffiacarte, firme di autorità competenti, magari votazioni in consiglio comunale. Ma i cittadini rimangono indifferenti, e i tutori dell’ordine sono assenti. Per fortuna. Perché se questi fossero presenti eleverebbero contravvenzione, e ai prospetti grafici, ai sopraluoghi, alle relazioni, al cumulo di carta che gli uffici centrali dedicano ad ogni piccola cosa, si aggiungerebbero i verbali, le notificazioni d’usciere, le sentenze del pretore, lo stupore dei ragazzetti per l’enormità degli effetti causati da un innocentissimo e giustificabilissimo desiderio. Ma i cittadini rimangono indifferenti. Sono piccole cose, non credono dignitoso intervenire, dire le poche parole necessarie. Considerazioni melanconiche. La vita è tutto un fitto tessuto di queste piccole cose, ed è in gran parte malvagia, faticosa, caotica, perché queste piccole cose non sono credute degne di considerazione. I cittadini italiani ridono per queste piccole cose, si rimettono per queste piccole cose all’autorità, ai tutori dell’ordine. Ciò che potrebbe essere evitato se il costume fosse diverso, se i cittadini fossero meno indifferenti, finisce col diventare nella macchina gerarchica dell’autorità, farragine incomposta, giustificazione di burocrazia pletorica: per accertare, riparare e far rifondere un danno di pochi soldi la collettività spende centinaia di lire, e autorizza l’esistenza di una macchina complessa di intermediari e di agenti che costano migliaia di lire. Ma i cittadini rimangono indifferenti e ridono. E la meditazione sulle piccole cose diventa piú malinconica ancora, perché i cittadini hanno una loro ragione inconsapevole. La funzione di tutori dell’ordine è in mano ai questurini: i questurini preferiscono, per tante ragioni, di vestire in borghese. Intervenire per far cessare un piccolo-grande disordine può portare ad essere confusi con un questurino in borghese, e la confusione non sarebbe piccola infamia. Cosí avviene che per i bisticci del costume in voga, i cittadini rimangono indifferenti, i questurini e i vigili assenti, le assi vengono schiodate, disperse, e la macchina funziona: sopraluoghi, ispezioni, e cumuli enormi di carta riempiti di inutilità dall’innumerevole coorte di graffiacarte.

(9 luglio 1917).