Una personalità

Ohibò! La nostra mania iconoclastica si merita un altro rimbrotto. La giovine «Patria» — del giovine Girola Tulin — cambiamo stile e termini perché il leader giornalistico del nazionalismo torinese pare sia indotto a cambiare metodo in nostro confronto — ci rimprovera di aver parlato male di Garibaldi, cioè di quella cara persona che noi, dopo aver durato fatica molta a classificarla nel regno zoologico, nell’incertezza della definizione, nel dubbio della scelta tra l’anfibio e… il resto, con una terminologia di «aggressori» impenitenti, che rileva la contraddizione del «soggetto», abbiamo finito per identificarla — quella cara personalità — in una sputacchiera. Credevamo che fosse un esemplare zoologico; cammin facendo, nemmeno una bestia, nemmeno un animale dotato di purchessia sensibilità. È una vera e propria sputacchiera. Ed a sputare in essa sono molti a Torino, e fuori del nostro campo, del nostro partito, e da quelle volute e involute coincidenze di rapporti e di criteri che solo gli scriteriati possono accreditare.

Potremmo fare confessioni che sono fior di rivelazioni. Persino in certi ambienti che pure non sono invisi al nostro «soggetto» si è preoccupati del silenzio del «soggetto» stesso. Non si tratta di chiacchiere, di quisquilie, di pettegolezzi, di congetture. Si è di fronte a fatti precisi e precisati. Delfino Orsi non è in grado di rispondere. Personalità per personalità, proprio ieri un’autorità cittadina avvertiva in un conversare privato che il direttore della «Gazzetta del Popolo» trovasi in una condizione penosa. Proprio cosí! La sua fama di uomo mediocre, ma in compenso onesto, è bell’e svanita. Mediocre, sí, ma onesto, no. La cara personalità del giornalismo torinese ha sulle spalle quel po’ po’ di roba che è una relazione governativa documentata. Quella ineffabile persona non sa piú giustificare come siano stati spesi i due milioni per la pubblicità dell’Esposizione. I nostri ipercritici, le animule delicate, gli odiatori di ogni irruenza polemica, i posapiano, tutta quella brava gente imbabbucciata che inorridisce delle nostre «aggressioni», messa a confronto di codesta enormezza dei due milioni, è presto convinta che abbiamo ragione, tanto piú che noi possiamo documentare di aver iniziato la nostra campagna con tutti i mezzi piú urbani del giornalismo.

Ma, perdinci, che fare di fronte a chi, investito di domande, d’invettive, di accuse, non risponde, non si discolpa, confida nell’omertà giornalistica, fa assegnamento sulle facoltà di prestidigitazione dell’amico dell’amico di Ventimiglia, attende che noi, scavezzacolli, noi «libellisti» la facciamo finita per stanchezza, e tace, tace, anche quando la campagna si allarga, invade altri giornali, s’estende oltre l’ombra della… Mole, diventa una questione nazionale, e quanto poteva sembrare un ripicco, un dispetto, un escamotage per combattere un giornale bellico, apparisce nella sua vera luce, alieno d’ogni movente bassamente, pettegolmente personalistico? Tacere, tacere, tacere! È l’ultima speranziella del commendatore bavarese che s’affloscia ogni dí piú sotto il greve carico di una responsabilità che non perdona… Quel disgraziato è mediocre anche nella sua disonestà politica. Fosse almeno capace di un gesto d’energia, d’uno scatto d’ira! No! Egli indugia la sua trista fiducia sorniona nel silenzio. Confida in una speculazione che non «attacca» piú. — Ah! Ah! quelle canaglie, piú grosse ne dicono, meno possono essere credute. Ed io taccio, ed essi si stancheranno —. Il signor conte Orsi taceva anche quando, in una certa riunione, il signor sindaco faceva del suo meglio per fargli capire che avrebbe dovuto parlare.

Conti senza l’oste, o codardo signor conte!

Codesto vostro lubrico silenzio fatto di viltà e di paura, sarà lo scoglio contro il quale a noi sarà piú facile infrangere qualsiasi tentativo che i messeri di via Quattro Marzo vorranno ancora esplicare per dar credito a certe campagne di moralismo politico, dilettazione preferita dagli eredi boteriani. Passerà anche il turbine che ci avvolge, passerà pure la costrizione alla nostra libertà d’espressione, e il silenzio del signor Orsi, di codesto mezzano del giornalismo, di codesto falso modesto che consuma ed esaurisce nella sua mediocrità sprezzante la propria mentalità gibbosa — attestazione assidua del vero che risulta anche nell’inversione del detto celebre che i latini amavano ripetere per le menti sane in corpo sano — il silenzio di codesto ignobile campione della tartuferia provincialesca superstite in una grande città come Torino, sarà pur sempre un argomento per schiacciare al muro, per immobilizzare nella bassura della loro tradizione i tradizionalisti di un piccolo mondo politico che è un impaccio al disfrenarsi delle nostre indomite passioni di lotta.

La losca faccenda dell’Esposizione varrà almeno a questo, quand’anche il commendatore bavarese non finisse in galera e la prescrizione scendesse ad avvolgere nel suo fitto velo le piccole e le grosse infamie patriotticamente consumate ai danni dei contribuenti.

Altro che sputi e sputacchiere, o melanconico Girola Tulin della «Patria»!

(21 marzo 1916).