Prete Pero

L’on. Nitti promuove l’accordo fra le banche, la ditta Ansaldo porta a cinquecento milioni il suo capitale, un decreto luogotenenziale nomina una commissione di seicento esperti (!) per lo studio del dopoguerra… e vengono proibite le rappresentazioni della commedia Prete Pero di Dario Niccodemi. Guglielmo Ferrero può essere contento: il governo si è messo sulla buona strada: incomincia il regno della qualità che deve sostituire il regno dell’aborrita quantità. Lo Stato (!) assume la tutela dei cittadini, dell’attività dei cittadini, della ricchezza dei cittadini, del godimento estetico dei cittadini.

Le banche faranno credito solo agli aristocratici della produzione nazionale. Vedrete che qualità, che begli oggetti, che belle macchine, che belle rotaie, che bel commercio; i consumatori poveri forse preferirebbero avere merce a buon mercato e in abbondanza. Impossibile, miei cari: siamo tutti diventati aristocratici, dobbiamo tutti avere la casa ricca di bellezze. Non potete comprare? E chi vi dice che voi dobbiate comprare? E chi dice che voi dobbiate vivere? Il ministro Nitti è un democratico, miei cari: egli vuole poco, ma buono e bello, sebbene vent’anni fa volesse il contrario e si preoccupasse delle poche disponibilità dei cittadini italiani. Ma vent’anni fa egli era all’opposizione e non sperava ancora di diventare candidato alla presidenza del Consiglio.

Che bellezza avere in Italia un’azienda con cinquecento milioni di capitale! Non vi sentite accresciuti nell’estimazione universale? Forse avete qualche preoccupazione; pensate certo: cinquecento milioni devono poter fruttare un dividendo. E se la ditta Ansaldo produce oggetti che nessuno può comprare perché troppo cari, donde saranno tratti questi dividendi? Siete preoccupati: sapete che gli industriali dell’Ansaldo non sono degli scimuniti, per arrischiare tanti capitali devono avere una qualche garanzia. E chi in Italia può garantire i dividendi di cinquecento milioni? Lo Stato (!) voi pensate. Lo Stato, cioè il governo, cioè un uomo che viene e va, il quale impegna il portafogli e il lavoro dei cittadini perché l’Italia abbia una bellissima azienda con cinquecento milioni di capitale. E i cittadini, il «popolo sovrano» non ne sa niente. Ma il popolo sovrano è la quantità, e Guglielmo Ferrero, il santone della Democrazia, sostiene che la quantità deve essere sostituita dalla qualità; la qualità è aristocratica, o mio povero popolo sovrano, e l’aristocrazia che dovrebbe voler dire governo dei migliori, vuol dire solo governo dei pochi, dei Perrone, per esempio, e dei loro cinquecento milioni di capitale.

O popolo sovrano, allietati ancora, perché la commissione dei seicento dipende anch’essa dal concetto di qualità. Tu avresti creduto che un programma come quello enunciato nel decreto luogotenenziale avrebbe dovuto essere discusso in parlamento, anzi avrebbe dovuto essere discusso nei comizi elettorali. La tua sovranità si sarebbe esercitata nell’indicazione dell’indirizzo politico da seguire: statizzazione, monopoli, o libertà? Invece non ti interrogano. Gli esperti, i seicento esperti, si sostituiscono a te: tu sei la quantità, essi sono la qualità. Bisogna striderci: bisogna rinunziare alla propria sovranità, e ritornare sotto tutela.

Ma si tratta di un ritorno allo Stato dispotico! Ma si tratta di una usurpazione che il potere esecutivo fa delle competenze del potere legislativo popolare!

Ritorno, usurpazione? Ma per ritornare bisogna essere avanzati, ma perché ci sia usurpazione ci deve essere stato un esercizio di potere! O popolo sovrano, sei sempre stato minchionato; ma la colpa è tua. Quando mai hai controllato i tuoi rappresentanti? Ti sei sempre interessato piú agli insulti che alla laboriosità parlamentare effettiva. Ora raccogli i frutti della tua indifferenza, del tuo menefreghismo. La commissione dei seicento? Ohibò, una bega tra socialisti intransigenti e socialisti riformisti, e gli intransigenti si sa cosa siano! Serrati è accusato di tradimento… Già, ma la bega coinvolge il tuo potere sovrano, la tutela dei tuoi diritti.

Si comincia dalle banche, si finisce sul palcoscenico: si comincia con le commissioni, dove si finirà? I marxisti del gruppo parlamentare non sosterranno piú che la politica segue l’economia, vogliamo almeno sperare…

(19 luglio 1918).