Neve, neve. Caroviveri. Caro carbone. Tristezza universale. L’animo abbiosciato, raggomitolato in se stesso, cerca di rimpannucciarsi, riscaldarsi d’ideale. Rincarato anch’esso. Anch’esso è raffreddato e starnuta. Uno starnuto con titillamenti nasali di riso che non trova un’uscita clamorosa. Una presina di tabacco: la lettura del redivivo fogliucolo di Girola Tulin. Girola Tulin ha riaperto l’esercizio. Girola Tulin, preoccupato della tristezza universale, ha voluto riaprire ai consumatori il suo bazar di paccottiglia polemica, perché qualche faccia almeno si rischiari di lietezza, perché qualcheduno almeno, per la speranza dell’enorme benessere, dell’infinita prosperità avvenire, dimentichi la miseria presente. Rivedremo nelle vetrine delle edicole giornalistiche la fatidica iscrizione: «Qui si vende la Patria». Rivedremo i cittadini fermarsi a meditare pensosamente dinanzi alle cinque parole stampatelle. Meditazioni melanconiche o argute, secondo i temperamenti.
Per me, la lettura di tutto ciò che è in dipendenza dell’intelletto di Girola Tulin è come una scatoletta di tabacco. Ne fiuto una presina ogni tanto, nelle giornate di maggior tristezza e di ideale raffreddato, per eccitare lo starnuto. Mi procura uno sfogo fisiologicamente benefico, l’attività intellettuale del nobiluomo Girola Tulin. Ho letto qualche giorno fa uno scritto di Giovanni Gentile. E vi ho trovato una espressione magnifica, a conclusione di una disamina profondissima dell’ideale nazionalistico: Canis nationalis, asinus universalis. Girola Tulin è il cane nazionale modello: cane da pagliaio, chiassoso, rumoroso, che abbaia alla luna, e cerca mordere irosamente i raggi che filtrano nelle fessure del tetto nazionale, crocchiando a vuoto i denti, riempiendosi la bocca di vento. È l’asino universale modello, perché non può vantare, come i suoi colleghi, altri titoli d’attività all’infuori di quelli che sono conseguenza della sua caninità nazionale. È l’asino universale modello, perché è piú ottuso e meschino degli altri, e perciò piú degli altri suoi soci è privo di comprensione dei valori umani e spirituali. È un pezzo di anatomia sociale immerso nel liquido isolante dell’imbecillità. È l’uomo di una sola opinione (non si può dire idea, perché l’idea è necessariamente universale), accessibile a tutti gli uomini, in qualsiasi latitudine e longitudine essi abitino. È l’uomo che non ha reciproco. Che non comprende gli altri, perché sono uomini ed egli è cane da pagliaio. Che non ha cultura, perché la cultura è saggezza, la saggezza è umanità, ed egli è un cane da pagliaio. Che non conosce la lingua, perché la lingua è patrimonio collettivo, ed egli non fa parte di alcuna collettività, perché è un cane da pagliaio, che latra alla luna quando i raggi furtivamente filtrano nelle fessure del tetto nazionale, e li abbocca a vuoto. È materia grezza, arida, che si può polverizzare e ridurre in polvere da fiuto per eccitare le papille nasali allo starnuto nelle giornate di neve, quando la tristezza universale rende plumbeo il cervello, e l’ideale è raffreddato. Lo starnuto prorompe clamoroso e alleggerisce beneficamente il cervello. E l’animo è grato al Girola da pagliaio per questo benefizio. E gli perdona anche l’iscrizione anacronistica che sarà costretto a rivedere per la riapertura d’esercizio: «Qui si vende la Patria».
(8 marzo 1917).