Rivolgersi alla portinaia

Ho letto anch’io l’articolo del comm. Sebastiano Lissone sulle «colazioni, pranzi e cene di guerra». Ho voluto provare a fare economia, a spendere solo lire 2,03 o lire 1,02 al giorno, variando ogni giorno le vivande, arricchendo ogni giorno di fosforo ed azoto il mio organismo con pochissima spesa. Ho incominciato dalla colazione regime A: pane gr. 150, latte gr. 250, cacao gr. 10, zucchero gr. 20, e mi sono posto in caccia del pane e del latte, del cacao e dello zucchero. Dello zucchero specialmente: «Signore, mi può dare mezzo chilo, due etti, un etto, due soldi, un soldo di zucchero?» Quante volte ho ripetuto queste domande? Ho battuto tutta la città, ho speso qualche lira nel tramvai, ho consumato qualche centinaio di lire di pazienza e di energia. I pargoletti, le pargolette, gli ascendenti e i discendenti della rispettabile categoria degli esercenti, erano occupati nei retrobottega, nelle cantine, nelle soffitte, a confezionare pacchettini di zucchero da rivendere a un soldo e due soldi ai clienti che acquistano anche un chilo di pasta, o una bottiglia di marsala. Nessuna multa è possibile. Non è l’esercente che domanda l’acquisto supplementare. L’esercente risponde che non ha zucchero a chi vuole solo zucchero. Dà lo zucchero a chi ha prima acquistato un chilo di pasta avariata o una bottiglia di marsala. E il consumatore capisce l’antifona e si riempie la dispensa di pasta e di marsala, o rinunzia allo zucchero. Cosí non ho neppure potuto sfogare il mio malcontento concentrato in qualche sezione di polizia urbana. E stavo per rinunziare all’economia suggeritami dal comm. Sebastiano Lissone, se un fortunato caso non mi avesse posto sulla via buona. Deve capitare spesso il caso di cittadini che escono dai negozi tessendo ad alta voce lunghi soliloqui sullo zucchero, sulla saccarina, sui calmieri, sul diavolo che si porti i zuccherieri, confettieri, liquoristi, pasticcieri. Una donnetta si è avvicinata alla mia anima in pena. Mi ha compianto, e dietro promessa di assoluto silenzio e segreto, mi ha suggerito un indirizzo: via tale, numero tale, rivolgersi al portinaio; al tal piano una signora della buona società cede un po’ di zucchero per favore, veh! solo per eccezionale favore, e alla clientela distinta. È vero, bisogna pagare cinque o sei e anche dieci lire al chilo. Ma si può avere fino a un chilo di zucchero. Non è poi pagar troppo. Per un soldo di zucchero a tariffa statale si perdono due, tre ore di tempo. Il tempo è denaro. Ecco che dieci lire diventa un prezzo di favore, di impagabile favore. Tutti se ne devono persuadere. Eppoi c’è il rischio della multa. Non che il pericolo sia troppo: le guardie hanno da pensare a tante cose, che difficilmente si preoccupano di simili bazzecole, ma il pericolo c’è e bisogna pagare anche il pericolo.

Cosí ho avuto un po’ di zucchero, per l’interposizione di non so quante persone. E mi sono persuaso che i miei concittadini hanno un fiuto degli affari veramente ammirabile. I pargoletti, le pargolette, gli ascendenti e i discendenti dell’esercente, passano il loro tempo a dosare i pacchettini (carta a prezzo di merce) da un soldo e due soldi, un chilo di zucchero al giorno che permette di mettere fuori tutto lo stock della merce avariata in dieci anni di magazzino. Gli altri chili passano ai piani (rivolgersi al portinaio, con discrezione e segreto) e sono venduti a cinque o sei e dieci lire al chilo. I miei concittadini hanno il vero fiuto degli affari, piú che le guardie non abbiano il fiuto della volpe.

(6 febbraio 1917).